sabato, dicembre 20, 2014

Altro che lotta ai privilegi L’unico taglio è sul lavoro

Era tutto prevedibile, tutto scritto. La riforma “epocale” delle Province, il cui padre, Graziano Delrio, se ne sta prudentemente in silenzio, in questi giorni, si dimostra pasticciata e irrealizzabile. Le funzioni non assegnate dalla legge medesima, ma esercitate ad oggi dalle Province, dovevano essere ripartite, con personale e risorse al seguito, tra Stato, Regioni, Comuni, e tutto questo entro il 31 dicembre. Non del 2050, ma del 2014. Delrio, Madia eccetera giurarono che così sarebbe stato. Figuriamoci: la legge di stabilità taglia pesantemente i bilanci di Comuni e Regioni e Province stesse e, con emendamento apposito, pare intenda tagliare del 50% la spesa del personale delle Province e del 30% quella delle Città metropolitane. Cioè: Regioni e Comuni non prendono le funzioni che non sono più proprie delle Province, che quindi rimangono in capo a queste ultime, le quali, però, dovranno ridurre il personale del 50% o del 30%. E questo personale “residuale”, dove andrà? Le risposte sono fumose: tribunali? A copertura dei pensionamenti statali? Non si sa bene. Bella roba: i risparmi effettuati non su privilegi, prebende e clientelismi, non combattendo veramente corruzione e evasione, non colpendo a fondo i tanti “casi Roma”, ma su servizi e lavoratori. Bravi, sette più. Altre 56.000 persone a rischio di non essere collocate e, quindi, di licenziamento, dopo due anni di messa in disponibilità. Ma che bell'impulso alla ripresa del Paese. Strade con le buche, frane non rimosse, scuole superiori senza manutenzione: ditte che, quindi, non riceveranno lavoro. Era chiaro a molti di noi che l'eliminazione dell'elettività a suffragio universale del Consiglio provinciale e del presidente - che comportavano spese risibili - fosse solo il preludio all'unico, vero risparmio, sciaguratamente individuato: un taglio immane delle spese sul personale e sui servizi. Bravi, davvero bravi a fare le riforme così. Riforme epocali... E questi vorrebbero riformare pure la Costituzione! Ma fateci il piacere! 
Agostino Poli

sabato, dicembre 13, 2014

Sono stufo di questo sottobosco aggrovigliato e puzzolente

Siamo in una situazione per cui i sindaci non possono che aumentare tasse e tariffe: tanto è forte l'impatto dei tagli previsti dalla legge finanziaria per il 2015, che ora, forse suona meglio, si chiama legge di stabilità. Le Regioni tagliano sulla sanità, la nostra sanità pubblica che, nonostante sprechi e disservizi, è ancora un nostro vanto nel mondo. Non si parli delle Province: dovevano essere traghettate verso una dimensione più snella e gestire servizi essenziali (manutenzione strade, edilizia scolastica): ebbene, la maggior parte non sa come pagare il personale e si parla, ormai apertamente, di licenziamenti. Si è fatto il Jobs act, insomma la riforma del lavoro, e, a parte l'articolo 18, qualcuno ha fatto due conti e dice che sarà molto più conveniente licenziare che stabilizzare. Uno storico ha scritto un libro, dal titolo: "La lotta di classe esiste e l'hanno vinta i ricchi". Non penso che ci vogliano master esclusivi per capire che questo è vero. I ricchi, che la sanità se la pagano, che non hanno bisogno di asili nido, né di sussidi per l'affitto o la spesa, sono relativamente tranquilli. Noi stiamo nel Paese - pare - più corrotto dell'Occidente. Lo scandalo- Roma non cessa di rovesciare fango. Per anni ci hanno detto che parlare di giustizia sociale e di antifascismo era roba vecchia. I risultati si vedono. Renzi ormai arranca, è innegabile. Lui, di appartenenza democristiana, ma cantore della velocità, non ha fatto i conti con una realtà troppo complessa per essere gestita con superficialità e colpi di scena. E sì che l'essere democristiano avrebbe dovuto insegnarglielo. Gli ex DC hanno scippato il Pd sotto il naso agli ex comunisti. Che maestri! Senza prese del palazzo d'inverno, senza turbo, senza proclami. Lo hanno fatto e basta. Sono più furbi, più scaltri, lo sono da sempre.E il semestre europeo? Cosa porta a casa, quell'atteggiamento un po' bullesco e quell'inglese improbabile? Poco o niente, a parte l'incarico a Mogherini. O si mette mano davvero al sottobosco aggrovigliato e puzzolente in cui stanno insieme una certa classe politica, corrotti e corruttori a loro volta corrotti, mafia e criminalità, o non andremo da nessuna parte. È per questo che non si investe in Italia, e non basta certo un nome inglese ad una legge per dare risposte serie. Le patatine fritte si digeriscono male, anche se si chiamano chips.

sabato, dicembre 06, 2014

Il verminaio

Ci ho un po’ pensato: è un titolo troppo forte? Penso, però, di no. E’ evidente che mi riferisco a quanto è emerso del nodo affari-corruzionecriminalità a Roma. Una storia nauseante, di collusioni, di complicità, di malcostume. L’ennesima? Certo. Ma in tutte le storie vergognose c’è un punto che colpisce in modo particolare. Io penso a quella foto, quella in cui c’è anche un attuale ministro della Repubblica: sono tutti a una tavola imbandita. Politici, affaristi, pregiudicati. E penso a chi, quella tavola oggi se la sogna. Penso alle parole roboanti che certi politici pronunciano, sulla crisi, sulla necessità di fare sacrifici, sull’Europa che si aspetta questo e quello, sul fatto che siamo stati troppo spreconi .. certo, è stato detto anche questo, mi pare durante il governo Monti. Penso che non sia mai stato un caso l’attacco alla magistratura, attacco che perdura da alcuni anni; una magistratura che si immischiava troppo, secondo alcuni, in “cosa loro”, e per questo da limitare attraverso la “riforma della giustizia” E penso che, pur essendo senz’altro un “marziano” in questo sistema, Marino dovrebbe dimettersi, anche solo per dare un segnale. Penso, anche, che nessuno può chiamarsi completamente fuori: la nostra colpa è, ed è stata, quella nell’aver dato fiducia a questa gente, e lo dico in senso assolutamente bipartisan, come dimostrano fatti e appartenenze. Renzi, premier, ma anche segretario del Pd, fa commissariare il suo partito nella Capitale. Altro che commissario del Pd, qui ci vorrebbe il commissario Montalbano…

sabato, novembre 29, 2014

DITECI LA VERITA’

Vorrei scrivere un articolo intitolato: diteci la verità. Indirizzato a tutti. La verità è merce rara: forse lo è sempre stata, ma ora pare davvero la pietra filosofale. Così come la pietra cercata per secoli da alchimisti e scienziati, la verità potrebbe tramutare in oro tanta parte melmosa e scura dei tempi che viviamo. L’assenza di verità porta a smarrimento e incertezza. Che senso ha, si chiede il cittadino mediamente informato, che il governo parli dell’avvenuta creazione di decine di migliaia di posti di lavoro, quando l’Istat - non Landini – oggi, comunica cifre completamente contrarie? E come interpretare il fatto che i 5 Stelle abbiano fatto della trasparenza e della verità il loro cavallo di battaglia, quando la loro base si sta rivoltando contro Grillo e Casaleggio anche per l’assenza di limpidezza nel loro agire? E che dire dei movimenti ondivaghi che da sempre caratterizzano l’agire e le parole di Berlusconi, tanto che anche le persone di più provata fede di centrodestra faticano a capire e sono amaramente disillusi? Il populismo va a braccetto con la reticenza. Urlare slogan, per nascondere i fatti. Parlare alla pancia della gente, salvo fare marce indietro precipitose. Porsi come salvatori della patria, salvo passare il cerino in mano ad altri. Parlare di trasparenza, salvo sottrarsi al confronto e magari anche al conflitto. Blindare l’informazione (ahi, sindaco Galimberti). E’ inutile parlare di casa di vetro, se le pareti sono foderate di ovatta.

