martedì, dicembre 30, 2008

Un anno utile

Siamo giunti alla fine di questo anno bisestile. Anno bisesto anno funesto, se non altro perché portatore di una crisi economica della quale ancora non conosciamo le proporzioni e le conseguenze. Ed è il momento degli auguri. Gli auguri di fine anno per un felice, o almeno sereno, anno nuovo. Difficile credere che sia sufficiente una semplice anche se sentita e partecipata frase augurale per scongiurare eventuali difficoltà; tuttavia la ritualità s’impone e anche se non dovessero essere realmente propiziatori, meglio scambiarci gli auguri, non sia mai. Nell’antica Roma il Collegio degli Auguri era una istituzione, un consiglio di saggi istruiti all’arte della divinazione; una pratica ereditata dagli Etruschi, popolo misterioso e affascinante, ma che non riuscì a fuggire la mala ventura di aver incrociato i Romani, così rivela la Storia.
Proviamo a ripartire ancora una volta con il massimo dell’ottimismo e auguriamoci che il 2009 sia un anno prezioso, come lo è la vita, e favorevole. Favorevole nel senso di utile per riscoprire una dimensione più umana, meno virtuale. Una riscoperta delle radici e della saggezza delle nostre terre, dove tutto era basato sulla concretezza del fare e non dell’essere. Intanto auguriamoci un ritorno all’economia reale, dopo che quella della speculazione finanziaria ci ha portato sull’orlo del precipizio. Auguriamoci che il Governo, dopo aver tranquillizzato le banche, imponga loro la rinegoziazione dei mutui per una rata più sopportabile per chi non ce la fa, fino alla momentanea sospensione del pagamento per chi disgraziatamente, nonostante gli auguri ricevuti, dovesse perdere il lavoro. Esigere, sempre dalle banche, il sostegno alle imprese. E auguriamoci anche concreti interventi per il rilancio dei consumi, quindi della domanda interna, attraverso la defiscalizzazione di salari e stipendi. All’inizio di un nuovo anno è anche usanza farsi carico di promesse o impegni. Promettiamo a noi stessi che cominceremo a pretendere, perché niente diventa reale se non con il nostro consenso. Come dire: “Tutto quello che è accaduto e che accade, dipende anche da noi”.
Buon anno utile.

d.t.

lunedì, dicembre 22, 2008

I ragazzi della Col di Lana

Giorni fa, ho visitato la caserma Col di Lana di via Brescia. Una breve visita. La caserma è sede del X Reggimento Genio Guastatori, comandato dal colonnello Giuseppe Poccia. L’ho conosciuto, mi ha ricevuto nel suo ufficio, un breve colloquio ma tanto mi è bastato: un uomo pieno di energia,
dinamismo e motivazione, le fisique du rol del comandante. Nel suo ufficio c’è la teca che custodisce e preserva “La Bandiera”, il prezioso e storico drappo che il Reggimento ha ereditato dal 3° battaglione Genio Pionieri Lario. Bandiera pluridecorata sia al valor militare sia al merito civile. Confesso il fascino che ho subito e una grande mal celata emozione. La storia mi affascina e in quel luogo se ne respira. Un’emotività, la mia, forse dovuta anche al fatto che non ho prestato il servizio militare come avrei voluto. Nell’anno in cui decisi di non presentare domanda di rinvio del servizio di leva per motivi di studio, come avevo fatto negli anni precedenti, ecco che mi arriva il congedo: Articolo 100, ossia eccedenza rispetto al fabbisogno di personale. Immaginate il commento colorito degli amici. Il colonnello, tramite Il capitano Marco Mannino, mi ha chiesto se potevo fornire settimanalmente copie de Il Piccolo Giornale per i trecento militari che dimorano nella caserma. “Può consentire loro di conoscere meglio la città di Cremona e favorire una frequentazione e un migliore inserimento”. Questo l’obiettivo. Ho accolto la richiesta con piacere, riceveranno regolarmente tutte le copie che occorrono. Oggi non c’è più la leva obbligatoria e vestire l’uniforme è una libera scelta. Per questo, a mio parere, è un atto responsabile degno di considerazione e sostegno. Anche Cremona deve essere vicina a questi ragazzi che giungono da ogni parte d’Italia, considerando che Gian Carlo Corada ha conferito loro la cittadinanza onoraria. Era il dicembre del 2004: “Per l’impegno umanitario e sociale profuso nel servizio, contribuendo a mantenere alto il prestigio di Cremona…”,questa la motivazione. “Da oggi voi siete cittadini cremonesi a tutti gli effetti, qualunque sia la vostra provenienza”, disse il Sindaco.
Buon Natale ragazzi.

d.e.
Venerdi 19 dicembre 2008

giovedì, dicembre 11, 2008

Così non si salva, ma si uccide l'economia

Non ci voleva. Cittadini e aziende del settore masticano amaro: il giro di vite imposto dal governo alle detrazioni del 55% sugli interventi del risparmio energetico (serramenti, solare termico, caldaie) nel 2009 e 2010 è un danno al portafogli di molti italiani e di questo settore produttivo. Inizialmente, l’obiettivo era anche quello di contenere gli interventi per il 2008 con effetti retroattivi. Poi la retromarcia del ministro Giulio Tremonti ha salvato le tasche dei cittadini (50mila circa solo in Lombardia) che avevano già realizzato gli interventi. Non ci voleva. Perché il prossimo anno, come ci dice Enrico Ferla, imprenditore, profondo conoscitore del settore, se non ci sarà un arresto, sicuramente ci sarà una flessione di questo comparto. Non potendo, infatti, più contare sul bonus del risparmio energetico, molti lasceranno perdere. O cercheranno di spendere il meno possibile posizionandosi su interventi di fascia bassa. O, ancora, saranno nuovamente tentati da comportamenti opachi, per risparmiare. Invece, è proprio in questo momento di crisi che il governo deve incentivare cittadini e aziende a investire. Soprattutto in un settore come quello del risparmio energetico nelle costruzioni. Uno dei pochi comparti che, in una fase economica d’emergenza, sta tenendo. Oggi, invece, il pericolo è che anche questo mercato si impoverisca. Con il rischio di rendere addirittura controproducenti gli investimenti già fatti da molte aziende attive nel settore. E’ l’ennesima dimostrazione che il governo, nei confronti della crisi, non abbia le idee molto chiare sulle armi per fronteggiarla. Spara spesso nel mucchio cercando di raschiare il barile. E la doccia gelata lanciata sul risparmio energetico in edilizia è preoccupante. Già le case non si vendono. Se ora si abbatte la scure anche su chi vuole risanare e riqualificare la propria abitazione, il colpo per il settore edile sarà ancora più duro. Così non si salva, ma si uccide l’economia.

s.c.
venerdì 12 dicembre 2008

venerdì, dicembre 05, 2008

L’età e la visione del futuro

E' piuttosto difficile affrontare il tema del futuro con 1800 battute. Il futuro oggi non esiste, va immaginato. Ognuno di noi deve immaginarselo. Di questi tempi difficoltà e paura del presente rendono difficile prevedere un futuro se non con orizzonti foschi e pieni d’incognite. La mia immagine del futuro è influenzata dalla mia condizione attuale, dalla mia esperienza, dalle mie prospettive ed è anche limitata dalla mia età. Mio figlio Niccolò che ha diciotto anni ed è prossimo alla maturità, intravede altro: è ovvio. In America anche il presidente eletto Barack Obama, 47 anni, immagina il futuro del suo paese. Immagina di affrontare la crisi e la recessione dando inizio alla terza rivoluzione: dopo l’era del carbone, dopo l’era del petrolio, prevede e scommette sull’era delle energie rinnovabili. Non si tratta solo di ecologia e di difesa dell’ambiente, c’è molto di più. C’è la prospettiva concreta di rilancio dell’economia degli Stati Uniti e probabilmente la riconquista della leadership economica mondiale. Così come ieri, quando la locomotiva alimentata a carbone prima e il motore a scoppio alimentato a petrolio poi, favorirono la crescita e lo sviluppo imponendo la realizzazione delle infrastrutture necessarie, lo stesso accadrà, secondo Obama, investendo nell’energia alternativa: sole, vento, maree, biomasse, motori elettrici, pannelli solari e altro. Così la riconversione all’economia verde, in America, creerà 5 milioni di nuovi posti di lavoro,150 miliardi di dollari saranno investiti nei prossimi cinque anni, circoleranno un milione di auto tra ibride e totalmente elettriche, un quarto dell’energia elettrica sarà prodotta da tecnologia pulita, forti gli investimenti previsti nell’edilizia pubblica per edifici ad alta efficienza energetica con sconti e agevolazioni per quella privata. Soldi, tanti soldi alla ricerca. L'obiettivo? Entro il 2018 azzeramento delle importazioni di petrolio dal Medio Oriente. Sembra un bel futuro.
E in Italia? Da noi, per adesso, è tutta un’altra storia.

d.e.
Venerdì 5 dicembre 2008

venerdì, novembre 28, 2008

L’abitudine e l’assuefazione

E' vero, ci si abitua a tutto o quasi. L’abitudine ha in sè un enorme potere, la storia ci insegna che non c’è niente cui l’uomo non finisca per abituarsi, fino a considerare inevitabili e ineluttabili le più aberranti crudeltà e ingiustizie. Oggi siamo arrivati alla totale assuefazione, come animali onnivori fagocitiamo e digeriamo tutto e di tutto. Anche questa grave crisi economica e finanziaria rischia di diventare quasi normalità. Per assuefazione alle vacuità niente fa più veramente notizia. Accettiamo, senza meravigliarci più di tanto, lo stesso esperto che dopo averci detto, poche settimane fa, che il prezzo del petrolio sarebbe salito fino a 200 dollari al barile spingendoci verso una profonda crisi energetica mondiale, ci dica oggi che sono del tutto normali i 50 dollari al barile e che non siamo più dipendenti dall’oro nero; ovviamente tutto da lui già previsto. Assuefazione anche verso questo nostro quotidiano teatrino della politica, un teatrino televisivo dove attori da avanspettacolo recitano da politici, insultando continuamente, spesso senza ritegno e senza dignità, affermando oggi con convinzione una cosa salvo domani smentire con sdegno. Difficile, almeno per me, trovare dignità in un Daniele Capezzone faccia da bravo ragazzo, da bamboccione, segretario del Partito Radicale fino a pochi mesi fa: abortista, antiproibizionista, anticlericale, a favore della liberalizzazione delle droghe leggere e per le coppie di fatto, che aveva definito Berlusconi un matto. Oggi è portavoce di Forza Italia avendo intravisto nel Popolo delle Libertà “una grande opportunità”. Per lui certamente. Che dire del signor Riccardo Villari, eletto per scherzo alla presidenza della Commissione di Vigilanza Rai. Nonostante avesse giurato e spergiurato che avrebbe rassegnato le dimissioni di fronte ad un candidato condiviso, Sergio Zavoli, una volta sedutosi sulla sedia presidenziale, non ha inteso più lasciarla, quasi avesse il sedere impiastricciato di un mix di coccoina, vinavil, attack e bostik. E invece dovremmo ritrovare la forza di indignarci. Forse soltanto ritrovando le passioni politiche di una volta, con o senza ideologia non importa, e la capacità di riconoscere le persone perbene (non è poi così difficile, la coerenza spesso è un buon indizio) potremmo scuotere l’arroganza di certi politici. Mio nonno mi diceva: “A volte facciamo come le pecore, ci accodiamo per istinto”. Non rassegniamoci.

