venerdì, maggio 28, 2010

Sacrifici

Chi volesse scrivere la storia dei nostri ultimi quarant’anni, potrebbe farlo a partire da una parola: “sacrifici”. La crisi petrolifera dette una scossa terribile alle economie dell’Occidente, all’inizio degli anni settanta dello scorso secolo; e la ricetta furono i sacrifici. Chi ha i capelli grigi si ricorderà: l’austerity, le domeniche a piedi. Dopo di che, ad ogni fase recessiva, ad ogni depressione della Borsa, ad ogni trend negativo dell’economia la parola è uscita fuori. Come se fosse nuova di zecca. A questo non si sottrae l’odierna manovra economica che il Governo ha approntato. Di nuovo, c’è solo l’ammissione della reale consistenza dello stato delle cose da parte del Presidente del Consiglio. Ora, nel mondo antico si offrivano sacrifici al dio per ingraziarselo, ringraziarlo, venerarlo. È certo che l’economia può essere considerata una dea capricciosa, ma, forse, esisterebbero anche altri modi per renderla benigna. Per esempio, dicendo con chiarezza quale sia la portata della crisi e indicando una strada, o un insieme di strade, che possono essere anche impopolari o dolorose, ma che facciano intravedere un barlume di luce in fondo al percorso e soprattutto che evitino che il futuro dei nostri giovani venga ipotecato. Probabilmente servono riforme che mettano in discussione diritti acquisiti e interessi costituiti. Probabilmente serviranno davvero altri sacrifici. Il problema è come distribuirli, con quale incidenza reale sulle varie fasce di reddito, con quale cadenza e con quali obiettivi, evitando ristagno e contrazione dei consumi. Questo lo si fa con analisi serie, mirando ad obiettivi di medio e lungo termine, ragionando e non seguendo umori e sondaggi: “ … c’è uno schiacciamento pericoloso sull’immediato” (Gianfranco Fini). Altrimenti, si corre il rischio che, invece di ingraziarsi la dea economia, si debba confidare nella dea Fortuna.

Daniele Tamburini

venerdì, maggio 21, 2010

Non si può stare sempre a lamentarsi

Un eminente psichiatra, il professor Di Giannantonio, parla di una vera e propria epidemia di malumore ed irritabilità nel nostro Paese, dovuta alle incertezze del clima atmosferico di questi giorni. Sarà senz’altro così. È probabile, però, che malumore ed irritabilità derivino anche da un forte senso di insicurezza che si percepisce nel Paese. Siamo finiti tra i PIGS, brutto acronimo, con Portogallo, Grecia e Spagna: Paesi a rischio. La crisi economica, che pareva fosse in via di superamento ci dicono, ora, che richiede invece tagli a salari e pensioni. E probabili tagli – ancora– a università e ricerca. A meno che non basti quello del 5% ai ministri … Ma non si esce dalla crisi, se non si compie anche un balzo in avanti in tecnologie innovative e nuovi modelli di produzione e se non si danno risorse alla ricerca. La gente si fa domande, è inevitabile.
Per esempio: quello che trapela da affari illeciti, ricarichi di spesa, affitti e appartamenti pagati, ristrutturazioni e corruzione in genere, un fiume di denaro illecito che pare scorra ovunque, questo denaro che comunque viene distolto dalle casse pubbliche, seconvenientemente investito, alla luce del sole, non potrebbe essere una risposta, seppure parziale, alla crisi? E siamo proprio sicuri che serva al Paese spendere cifre altissime per la missione in Afghanistan, oltre al terribile costo umano dei nostri soldati morti? Si dirà: manon si può stare sempre a lamentarsi. Diceva Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti, che dissentire è una forma di patriottismo, perché si vorrebbe sempre il meglio per il proprio Paese. E anche noi vorremmo il meglio per il nostro.


Daniele Tamburini

venerdì, maggio 14, 2010

La cenere del vulcano

La cosa ha inizio con Prometeo, addirittura: narra la mitologia greca che avesse fatto dono agli uomini dell'intelligenza, della memoria e, soprattutto, del fuoco. Quindi, la possibilità di affrancarsi dallo stato bestiale, di trasformare la natura riscaldandosi, cuocendo i cibi, lavorando i metalli, fino a spingere nello spazio i missili e le navicelle. Prometeo viene terribilmente punito. Incatenato a una roccia, un'aquila glis quarcia il petto: gli dei non accettano che gli uomini possiedano intelligenza e scienza. Ma si tratta di un dono irreversibile, e da allora si parlerà del "dominio" umano sulla natura. Fino a scindere l'atomo, fino a trivellare combustibile nelle viscere della Terra, fino a mettere piede sulla Luna. Certo, "dominare" la natura significa anche curare malattie che credevamo incurabili, prevenire e prevedere. L'umanità ci crede da secoli: la natura può essere domata. Eppure... eppure, basta un piccolos cossone della madre Terra e le città crollano, e basta un vulcano arrabbiato, e tutta la nostra fretta, la nostra ansia di velocità, di spostamento, di appuntamenti da non perdere, di vacanze da non rimandare, diventano insignificanti. Un vulcano dal nome impronunciabile, nell'Islanda dei ghiacci e del fuoco, un vulcano come quello di cui racconta Jules Verne in "Viaggio al centro della terra",e gli aerei, il simbolo del dominio umano sulla distanza e sul tempo, si fermano. E poi... riusciremo a fermare la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico? L'aquila ancora si erge su Prometeo incatenato.

Daniele Tamburini

Oggi più che mai occorre una scuola di qualità

Mi hanno fatto riflettere le parole che Luca Cordero di Montezemolo ha pronunciato qualche settimana fa in occasione di un convegno promosso dall’Associazione Italia Futura. "Ognuno di noi ha detto almeno una volta: voglio che mio figlio abbia possibilità migliori di quelle che ho avuto io, voglio che i miei nipoti stiano meglio di me. La risposta a questa speranza così naturale e così necessaria è il buon funzionamento della mobilità sociale, di quell’ascensore che dovrebbe permettere a chiunque di salire verso l’alto facendo affidamento sul proprio talento e sulle proprie capacità”. E' questa la condizione necessaria per un Paese dinamico, capace di rispondere alle sfide della modernità e della crisi, con idee, progetti, lavoro in squadra. E, per far questo, occorre imparare. Nel 2000, a Lisbona, l'Europa s’impegnò solennemente a divenire l'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica durevole accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione e da una maggiore coesione sociale, attraverso sistemi d'istruzione e di formazione che coniugassero qualità, accesso e apertura sul mondo. Questo doveva avvenire entro il 2010. Oggi, nel 2010, la nostra Corte dei Conti boccia sonoramente il sistema universitario italiano, il cosiddetto 3+2, laurea triennale + specialistica. Non solo non è aumentato il numero dei laureati, ma l'offerta formativa è frammentata, moltiplicata in segmenti immotivati, insomma, è scadente. Non ha creato lavoro né tanto meno nuove opportunità di crescita. Domanda: dove dovrebbero imparare i nostri giovani? Un paese che vuole essere di qualità non può pensare al suo futuro, e nemmeno riesce a immaginarlo, senza una scuola di qualità. Non è poi così difficileda capire. O no?

Daniele Tamburini