sabato, novembre 22, 2014

Temo l’arroganza e la paura altrui

Non so quanto possano giovare a Matteo Renzi gli attacchi furibondi, ormai quotidiani, rivolti al sindacato in generale e alla Cgil in particolare. Certo, è ormai palese che il consenso vero che egli cerca non sta in un elettorato legato, per cultura e storia, alle ragioni del lavoro di cui la Cgil è bandiera. Ma nel Pd il malessere cresce, e non tanto nei Civati, Mineo eccetera, quanto nella gente che, per dirla con Lucio Dalla, lo vive ancora come un partito ottimista e di sinistra. Renzi se la prende con lo sciopero generale del 12, ed è comprensibile. Meno comprensibile è dire che Camusso e Salvini siano le due facce della stessa medaglia. È vero, magari diversi iscritti Cgil votano o hanno votato Lega, magari condividono l’obiettivo di combattere la legge Fornero, ma questo paragone fa sicuramente torto ad entrambi e neppure rispetta le reciproche storie. Si sa che l’aggressività viaggia spesso con una scomoda compagna, la paura. Si sa che la situazione è da far paura: il Pil precipita e mette a rischio pure le pensioni, su cui tanti "attivi forzatamente inattivi" contano per campare, come diciamo anche in questo numero; la riforma del lavoro non avrà effetti salvifici, la finanza internazionale continuerà a speculare sui nostri malanni e via così. Temo le reazioni isteriche e non ponderate, temo gli attacchi a testa bassa nei confronti di chi obietta e critica, temo la paura altrui, temo, soprattutto, l’incapacità di affrontare l’emergenza senza perdere la testa, con slogan e minacce, contrapponendo invece che cercando la collaborazione, temo il piglio da uomo solo al comando che non può, non può stare al timone e cazzare la velatura. Temo chi non ha l’umiltà intelligente di trarre insegnamenti dal passato. Temo la mancanza di cultura, l’incapacità di rifarsi a quanto la storia ci insegna. In una parola, temo l’arroganza.
Daniele Tamburini

Tutti i danni della speculazione finanziaria

La crisi economica non si attenua, anzi nonostante le rassicurazioni del governo e l'invito ad essere ottimisti lanciato dal premier Renzi dall'Australia, le cose sembrano peggiorare. Disoccupazione crescente, aziende in difficoltà, tassazione alle stelle, sfiducia. Niente sembra far presagire una inversionedi tendenza.
Il governatore della Bce, Mario Draghi, ha detto che le stime di crescita dell'area euro sono state riviste al ribasso, che le previsioni per il 2015 e 2016 sono per una ripresa modesta ed insiste sul bisogno urgente di riforme strutturali, esortando sostanzialmente i governi a continuare nella politica di austerità. In un quadro
drammatico, ci hanno colpito le affermazioni dell'economista Nino Galloni, secondo il quale ci può essere una via alternativa all'attuale politica di austerità. Antonino Galloni è stato direttore generale al ministero del Lavoro e funzionario presso il ministero del Bilancio. Nel suo ultimo libro, “Il futuro della Banca", delinea una teoria bancaria e finanziaria rivoluzionaria, che se attuata potrebbe ridurre la pressione fiscale del 50%.
Professor Galloni vuole spiegare ai nostri lettori in che modo, secondo lei, si potrebbe ridurre la pressione fiscale e rilanciare la nostra economia?
Oggi siamo incastrati in una situazione drammatica: si tagliano le spese per ridurre le tasse, ma si dimentica che l’effetto di una riduzione della spesa pubblica sul pil è più che proporzionale sicchè il pil stesso si riduce e, per mantenere, i parametri europei occorre rimandare la riduzione delle tasse. Tuttavia se, a parità di tasse, il pil si riduce è chiaro che aumenta la pressione fiscale. Oggi, per la prima volta alle banche conviene riconoscere come funzionano veramente (anche la Banca d’Inghilterra ha pubblicato uno studio in questo
senso): creano moneta dal nulla indebitando imprenditori, depositi e conti correnti servono solo a gestire le richieste di liquidità dei clienti, quindi realizzano un immane margine operativo dato dalla differenza tra le rate dei prestiti e dei mutui meno i loro costi di funzionamento. Anche depositi e conticorrenti andrebbero tolti
dal passivo…è come se il gestore di un garage per occultare i guadagni mettesse le automobili parcheggiate al passivo! 
Gli ultimi governi sembrano avere un potere limitato o comunque subire in certa misura i cosiddetti poteri forti, economici e finanziari. Secondo lei è possibile intervenire sul sistema bancario, magari attraverso una legge dello Stato?
Allora, il punto di partenza è il ripristino della netta separazione tra banche di credito e banche speculative: se no, non si può far nulla neanche per liberare i governi dalla nefasta influenza della finanza. Oggi le banche avrebbero interesse ad allontanare debiti finanziari e crediti inesigibili che le porterebbero a perdere esse stesse autonomia nei confronti delle banche centrali e ad essere assorbite dalle concentrazioni finanziarie considerate troppo grandi per fallire.
Oggi l'Europa sembra accelerare il percorso verso l’Unione Bancaria Europea (Ube): che ne pensa?
L’Unione Bancaria Europea costituisce il punto di arrivo di tutta la strategia finanziaria iniziata decenni fa con la perdita di sovranità monetaria degli Stati: servirà a mettere le banche sotto la grande finanza che si arricchisce peggiorando la condizione dei debitori perché si basa sull’aumento della quantità delle emissioni,
non più sulla redditività dei singoli titoli finanziari.
A seguito della sua teoria, l'Italia dovrebbe, quindi, uscire dall'Euro...
Dall’euro non si esce con le chiacchiere, le utopie o i referendum, ma grazie ad un percorso di ripristino della sovranità monetaria degli Stati che, se stanno nell’euro devono ricominciare ad emettere moneta fiduciaria (buoni acquisto, certificati di credito, voucher, ciò non è impedito dai trattati europei) da far circolare presso i privati e poi recuperare con le tasse: la crescita del pil ed il riassorbimento della disoccupazione porteranno al miglioramento dei conti pubblici; contemporaneamente occorre liberare le aziende di credito dalle storture della finanza che serve solo ad accumulare debiti.
Mario Draghi, in questi giorni, ha ribadito che la scelta dell'euro è irreversibile, ma che la Bce non può obbligare nessuno a restarci. Secondo lei che significa? quali scenari prevede nel prossimo futuro?
Mario Draghi è uomo della grande finanza internazionale, ma si trova anche a fare il capo della BCE. Il progetto è quello di controllare la liquidità e ciò implica che gli Stati non possano emettere nessun tipo di moneta e la stessa funzione creditizia sia secondaria rispetto all’azione ben più pesante (ma lontana dall’economia reale) della finanza. Quindi, con questi due passaggi (gli Stati che ricominciano ad emettere moneta nuova, ancorchè fiduciaria, e le banche di credito che si liberano della speculazione)
se ne potrà uscire.