a.b.
venerdi 28 novembre 2008

lunedì, novembre 17, 2008

Windows, nozze d’argento

Venticinque anni fa nasceva il sistema operativo per computer Windows. Era l’undici novembre del 1983 quando il giovane Bill Gates annunciava, non senza compiacimento e con un atteggiamento che a molti sembrò fin troppo spavaldo, la nascita di una nuova interfaccia grafica per PC: Windows 1.0. “Questo nuovo sistema operativo, fornito di un’interfaccia grafica nuova e unica, diventerà il sistema operativo del 90% dei personal computer” dichiarò Bill in quell’occasione. A molti sembrò una “spacconata”. Oggi la quota di mercato detenuta da Windows è esattamente quella ed è leader assoluto e indiscusso nel settore. Chi non conosce Windows? Nelle case, negli uffici, in ogni angolo della Terra, dove c’è un PC, che sia usato per diletto o per professione, c’è anche Windows con le sue “finestre”. Dopo un quarto di secolo non solo è il sistema di gran lunga più utilizzato, ma non se ne intravede la fine e forte è l’aspettativa per l’imminente uscita del nuovo Windows 7. La prima versione di Microsoft Windows non disponeva di un gran numero di funzionalità e a dire il vero non ebbe nemmeno un grande successo. Era un’estensione del mitico MS-DOS, il primo S.O. di grande diffusione che determinò lo sviluppo e l’espansione vertiginosa dei personal computers. Con grande acume e intuito i fondatori della Microsoft offrivano, allora, il DOS a un prezzo molto contenuto rispetto alla concorrenza e soprattutto, volutamente e astutamente, permisero che il programma potesse essere copiato e istallato senza problemi o limitazioni, consentendo così una facile e velocissima propagazione, a discapito degli altri sistemi difficilmente clonabili. Anni fa un amico di origine iraniana, che adesso lavora per un’importante azienda milanese, mi passava, sui quasi leggendari floppy disk, gli aggiornamenti del DOS che erano ovviamente e inevitabilmente taroccati. Oggi laMicrosoft Corporation fondata nel 1975 è una delle più importanti aziende produttrici di software del mondo con un capitale di oltre 270 miliardi di dollari. Bill Gates, fondatore con Paul Allen, è uno degli uomini più ricchi del pianeta. Quattro mesi fa Gates ha lasciato la presidenza della società dichiarando di volersi dedicare alla filantropia, invocando una nuova era all’insegna di quello che lui chiama: “Il capitalismo creativo”, un sistema in cui i progressi tecnologici compiuti dalle aziende contribuiscono allo sviluppo delle aree più povere del mondo indipendentemente dalla possibilità di profitto. Questo il commento alle sue parole di alcuni industriali perplessi: “E’ andato, l’è sciupà”.

venerdi 14 novembre 2008

lunedì, novembre 10, 2008

Un mondo a colori

E' Barack Obama il 44° presidente degli Stati Uniti d’America. Dopo una lunga campagna elettorale, dura, senza esclusione di colpi, Obama ha trionfalmente vinto, per lui quasi un plebiscito. Anch’io, come tanti, ho ricevuto la sua mail, alle 6 e 53 di mercoledì mattina: “How this happened” (com’è potuto accadere) è il titolo del messaggio, che continua: “Friend… we just made history…” (abbiamo appena fatto la storia), “… Thank you, Barack”. 47 anni, una vita che è un romanzo, Obama è l’interprete perfetto del sogno americano; uomo colto, intelligente, grande oratore ha saputo risvegliare la coscienza politica degli americani. E’ stato votato dal 66% dei giovani, molti dei quali si sono avvicinati alla politica per la prima volta, affascinati da un uomo capace di infondere speranza, coraggio e voglia di cambiamento: “Yes we can”, (possiamo farcela), è stato il suo leit motiv. Nella notte di martedì scorso feste spontanee sono esplose in ogni dove d’America, decine di migliaia di persone di ogni età, razza e religione sono scese in strada per festeggiare una vittoria che è da considerarsi a mio parere epocale. La convinzione è quella di aver assistito a un momento che passerà alla storia, non solo perché forse è finita un’era, ma perché Obama è nero! Un altro muro è caduto, dopo 230 anni un afroamericano prende possesso della Casa Bianca e diventa il presidente della nazione più potente al mondo. Impensabile fino a qualche decennio fa. La grande maggioranza del popolo statunitense è tornata partecipe e ha anche scritto la parola fine alla discriminazione razziale, almeno in America. Circa dieci anni fa ero a New York, percorrevo il largo marciapiede della Broadway diretto verso Time Square. Time Square è la piazza dove i newyorkesi festeggiano il capodanno, spesso la vediamo in televisione con i palazzi ricoperti di pubblicità luminosa e le scritte scorrevoli delle quotazioni della borsa americana; nei paraggi c’è la sede del New York Times. Ricordo una fiumana di gente che mi viene incontro, il mondo intero davanti a me: ispanici, andini, scandinavi, caucasici, africani, asiatici, mediorientali, un miscuglio di razze, di colori; figure frenetiche, indaffarate, incontenibili.
Ero affascinato. Ho immaginato che, indipendentemente dal colore della pelle, ognuna di quelle persone avesse più o meno gli stessi problemi, più o meno le stesse aspirazioni, più o meno gli stessi pensieri. L’umanità: bianchi, gialli, rossi, neri, olivastri … è evidente che è così che piace a Dio.

a.b.

Venerdì 7 novembre 2008


lunedì, novembre 03, 2008

Si sta alzando una leggera brezza

Non si era mai visto prima d’ora Il mondo della scuola così unito nella protesta: studenti, insegnanti, bidelli, personale amministrativo, universitari e persino alcuni rettori aggregati e coesi nel manifestare il proprio dissenso contro il decreto del ministro Gelmini; una legge che a loro dire apporta tagli di spesa pesantissimi all’istruzione. Al dissenso si sono aggiunti i ricercatori, i precari, i genitori degli alunni delle scuole elementari, le associazioni di genitori cattolici anche loro molto preoccupati per la riduzione delle risorse destinate alle scuole paritarie. Persino Famiglia Cristiana e il quotidiano Avvenire si schierano a fianco della protesta: “Colpire la scuola e l’università significa colpire il cuore pulsante di una nazione” scrive il settimanale cattolico. Nonostante le rimostranze e le numerose richieste giunte al governo per un ripensamento, il decreto è diventato legge. Questo decisionismo risoluto, questo: “Noi tiriamo dritto”, sembra piacere alla maggioranza degli italiani, così almeno rilevano i sondaggi. Tuttavia stiamo assistendo a un fatto nuovo, a mio parere non trascurabile, forse poco prevedibile: migliaia e migliaia di ragazzi che manifestano, che chiedono di essere ascoltati e che intendono farsi sentire. Ragazzi che vogliono difendere non tanto la scuola così com’è ma l’istruzione, intesa come investimento nella formazione e quindi nel futuro loro e del Paese. Non si tratta d’imbecillotti facinorosi, fannulloni strumentalizzati, si tratta di studenti che si mobilitano senza etichette e senza partiti. Non è un movimento partiticizzato, ma un movimento politico, perché l’oggetto della protesta è il loro futuro. La mia professoressa di matematica al liceo mi diceva: “Anche il lattante quando piange, perché ha fame, fa politica”. Gli studenti hanno dalla loro la facilità e la velocità nel comunicare, sono padroni delle nuove tecnologie e della rete, hanno saputo conquistare con disinvoltura un grande spazio con creatività e senza violenza. Sono stati capaci di evitare le provocazioni che purtroppo fatalmente e in maniera ineluttabile continueranno ad arrivare se la protesta dovesse continuare. Molti immaginavano i ragazzi di oggi, appagati e compiaciuti, davanti alla playstation o sintonizzati su Amici di Maria De Filippi. Io no, almeno non tutti.

a.b.
venerdi 31 ottobre 2008

lunedì, ottobre 27, 2008

Sarti, Burnich, Facchetti...

Ascoltavo alcuni tifosi di ritorno dallo stadio Voltini di Crema che commentavano il cosiddetto derby tra Pergo e Cremonese. Ho immaginato che avessero assistito a una partita brutta, monotona, povera di emozioni. Non sono sorpreso, salvo alcune eccezioni, le partite di calcio sono, a mio parere, noiosissime. Quante volte abbiamo visto incontri dove, nell’arco di un’ora e mezza, al massimo sono tre o quattro le azioni degne di nota. Ma accade che per il tifo e per l’attaccamento alla squadra, spesso, vediamo un’altra partita. Se fossimo scevri dalla passione e dalla conseguente tensione prenderemmo atto invece, di uno spettacolo molto spesso monotono e noioso; uno spettacolo che non regge il confronto, ad esempio, con il basket o il volley, dove le azioni si susseguono una dopo l’altra, velocissime e senza soluzione di continuità. Ho giocato a calcio e sono stato appassionato e tifoso, ancora mi piace guardare gli incontri tra squadre blasonate oltre alle partite della Nazionale, ma sono rare le occasioni in cui si possono ammirare giocate spettacolari. Molti tifosi dissentiranno ed è giusto, siamo nella sfera del soggettivo, ma c’era un tale che sosteneva che la partita di calcio perfetta è quella che finisce zero a zero, il ché è tutto dire. Pensandoci bene, forse, è il calcio visto allo stadio o peggio ancora in televisione che, rappresentando se stesso, mi annoia. Da ragazzo ascoltavo le partite alla radio. Le radiocronache del commentatore lasciavano spazio alla mia immaginazione e all’emozione: un’azione o un goal, arricchiti dalla mia fantasia, diventavano gesta eroiche. Ricordo, avevo nove anni: “Amici sportivi in ascolto, qui è Nicolò Carosio che vi parla e vi saluta... Internazionale: Sarti, Burnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Peirò, Suarez, Corso”. E i brividi correvano lungo la schiena.

Daniele Tamburini.
venerdì 24 ottobre 2008

lunedì, ottobre 20, 2008

Si salvi chi può

Salviamo le banche, ma salviamo anche i cittadini che hanno sottoscritto un mutuo. Tutti d’accordo: è necessario salvare le banche per impedire il crollo del sistema. Al punto in cui siamo è inevitabile, anche se forse è un rimediare all’effetto, ma non alla causa. Dopo anni di mancanza di regole e decenni di scarsi controlli, la crisi del credito è scoppiata, implacabile. Tutto è iniziato negli Stati Uniti e l’origine è chiara: gli istituti americani hanno concesso credito, principalmente per l’acquisto di una casa, a tutti, anche a chi non poteva permetterselo. Il denaro costava poco, il rischio era considerato basso e poi c’era l’immobile sui cui eventualmente rivalersi. Ma è successo che l’aumento del costo del denaro e la crisi economica - che ha espulso le classi economicamente e professionalmente più deboli - hanno fatto scoppiare la bomba: chi si è trovato senza lavoro e con un mutuo salito alle stelle non è più riuscito a pagare le rate del prestito. Le banche si sono, allora, rivalse confiscando le case e mettendole all’asta; ma l’eccesso di offerta ha fatto crollare il mercato immobiliare impedendo agli istituiti di credito di rientrare dei soldi erogati. Ci sono stati istituti di credito che si erano esposti anche per trenta volte il valore del loro capitale. Inoltre, questi mutui divenuti ad alto rischio erano stati impacchettati in titoli cosiddetti strutturati e venduti ad altri istituti di tutto il mondo, i quali candidamente li hanno propinati ai propri clienti. Il virus ha infettato il mercato e la crisi è diventata planetaria. E’ cominciata a mancare la liquidità nel sistema bancario, conseguentemente il costo del denaro è salito ancora e le insolvenze sono iniziate anche da noi. Rate dei mutui sempre più alte, famiglie in difficoltà, paura e sfiducia (ma anche
speculazione) sui mercati, crollo delle Borse. Mio nonno diceva che periodicamente le Borse presentano una crisi profonda, endemica: “La tosatura delle pecore” la chiamava, le pecore erano i piccoli risparmiatori, e aggiungeva, che visto l’interesse offerto dalle banche: “Sotto il materasso, i soldi sono al sicuro”. Oggi in Gran Bretagna c’è il boom delle vendite di casseforti. Per ridare fiducia bisognerebbe avere il coraggio di andare alla radice del problema e affrontare il problema dei mutui. Aiutare le persone a far fronte alle rate, abbassare i tassi d’interesse, prevedere agevolazioni immobiliari per le famiglie, rinegoziazioni dei mutui che effettivamente producano una rata più sostenibile. Questo consentirebbe forse di eliminare una prima causa della crisi, darebbe un po’ di ossigeno ai budget familiari e infonderebbe speranza e maggiore fiducia nella gente. In caso contrario sempre mio nonno che, come molti, non amava le banche avrebbe detto: ” Muoia Sansone con tutti i Filistei”.
a.b.

lunedì, ottobre 13, 2008

Pro Domo Nostra

In questi giorni una buona parte della stampa italiana è in subbuglio per effetto del decreto del Governo che prevede una riduzione del contributo pubblico destinato ai giornali editi dalle cooperative di giornalisti e ai giornali politici. Preciso subito che Il Piccolo Giornale è un settimanale a diffusione gratuita che non gode, non avendone titolo, di alcun contributo statale o di altra sovvenzione di qualsiasi natura, eccezion fatta della riduzione sulla tariffa postale per la spedizione delle copie agli abbonati. Riduzione che si traduce in un risparmio annuo di poche centinaia di euro. Pertanto la questione non ci riguarda direttamente.
Il Piccolo vive soltanto di pubblicità. Sono i nostri inserzionisti, ai quali va la nostra infinita gratitudine, che permettono la pubblicazione settimanale e consentono a migliaia e migliaia di persone la lettura gratuita del giornale. A seguito dei tagli decisi dal Ministro dell’economia diverse aziende editoriali hanno già annunciato la richiesta dello stato di crisi, dichiarando che la riduzione, ma soprattutto l’incertezza dell’eventuale contributo e del suo ammontare, comporterà la loro chiusura. Da qualche tempo, da più parti, si chiedeva al Parlamento una riforma dell'editoria che prevedesse un riordino dei criteri di erogazione dei contributi per evitare discriminazioni e abusi se non vere e proprie truffe. Fino a ieri erano tanti quei giornali che attingevano ai fondi pubblici sulla base di tirature gonfiate o aggirando la legge; pertanto siamo favorevoli a una razionalizzazione del sistema dei contributi evitando però di mortificare o peggio ancora “soggiogare” la libertà e il pluralismo dell’informazione. Il pluralismo dell’informazione è condizione indispensabile per una vera democrazia; una democrazia non è tale se viene meno la possibilità di scelta. Il poter scegliere ha come presupposto la conoscenza delle alternative e quindi delle diverse opinioni. Questo è anche uno dei compiti dell’informazione: dare voce alle diverse opinioni. La diversità delle idee e il poterle diffondere sono la base di una convivenza democratica e lo Stato dovrebbe esserne garante.

