venerdì, settembre 18, 2009

Meglio non fidarsi del popolo italiano

Coloro che hanno la possibilità, il tempo e la voglia di informarsi, magari non solo attraverso la tv, ma anche leggendo i quotidiani, online e non, sapranno che una parte della stampa, soprattutto quella internazionale insieme con alcuni commentatori politici, racconta di un Silvio Berlusconi politicamente in difficoltà; giungendo a profetizzare l’imminente e inesorabile inizio della sua parabola discendente. Detto così, ciò appare bizzarro e inverosimile e forse lo è. Lo è ancor di più quando ascoltiamo il Cavaliere ripetere che egli gode del sostegno del 68% degli italiani; i quali vorrebbero essere come lui. Pertanto non lo scalfiscono le critiche di “certa stampa piena di farabutti”, i richiami alla moralità e i recenti contrasti con i vescovi. Forte del consenso, non lo preoccupano più di tanto gli eventuali pronunciamenti negativi della Corte Costituzionale sulla legittimità del lodo Alfano con il conseguente processo Mills, né tanto meno le supposte inchieste, di alcune procure, su periodi nebulosi, lontani nel tempo, di questa nostra Italia. Eppure, la storia insegna. Del popolo italiano non c’è da fidarsi. L’italica progenie, opportunista per fede, è sempre pronta a salire sul carro del vincitore. “Attento ai plauditori” gli grida Gianfranco Fini, invitandolo a guardare tra i suoi. Mio zio Gastone mi raccontava che durante il regime, in Italia, c’erano quaranta milioni di fascisti. Dopo la caduta di Mussolini, invece, si contavano quaranta milioni di “eroi della Resistenza”. Lui estremizzava ma era chiaro ciò che voleva insegnare. Era sfuggito miracolosamente e astutamente, insieme a mio padre, al plotone di esecuzione tedesco nei pressi di un paesino in Toscana: Terrinca, in Alta Versilia. Zona che fu teatro di fatti difficili da immaginare e raccontare; orrori dell’umanità culminati con l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, un’atrocità inutile e per questo ancor più difficile da capire. Mi raccontano che quando un gregge di pecore, seguendo il pastore in transumanza, attraversava la via, Gastone si fermava e, cappello e sigaro in bocca, con voce richiamante gridava: “Fermi tutti, passa il popolo italiano”. Officiato il suo rito, riprendeva la passeggiata mattutina sistemandosi il borsalino sulle ventitré. La storia ci racconta, anche, che quattro mesi prima che il popolo milanese inveisse sui miserevoli resti del Duce e della sua compagna, un bagno di folla acclamante e osannante aveva accolto Mussolini in città. Adesso per sdrammatizzare, vi dico di quel mio amico, convinto elettore della Lega, che di ritorno da Torino dove, la settimana scorsa, ha assistito alla partita Italia – Bulgaria, ha detto di essersi commosso quando, al vantaggio degli azzurri, con orgoglio ed entusiasmo, ha cantato: “Fratelli d'Italia, l'Italia s'èdesta, dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa. Dov'è la Vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò…”
Mai fidarsi.
Aldemario Bentini