Nasce Artventuno.it, il nuovo quotidiano online

Mercoledì 26 novembre nasce un nuovo quotidiano online: lo troverete in rete all'indirizzo www.artventuno.it. Diciamolo subito: iniziamo una avventura coraggiosa, in tempo di crisi; ne siamo consapevoli. Iniziamo un percorso che ci auguriamo possa essere lungo, affrontando le difficoltà che certamente ci saranno, ma ricco di incontri e di esperienze positive. Vogliamo raccontare la società, nei fatti, nei progetti, nelle conquiste, nelle speranze ma anche nei conflitti, nelle ingiustizie e nelle prevaricazioni. Il nostro è un progetto indipendente: non abbiamo finanziatori né alcun contributo pubblico o privato. La situazione dell'informazione, a Cremona, la conosciamo bene: ne facciamo parte, ne conosciamo le dinamiche, i limiti, i condizionamenti, anche molto forti. La situazione economica e il forte calo della pubblicità inevitabilmente condizionano la nascita e lo sviluppo di una informazione autonoma, libera da condizionamenti politici e istituzionali. Noi abbiamo deciso di provarci, siamo determinati e pieni di entusiasmo, consapevoli che non sarà facile anche perché, appunto, l'unico sostentamento verrà dalle inserzioni pubblicitarie. Art. Ventuno, anche se nella fase di start up nasce come supplemento de "Il Piccolo", è di fatto una testata autonoma e se le cose andranno nel verso giusto lo diventerà anche formalmente, nel giro di pochi mesi. L'indipendenza è il presupposto fondante. Vogliamo dare voce anche a chi non ce l'ha: il nostro giornale vuole essere un luogo di confronto politico e sociale dove lo scambio sia privilegiato e calato nella realtà, lontano dai luoghi comuni e dall'omologazione: racconteremo la società che viviamo così come è. Polemizzeremo, criticheremo, ma con consapevolezza e senso di responsabilità. La nostra sarà un'informazione utile, in grado di recuperare vuoti e silenzi: vogliamo intercettare e dare spazio a chi quotidianamente vive la nostra città. Ecco che cos' è l'omologazione: piegarsi alle opinioni correnti, tenere sotto traccia i nodi di crisi, le contraddizioni, accettare che la realtà possa essere raffigurata in modo piatto e non nelle mille sfaccettature che la contraddistinguono. Partiamo fiduciosi perché abbiamo delle professionalità importanti per capacità ed esperienza: Federico Centenari, per tanti anni giornalista al quotidiano "La Cronaca", poi a “Cremona Oggi” e a “Mondo Padano”, è il responsabile della redazione. Lo conosciamo bene, ha collaborato anche a "Il Piccolo". Sarà affiancato da Mattia Guazzi, anche lui a "La Cronaca" e a "Mondo Padano". Fondamentale sarà l'apporto di validi collaboratori: tra questi Fabio Varesi e Alberto Guarneri. Inoltre autori qualificati ci aiuteranno ad affrontare temi importanti, attraverso rubriche settimanali. Siamo più che consapevoli delle difficoltà che incontreremo: per questo abbiamo posto particolare attenzione al piano dei costi, ma già dal primo anno dovremmo riuscire ad andare a break even. Seguiteci e sosteneteci. E, perché no, dateci un “in bocca al lupo”! 
Daniele Tamburini
redazione@artventuno.it

sabato, novembre 08, 2014

Libera, effetto a catena

L'effetto Gattopardo o rivoluzione soft? In casa Libera sembra prevalere la seconda ipotesi. La resa dei conti dopo che la fronda è stata sconfitta, pur facendo vittime illustri, porterà a cambiare molti nomi. Come già annunciato la scorsa settimana, il prossimo a cadere sarà il Direttore Guido Vezzoni, già sfiduciato. Intanto in settimana sono stati nominati i tre vicepresidenti, e i 4 rappresentanti di zona. I tre vice del nuovo presidente Pierluigi Filippini sono Lauro Valcarenghi (per i proprietari), Francesca Reverberi (per gli affittuari) e Sebastiano Bongiovanni (per i coltivatori diretti). Responsabili di zona Paolo Salomoni (Cremona), Alain Pelizzari (Crema), Ganfranco Visioli (Casalmaggiore) e Francesco Avogadri (Soresina). Il comitato di presidenza è stato poi completato con i tre scelti espressamente da Filippini: Giuseppe Tommaso Lanzoni, Ernesto Folli e Roberto Bellini. Di tutti questi, l’unico esponente dell’area che si è opposta a Piva è Salomoni. Quasi tutti rappresentano una novità, ma torniamo al punto di partenza: la lotta di potere in seno alla più potente associazione cremonese produrrà effetti concreti a cascata? In attesa di verificare le conseguenze nelle varie associazioni controllate, importanti novità sembra che interesseranno il settore dell’editoria. Si diceva che la direzione del giornale La Provincia (come noto edito da SEC, cioé dalla Libera) sembrava non dovesse cambiare. Nelle ultime ore pare invece che la poltrona di Vittoriano Zanolli non sia più così salda, ma anzi sembrerebbe scricchiolare pericolosamente. Lo dimostrerebbe un incontro che c’è stato giovedì in Piazza del Comune, alla sede della Libera, che lascerebbe intendere un cambio di direzione che avrebbe del clamoroso. Un cambiamento che, forse, al Principe di Salina strapperebbe solo un cinico sorriso.
Vanni Raineri

sabato, novembre 01, 2014

Non siamo in uno stadio

L'azione di governo, da quello locale a quello nazionale, non è un campionato di calcio, nel quale la parola d’ordine è: primum vincere. Anche perché chi vince lo scudetto gode di grande prestigio e i giocatori ne ricevono indubbi vantaggi (ingaggi migliori etc..), ma i tifosi, quando è tutto finito e lo scudetto è sulle maglie, stanno pari pari come il giorno precedente. L’azione di governo, invece, dovrebbe produrre cambiamenti reali, migliorare le cose, indurre a speranza: o no? Dispiace dire sempre le stesse cose, ma, in Italia, le fabbriche che ancora esistono stanno chiudendo o sono in procinto di farlo (ahi, il nostro vanto, il manifatturiero!), i negozi arrancano e chiudono anch’essi, le strutture di accoglienza turistica pure, non c’è un ragazzo o una ragazza, tra quelli che conosco, che dica seriamente: questo è il mio Paese, qui voglio restare. Anzi, se ci fosse, anche tra chi ci legge, ce lo dica, ce lo scriva, che ne avremo tanto bisogno. A poco servono gli slogan e le battute di spirito, le slides, gli effetti speciali e gli annunci. Non abbiamo bisogno solo di un partito che governi, comunque sia, ma di qualcuno che spieghi con certezza gli obiettivi che quel governo intende perseguire. Non ci interessano gli attacchi verso “il resto del mondo”, dal sindacato agli intellettuali gufi e rosiconi ai nonni attaccati ai loro privilegi (la pensione, spesso minima?) a chi ha il posto fisso e lo vorrebbe mantenere. Non ci interessa questo, non siamo sugli spalti di uno stadio. Vedo gente sempre più disperata in giro. Non starò a parlare, anche se ne avrei voglia, delle manganellate sulla testa a chi va in piazza a difendere il proprio lavoro. Non faccio un discorso novecentesco, ma un ragionamento molto terra terra: senza lavoro non si guadagna, senza denaro non si compra, non si consuma, l'economia non riparte, domanda e offerta si avvitano verso il basso. Non è difficile da capire. Questo non è calcio, non è poker. Qui, a suon di mazzate, rischiamo di restare a terra. E non importa se lo restiamo in una piazza o davanti alla ex stazione Leopolda.
Daniele Tamburini

sabato, ottobre 18, 2014

Il Tfr in busta paga

Il Tfr in busta paga a me sembra una di quelle “pillole miracolose” utili solo per il profitto di chi le propone. Partiamo dall’Abi (l’Associazione Bancaria Italiana) che si è resa subito disponibile alla possibilità che le banche finanzino le imprese per smobilizzare il Tfr, purché ci sia la garanzia statale. E ti pareva! Poco importa che l’eventuale garanzia statale possa far aumentare il debito pubblico. La cosa dovrebbe funzionare in questo modo: le imprese che dovranno erogare il Tfr ai lavoratori, che ne faranno richiesta, si rivolgono alla banca la quale, una volta ottenuta la garanzia statale, eroga i soldi per smobilizzare il Tfr che va nella busta paga del dipendente. In busta paga, però non arriva nella sua interezza, perché il Tfr, al quel punto, per lo Stato costituisce materia imponibile da tassare. In altre parole, lo Stato tassa oggi ciò che avrebbe dovuto tassare domani, oltretutto con una aliquota superiore (di sicuro per i redditi superiori a 15mila euro annui). Fantastico! Nel frattempo, sono pronto a scommettere che le banche troveranno il modo di cartolarizzare i crediti concessi per smobilizzare il Tfr e che, forti della garanzia statale, andranno dalla Bce proponendoli a garanzia di nuovi prestiti: migliorando così anche i coefficienti di erogazione del credito alle imprese, che è condizione essenziale per non dover rimborsare in anticipo i prestiti ricevuti nel mese di settembre, cioè i 27 miliardi destinati al credito alle aziende, ma con i quali, di fatto, comprano titoli dello Stato. E coloro che avranno richiesto l’anticipo, perché di anticipo si tratta (sono soldi loro!) cosa ci faranno? Soprattutto le famiglie in difficoltà probabilmente lo utilizzeranno per pagare le utenze scadute, o le rate del mutuo sospese, o magari il debito con Equitalia, così lo Stato recupera. Con buona pace del rilancio dei consumi. Semplicemente geniale!