Daniele Tamburini
Venerdi 10 Ottobre 2008

giovedì, ottobre 02, 2008

Beluzzi, l’agone e il malvezzo

Beluzzi ha rinunciato: “… ritengo sia venuto il momento di togliere il disturbo”.
E’ certo che di disturbo ne ha arrecato tanto e a tanti viste le reazioni, spesso scomposte, scatenatesi dopo la presentazione della sua candidatura a sindaco della Città.
Certezze non ne ho, ne potrò averne ma la sensazione è che Cremona abbia perso un’occasione. Leggendo la lettera con la quale annuncia il suo ritiro e che contiene una prima stesura di quello che sarebbe stato il suo programma politico, aumenta in me la persuasione che dietro la scelta della sua candidatura ci fosse veramente un progetto di rinnovamento della politica e una concreta prospettiva di rilancio per Cremona affidata a persona competente. Non soltanto un’abile mossa politica per erodere consensi al centrodestra. Forse si, forse no; manca la riprova.
Più “certezze” di me devono averne avute gli avversari politici che ambiscono a sconfiggere il centrosinistra e a conquistare il governo della Città, se è vero che (confidenze di amici) tra i militanti della coalizione di centrodestra si ipotizzava di andare a votare in massa alle primarie l’attuale sindaco, spacciandosi per sostenitori del PD, ritenendo il candidato Beluzzi più pericoloso. L’unico freno, per alcuni, poteva essere il dover donare un euro agli odiati avversari.
Ammesso e non concesso che Cremona abbia perso un’occasione, di sicuro l’ha persa il PD. Un’accoppiata Beluzzi-Corada: rinnovamento e innovazione associati a carisma ed esperienza amministrativa forse avrebbe sbaragliato il campo. Rilevante il fatto che i contestatori di Beluzzi, tutti, abbiano fatto la seguente premessa: ” Io Beluzzi non lo conosco, però…” E giù botte da orbi.
Pietro Aretino poeta, scrittore e drammaturgo nato nel 1492, anno della scoperta dell’America, aveva fama di spregiudicato e arrogante dissacratore ma: “ … l'Aretin, poeta tosco; di tutti parlò mal, fuor che di Cristo, scusandosi col dir: non lo conosco.”

a.b.
venerdì 3 ottobre 2008

lunedì, settembre 29, 2008

Al lè, ghare's maai crediit…

Questa settimana avrei voluto soprassedere alle vicende politiche nostrane e alla disputa Corada- Beluzzi con tanto di colpi di scena preannunciati poi rientrati. Ma non si può. Mi ha sorpreso la determinazione del sindaco Gian Carlo Corada che ha detto no al tentativo di mediazione e di ricomposizione della spaccatura nel PD, rifiutando incarichi diversi e altri progetti. Stimo molto Corada come politico e come uomo, ma mi hanno confuso le sue dichiarazioni. La scelta di candidarsi è più che legittima, comprensibile e rispettabile, ma giustificarla con il timore che i concittadini potessero interpretare un suo eventuale ritiro come il massimo dell’opportunismo… mi lascia perplesso. Così come mi lascia perplesso l’assoluta irrinunciabilità alle primarie. Ma tant’è. Per quest’ultime mi aspetto un confronto ricco di contenuti e di proposte per la Città. Da spettatore auguro ai due candidati, il professor Gian Carlo Corada e il dottor Pierpaolo Beluzzi, un imparziale in bocca al lupo. Registro poi, roba non da poco, la grande novità dello “strappo”, in area centrodestra, del consigliere Ferdinando Quinzani, eletto nelle liste di Forza Italia, ma che insieme ad altri ha dato vita a una lista civica autonoma che si presenterà alle prossime elezioni amministrative con l’ambizione di rappresentare la maggioranza degli elettori di centrodestra, e la convinzione di andare al ballottaggio finale con quello che sarà il candidato del Partito Democratico.
Dimostrazione che se in casa PD le acque sono agitate, in casa PdL, forse, si annuncia un fortunale. Per approfondimenti rimandiamo alle pagine interne. E poi, roba da non credere, Cremona è la sesta città in Europa per numero di anziani: per ogni 100 giovani ci sono 226 ultra sessantacinquenni. Ma è un dato positivo, o no? Se son tutti come il mio amico Luigi, Dio ce ne scampi e liberi.

a.b.
venerdi 26 settembre

lunedì, settembre 22, 2008

UN PASSO INDIETRO, UN PASSO AVANTI

Le prossime elezioni amministrative sono, in questi giorni, uno tra gli argomenti più dibattuti sui media e tra la gente; in particolare tra coloro che s’interessano della vita pubblica cittadina. Molto ha influito la diatriba, all’interno del Partito Democratico, per la candidatura a sindaco. Il tema non è marginale, perché riguarda il governo e il futuro della città per i prossimi cinque anni. Le occasioni per discutere, anche animatamente, non mancano. Il candidato della destra non si conosce ancora e se c’è è tenuto nascosto. E’ una scelta strategica dei partiti che compongono la coalizione, è conveniente attendere ancora, prima di scoprire le carte; meglio aspettare gli sviluppi in casa democratica e muoversi conseguentemente. Nel PD gli animi sono accesi e la discussione, per usare un eufemismo, è calorosa. Pur tuttavia abbiamo ascoltato dichiarazioni che coltivano la speranza o forse meglio l’auspicio (inteso come desiderio) che sia ancora possibile evitare il pericoloso duello delle primarie, e scongiurare anche il rischio che: “Chi vince vince, chi perde perde”, con tanto di partito spaccato. Nonostante le ruvide dichiarazioni di questi giorni, il tempo e lo spazio, perché ciò avvenga, potrebbe esserci. Poiché, per la teoria della relatività anche lo spazio e il tempo possono mutare, così possono modificarsi le posizioni. Il tema in discussione nel PD è il cambiamento, che però non è motivo di critica, tutti si dichiarano favorevoli e ne convengono; il busillis piuttosto è chi è chiamato a interpretarlo. Il disegno dei vertici del PD era che il dottor Beluzzi ne fosse il soggetto principale e il professor Corada la guida spirituale. Dante e Virgilio, insomma. Corada non c’è stato, forse perché, al tempo, Dante era vivo, Virgilio no. Scherzi a parte, per evitare lo scontro qualcuno dovrebbe fare un passo indietro. Chi? Questioni loro. Certo è che per fare un balzo in avanti, occorre fare passi indietro e prendere, così, una buona rincorsa. Orazio, poeta latino, scriveva: “Sapere aude”, che si può tradurre in: abbiate il coraggio di essere saggi.

a.b.
venerdì 19 settembre 2008

lunedì, settembre 15, 2008

TANTO TUONO’ CHE PIOVVE

Niente da fare. Nemmeno l’On. Luciano Pizzetti è riuscito a persuadere Gian Carlo Corada a rinunciare alle primarie. “Ho deciso di ricandidarmi perché credo, in tutta onestà, di fare il bene della Città”, dichiara il nostro sindaco. Confesso che avrei scommesso cinque euro su l’esito opposto. Ma così è, e il 14 dicembre prossimo gli elettori e i simpatizzanti del Partito Democratico saranno chiamati a scegliere tra il professor Gian Carlo Corada e il dottor Pierpaolo Beluzzi, il loro candidato alle prossime elezioni comunali. Le primarie: una spaccatura nel PD? Probabile. Uno strumento partecipativo, altamente democratico, che potrebbe rinvigorire gli entusiasmi? Forse. Possono essere l’una e l’altra cosa, dipenderà dallo spirito con cui ci arriveranno e se ci sarà una regia oppure no. Certo è che, oggi, l’amarezza e la delusione dei quadri dirigenti del partito, Mauro Fanti e Gerardo Paloschi in testa, è tangibile. La controversa decisione dell’attuale sindaco non è un fulmine a ciel sereno e, per rimanere in campo meteorologico, è presto per dire se scatenerà una tempesta (con tanto di dimissioni) o un debole temporale. La sensazione è che comunque stia piovendo sul bagnato. E si sa, quando piove “chi si ripara sotto la frasca prende quella che piove e quella che casca”.
A destra? S’ode uno squillo di tromba? Macché, niente di niente. C’è tempo, ci dicono. Ed è logico che sia così. Conviene stare alla finestra per due motivi: uno, perché in questo momento il proscenio è tutto occupato dalle vicende del PD; due, perché il candidato andrà scelto conseguentemente al risultato delle primarie dei Democratici. Pertanto mettiamoci l’animo in pace e tiriamo fuori l’ombrello perché tra un po’ comincerà a piovere.

Aldemario Bentini
Venerdi 12 settembre 2008

lunedì, settembre 08, 2008

Io Sindaco, tu Sindaci, egli Sindaca

Elezioni primarie del PD? Il sindaco Gian Carlo Corada, per il momento non scioglie la riserva, e tiene in apprensione una parte del vertice del Partito Democratico. Per alcuni la speranza è che il ritorno, dalle ferie agostane dell’ On. Luciano Pizzetti, sereno e rilassato, possa convincere l’attuale primo cittadino a desistere dall’autocandidarsi, e persuaderlo a posizionarsi, invece, alla “guida del processo di rinnovamento”. Il candidato ufficiale Pierpaolo Beluzzi dice la sua, anche se è probabilmente turbato da tanto inaspettato can-can. Sta meditando. Il rischio è che anche lui inizi a sospettare che possa essere più facile vincere le elezioni amministrative piuttosto che la democratica tenzone con il sindaco uscente. Le primarie: tutti le vogliono, ma per tutti è meglio evitarle. Dall’altra sponda, per adesso, nessun squillo di tromba. Nomi tanti ma niente di concreto. Il possibile candidato, che ultimamente godeva di maggior attenzione, era Andrea Pasquali (Giovani Industriali), candidatura tramontata forse già al momento in cui, lui stesso, e alcuni associati alla categoria hanno storto il naso. La ricerca da parte del centrodestra di un nome autorevole, di spessore e convincente, sembra indirizzarsi, al momento, verso una donna. Perché no? Benvenga una sindaca purché competente. La signora Adriana Conti Rinaldi, alla quale Forza Italia ha chiesto la disponibilità a candidarsi, ha gentilmente e cortesemente rifiutato. L’auspicio è che si faccia in fretta a individuare i candidati, in modo che i cittadini possano conoscere e confrontare, soprattutto, i programmi; scegliere l’uomo o la donna idonei a metterli in pratica e governare il civico convivere con tutto quello che ne consegue. Si tratta di una scelta importante per la Città, che tutti riguarda e coinvolge.

Aldemario Bentini

lunedì, settembre 01, 2008

QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DI VIA IPPOCASTANI

L’esecutivo provinciale del Partito Democratico ha offerto la candidatura a sindaco, per le prossime elezioni amministrative, al giudice Pierpaolo Beluzzi. Con parole più semplici: il dottor Beluzzi è il candidato sindaco del PD. Giovane, quarantatrenne, nato a Bologna, laureato in giurisprudenza, uno stage presso la School of Law di New York, carriera da magistrato, sposato. Il giudice, coordinatore della sezione Gip del Tribunale di Cremona, è un autorevole esperto di materie per la modernizzazione delle pratiche relative alle attività amministrative e vanta un ottimo e ammirabile curriculum vitae. Potrebbe essere il candidato rispondente alle esigenze di rinnovamento, appartiene alla società civile, non è un politico di professione, probabilmente l’uomo adeguato a dare risposte alle richieste di sicurezza e di modernizzazione avanzate dai cittadini. A prima vista il candidato “perfetto”, una scelta che ricorda quella vincente di Paolo Bodini di qualche anno fa; questa, almeno, deve essere stata la convinzione di coloro che l’hanno proposto.
Tuttavia alla ciambella è mancato il buco, ossia l’assenso e la benedizione del sindaco uscente Gian Carlo Corada. Questo è l’incredibile pasticcio: senza questo imprimatur, l’operazione assume una connotazione verticistica, poco democratica, antipatica, ma soprattutto irriconoscente verso una persona che, per molti, si è spesa alla politica in alcuni casi più per dovere che per scelta. La scelta, forse affrettata, dell’esecutivo del Pd appare come un errore che vede increduli e perplessi molti militanti e simpatizzanti di questo partito, soprattutto quando Corada lascia intendere che sarebbe sua intenzione presentarsi alle primarie appellandosi alla scelta degli elettori e dei militanti pidiini. Forse la situazione è più complessa di come appare, a noi non tutto è dato sapere, ma in politica la forma ha valore, e la forma non è sembrata impeccabile.
Aldemario Bentini
venerdi 29 agosto 2008

giovedì, agosto 07, 2008

La Cremonese in Coppa UEFA.

Per telefono arriva la notizia: un’amica se n'é andata, si dice così, aveva più o meno la mia età. Mi è stata prodiga di consigli durante la mia prima importante esperienza lavorativa in Pavia, dove lei lavorava al Teatro Fraschini, pezzo forte della città universitaria. Era competente e per bene… ciao Rosanella.
Cominciano a esser tanti gli amici e i colleghi che se ne sono andati, forse prima del dovuto, troppi.
Sono sempre i migliori che se ne vanno”: l’ho sempre considerata una frase fatta, ma comincio a convincermi che sia vero. I farabutti, i voltagabbana, i pezzi di merenda, invece sono tanti e sono sempre in giro. Alla mia lista si è aggiunto, di recente, un tale: mi era stato presentato da un politico, una persona seria che stimo. Non me l’aspettavo… ci sono rimasto male. Continuo, comunque, a restare ancorato al detto: “Chi si comporta male, prima o poi ne paga il fio”, è un mio principio.
Ricordati ragazzo, se non v’è giustizia terrena v’è di certo quella divina” mi diceva nonna Adele con il suo dignitoso parlare tosco e schietto.
Va beh, pensiamo alle vacanze. Godiamocele fino in fondo perché dicono che l’autunno sarà caldo, e gravido di problemi. Non ci prospettano niente di buono, c’è solo da rimboccarsi le maniche e penare, dura è la congiuntura.
Però è di vitale importanza restare ottimisti e fiduciosi: non s’è mai visto un pessimista ottenete risultati.
L’ottimismo è il profumo della vita diceva Tonino Guerra poeta in uno spot pubblicitario, poco efficace perché ricordo lo slogan ma non il prodotto. Ottimismo e convinzione, ecco quello che ci vuole perché com’è il detto? “Gente allegra il Ciel l’aiuta". Con ottimismo convinto potremmo anche confidare che al rientro ci possa essere di che compiacersi e vedere ribaltate le previsioni, perché no?
Potremmo riscontrare un’inflazione scesa ai livelli minimi, il tasso d’interesse sui mutui all’1%, scoprire che alla fine del mese alle famiglie restano dei soldi e il 31 ottobre è di nuovo la giornata del risparmio. Magari al ritorno dalle vacanze potremmo costatare che il premier Silvio Berlusconi sta facendo anche l’interesse del Paese. Ascoltare, euforici, le dichiarazioni dei petrolieri che, presi da una improvvisa crisi di coscienza per la vergogna di aver tanto speculato sul prezzo del greggio, hanno deciso di riportare il prezzo della benzina al 1990: 0,75 euro al litro. In più il Governo, resosi conto che non è più tempo di chiedere finanziamenti per la guerra in Abissinia e per la crisi di Suez del ’56, ha ulteriormente ridotto il prezzo di dieci centesimi al gallone. Potremmo trovare, di ritorno dal breve soggiorno al mare o ai monti, che il valore del denaro è, più o meno, lo stesso sia quando lo depositiamo sia nel momento in cui lo prendiamo in prestito: sempre denaro è. Che le coalizioni politiche nostrane hanno trovato l’unanimità nell’individuare i candidati alle prossime elezioni amministrative, che la Tamoil si è trasformata e produce un antizanzara ecologico e che la Cremonese disputerà la Coppa UEFA.
Serene vacanze e buon rientro.

Aldemario Bentini
Venerdi 8 agosto 2008

lunedì, agosto 04, 2008

Debiti pubblici e debiti privati

Le famiglie italiane, non escluse quelle cremonesi, sono sempre più indebitate e faticano a traguardare la fine del mese. Con le rate del mutuo, macchina, Tv al plasma, o per il finanziamento chiesto per affrontare le spese impreviste, capitate maledettamente tra capo e collo, ci indebitiamo sempre di più e in modo costante. Una famiglia su tre ha serie difficoltà
economiche, nel 15 per cento dei casi non si arriva a fine mese. La situazione è andata peggiorando con l’innalzamento dei tassi d’interesse sui mutui. Per molte famiglie, una su due, il risparmio è una chimera.
Quasi impossibile mettere soldi da parte, si moltiplicano piuttosto i nuclei costretti a ricorrere ai prestiti. Ci s'indebita per beni di prima necessità, per imprevisti relativi alla salute, ma anche per mandare i figli all’università. Mano a mano il credito al consumo è diventato un mezzo al quale si fa sempre più ricorso in certi casi anche per fare la spesa. Non siamo ai livelli delle famiglie americane, per fortuna, ma certo è che il trend è preoccupante. Gli italiani, se non bastasse, sono gravati, questa volta tutti e indistintamente, di un debito indiretto e ereditato, Il debito pubblico, che pesa come un macigno sulle possibilità di crescita e di sviluppo del nostro Paese. L’ammontare del debito complessivo è una cifra spaventosa che tradotta pro capite significa circa 27.500 euro per ciascun italiano neonati compresi. Il debito pubblico è il debito dello Stato nei confronti d’individui, imprese, banche, che hanno sottoscritto obbligazioni (BOT e CCT) destinate a coprire il fabbisogno finanziario statale. Su questo debito, ovviamente, lo Stato paga gli interessi che concorrono ad aggravare la situazione. Il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo (PIL) costituisce un importante indice della solidità finanziaria ed economica di uno Stato. Nel 1980 il rapporto tra debito e Pil era ancora sotto il 60 per cento, nel 1994 ha toccato il picco massimo: 121,5 per cento. La maggiore crescita dell’ammontare del debito pubblico, una vera e propria esplosione, si è avuta negli anni ’80, gli anni del penta partito e di Bettino Craxi, gli anni della Milano da bere, del benessere diffuso, degli yuppies rampanti, della moda, della nave che va. Chi ha vissuto quel momento egoisticamente lo rimpiange. Oggi siamo costretti a pagarne il fio. A onor del vero alla crescita esponenziale del debito ha contribuito anche il fatto che, prima del 1980, il tasso ufficiale di sconto, che determina i tassi d’interesse, è sempre stato sotto il tasso d’inflazione.
Dal 1980 in poi, quando il TUS è diventato di esclusiva competenza della Banca d’Italia, è sempre stato ampiamente sopra il tasso d’inflazione contribuendo a far lievitare il nostro debito pubblico. Oggi siamo al 105 per cento circa, ancora un’enormità e un pericoloso freno alla crescita e alla ripresa. Scendere è maledettamente complicato e faticoso. Nessun governo recentemente ha affrontato il problema con determinazione perché inevitabilmente gli interventi strutturali risulterebbero fortemente impopolari. Non a caso anche l’ultima manovra triennale del ministro Tremonti è stata inesorabilmente bocciata da una famosa agenzia internazionale di rating: “L’effetto della manovra sulla spesa pubblica sarà lieve e il debito pubblico rimarrà elevato”. Purtroppo al punto in cui siamo giunti, per diminuire il debito è necessario tagliare pesantemente non solo gli sprechi e il superfluo ma anche la spesa pubblica, non c'è scampo. Nessuna parte politica ha il coraggio di farlo. Non lo ha fatto il precedente governo e nemmeno questo lo farà. L’unica possibilità a mio parere potrà essere un governo di "larghe intese", con le responsabilità condivise. Oggi, anche questo, sembra essere una chimera: siamo ancora al muro contro muro.

Aldemario Bentini

venerdì, luglio 25, 2008

Mandami una cartolina

Andrea Taracchini ventitreenne di Casalmaggiore non fa a tempo a laurearsi in fisica, all’Università di Trieste, con il massimo dei voti e la lode che viene selezionato da una prestigiosa università americana. L’Università del Maryland gli offre un contratto di cinque anni per un dottorato di ricerca ed una cattedra dalla quale dovrà insegnare quello che lui sa agli studenti. Tra pochi giorni partirà per Washington verso l’oceano Atlantico e verso il suo futuro.
Può sembrare una bella storia e certamente lo è per il nostro Andrea, un po’ meno per il Paese. Ogni anno migliaia di nostri giovani talentuosi, alcuni definiti geni, in ogni caso teste fini, lasciano l’Italia alimentando quel paradosso che va sotto il nome di “fuga di cervelli”: un movimento migratorio caratteristico del nostro Belpaese. Un patrimonio di risorse e di potenzialità che trasloca, ad un costo difficilmente calcolabile, un danno per le nostre università che perdono inesorabilmente capacità di produrre innovazione e conoscenza. E’ questo il paradosso: tutti sono convinti che le economie moderne dipendano in misura sempre maggiore dai frutti della ricerca, ricerca significa, infatti, conoscenze, tecnologie, progresso e sviluppo, ma come possiamo pensare di competere economicamente quando i nostri migliori cervelli vanno a rafforzare i nostri competitors? Gli investimenti sono inferiori alla metà di quelli stanziati dagli altri Stati e di fronte a governi poco sensibili che continuano a penalizzare la ricerca facendo venire meno le risorse necessarie per mantenere elevati standard qualitativi (è notizia di questi giorni di ulteriori tagli alle università italiane) l’unica possibilità che rimane ai nostri giovani ricercatori è emigrare.
L’Italia ha da sempre regalato fulgide menti al mondo intero. I nostri premi Nobel per la ricerca Guglielmo Marconi, Enrico Fermi, Renato Dulbecco, Carlo Rubbia, Rita Levi Montalcini hanno studiato e fatto ricerca grazie a finanziamenti ottenuti fuori dall’Italia. Dovrebbe essere compito dello Stato sostenere la sperimentazione scientifica e la formazione di eccellenza, nel proprio interesse. Investire nelle università significa investire nel e per il futuro, guardare avanti, mirare lontano. Forse è proprio questo il nodo, l’empasse: una classe politica nazionale che guarda più all’oggi, alla propria sopravvivenza, che non di rado vive di sparate spesso demagogiche che servono ad ottenere un immediato consenso e godere del sondaggio del giorno dopo. Manca, a mio parere, chi intende occuparsi del futuro affrontando i problemi e le criticità con idee e progetti di lungo respiro immaginando quello che dovrebbe essere il Paese almeno da qui a trentanni. Spero di sbagliarmi.
In bocca al lupo Andrea, mandaci una cartolina da Washington (Vosintòne, al tempo di Mussolini nella battaglia all’esterofilia).


Daniele Tamburini

Venerdi 25 luglio 2008

venerdì, luglio 18, 2008

Aboliamo la magistratura.