Daniele Tanburini

«Che la Banca d’Italia torni a battere moneta»

Alberto Bagnai, docente di politica economica: «Uscire dall’euro? Sì. Ciò permetterebbe di rilanciare l’economia, riportando la disoccupazione sotto al 7% in 5 anni»
«L’intransigenza tedesca è quella dell’usuraio che strozza il debitore. Alla fine perdono tutti. L’attuale sofferenza dell’economia tedesca ne è una prova»
L’Unione Europea? Non è l’Europa: è un mostro di burocrazia, un bancarottiere

seriale che ha portato fallimento ovunque abbia imposto le sue regole»
di Daniele Tamburini
Durante la manifestazione del Movimento Cinque Stelle al Circo Massimo di Roma, nello scorso week-end, il leader del movimento, Beppe Grillo, ha rilanciato il tema tanto discusso dell’Euro e, in particolare, l’uscita dell’Italia dalla moneta unica. «Faremo un referendum sull’euro. Raccoglieremo un milione di firme», ha annunciato Grillo. C’è una indubbia questione di fattibilità di un referendum, su questa materia: la strada sembra difficilmente percorribile, per due motivi: il primo è che non è ammissibile un referendum popolare sui trattati internazionali, così sancisce la Costituzione Italiana; il secondo è che, molto probabilmente, i mercati, già durante il periodo di raccolta delle firme, metterebbero sotto pressione l'Italia. Al di la di questo, quella di Grillo è una chiara scelta politica, che alimenta il dibattito: Euro si, Euro no. Ne parliamo con il professor Alberto Bagnai, docente di Politica economica all’Università “Gabriele d’Annunzio” di Pescara e collaboratore del Centro di ricerca in economia applicata alla globalizzazione dell’Università di Rouen. Professor Bagnai, il dibattito politico si riaccende, dopo l’annuncio di Grillo, sulla questione dell’Euro. Alcuni schieramenti politici fanno dell’uscita dell’Italia dall’Euro la loro bandiera, facendo leva sul malcontento creato dalla crisi economica e anche sulla distanza che separa le istituzioni europee dai cittadini. Si è infranto il “sogno europeo”. Perché questa “Europa” è sempre più malvista dagli italiani? 
«Perché le attribuiscono, a ragione, la causa della recessione più grave nella storia dell'Italia unita, dopo quella causata dalla Seconda guerra mondiale. Di tutte le macroregioni dell'economia mondiale, l'Eurozona è la sola a non aver recuperato terreno dopo la crisi Lehman del 2008. Le ultime previsioni del Fmi prevedono che il Pil europeo tornerà ai livelli del 2008 nel 2016. Nel frattempo quello mondiale sarà cresciuto del 38%, sempre rispetto al 2008. È la conseguenza dell'aver adottato un sistema di regole monetarie e fiscali troppo rigide, inadatte a cogliere le sfide della globalizzazione». 
La domanda che molti si fanno: l’Italia, ma soprattutto gli italiani trarrebbero vantaggio dall’uscita dalla moneta unica? 
«Sì. Posso anticipare che secondo le valutazioni del centro studi Asimmetrie, che verranno esposte l'8 novembre prossimo nel quadro della conferenza "L'Italia può farcela?", alla presenza di economisti e politici quali Bertinotti, Boldrin, Cuperlo, Meloni, Salvini, un riallineamento del cambio dell'entità che si ritiene plausibile per l'Italia (circa il 20% rispetto ai paesi del Nord Europa, circa il 10% rispetto al dollaro) permetterebbe di rilanciare l'economia, riportando la disoccupazione sotto al 7% in cinque anni. L'inflazione arriverebbe a un massimo del 4% nel secondo anno, poi tornerebbe rapidamente verso il 2% previsto dalle regole europee, che oggi non vengono rispettate condannandoci alla deflazione. La maggiore crescita avrebbe un impatto positivo sui conti pubblici, riportando il bilancio in pareggio dopo due anni e il debito sotto al 120% del Pil in 5 anni. L'incognita qui non è economica. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha certificato che i paesi in regime di cambio flessibile crescono di più e reagiscono meglio a crisi globali. Il problema è di ordine politico: riusciranno i politici a garantire una gestione ordinata dello smantellamento dell'Eurozona? In un secolo si son dissolte circa cento unioni monetarie, gli aspetti tecnici sono noti, la difficoltà consiste nel regolamento dei rapporti di debito e credito fra i paesi membri. L'intransigenza tedesca è quella dell'usuraio che strozza il debitore. Alla fine perdono tutti. L'attuale sofferenza dell'economia tedesca ne è una prova. Bisogna sperare che convinca il governo tedesco a un atteggiamento cooperativo». 
Quali conseguenze subirebbero coloro che hanno contratto un mutuo, un finanziamento, che ovviamente è stato negoziato in euro? 
«Nel 1992 gli Ecu erano a tutti gli effetti valuta straniera, e quindi le rate dei mutui contratti in Ecu aumentarono del 20% in conseguenza dello sganciamento della lira dal Sistema Monetario Europeo. Questa esperienza, che qualcuno ricorda, non si applica al caso odierno. Oggi l'euro è valuta a corso legale in Italia, quindi i mutui denominati in euro e disciplinati dal diritto italiano verrebbero convertiti in nuove lire ai sensi dell'art. 1281 del Codice Civile, quello che venne applicato quando uscimmo dalla lira. A una rata di 500 euro corrisponderebbe una rata di 500 nuove lire, così come a uno stipendio di 2000 euro uno di 2000 nuove lire. Il valore interno della nuova valuta (e quindi il potere d'acquisto) non verrebbe particolarmente alterato. Il vantaggio della ridenominazione è poter aggiustare il valore esterno della valuta, il cambio con le valute dei partner, facendo ripartire le esportazioni e diminuire le importazioni». 
E’ possibile stimare di quanto si svaluterebbe la nuova moneta, diciamo la “nuova Lira” tanto cara agli italiani? 
«Sì. L'entità degli squilibri accumulati lascia prevedere una svalutazione fra il 20% e il 30%. Su questo tutte le valutazioni concordano. L'impatto sui prezzi interni non sarebbe uno a uno. Chi dice che una svalutazione del 20% farebbe rincarare la benzina del 20% è un ciarlatano, per l'ovvio motivo che il costo del greggio corrisponde a una parte non preponderante del prezzo alla pompa (fatto per lo più di accise, caricate di IVA). Ad esempio, il centro studi Asimmetrie, in uno studio pubblicato ad aprile su asimmetrie.org, ha calcolato che in caso di svalutazione del 20% della nuova lira il prezzo della benzina aumenterebbe del 6%. Del resto, dal 6 maggio l'euro ha perso più del 9% rispetto al dollaro, e il prezzo della benzina della benzina sta flettendo, anziché aumentare del 9%. Gli argomenti terroristici usati dai media mostrano immediatamente la corda a contatto coi dati. La benzina è aumentata quando Monti alzò le accise di 10 centesimi per restare nell'euro». 
E il debito pubblico? 
«La percentuale di debito pubblico governata da legislazione internazionale è inferiore al 5%. Per questa parte, il rimborso ci costerebbe il 20% in più, ma col rilancio dell'economia è un costo che potremmo permetterci. Il problema più rilevante potrebbe essere dato dalla dinamica dei tassi di interesse. Voglio ricordare che nel 1992 lo sganciamento dagli accordi di cambio fu seguito da una diminuzione dei tassi». 
La Banca d’Italia tornerebbe a battere moneta? 
«Certo, lo scopo è questo, riappropriarsi di sovranità monetaria. 177 stati sovrani al mondo ne beneficiano, esclusi i 18 sventurati dell'Eurozona, coi risultati che vediamo. Peraltro, la possibilità di battere moneta renderebbe il governo italiano perfettamente liquido nella propria valuta nazionale, calmierando i tassi con un effetto analogo a quello che si verificò nel 1992». 
In quanto tempo il Paese potrebbe svincolarsi dall’Euro e cosa accadrebbe all’Unione Europea? 
«Lo sganciamento avrebbe effetti immediati nei rapporti internazionali, e in tutte le transazioni regolate con moneta bancaria (Bancomat, bonifici, assegni). Le moderne tecnologie di pagamento ovviamente ci facilitano il compito. C'è poi il problema pratico dello smaltimento del vecchio circolante (che potrebbe richiedere anche più di un semestre, ma è gestibile, dato l'ammontare relativamente esiguo di transazioni regolate per contanti). Quanto all'Unione Europea, essa non è l'euro, né l'Europa. L'Unione Europea è un mostro di burocrazia, un bancarottiere seriale che ha portato fallimento ovunque abbia imposto le sue regole (Grecia, Spagna, Portogallo), è una creatura politicamente opaca, al cui vertice siedono persone come Katainen, premiato col posto di Commissario agli Affari Economici dopo aver fatto perdere al suo paese, la Finlandia, in qualità di primo ministro, sette posizioni nell'indice di sviluppo umano della Banca Mondiale. Questo organismo necessita di una profonda riforma, e il primo passo di questa riforma è lo smantellamento dell'euro, che sta portando al collasso l'economia e la civiltà di quello che una volta era un faro di cultura e progresso, l'Europa». 
In conclusione… 
«In conclusione, il disfacimento dell'euro non è un evento probabile: è un evento certo. Ormai anche economisti ultraortodossi come Zingales (che da sempre avrebbero preferito un euro a due velocità) lo ammettono, se pure a denti stretti. Non è mai esistito nella storia dell'umanità un sistema monetario così rigido fra paesi così diversi, quindi il suo superamento è inevitabile. Governi responsabili dovrebbero gestire questo processo anziché subirlo, ma per questo è indispensabile che presso i cittadini maturi una maggiore consapevolezza. Il sistema dell'informazione italiana finora non ha contribuito molto in questo senso, preferendo argomenti terroristici a ragionamenti pacati. Speriamo che il buon senso prevalga».