Facciamola finita una volta per tutte, aboliamo la magistratura: rompe i coglioni e fa perdere un sacco di tempo.
Ma guarda te…non si fa a tempo a promulgare un decreto per impedire che chi regge le sorti della Repubblica possa subire attacchi da parte dei giudici o peggio ancora essere processato, che subito cosa fanno... imprigionano un’intera giunta regionale, quella d’Abruzzo. E’ il solito “teorema”. Un’invenzione dei magistrati senza prove, se non le intercettazioni dove non si capisce mai niente.
Basta con questa spudorata dimostrazione di autonomia e indipendenza da parte dei magistrati, che pretendono il rispetto delle leggi anche dai politici e dagli amministratori pubblici. Chi governa, non può avere costantemente una spada di Damocle sulla testa: le regole, il diritto, le verifiche di costituzionalità… che palle!
Se si vuole che in uno Stato Legislativo parlamentare governino le leggi, si dica.
Non si può far governare il Diritto. A dirigere devono essere coloro che sono stati eletti e che, in quanto tali, sono onesti per postulato. Chi governa dovrebbe godere dell’immunità e dell’impunità parlamentare; deputati e senatori devono avere il beneficio di uno status giuridico proprio, che sancisca l’esenzione da oneri, da obblighi e da doveri, com’era una volta per la nobiltà. Tale esenzione dalla pena andrebbe estesa ai familiari e ai parenti di primo, secondo e terzo grado (non si sa mai). Immunità a vita, invece, per ministri, viceministri e sottosegretari, un po’ di pragmatismo, che diamine. Non sottovaluterei nemmeno l’ipotesi di una immunità ereditabile per discendenza, un ritorno al sistema giuridico del privilegio, da Ancien régime, cancellato dal quel rebelot che fu la Rivoluzione Francese e da quei sovversivi illuministi.
Non è pensabile che alcuni giudici continuino ad esercitare un’asfissiante sorveglianza sulla politica e vigilanza riguardo all’amministrazione pubblica, con la pretesa che le leggi siano sempre e comunque rispettate.
Facciamo un esempio a caso: Berlusconi. Ha vinto le elezioni? Ha avuto il consenso dal 60% degli italiani? E’ il Capo? Si? Allora deve comandare, senza rendere conto ad alcuno, immune da tutto, dovrebbe rispondere solo al Padreterno. In quanto capo è già di per se legittimato, di che altro c’è bisogno?
Rimoviamo quindi tutti gli impedimenti regolamentari, basta con il garantismo e la teologia della morale; deve comandare come il principe, senza ostacoli parlamentari e altre fregnacce costituzionali. Ottimismo, autocrazia e sano umorismo, ecco quello che ci vuole.
Giusto!” Mi ha risposto di primo acchito il signor Luigi. “O no?” aggiunge immediatamente percepito il mio sarcasmo.

A.B.
venerdì 18 luglio 2008

lunedì, luglio 14, 2008

Lodo Alfano? Ci sono cose più urgenti

Che la legge non fosse uguale per tutti l’ho sempre sospettato, i miei vecchi dicevano: “Chi ha più santi va in Paradiso”. Mai avrei immaginato, però, che la disparità tra i potenti e i comuni mortali fosse sancita per legge. Ma così è. Io non mi scandalizzo, la storia dell’umanità è disseminata di disparità, di disuguaglianza, di vincitori e vinti, di Principi e di servi della gleba. Un signore con il quale da ragazzo giocavo a tresette, un saggio livornese di quattro generazioni, era uso dire: «Se hai, hai. Se non hai…Ohi». In quella coniugazione del verbo avere era inteso: il denaro, il potere, il prestigio, le conoscenze... e anche le carte giuste. Tradotto dal Marchese del Grillo suona così: «Io sono io, e voi non siete un .....». Il cosiddetto “lodo Alfano” è stato approvato dalla Camera in un batter d’occhio. Così ha voluto il Premier, anteponendolo a tutto il resto, e così è stato. Le maggiori cariche dello Stato: Presidente della Repubblica, della Camera, del Senato e del Consiglio godranno dell’impunità per tutta la durata della legislatura. Anche questo non mi sconvolge, anzi non me ne frega proprio niente. Ora l’emendamento blocca processi è superfluo, anche se, credete a me, la cosiddetta legge salva Premier, che avrebbe bloccato centinaia di processi, così come formulata inizialmente, è stata solo un’astuta minaccia.
Mai Berlusconi avrebbe rischiato di farsi carico dell’indubbia impopolarità che avrebbe accompagnato la promulgazione di una norma boomerang, così come avvenne per l’indulto del governo Prodi. Berlusconi è salvo da tutti i guai passati, presenti e futuri, da qui alla fine del mandato, buon per lui. E’ il suo imperare, forte del consenso avuto dalle elezioni, «questo hanno deciso gli italiani con il loro voto» dice lui. E’ bene, però, rimarcare che in una vera democrazia la maggioranza scaturita dalle votazioni non ha sempre ragione, ha solo il diritto a governare. Finora abbiamo avuto un parlamento bloccato sulle questioni di cui sopra, adesso basta! Maiora premunt! Ci sono cose più importanti da fare. Nella testa della gente le priorità restano le tematiche economiche, non le intercettazioni, i lodi, le norme blocca processi e, nemmeno tanto, le leggi sull’immigrazione. Piuttosto il miglioramento delle condizioni di vita, la spesa quotidiana, il potere di acquisto, l’affitto o la rata del mutuo da pagare, questi sono gli affannosi pensieri del 70% degli italiani, inquietudini aggravate da una situazione lavorativa che non lascia tranquilli. Forza! Ci sono cose più importanti da fare. L’Italia non ha più tempo e chi non ha tempo non aspetti tempo.

Aldemario Bentini
venerdì 11 luglio 2008

lunedì, luglio 07, 2008

Grembiule nero e fiocco azzurro

La proposta è di questi giorni e suggerisce “l’obbligo” del grembiule nelle classi elementari. Negli anni della mia giovinezza l’uso del grembiule era una ferrea consuetudine,non un obbligo. La Ministra della Pubblica Istruzione ha accolto l’idea con favore e interesse. Non so se Mariastella Gelmini sia parente di Roberto ex direttore de La Provincia: di lui si potevano non condividere i concetti espressi nei suoi fondi, ma sapeva scrivere bene. Anche Luciano Pizzetti, allora non ancora Onorevole e d’idee avverse, apprezzava il suo stile. La Ministra intravede nel grembiule la possibilità di «…dare pari condizioni di partenza» agli studenti. Bastasse così poco…
Immediatamente si sono scatenati, divisi tra pro e contro, professori, psicologi, pedagoghi, intellettuali, specialisti in grembiulogia e soprattutto coloro che non hanno grossi e gravosi impegni quotidiani. Sembrano più numerosi i pro: «Il grembiule cancella la competizione sugli abiti firmati, restituisce libertà di movimento, infonde senso d’appartenenza, ma soprattutto niente ombelichi al vento».
Dico:con tutti i problemi e le difficoltà che dobbiamo affrontare oggi, non c’è altro su cui applicarsi?
I ricordi si ravvivano e mi vedo timido e sradicato nel mio lustro grembiule nero con un immenso fiocco azzurro. L’inizio della scuola, elementare Pietro Thouar, educatore e letterato considerato il miglior scrittore per l’infanzia con Collodi e De Amicis: sempre il primo di Ottobre, San Remigio. Le madri accompagnano i bimbi, tutti vestiti di nero e infiocchettati, grida, urla, sgambetti, spinte, pacche sulle spalle e tante ginocchia sbucciate… il ciacerare delle mamme che si ritrovano o si evitano.
Anche se eravamo vestiti tutti uguali, non so perché ma i bambini benestanti e i bambini poveri si distinguevano, sempre e comunque. Il mio grembiulino nero e il fiocco azzurro erano maternamente puliti e in ordine, perché la gente non avesse nulla da dire, ma si vedeva che la stoffa non era granché. Niente classe mista, tutti maschi. La mia prima cartella era rossa, forse riciclata, con dentro un sussidiario e due quaderni, uno a righe e uno a quadretti, copertina nera lucida con bordo rosso. Era, invece, di cuoio marrone in prima media mentre in terza niente più cartella, un elastico con fibbia teneva insieme libri e quaderni. Al Liceo una tracolla verde militare con la simbologia del momento Peace and Love, Stop the War eccetera. Esplode il ’68, arrivano gli anni della contestazione, ci sentivamo diversi, volevamo essere diversi, anticonformisti...
Ricordo mio nonno: «Diversi? Pensa te, ho combattuto perché potessimo essere tutti uguali.»

Daniele Tamburini

martedì, luglio 01, 2008

La colpa morì fanciulla

La colpa morì fanciulla perché nessun la volle.
Non la vuole la Tamoil che tramite i propri avvocati manda a dire che l’inquinamento da idrocarburi, presente nell’area prospiciente la raffineria, non è attribuibile all’attuale proprietà. La colpa non la vogliono le amministrazioni locali, il Presidente Torchio a luglio dello scorso anno,quando scoppiò il Caso Tamoil disse: ”Se mi indagano me ne vado”, di colpa men che meno ne vuole sentire parlare il Comune. Non la vogliono l’Asl e nemmeno l’ARPA (l’Agenzia regionale per l’ambiente). Né possiamo incolpare le canottieri per esser lì dove sono.
Non sarà mica colpa di noi cittadini? Forse. Se una responsabilità abbiamo è quella di non essere capaci di riconoscere la dimensione e la gravità del problema e fare un’adeguata pressione sulla politica, sugli amministratori e magari sull’Azienda stessa, rivendicando il diritto alla salute. Noi siamo l’opinione pubblica, che ha un grande potere che può incalzare ma anche sostenere chi sta cercando una possibile soluzione, a una sola condizione, essere in tanti.
Forse non è un caso che la lettera degli avvocati della Tamoil sia uscita all’indomani della nascita del Comitato Anti-Inquinamento che raggruppa varie associazioni. Certo è che il problema esiste, è venuto a galla ed è grave. Deve essere risolto nell’interesse di tutta la comunità. E’ un dovere di ognuno. La Tamoil ha messo le mani avanti… il problema nasce prima di noi quindi non venite a presentarci il conto. E’ possibile bonificare l’area con sufficienti garanzie per il futuro, quanto costa? “ Centinaia di milioni di euro” dice il Sindaco. Come a dire che solo la Tamoil può sostenere l’onere. Il Sindaco Corada sta lavorando per questo obiettivo: convincere Tamoil ad accollarsi il costo, preservare l’occupazione e bandire la parola “delocalizzazione”. Do ut des. E’ scegliere un male minore, un obiettivo realistico, di uno che sta con i piedi per terra. Per tutelare, invece, veramente la salute dei cittadini, intraprendere una durissima battaglia verso gli organi preposti al fine di far cessare definitivamente l’inquinamento del suolo e dell’aria, recuperare le risorse per la bonifica, trattare con gli imprenditori per la salvaguardia dei posti di lavoro, e magari guardare al futuro… sarebbe necessario armare il nostro primo cittadino, chiunque sia o sarà, con un fortissimo consenso e un granitico sostegno da parte di tutta l’opinione pubblica. Do ut des.

Aldemario Bentini

VENERDI’ 27 GIUGNO 2008

lunedì, giugno 23, 2008

Egr. dottor Arvedi, mi avrebbe deluso

M’interesso poco di calcio, ho seguito però con curiosa attenzione le fasi in cui Lei ha preso in mano le sorti della Cremonese. Non essendo un accanito tifoso, confesso che ho sospettato un tornaconto. Mi sono ricreduto subito. «Ce la metteremo tutta… non aspettatevi fuochi d’artificio… ma dignità, rispetto, recupero dei valori di sportività… per il bene dei nostri giovani». Belle, esemplari parole. Ho cominciato a seguire con simpatia le vicende della squadra. Dopo tanti anni sono tornato in uno stadio, coinvolto da un amico: partita Cremonese-Atalanta, in curva, cinque euro il biglietto. L’ultima volta dieci anni prima, con mio figlio ancora piccolo, Atalanta-Juventus a Bergamo. Siamo scappati per la tensione palpabile e per la paura d’incidenti, avvenuti poi di lì a poco. (Forse per questo mio figlio ha deciso di praticare il nuoto piuttosto che il calcio). In poco tempo, Lei Cavaliere, è riuscito a riportare la gente allo stadio, anche le famiglie, restituendo loro l’orgoglio e la capacità di ritrovare dignità ed entusiasmo. Ammirevole il tentativo, suo, di dimostrare che anche nel mondo del pallone si può percorrere la strada del rispetto e dell’etica sportiva, un forte insegnamento, una lezione per molti. Dottore, per delusione e amarezza, voleva gettare la spugna? «Sono stati momenti difficili per me… ma ho mantenuto fede alle mie idee», sono sue parole riferite sì, ad altra situazione; un contesto dove Lei giganteggia certo, ma credo sia ancora la sua filosofia. «La vita è una lotta continua… guai a chi si abbandona alle cose facili; ma a noi piace così; affrontarle con impegno, responsabilità e, in prima linea…» è la sua voce in occasione di un importante riconoscimento. Per un momento abbiamo rischiato che la Società potesse tornare nelle mani di chi ha altri obiettivi. Certo sarebbe mancato l’esempio, l’insegnamento. Un vero peccato.
Sono passati tanti anni. Quando La conobbi, mi sembra ieri, mi “aggredì” verbalmente… sentite le mie ragioni, si complimentò. Fu per me un insegnamento e un grande incentivo.