lunedì, ottobre 13, 2014

«La legge delega sul Job act? Una cornice vuota»

Intervista a Andrea Bordone, avvocato giuslavorista. «Non vi è una riga su una cosa importante, l’uscita dal rapporto di lavoro»
«Il Governo deve dire cosa vuole metterci dentro. Assurdo pensare che si aiuti chi non ha garanzie togliendole a chi le ha»
Nei giorni scorsi, la legge delega per cosiddetto "jobs act" è stata approvata in Senato, con 165 voti favorevoli, 111 contrari e 2 astensioni. Di questo tema, difficile, su cui si è aperto uno scontro aspro, abbiamo parlato con Andrea Bordone, avvocato giuslavorista. «La prima cosa che ritengo sia necessario sottolineare è che nella delega approvata la Senato c'è molto poco sull'articolo 18, tanto che c'è una discussione aperta su quello che farà il Governo all'interno della legge delega - spiega l'esperto -. Attualmente è come una delega in bianco. Non dimentichiamo che una legge deve essere sufficientemente chiara rispetto al potere legislativo che viene attribuito al Governo. Soprattutto non vi è una riga sulle questioni importanti, come l'uscita dal rapporto di lavoro, che è poi il tema centrale in discussione - spiega ancora Bortone -. Molti giuslavoristi ci tengono a fare presente che l'articolo 18 è sempre stato un presidio fondamentale e un elemento di dissuasione rispetto ai licenziamenti infondati. E per ora non vi è nessuna prova del fatto che togliere una tutela ai lavoratori porti alla creazione di nuovi posti di lavoro». Inoltre, l'articolo 18 in realtà è già stato modificato ai tempi del governo Monti. «Dopo la legge Fornero, il ricorso relativo alla legittimità o meno del licenziamento si propone entro sei mesi, il giudice decide normalmente dopo una o due udienze in tempi piuttosto brevi - spiega ancora il giuslavorista -. Se il giudice ordina la reintegrazione, il risarcimento non può essere superiore alle dodici mensilità; se il licenziamento viene dichiarato illegittimo, ma non viene disposta la reintegrazione (il che, dopo la riforma Fornero, avviene in molti casi), da 12 a 24 mensilità. Ritengo che comunque sia necessario che il giudice abbia la possibilità di reintegrare il lavoratore per i casi di licenziamenti illegittimi. E' una regola che vale da oltre 40 anni, che è stata in vigore anche nel periodo del boom economico e che non è mai stata un problema per la crescita. Ciò detto, la questione della tutela rispetto al licenziamento illegittimo è una normativa che esiste in tutta Europa, anche se sotto diverse forme. Non è certo una originale normativa italiana che ci pone fuori dal sistema economico. E d'altro canto mi sembra assolutamente corretto che vi sia questa forma di tutela, a meno di non voler tornare al licenziamento ad nuntum, che ci farebbe tornare indietro di almeno 100 anni. Insomma, sarebbe preoccupante che si togliesse al lavoratore la possibilità di difendersi. Affermare di voler combattere la precarietà dopo aver liberalizzato totalmente il contratto a tempo determinato è un'evidente contraddizione in termini. Ma soprattutto, lascia perplessi che si pensi di tutelare maggiormente il precariato giovanile togliendo tutte le tutele a chi già le ha. Credo sia una stortura. Si dovrebbe invece ampliare il numero delle tutele a chi ora non ne ha. Il contratto a tempo determinato è stato in questi anni lo strumento di gran lunga più in voga per tenere i lavoratori in condizione di permanente incertezza. Fino a un paio di anni fa era prevista una regola banale ed efficace: per assumere a termine bisogna che ci sia un'esigenza contingente, a termine, appunto. La presenza di quella regola ha consentito in questi anni a migliaia di lavoratori di ottenere la stabilizzazione del proprio rapporto di lavoro, dopo la triste e consueta serie infinita di assunzioni, intervalli, nuove assunzioni, proroghe, pause e quant'altro. Quel principio è stato dapprima scalfito dalla legge Fornero e poi letteralmente demolito dal governo Renzi con il cosiddetto decreto Poletti (niente causale per tre anni)». Ultima riflessione è quella sul tipo di tutele che si vogliono dare. «Si parla di ampliare la tutela per la disoccupazione, ma l'impressione è che non vi siano le risorse per garantirne la copertura - spiega Bordone, nell'evidenziare che ora il governo dovrà far sapere cosa vuole fare esattamente, in «una legge delega che è solo una cornice vuota. Credo abbiano voluto portare avanti l'idea di aver fatto qualcosa ai vertici europei. Per questo hanno fatto approvare con tutta fretta un provvedimento scrivendo un testo giuridico i cui contenuti sono ancora tutti da verificare.

sabato, ottobre 11, 2014

Da sé se la cantano e se la suonano

Cose strane, come da tempo avviene, vediamo nel Paese. Alcune spiegabili, alcune meno, altre spiegabili quando si allarga un po’ la visuale: come la questione del Tfr in busta paga, che presenta retroscena poco immaginabili. Ma su questo ritorneremo. Oggi vorrei parlare di nuovo della questione Province. Da un paio di anni, parlare di Province voleva dire dare la stura a contumelie, insulti, lazzi e frizzi. “Buttiamole via!”, era la voce comune: fonti di spreco, sentine di vizi. Poi è stata partorita la legge Delrio - qualcuno ha parlato di "legge Delirio". Risultato, nonostante che molti pensino che siano state abolite, in realtà le Province ancora ci sono, con le competenze e i bilanci e le società collegate eccetera. Che cosa è accaduto? E’ accaduto che i presidenti e i consigli non verranno più votati dai cittadini, bensì dai sindaci e dai consiglieri comunali. Insomma, da sé se la cantano e se la suonano.Una bella presa in giro. E se i soldi pubblici delle Province verranno usati male, chi potrà, magari quel minimo, protestare, chiedere conto agli eletti, visto che sono eletti di secondo livello? Se protestavi contro Corada o Torchio o Salini per le strade dissestate, qualcosa accadeva. E adesso che il presidente non è più eletto dai cittadini? Sarebbe questo un provvedimento anticasta? In compenso, visto che non ci sarà il giudizio degli elettori, in tutta Italia si sono viste alleanze straordinarie: prevale quella Pd-Pdl, che, ora che ci penso, tanto straordinaria non è. È anche singolare che partecipino alle elezioni praticamente tutti, anche coloro che hanno gridato più forte contro le Province: solo il M5S se ne è astenuto. Ma torniamo al punto: ci sono ancora bilanci da gestire, anche se più magri di prima, beni mobili e immobili eccetera. Che dire? Nel nostro territorio abbiamo visto giravolte sui candidati, veti incrociati, sindaca di Crema contro sindaco di Cremona. Quando c’è di mezzo il potere, tutto si può fare, tutto si fa. Ricordate lo statista democristiano che diceva che il potere logora chi non ce l’ha?

sabato, ottobre 04, 2014

L'Australia è lontana. Molto.

Oggi mi piace raccontare una storia: quella del gjob acth australiano. Quel lontano e sterminato Paese e riuscito, in poco piu di trenta giorni, a far rientrare il tasso di disoccupazione di quasi mezzo punto percentuale. E non con un miracolo, ma attraverso una campagna pro-occupazione particolarmente innovativa, con la quale ha cercato di coinvolgere veramente tutti. Il progetto si chiama Jobs 2014 e aveva come obiettivo creare 3mila posti di lavoro in otto settimane. La gestione e stata affidata a quartieri e comunita: il risultato sono stati 121mila nuovi posti di lavoro soltanto nel mese di agosto. A fine giugno, il governo aveva invitato tutti gli operatori economici, grandi e piccoli, ad offrire qualche opportunita in piu ai giovani, non importa se parttime, stagionale o a tempo determinato; ovviamente, lo Stato ha fatto la sua parte incentivando le aziende. L'Australia e lontana, certo, ed e messa meglio dellfItalia; di sicuro la loro economia arranca meno, ma mi chiedo se una visone positiva ed attiva come questa non possa fare infinitamente meglio di una scelta politica ga togliereh. Mi spiego meglio: sappiamo quanto profonda sia la strutturalita della crisi, ma sappiamo bene, anche, quanto siano importanti la fiducia, lo sguardo rivolto al domani, la non rassegnazione. Mi chiedo se, invece di sfinirsi su una battaglia tutta ideologica sullfarticolo 18 il governo non dovrebbe invece battersi per una soluzione gallfaustralianah: siete giovani, ancora non si parla di lavoro a tempo indeterminato, ma, intanto, vi facciamo lavorare. Inoltre, leggo che molte persone, laggiu, non cambierebbero la propria flessibilita con la sicurezza: consente loro di poter seguire meglio la famiglia, per esempio. Insomma, e una filosofia diversa: non punitiva, volta non ga togliereh, ma a creare opportunita, a far vivere. Potremmo provarci anche qui? Dare fiducia, mettere alla prova l'autonomia e la voglia di lavorare e di impegnarsi dei piu giovani. Invece di giocare con l'antipolitica e poi accapigliarsi per le Province (e, detto tra noi, le nuove amministrazioni comunali del nostro territorio non hanno fatto una grande figura), far partire uno, alcuni, molti progetti "all'australiana". I nostri ragazzi hanno bisogno di studiare e di lavorare, sono stufi di vane promesse. L'Australia e lontana. Molto.

sabato, settembre 13, 2014

Tutto è bene quel che finisce bene. O no?

Allora, pare ormai certo che i Bronzi di Riace non andranno all'Expo, ma che ne sarà ospite il nostro "Ortolano", opera dell'Arcimboldo che Cremona accoglie nel Museo Civico e che, pare, abbia fornito ispirazione ai disegnatori della Walt Disney Italia, per disegnare la mascotte della stessa Expo. Si chiama"Foody", una cosa tipo "cibotto", ed è in linea - dicono sul sito ufficiale - con i contenuti della manifestazione. Anzi, Foody propone tali temi in modo "empatico", è "sincero, saggio e rispettoso". Caspita. Non capita spesso di dire certe cose di un essere umano: fa piacere che si dicano almeno di una mascotte, di un disegno, di un logo destinato ad essere riprodotto in mille salse. Va da se' che il quadro dell'Arcimboldo - che pure non amo particolarmente - sia tutt'altra cosa: ma tant'è, tutto fa brodo (inoltre, parliamo di verdure ...). A parte gli scherzi, anche in questa occasione si sono visti opposti schieramenti: chi non vuole spostare le opere d'arte, fragili per natura e sottoposte a rischi, e chi, come Sgarbi, grida al passatismo e al conservatorismo. Sinceramente non so chi abbia tecnicamente ragione: mi pare, però, che voler assemblare i Bronzi, l'Arcimboldo e chissà cos'altro in un'unica sede sia un po' da circo delle meraviglie, "venghino venghino", un po' Italia in miniatura, un po' Disneyland, appunto. Mi hanno insegnato a scuola, in anni molto lontani, che un'opera d'arte si apprezza nel suo contesto: e quando viene "prestata", in genere è per completare un percorso su un autore, una corrente etc. Ora però non voglio fare il sapientone in un campo non mio. Dico solo che il sindaco Galimberti, dopo il fiero "no", si è fatto convincere dalla Regione: sono bastate alcune telefonate dell'assessora Capellini e, dopo breve riflessione, ha deciso di prestare l'Ortolano per quattro mesi. Un Ortolano part-time, tanto per non scontentare nessuno. Ok, andiamo avanti.
Daniele Tamburini