Daniele Tamburini

venerdì 20 giugno 2008

lunedì, giugno 16, 2008

C'è puzza di bruciato

L’idea che le forze dell’ordine utilizzino lo strumento delle intercettazioni telefoniche per indagare, contrastare o, meglio ancora, prevenire le attività illegali, a me non dispiace. Anzi, mi dà un senso di sicurezza. Ho la pretesa convinzione che sia così anche per la grande maggioranza degli italiani che non solo non hanno niente da temere, ma hanno altro cui pensare: caro benzina, bollette, potere d’acquisto. Leggo invece che il governo ha fretta di legiferare sul tema, vietare le intercettazioni, eccezion fatta per i reati più gravi: mafia, criminalità organizzata e terrorismo. Pene severe fino a cinque anni per giudici e forze dell’ordine che dovessero contravvenire, idem per i giornalisti. Togliere ai magistrati uno strumento fondamentale, il più efficace nella lotta contro il crimine, a me pare un’assurdità. A sostegno della necessità di intervenire, limitando fortemente le intercettazioni, propinano balle. Ci dicono che la spesa per le intercettazioni è pari a un terzo del bilancio della giustizia. Balla. Nel 2007 si sono spesi 224 milioni di euro pari al 3,2% della spesa totale. Si tace, invece, su quanto lo Stato ha recuperato nella lotta all’evasione grazie alle intercettazioni. Un esempio su tutti, per le indagini sull’affaire Antonveneta e i furbetti del quartierino; si sono spesi in intercettazioni 8 milioni di euro. I soldi recuperati dai 64 indagati che hanno patteggiato, assommano a 324 milioni, parte dei quali messi a bilancio per la costruzione di nuovi asili, mentre con il resto si possono pagare tutte le intercettazioni per un intero anno. «Siamo tutti intercettati», altra balla colossale. Le persone intercettate nel 2007 sono state circa 80mila. Le intercettazioni a loro carico sono state eseguite sulla base di sospetti. Se in molti casi il risultato è stato non luogo a procedere, ciò si è reso possibile grazie alle intercettazioni stesse, che possono essere a mio parere, anche una forma di garanzia. E’ di questi giorni la raccapricciante vicenda della clinica Santa Rita: vengono i brividi. «Ho agito secondo scienza e coscienza» questa la dichiarazione di uno dei responsabili. E no,ci sono le intercettazioni che fanno emergere tutt’altro quadro di scellerata disumanità. «Si sarebbe potuto arrivare alle stesse conclusioni controllando le cartelle cliniche» ha detto Il presidente dei senatori del PDL che evidentemente ci prende per fessi. Quante volte abbiamo sentito di documenti manomessi e contraffatti? Una volta si diceva verba volant, scripta manent (le parole volano, gli scritti rimangono), oggi sono le parole a restare (sui nastri magnetici). Non ne faccio un discorso di parte perché l’impressione è che, fatte salve poche eccezioni, trasversale è l’urgenza di disciplinare comunque la materia. A chi giova? Ci sarebbero altre priorità, gli italiani hanno altro cui pensare… forse è proprio per questo che il momento è adatto…
Aldemario Bentini

VENERDI’ 13 GIUGNO 2008

giovedì, giugno 05, 2008

Fuori posto

Capita di essere o di sentirsi fuori posto, l’ultima volta qualche giorno fa in un noto ristorante del centro. C’erano dirigenti, addetti stampa, giornalisti. Io, che giornalista non sono, mi sentivo fuori posto e anche un po’ a disagio: “Lo sapevo, non dovevo venire” mi son detto. In questi casi che si fa? Non confidate più di tanto su gli altri commensali, raramente vi tolgono dall’impiccio. La situazione si può gestire diventando chiacchieroni a prescindere dagli interlocutori o restando in silenzio facendo finta di niente, oppure dispensando sorrisi assecondando e compiacendo secondo le circostanze. Meglio, però, restare seri sempre e comunque… a prescindere.
Anche la “Tamoil” è fuori posto. La faccenda è grave e la serietà si impone. La vicinanza con la Città è una situazione anacronistica, generata dall’ignoranza del tempo che fu, è un intollerabile pericolo. Errare umanum est, perseverare diabolicum, errare è umano, perseverare è diabolico e la terza possibilità non è concessa. Tocchiamo ferro, legno e quant'altro: quali sarebbero le conseguenze in caso di grave incidente? Di chi le responsabilità? Nessuno può negare che la raffineria sia fuori posto a meno che non lo sia la Città. Di certo non sono fuori posto le canottieri, stanno dove devono stare: sulle sponde del fiume. Cremona città è dove l’hanno fondata i Romani circa 2.200 anni fa, baluardo contro Annibale che scendeva giù dalle Alpi. I nostri avi avevano scelto un bel luogo: terra fertile e abbondanza di acqua. A quel tempo il combustibile era il sudore sia umano sia animale, oggi è ancora purtroppo una sostanza cancerogena.
Il diritto alla salute è riconosciuto dalla Costituzione, è un diritto che lo Stato deve tutelare nell’interesse dell’individuo e della collettività, quindi di se stesso. Se il diritto non è garantito, è lecito rivendicarlo, per farlo è necessario essere in tanti e protestare. Uscire da quella condizione di eterna inerzia, traguardare lo sguardo oltre i confini del proprio orticello, grande o piccolo che sia, sconfiggere l’idea che tocchi sempre agli altri risolvere i problemi: noi no perché “Non si sa mai…”. Quando la folla rumoreggia e preme anche i politici più guardinghi possono sentire su se stessi un peso morale e prendere decisioni coraggiose. Certo è che ci vorrebbero dei trascinatori, uomini di carisma. Intellettuali e studiosi dovrebbero uscire allo scoperto, uomini abili nello spiegare e convincere, capaci di spingere i cittadini ad abbandonare l’apatia, a vincere la paura di perdere i propri piccoli e presunti privilegi per rivendicare il diritto sacrosanto alla sicurezza e alla salute che è imprescindibile, prioritario rispetto a tutto anche a: “Chi si fa carico della bonifica, chi paga?”
P.S. Nel caso risultasse, invece, che a essere fuori posto è la Città, per l’eventuale delocalizzazione suggerisco il mare: lo iodio fa bene.
Aldemario Bentini

venerdì 6 giugno 2008

lunedì, maggio 26, 2008

L’ICI soppressa

La tassa più odiata dagli italiani (pari per avversione solo all’IRAP per le aziende) non si paga più. Tremonti l’ha cancellata. Viva Tremonti. Era un impegno preso in campagna elettorale e correttamente è stato mantenuto. Si pagava su un bene guadagnato spesso con affanno e sudore, con i risparmi di una vita o con un mutuo che di frequente ha pesato sul tenore della famiglia. Una tassa vissuta come vessazione e per questo detestata.
Invece, a mio parere, era una tassa equa. La sua abolizione, intanto, va contro l’appellato federalismo fiscale (con il quale la Lega ha fatto man bassa di voti) poiché indebolisce l’autonomia locale. I’ICI, il cui acronimo è Imposta Comunale (sugli) Immobili, rappresentava la maggiore entrata dei comuni: come sarà compensato questo mancato gettito? Questa tassa comunale si autocontrollava: il sindaco doveva confrontare la sua popolarità, ottenuta con i servizi resi ai cittadini, con l’impopolarità generata da un’eventuale aumento dell’imposta. Un sussidio compensativo da parte dello Stato invece, per definizione, è sempre insufficiente e, sul piano politico, se i servizi sono carenti, la colpa diventa dello Stato centrale e non della cattiva amministrazione. Mio nonno diceva: “Niente ti danno gratis” (a parte Il Piccolo Giornale). Il governo dove troverà i fondi? Noi che siamo uomini di mondo, anche se non abbiamo fatto il militare a Cuneo, riteniamo poco probabili le immediate riduzioni della spesa pubblica, o un maggior gettito dalla crescita economica o dalla lotta all’evasione; sospettiamo piuttosto imposte nazionali sostitutive di imposte come l’ICI. “A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”’, diceva il politico democristiano per eccellenza. L’equità, anche sociale, della Tassa, consisteva nel fatto che era legata alla capacità contributiva; case ricche pagano di più e il bene casa è beneficiario di gran parte della spesa locale:
strade da asfaltare, da ripulire, da illuminare da proteggere, trasporti, arredo urbano. Cose che, a fronte di un tributo, si possono anche giustamente pretendere dal signor Sindaco. L’ICI era l’onere condominiale
pagato dagli abitanti di quella grande casa chiamata città. Ho tentato di spiegare il mio ragionamento al signor Luigi. Lui e suo cognato (seppur con tanto e doveroso rispetto, s’intende) mi hanno mandato affa.….
Aldemario Bentini
venerdì 23 maggio 2008

sabato, maggio 17, 2008

Totò, Renato e i Fannulloni

Licenzieremo i fannulloni della Pubblica Amministrazione”. L’ ha detto, giorni fa, Renato Brunetta ministro della Innovazione e della Funzione Pubblica nel nuovo governo appena insediato. Pugno di ferro contro gli impiegati pubblici che non lavorano, “Chi non lavora non deve mangiare”. Perbacco!
Colpirne uno per educarne cento” ha incalzato il Ministro mutuando una frase di Mao Tse Tung resa famosa dalle Brigate Rosse.
Finalmente”, mi grida il signor Luigi, coinquilino, che sfortunatamente questa mattina non sono riuscito ad evitare (s’era ben nascosto). “Sapesse dottore la fila che mi devo sorbire quando vado in Posta a ritirare la pensione. L’impiegata? Una lumaca, quando non è al telefono con l’amica che vuol sapere il tempo di cottura del cotechino grosso con le verze”. E giù una geremiade sulle cattive ed insensibili abitudini degli impiegati statali. Sarà che sono particolarmente fortunato, trovo molto spesso disponibilità all’ufficio postale o in Comune dove, la settimana scorsa, un efficiente e attivo dipendente mi ha fiancheggiato, dovendo produrre un’autocertificazione. Anche alla Motorizzazione Civile laddove la solerte impiegata mi ha aiutato, togliendomi d’impaccio, nello sbrigare le pratiche per il motorino di mio figlio. Pure al Catasto dove ho trovato gentilezza e comprensione. Difficilmente trovo scortesia o sgarbatezza negli uffici pubblici. In contrasto, piuttosto, con la sensazione di perdere più tempo del dovuto di fronte agli sportelli della banca o, come nel febbraio scorso, all’ACI di Corso Mazzini dove, per pagare il bollo, i moccoli si sprecavano. Impiegati statali fannulloni non ne ho incontrati, sarà mica che Brunetta pensava e rimuginava riguardo i dipendenti dei ministeri romani? Beh lì non so. Forse, se così è, avranno cattivi esempi da emulare.
Mi viene in mente un film di Totò. Il Padreterno, al momento del giudizio finale, appreso che Totò alias Ettore Pappalardo, archivista-capo or giunto al suo cospetto, è stato per trent'anni dipendente statale lo spedisce, solo per questo, diritto e senza indugio in Paradiso. (Totò e i Re di Roma regia di Steno e Monicelli: imperdibile).