sabato, agosto 02, 2014

E’ una Vanoli a stelle e strisce

Mai come quest’anno il basket-mercato sembra vivacizzato, nonostante la situazione economica italiana che colpisce tutti i settori, anche quelli sportivi. Infatti, quasi tutte le squadre, quando manca ancora tanto tempo all’inizio delle attività ufficiali, hanno riempito gli organici sino all’orlo. Non saranno arrivati campionissimi, forse soltanto qualche buon giocatore da oltre oceano o già sperimentato nel vecchio continente, ma indubbiamente le novità saranno parecchie ad alimentare entusiasmo e presenze degli “ammalati” di basket, che stanno sottoscrivendo gli abbonamenti un po’ dovunque. Ricapitolando gli ultimi arrivi in maglia biancoblu, il primo in ordine di tempo è stato James Bell (guardia-ala), nato a Plainfield (New Jersey) il 7 gennaio del 1992. Nella sua carriera universitaria a Villanova, nel suo anno da Senior h guidato i “Wildcats” tirando col 51,4% da 2 e col 37,1% da 3. Il giorno dopo è stato ufficializzato il lungo Darrius Garrett (24 anni), reduce dalla stagione in Grecia nelle file del Nea Kifisia B.C, con cui ha totalizzato in 23 gare, 6.4 punti di media a partita con il 61,8% da 2, 5.2 rimbalzi e 1.8 stoppate. Garrett può occupare entrambe le posizioni di 4 e 5 ed oltre alla straordinaria propensione alla protezione del canestro e all’intimidazione d’area, vanta ottime doti da “rollante”. Infine, è arrivato a Cremona il play Jazzmarr Ferguson, nato a Louisville (Kentucky) il 1º gennaio del 1988. La scorsa stagione ha giocato nelle fila della Fulgor Libertas Forlì in Lnp Gold, dove in 29 gare (34.5 minuti a partita) ha totalizzato 17,6 punti, tirando con il 47.9% da 2, il 41.8% da 3 e completando 2.7 assist a partita. Ferguson è un realizzatore esplosivo, dotato di grande rapidità e abilità di salto. Può ricoprire agevolmente sia le posizioni di play che di guardia. Ad un range di tiro molto esteso, sia da oltre l’arco che dall’arresto e tiro, unisce una efficiente selezione di tiro. Insomma, brava la società a fare in fretta e scegliere quel che il “portafogli” permetteva, sperando che poi tutti si adattino alla piccola ma vivace realtà di Cremona, dove il cuore ha sempre avuto gran peso sui risultati. Ecco roster attuale della Vanoli: Luca Vitali, Fabio Mian, Luca Campani, Kenny Hayes, Cameron Clark, Nicola Mei, James Bell, Darrius Garrett, Jazzmarr Ferguson. CASO HACKETT A far la parte del leone sui giornali sportivi è la questione Hackett. Il play dell’Armani ha lasciato il raduno della Nazionale senza chiedere il permesso a nessuno, incappando in una lunga squalifica (6 mesi a partire dalla data di inizio campionato), ma la sua società pare abbia pensato di trattenerlo ugualmente in organico, riducendone gli emolumenti per disputare l’Eurolega e poi il finale di stagione. Che dire dell’episodio in sé, dei commenti e delle conseguenze? Francamente la vicenda ci ha lasciato stupìti, perché il ragazzo si è scordato di essere un professionista ben remunerato e soggetto a regolamenti precisi. Ma forse la vicenda non si chiude qui. Staremo a vedere. DNC Ufficializzato il girone (il B a 15 squadre) del Corona Platina Piadena. Ecco le avversarie dei piadenesi: Cantù, Lissone, Saronno, Boffalorese, Iseo, Valceresio Arcisate, Bernareggio, Opera, Manerbio, Calolziocorte, Milanotre Basiglio, Nervianese, Gaz-zada Schianno, Olginate.

Tari, commercianti pronti allo sciopero fiscale

Tensione e rabbia dei commercianti per il caso Tari: l'esasperazione dei commercianti è culminata in una vera e propria "minaccia": «se non arriveranno risposte adeguate alle nostre richieste, attueremo forme di protesta come il ricorso alla giustizia amministrativa e lo sciopero fiscale» questo dichiarano le associazioni di categoria a margine di una riunione che ha visto partecipare Confcommercio, Confesercenti, Asvicom, Cna e Confartigianato. La Tari per diversi commercianti ha visto il triplicare dell'importo da pagare rispetto allo scorso anno con la Tarsu. E' il caso del negozio "Dimensione Natura", di via Ippocastani. «Sono passato da 1.700 a 5.885 euro - racconta il titolare, Fabio Vighenzi -. E' un'imposta iniqua, con incrementi assurdi, quasi da usura. Per quanto mi riguarda pagherò senza dubbio l'importo che ho pagato lo scorso anno, e anche qualcosa in più perchè comprendo che possa esservi una maggiorazione; ma mi rifiuto di sborsare tre volte quello che ho speso lo scorso anno. Anche perché quei seimila euro per me significano scegliere se acquistare seimila euro di prodotti in meno da vendere o se rinunciare alla mia dipendente part-time». Ma la preoccupazione dei commercianti è anche rivolta al futuro: «Se cifre di questo tipo si dovessero ripetere anche per i prossimi anni, sarà difficile per molti commercianti andare avanti» conclude Vighenzi. Dello stesso parere anche Paolo Magri, del ristorante Dordoni, che dovrà sborsare 15.000 euro di Tari, contro i 9.250 dello scorso anno. «Per me questa tariffa era già molto onerosa anche negli anni scorsi. Stavolta però abbiamo superato il limite. Stanno mettendo in ginocchio le attività commerciali. Tantissimi lavoratori dipendenti stanno rischiando il posto di lavoro, a causa di questa situazione, perché i titolari non sanno più come pagarli. E ci sono attività che rischiano anche di dover chiudere i battenti». Una situazione di cui si è ampiamente discusso durante la riunione delle associazioni di categoria. «C'è stata forte intesa tra le associazioni - spiega ancora Magri -. Va bene pagare la prima rata dell'8 agosto, su questo siamo d'accordo, anche per dimostrare la nostra buona volontà, ma il Comune deve garantirci che verrà affrontata questo problema in modo serio e trasparente, ma soprattutto che venga fatto qualcosa affinché il problema non si ripresenti il prossimo anno». Pur apprezzando l’impegno della Giunta ad affrontare, con proposte concrete il tema in oggetto, le associazioni di categoria ritengono che ciò non sia sufficiente per dare respiro alle imprese che si sono viste moltiplicare, senza ragione, l’importo della tassa sui rifiuti. Dal tavolo è emersa una forte denuncia per l’iniqua applicazione dell’imposta, non proporzionale all’effettiva produzione dei rifiuti. Una presa di posizione che verrà puntualizzata, nei prossimi giorni, al Comune attraverso un documento sottoscritto da tutte le associazioni. Tutte le associazioni hanno evidenziato come il fondo di solidarietà determinato dalla Giunta Comunale, pur essendo un atto di disponibilità apprezzabile non sia sufficiente ad alleviare una tassazione assurda in capo ad aziende produttive. «L’eventuale contributo per le imprese, infatti, si ridurrebbe a pochissime centinaia di euro a fronte di un aumento che è di diverse migliaia di euro - sottolinea Giuseppe Bini, presidente di Confesercenti Cremona -. Serve un fondo che vada seriamente a incidere sugli importi Tari del 2014: ci sono aziende che dovrebbero licenziare dipendenti perché altrimenti non avrebbero i soldi per pagare la tassa. E se non arrivano soluzioni, sarà il peggio. Poiché questo Fondo di solidarietà incide sul bilancio 2015, riteniamo che vi siano i presupposti per incrementarne l'importo». Le associazioni non danno la colpa all’amministrazione Galimberti: «Sappiamo che i problemi sono nati con chi c’era prima, e chi ha rotto il vaso non è certo uguale a chi sta cercando di aggiustarlo – continua Bini -. Tuttavia servono misure urgenti, ora». Il tavolo ha quindi proclamato, sin da ora, una mobilitazione che interessa tutte le Associazioni e tutte le imprese, nessuna esclusa, compresi i dipendenti che vedono minacciato il loro posto di lavoro.