Aldemario Bentini
Venerdi 16 Maggio 2008

lunedì, maggio 12, 2008

I Redditi dei Cremonesi

La diffusione in rete dei redditi relativi all’anno 2005 degli italiani, ha scatenato un putiferio. Da prima la divulgazione è “in ottemperanza alla legge”, poi è “violazione della privacy”, in seguito diventa “richiesta di trasparenza”, alla fine è “un illecito”. Cresce il diverbio tra chi è fautore della trasparenza e chi pretende la riservatezza. ” Io, che dichiaro tutto, non ho niente da temere…” è la frase ricorrente, detta magari deglutendo.
Molti si sono arrabbiati, vanno capiti. In molti paesi si pagano le tasse per paura di essere scoperti e svergognati, da noi eludere il fisco è quasi motivo di vanto. Siamo fatti così, è una questione atavica, ancestrale, nel nostro DNA. Una repulsione tramandata dalla Roma Antica, quando il tributum in capita, ossia il tributo per testa, introdotto da Diocleziano, non faceva più
distinzioni tra provinciali e cittadini, questi ultimi fino a quel momento esentati. Da qui parte la ricerca dello stratagemma per eludere. I potenti
spesso ci riuscivano e anche quando scoperti non di rado la facevano franca. Ho avuto modo di vedere i dati relativi ai redditi dei cremonesi. Erano li, dalla A alla Zeta, tutti i 54.539 contribuenti del Comune di Cremona. Che faccio, non li guardo, ci dò una sbirciatina? Ma sì! Niente di inaspettato: ai primi posti notai, avvocati, imprenditori, qualche dirigente, tutto prevedibile insomma. Che delusione, però, solo due contribuenti cremonesi superano il milione di euro, quasi un torto per il blasone cittadino. 8.297 sono i dichiaranti reddito zero e tre persone hanno un reddito imponibile di euro 1 (?). Circa 218 milioni il totale pagato dai contribuenti di questa Città. Per la media di Trilussa, quella
secondo la quale se uno mangia due polli en’antro niente risulta comunque un pollo a testa, la statistica restituisce la cifra di 3.999 euro pro capite. Scopro nella lista una signora che quando l’incontro mi dice che è di ritorno da una splendida vacanza nel paese tropicale. Dichiara meno della mia amica impiegata all’Iper. Ecco, lo sapevo, non devo cadere nella trappola del facile chiacchiericcio: può essere che la nobil dama abbia risparmi da parte, o forse i viaggi sono gentilmente offerti. Ho cercato il reddito del
mio direttore che si lamenta sempre, ma non c’è, non abita a Cremona. Peccato.
Aldemario Bentini
Venerdì 09 Maggio 2008

lunedì, maggio 05, 2008

Candidati e candidanti

La sonora sconfitta di Francesco Rutelli da Tor di Quinto con di riflesso la vittoria di Giovanni Alemanno da Bari alle elezioni amministrative di Roma, città a volte Caput Mundi a volte Ladrona, poco riguardano i fatti di casa nostra. Se non fosse che osservare, da distanza, ciò che è avvenuto nella Città Capitolina può aiutare noi curiosi individui, a capire alcune dinamicheche hanno portato a risultati eclatanti e imprevedibili. La prima considerazione è che le persone contano, i candidati contano. Il candidato Rutelli non era il candidato giusto. I programmi sono importanti ma altrettanto lo sono chi li deve figurare, illustrare, impersonare. Alemanno è parso più adeguato e capace nel dare sostanza e concretezza ad un’inesorabile domanda di discontinuità, ad una supplicante richiesta di tutela sui temi della sicurezza. Rutelli è stato ritenuto, dai più, meno convincente per questo ha perso oltre ad aver scontato ed espiato, ad onor del vero, la vendetta della sinistra radicale; altrimenti non si spiega il risultato alle provinciali dove ha prevalso il centrosinistra. La scelta del candidato è importante se non determinante quanto e più del programma. Immagino il dilemma, a casa nostra, del PD: ricandidare Gian Carlo Corada, uomo serio, stimato, riconosciuto capace e di grande onestà intellettuale, con ancora il sostegno della sinistra, oppure rincorrere la percepita pretesa di rinnovamento? Non da meno il PDL alla ricerca di un candidato autorevole, di spessore, avvincente e convincente capace anche di superare la pregiudiziale, gridata dalla Lega all’indomani delle elezioni del 13 e 14 aprile, così sintetizzabile: “Basta con i soliti nomi, niente politici di professione altrimenti corriamo da soli”. Vedremo. Il figlio del signor Luigi, quello del quinto piano, viscerale
tifoso della Cremo, irrinunciabile frequentatore dello Zini e animatore della “Curva delle Bandiere Grigiorosse”, non avrebbe dubbi: “Giovanni Arvedi Sindaco”.


Aldemario Bentini
VENERDI’ 2 MAGGIO 2008

mercoledì, aprile 30, 2008

Le nostre elezioni amministrative.

Un anno, all’incirca, ci separa dalle elezioni amministrative che dovranno rinnovare la giunta municipale ed eleggere il nuovo sindaco di Cremona. Un anno è un tempo lungo o forse breve, dipende: di sicuro la campagna elettorale è già iniziata.
Il tema della sicurezza sarà l’argomento principale della prossima contesa elettorale cittadina. Giusto e sacrosanto: le istituzioni devono garantire in primis la legalità e la sicurezza dei residenti. Vivere in una città con un buon tasso di sicurezza non solo è requisito essenziale per un vivere civile ma è altresì espressione dei diritti e delle libertà individuali.
L’aver trascurato il tema della sicurezza è una delle cause della sconfitta elettorale della sinistra alle recenti elezioni politiche nazionali. Il candidato futuro sindaco di Cremona si giocherà, in parte, il risultato sulla capacità di dare risposte efficaci, alle esigenze di sostegno contro le paure dei concittadini.
La difficoltà consisterà nel dare riscontri concreti a persone impaurite dal presente e da un futuro difficile da immaginare se non con orizzonti pieni d’incognite; nell’indicare possibili soluzioni a individui che per autoprotezione hanno acquisito una concezione ed uno spirito egoistico, quasi asociale. Un’inclinazione della gente, spesso in contraddizione con l’esigenza naturale di vivere in comunità. Comunità: vivere nel Comune. La nascita dei Comuni si fondò sul patto (foedus) tra i cittadini. Il patto si reggeva sulle leggi (civica jura), sull’onore, sulla concordia e sulla pietas, nel senso di rispetto per il prossimo. Difficile, oggi, sperare di vincere le elezioni facendo leva su questi valori.
Il cittadino, individualista più per necessità che per indole, domanda soluzioni, ora, immediate e per se stesso.
Auguri signori candidati sindaco. Un consiglio, tanto banale quanto utile, mi sento di darlo, come diceva mio nonno: “ascoltare la gente”.
Aldemario Bentini

25 aprile 2008

venerdì, aprile 18, 2008

Gli iItaliani hanno scelto

Gli italiani hanno votato e con il senno di poi appare tutto chiaro, banalmente comprensibile. Si capisce la campagna elettorale berlusconiana quasi in tono minore, seppure senza la rinuncia a qualche battutaccia. Una propaganda elettorale al risparmio, e non solo d’energie fisiche. Il Cavaliere, incredibilmente quieto, era certo di vincere, forse confortato dai risultati dei suoi aruspici sondaggisti o forse perché era l’unico ad avere in mano la vera fotografia del paese. Tutti ci rendiamo conto, con il senno di poi, quanto valga il tema della sicurezza e del federalismo fiscale, prerogativa della Lega. Adesso abbiamo compreso che gli italiani sono alla ricerca di rassicurazioni più che di cambiamento. Berlusconi ha chiesto ed ha ottenuto. Ha avuto la sfacciataggine di chiedere una maggioranza di almeno venti senatori,ne ha ottenuti molti di più. Ha stravinto, senza se e senza ma. Tutti gli altri hanno perso, astensionismo in testa. Pochi avevano immaginato un simile risultato. I sondaggi davano L’Arcobaleno vicino all’8 %.! E le piazze? Veltroni ovunque andava le riempiva di entusiasmo, Cremona compresa, fino all’apoteosi di Roma: 150 mila presenze contro le sparute 40 mila di Berlusconi, e lui, come fosse allo stadio, si concedeva finanche di irridere Er Pupone. “Piazze piene, urne vuote”. E’ una sentenza di Pietro Nenni, condivisa da mio nonno. Il fatto è che esiste ancora quella che una volta era chiamata la maggioranza silenziosa e Berlusconi lo sa bene. E’ composta da chi non si manifesta, non si dichiara apertamente, vota il Cavaliere ma non lo dice, lo vota anche se non condivide del tutto le sue idee. La maggioranza degli italiani non è di destra, eppure questa volta l’Uomo di Arcore ha ricevuto democraticamente un mandato a prova di ribaltoni, di sgambetti, di spine nel fianco, e non sarà certo la Lega a procurargli fastidi, Bossi è l’alleato più fedele. Lui, Berlusconi, può persino parlare di misure impopolari, e se avrà l’ambizione di governare nell’interesse generale sarà un bene per un Paese che non ha più tempo da perdere. A meno che non sia tutto così fin troppo facile, senza contesa, soggettivamente inappagante da fargli venire voglia di Quirinale.
Aldemario Bentini

Venerdì 18 aprile 2008

mercoledì, aprile 16, 2008

Grande Fratello e Informazione

Il signor Luigi, quello del quinto piano, ieri mi dice: "Dottore, ha letto sulla Provincia…" Non leggo La Provincia. Sono otto anni che non la leggo. Niente di particolare, una questione mia, del tutto personale, una via di mezzo tra uno sfizio ed una fisima, una lotta freudiana tra ES, IO e SUPER IO. Nonostante la mancanza vivo bene lo stesso: non ho particolari turbe psichiche, la notte dormo, digerisco bene, colesterolo e trigliceridi sono a posto. Leggo Il Corriere, La Repubblica, La Cronaca, Il Piccolo; sfoglio Libero, l’Unità, Il Giornale, Il Manifesto, La Stampa (solo perché è allegata a Cronaca). Leggo Il Vascello di Leoni, dò un’occhiata a Cremona 24ore news di Galli e Pizzorni. E poi Panorama, l’Espresso, di più non ce la faccio. Mai dire mai. Può essere che tra un po’ l’IO avrà la meglio sul mio disarmonico inconscio. Tornerò, intanto, a comprare La Provincia. In seguito a sfogliarla, piano piano, poco a poco, con parsimonia, a piccole dosi. Fino a leggerla di nuovo. Sarà una Vittoria, no? Leggere è importante. La lettura non solo arricchisce, con essa ci teniamo informati, aggiornati, istruiti, qualche volta anche un po’ ammaestrati, ha funzione sociale: aiuta a ragionare con la propria testa. Leggere quotidianamente più giornali, magari di posizioni diverse, aiuta a formare una coscienza critica. Con mio figlio insisto spesso su questo. Per adesso vince la Play Station. Quando però lo sento discutere su argomenti importanti e impegnativi mi sorprende per la capacità di linguaggio e di ragionamento, una bella testolina. La sua generazione promette bene. I giovani di oggi (15 –18 anni) si interessano, si informano e finalmente si schierano, magari su posizioni estreme ma si schierano. Sempre meglio che narcotizzarsi con Amici televisivi e Grandi Fratelli inebetenti.

Aldemario Bentini
Venerdì 11 aprile 2008

martedì, aprile 08, 2008

Per chi votare ?

Ci siamo. Tra una settimana siamo chiamati al voto per il rinnovo del Parlamento Italiano. Sorvoliamo sul termine “rinnovo”. Sorvoliamo anche sulla retorica che spesso accompagna i suffragi: “grande momento di partecipazione”, “esercizio della democrazia”, “diritto dovere dei cittadini” e via così. Ognuno di noi può decidere liberamente se votare, se non votare. Possiamo anche decidere di andare al seggio e scrivere sulle schede elettorali: ”Andate a lavorare!”. E’ la minaccia che fa ogni volta il signor Luigi, del quinto piano, quello che la mattina alle sei, quando porta fuori il cane, sveglia tutto il condominio. Il signor Luigi è lo stereotipo assoluto del qualunquista, anche più della casalinga di Voghera. Per lui sono ancora tutti: “Comunisti, fascisti, democristiani… è tutto un magna, magna”, spiega con l’espressione di quello che la sa lunga. Chi sa se davvero non vota. Per chi Votare? Non sarò certo io a dare indicazioni. Non sarebbe corretto e ritengo i lettori di questo foglio persone intelligenti, con tutto quello che ne consegue. Non dirò nemmeno per chi voto! Ma posso dire per chi non voterò. Non voterò per quei partiti che nonostante una sempre più impaziente richiesta da parte dei cittadini di moralità, di trasparenza e di rettitudine, non hanno avuto il coraggio di escludere, alla faccia delle promesse, candidati impresentabili. Sanzionati e condannati, corrotti e corruttori, truffatori e truffaldini, furfanti e imbroglioni. Non è giustizialismo tracotante e vendicativo ma interessato tornaconto. In previsione di congiunture difficili, meno disonesti ci mandiamo, maggiore è la possibilità che venga fatto qualcosa per il Paese. Pertanto il 13 aprile indosserò una virtuale toga da giudice e (Dio mi perdoni) emetterò le mie personali sentenze, battendo con il martelletto del giudice tanto caro alla cinematografia americana e alla Massoneria. Io, giudice per un giorno, condanno: i totòcuffari, i baciolemani, i d’ufficioabusatori, i saltafossi unti e bisunti, i lecchini di professione il cui servilismo dovrebbe mettere a disagio persino i loro capi, le spie e i traditori e i cortigiani adulatori. Questo farò. Voi fate quello che credete. Votate per chi vi pare, ma andate a votare. Speriamo bene.

Aldemario Bentini


VENERDI’ 4 APRILE 2008

venerdì, marzo 28, 2008

Si nasce incendiari, si muore pompieri.

di Aldemario Bentini
Non ho mai preteso di comprendere fino in fondo la politica, tanto meno i politici. Oggi più che mai che son diventato diffidente e sospettoso. Forse per questo motivo sono rimasto sorpreso e perplesso sentendo, recentemente, l’ex ministro Giulio Tremonti parlare di protezionismo, di dazi, di barriere doganali e disconoscere il processo di globalizzazione. Giulio… dalla “finanza creativa” (voleva vendere le spiagge italiane) mi diventa no–global? E il mercato? Il protezionismo in economia è l’antitesi del liberismo. Come si concilia o meglio come si coniuga con l’istinto privatista e liberale di Berlusconi? Resto diffidente e sospettoso di fronte ad un sì mutamento di pensiero. Voglio subito precisare che la capacità delle persone di cambiare idea è, a mio parere, un segno d’intelligenza. Diffido di chi ha solo certezze, stimo più coloro che ogni tanto hanno dubbi. In economia come in politica si può cambiare idea, trasmigrando anche da un estremo all’altro. Qualche famoso esempio? Giuliano Ferrara sessantottino della prima ora, poi capogruppo del PCI a Torino, in seguito con Craxi, il resto è storia recente fino alla sua lista pro–life. Gad Lerner giornalista e anchorman su La7 è stato un dirigente di Lotta Continua. Renato Mannheimer, proprio quello dei sondaggi, da giovane era un contestatore rivoluzionario. Militava in “Servire il Popolo” un gruppo maoista tra i più intransigenti di quel tempo. Paolo Liguori giornalista ex direttore di “Studio Aperto” e commentatore sportivo con Gianpiero Mughini, hanno militato entrambi in Lotta Continua, Mughini è stato un fondatore de Il Manifesto, oggi è collaboratore ed editorialista di Libero. Cambiare idea può essere distinzione di intelligenza e di saggezza, quando non si tratta più semplicemente di opportunismo. Tanti anni fa, spero la memoria non m’inganni, siamo a Firenze, ad una manifestazione a favore della legge sul divorzio, 1974 o giù di lì. C’è anche l’On. Fabrizio Cicchitto l’attuale Vice coordinatore vicario di Forza Italia. In quegli anni Cicchitto è il segretario nazionale della FGSI (Federazione Giovanile Socialista), all’epoca sulle posizioni di Riccardo Lombardi, posizioni quasi più vicine all’estrema sinistra che al Partito di Nenni e De Martino. Lombardi rifiuta di partecipare ad una Tribuna Politica perché vi è partecipante anche Giorgio Almirante. A quei tempi l’antifascismo era “militante”. Chi si ricorda del conduttore? Ugo Zatterin, garbato e imperturbabile moderatore. L’On. Cicchitto, salito sul palco con un megafono, dà istruzioni a noi giovani studenti ed inesperti manifestanti su come coprirsi il volto con il fazzoletto, come usare la fetta di limone in caso di gas lacrimogeni, come evitare di farsi fotografare dalla polizia politica.
A quel punto, irresoluto, sono indeciso se prendere il treno e tornarmene a casa. Il Nostro, sceso dal palco, si mette alla testa del corteo e insieme ai militanti dei gruppi definiti extraparlamentari intona: “El pueblo unido jamás será vencido”.
Intransigente e radicale allora come intransigente e radicale adesso nel propugnare la Berlusconi dottrina. Sarà come sentii dire un giorno da mio nonno: “Si nasce incendiari, si muore pompieri”?

VENERDI’ 28 MARZO 2008

venerdì, marzo 14, 2008

Senza Ritegno

Il senatore Gustavo Selva ex di AN ora in Forza Italia è stato condannato a sei mesi di reclusione e 200 euro di multa. L’accusa: truffa pluriaggravata per interruzione di servizio pubblico, abuso della propria autorità e truffa ai danni dello Stato. Il fatto risale al giugno dello scorso anno, quando Selva fingendosi malato approfittò dell’ambulanza per farsi accompagnare ad una trasmissione televisiva, evitando il traffico cittadino congestionato per la visita di George Bush, e raggiungere in tempo gli studi televisivi. Il senatore commenta la condanna: “Mi sono salvato dalle Brigate Rosse mi salverò anche da questo”. Ma che risposta è? Chiedere scusa invece? Immaginare che l’autolettiga potesse servire a qualcuno realmente in pericolo? Quand’è che ci stuferemo di questa gente? Di questa sfrontata alterigia e arroganza? “L’onorevole” parlamentare ha poi aggiunto che non si candida alle prossime elezioni… sai che perdita! Di fronte a questa sofferta dichiarazione chi sa quanta gente, insieme a me, farà fatica a prender sonno la notte.
Non è finita. Sempre lo stesso giorno il fotografo Fabrizio Corona è stato condannato ad un anno e sei mesi per spaccio di banconote false. Il Corona, esempio di discrezione e discernimento, era stato arrestato dopo la denuncia di un benzinaio e di un ristoratore pagati con soldi fasulli. Stizzito e con aria da angariata vittima dichiara: “La verità assoluta la so solo io, ma non ve la posso dire. La devo custodire qua dentro” dice toccandosi il petto, e aggiunge: ” …da questo paese bisogna andarsene. Questo non è più un paese libero...”
La buonanima di mio nonno, nato a Daverio in Valbossa, morto a 93 anni, uomo dignitosamente saggio, fiero di aver lavorato una vita affannandosi come un mulo, lo avrebbe mandato a dar via …
Absit iniuria verbo.
Aldemario Bentini

VENERDI’ 14 MARZO 2008

venerdì, marzo 07, 2008

Chiedo scusa

Questa settimana avrei voluto scrivere di una legge elettorale che alle prossime elezioni, c’impedirà di scegliere le persone; una legge elettorale che puzza di marcio e d’incostituzionalità. Tanto è che un senatore uscente rifiuta di candidarsi al 23° posto nella lista sapendo di non aver alcuna possibilità di rielezione, indipendentemente dal seguito personale. In alternativa avevo pensato di raccontare di Milena Gabbanelli. Giornalista tra i pochi non asserviti al potere. Con la sua trasmissione Report ha dato il via all’inchiesta della Procura di Roma sulla vendita (12 miliardi di euro) della compagnia telefonica Wind e su una conseguente intermediazione che è apparsa da subito poco trasparente. Notizia che mi ha rincuorato e in parte liberato da quel senso di frustrazione, d’impotenza e rabbia che provo, quando guardo Report. Ma, oggi, proprio non riesco a non pensare, man mano che giungono nuovi particolari, alla terribile vicenda dei fratellini di Gravina di Puglia. Una morte orribile per la quale, confesso, ho pianto.
In un periodo di “scandali clamorosi non di rado perversi” mi chiedo se questo di Gravina non sia anch’esso uno scandalo. Clamoroso il fatto che inquirenti e investigatori, parenti e conoscenti abbiano ignorato un pozzo non protetto, situato in un casermone dove i bambini erano soliti giocare. Cresce in me il sospetto che tutti noi abbiamo concretizzato da subito la convinzione che la responsabilità andasse cercata all’interno della famiglia. Nella vendetta della madre abbandonata o nell’irrazionalità di un padre padrone. Una famiglia dipinta, anche dalla stampa, capace di nefandezze tali da arrivare ad uccidere i figli per punizione. Queste accuse vanno perdendo consistenza anche se il padre per ora rimane in galera. Resta una famiglia come tante altre, con tanti problemi, con un genitore criticabile quanto vogliamo, ma che con la fatica del lavoro tenta un’esistenza dignitosa. Ha sempre dichiarato la sua innocenza e urlato, inascoltato, dove cercare Ciccio e Tore. La vostra tragedia è finita, spero finisca presto anche quella del vostro papà. E mi auguro che finalmente qualcuno v’insegni a giocare nel vento con gli aquiloni.
Aldemario Bentini


VENERDI’ 7 MARZO 2008

venerdì, febbraio 29, 2008

Siamo salvi.

Lo dico a chi ha avuto la bontà di leggere la settimana scorsa il pezzo sulla raffineria Tamoil e l’inquinamento, articolo premonitore alla luce delle ultime notizie. Mi spiego. Qualche giorno fa ho letto sul Corriere della Sera un articolo a firma Gabriele De Palma titolato “Come produrre benzina dall’aria sporca”.
L’articolo riporta l’ipotesi di alcuni studiosi americani che teorizzano la possibilità di ricavare carburante dall’inquinamento provocato dall’anidride carbonica. Con un procedimento elettrochimico la CO2 emessa nell'atmosfera verrebbe ritrasformata in benzina. Siamo salvi, due piccioni con una fava: si pulisce l'aria e si produce benzina. La raffineria non rappresenterà più un problema per l’aria e la salute. Incuriosito ci tento: provo a contattare Los Alamos National Laboratory. Niente da fare, oltre ai problemi legati alla lingua, dopo aver parlato con un paio di persone, mi dicono che i responsabili non ci sono e categoricamente non rilasciano dichiarazioni,
occorre una richiesta formale scritta, fissare un appuntamento ed eventualmente inviare prima le domande. Tento con un trucco: dico che sono di Modena, “precisamente di Maranello la città della Ferrari”. “Wow, Ferrari wonderful”. Ecco che ottengo un po’ d’attenzione… M’invento le ultime novità sulla macchina, sui piloti, compreso Schumacher. La Ferrari funziona sempre, è un ottimo passepartout. Ho provato qualche volta con: “Sono di Cremona, la Città della Musica, violin makers, Stradivari…”. Purtroppo non si ottengono gli stessi risultati. Il mio interlocutore, parla maledettamente veloce, spesso lo interrompo: “slowly, slowly please”, mi dice che il progetto esiste, che non è l’unico al quale lavorano, riguardo alla ricerca sulle energie alternative pulite, e che teoricamente è fattibile. Aggiunge che sempre teoricamente, oggi, un motore potrebbe andare anche ad acqua. Anzi l’acqua è l’elemento ideale in quanto contiene di per se il combustibile l’idrogeno, e il comburente: l’ossigeno. Arrivo alla domanda che più m’interessa, ossia secondo lui quanto tempo occorre per avere un combustibile pulito e a basso costo? “Quaranta, cinquanta anni” dice, ma per il basso costo non garantisce. “Mi saluti Shumy”. “Non mancherò”. Cinquant’anni. Ne avrò 110, finalmente potrò respirare un po’ d’aria pulita, mi comprerò una Ferrari, scorrazzerò per la Città senza paura di inquinare e senza spendere una fortuna in benzina (forse). Nel frattempo la Raffineria si sarà convertita. Produrrà una ricercata e prestigiosa acqua di colonia “L’Eau de desert parfum”

VENERDI’ 29 FEBBRAIO 2008

venerdì, febbraio 22, 2008

Quanto costa e quanto vale la salute?

Quando quest’estate mi capitava di transitare per Via Riglio, guardando verso le Canottieri, spesso mi sono chiesto rivolto verso i frequentatori grandi e piccini: «Chi sa cosa respirano?».
Quell’Amministrazione che un giorno dovesse risolvere il problema della raffineria Tamoil e dell’inquinamento che essa genera, passerebbe alla storia di Cremona e avrebbe la riconoscenza eterna dei cittadini. Al sindaco, benemerito, verrebbe eretta un’enorme statua in Piazzale Caduti del Lavoro: “All’illustre e insigne primo cittadino la gratitudine eterna del popolo. Le preghiere dei piccoli e le benedizioni dei grandi ne tramandano la memoria
Gravoso problema quello della Raffineria, di difficile soluzione. Delocalizzarla lontano dalla Città? Immaginiamo problemi enormi, costi altissimi. Un’utopia. Tanti anni fa, ad un corso di management, mi hanno insegnato che la 70.a idea è sempre la migliore. Intendevano dire: «Non fermatemi di fronte alle prime difficoltà, anche se sembrano insormontabili. Affrontate il problema da tutti i punti di vista, provate ad immaginare una due, dieci, cinquanta, settanta soluzioni diverse…». Costi altissimi certamente, ma quanto vale la salute? C’è in più il problema dei dipendenti dello stabilimento che potrebbero rimanere senza lavoro. A me piacciono le utopie. Penso che se si avesse il coraggio di dire come stanno esattamente le cose, quali sono i rischi per la salute, i cittadini capirebbero. La Città tutta risponderebbe, imprenditori compresi. Forse si troverebbero soluzioni anche per i lavoratori. Qualcuno dirà: «Risolto il problema della raffineria rimane comunque l’inquinamento del traffico, l’inceneritore…».
Ma sì, tanto prima o poi bisogna morire tutti. Io preferirei poi!
VENERDI’ 22 FEBBRAIO 2008