Parcheggi a pagamento: le proteste dei cittadini

I cremonesi non sono contenti della situazione dei parcheggi della città. Dopo la pubblicazione del nostro articolo, apparso su Il Piccolo della scorsa settimana, riguardante la situazione dei parcheggi in centro e dove ponevamo la domanda se il rapporto tra parcheggi a pagamento e parcheggi liberi era rispettoso della legge, molte sono state le segnalazioni pervenute alla redazione. Infatti, sono molti coloro che si lamentano per i nuovi parcheggi a pagamento e per i posti riservati ai residenti, istituiti dalla precedente amministrazione comunale, in sostituzione di quelli liberi. «In via Cadore e nelle strade limitrofe il Comune ha riempito di strisce gialle, togliando circa una sessantina di parcheggi che prima erano liberi - si lamenta Stefania - Prima trovavo sempre un posto da quelle parti, quando venivo in centro, mentre ora è ben più difficile». «La cosa davvero assurda - aggiunge Patrick - è che la maggior parte delle volte tali posteggi per residenti restano vuoti, prova che non ve ne era una reale esigenza». Così se prima c'era almeno qualche speranza di trovare un posto, ora si vedeono costretti a recarsi al costoso autosilo di piazza Marconi: struttura che rappresenta u n altro motivo di protesta. «Non ha assolutamente senso che se devo parcheggiare per dieci minuti sono costretto a pagare un'ora perché le frazioni orarie non sono previste - dice Emilio -. In nessuna città vicino a noi, accade questo. Il servizio deve essere pagato per quanto se ne usufruisce. Invece con i nostri parchimetri non accade. Lo considero un vero e proprio furto a danno dei cittadini. Con questa scusa il gestore della struttura si intasca un sacco di soldi in più di quelli che dovrebbe». Anche il costo stesso del parcheggio viene considerato troppo elevato: «Sul lago di Garda si spende un euro all'ora per lasciare l'auto - afferma Giancarlo -. E stiamo parlando di località con grande afflusso turistico. Qui a Cremona 1,70 euro all'ora è decisamente troppo. Neppure fossimo una grande città». «Il problema è che per parcheggiare in centro e tutto attorno il costo è lo stesso - continua Giovanna - . Avrebbe un senso pagaredi più nel cuore della città. E' invece assurdo che costi la stessa tarifaf anche nelle zone al di fuori del centro». La presenza di pochi parcheggi liberi è una delle principali fonti di lamentela da parte della cittadinanza. «Vado spesso in centro per motivi di lavoro e ogni volta spendo almeno tre euro e 40 per fermarmi due ore - racconta Pietro -. Calcolando che ci vado almeno una decina di volte al mese, sono circa 400 euro all'anno. Purtroppo, essendo sempre di corsa, non posso mettere l'auto nei parcheggi esterni, e in centro posti non a pagamento non si trovano ». Quando c'è mercato o quando vi sono manifestazioni particolari, soprattutto, «è impossibile trovare un posto che non sia pagamento - si lamenta Elvira -. E' tutto pieno persino il parcheggio della Coop». E i turisti? I commenti non sono affatto lusinghieri neppure da parte di chi arriva da fuori. «Cremona è una bella città ma il parcheggio è un disastro - racconta Marco, di Trento -. Non c'è una logica. Ma soprattutto è assurdo che in centro città ci sia solo un autosilo, tra l'altro costosissimo. Mancano completamente i silo posizionati tutto intorno alla zona centrale, che normalmente nelle altre città hanno prezzi molto abbordabili». «Sono già venuta a Cremona alcune volte, ma dopo la prima non ho più voluto arrivare in auto - dice Katia, di Torino -. In una città così male organizzata dal punto di vista della viabilità e dei parcheggi, la soluzione migliore è arrivare in treno e girare a piedi».

Il Comune temporeggia: «Incontreremo i gestori Saba e Aem»

E' stato affrontato anche il tema dei parcheggi, durante la prima riunione dello staff mobilità che vede coinvolti gli assessori Alessia Manfredini, Maurizio Manzi e Andrea Virgilio, oltre a dirigenti e tecnici che si occupano della partita, riunione che si è tenuta nella mattinata di venerdì. Un approfondimento fortemente voluto da tutta la Giunta per affrontare la situazione dei parcheggi, della viabilità, delle piste ciclabili, della pedonalizzazione, della ZTL, del trasporto pubblico locale, in un’ottica di visione complessiva sulla città. Il tema dei parcheggi non è ancora stato approfondito, in quanto, come spiegano gli assessori, andrà inserito in un discorso complessivo sulla mobilità cittadina e sul piano della sosta. Senza dubbio la questione del numero dei parcheggi andrà rivista: difficile dire - fanno sapere dal Comune - se il numero sia quello previsto dalla legge, in quanto molto dipende dalla dislocazione dei parcheggi nelle varie zona della città, ma sicuramente la distribuzione dei posti a pagamento dovrà essere rivista. Nelle prossime settimane lo staff incontrerà gli enti gestori, Aem e Saba, per capire cosa si può fare. «Gli strumenti di pianificazione del sistema di mobilità del Comune di Cremona, infatti, risultano ormai datati: il piano della mobilità risale al 1994, i piani particolareggiati del traffico al 2008, il piano dei trasporti al 2002, il piano della rete ciclabile al 2007, il piano urbano del parcheggi al 2008 - fanno sapere gli amministratori -. Sulla base di dati precisi, assessori e tecnici hanno cominciato a riflettere sulle principali criticità: l’assenza di un piano organico della sosta, lo stato di alcune direttrici come Viale Trento Trieste, via Dante e via del Giordano, la situazione dei passaggi a livello, le fasce della Ztl, le tariffe degli stalli e i permessi in vigore, il piano di distribuzione delle merci che manca». L’impegno preso al tavolo dello staff mobilità è quello di affrontare nel dettaglio le singole questioni, dandosi una tabella di marcia certa e verificabile. «Consapevoli che si tratta di un lavoro lungo e complesso – dichiara l’assessore Alessia Manfredini - è necessario approfondire tutte le criticità per individuare soluzioni a breve, medio e lungo termine con l’obiettivo di una mobilità più possibile sostenibile e che favorisca gli utenti più deboli della strada, in linea con le buone pratiche europee».

"A Cottarelli fanno fare “el bàc del pulèer”. I Cottarelli e le missioni impossibili

Con Luzzara e Cottarelli son tornati i tempi belli”. Perché la frase susciti un dolce ricordo sono necessarie almeno due condizioni: essere tifoso della Cremonese, e avere oltre sessant’anni. L’uomo del giorno nel nostro paese è Carlo Cottarelli, il commissario straordinario cui è stata affidata la Spending Review, e che ha annunciato le possibili dimissioni dall’incarico per un semplice motivo affidato a un blog: “Se si usano i risparmi sulla spesa per aumentarla, il risparmio non potrà essere utilizzato per ridurre le tasse sul lavoro”. Strana sorte quella dei Cottarelli, commissari chiamati al capezzale di organismi moribondi per fare il miracolo. A papà Celeste, per tutti “Celo”, l’impresa riuscì, fatte le debite proporzioni: l’Uessecì non è l’italia. Correva l’anno 1967, e la Cremonese toccava il punto più basso della sua storia sportiva: le difficoltà economiche avevano costretto il presidente Maffezzoni a lasciare, e la squadra era retrocessa in serie D. La società fu commissariata, e i commissari scelti furono due: Celo Cottarelli, amico di Maffezzoni, e Domenico Luzzara, entrato in società per recuperare un credito di 80 milioni di lire, per aver realizzato con la sua impresa edile l’impianto di illuminazione dello stadio Zini. La stagione 1967-68 iniziò malissimo, con la storica sconfitta nel derby con la Leoncelli, ma finì con la vittoria del campionato e il ritorno in serie C, grazie a giovani di talento come Mondonico e Cesini e capitan Tassi. Nel 1969 Cottarelli lasciò, e con la presidenza di Luzzara arrivò il momento più alto, con le 4 stagioni in serie A. La Cremo era rinata, l’impresa era compiuta. Quella che attende il figlio Carlo è proibitiva, non solo per la crisi economica che attanaglia il nostro paese, ma anche per il contesto politico in cui opera. Carlo nacque nel 1954; dopo il master alla London School of Economics, dal 1988 lavora per il Fondo Monetario Internazionale, di cui dal 2008 dirige il Dipartimento Affari Fiscali. A richiamarlo in Italia da Washington fu nell’ottobre scorso il primo ministro Letta, per affidargli la revisione della spesa pubblica, scoglio sul quale si erano arenati anche economisti del calibro di Pietro Giarda ed Enrico Bondi (scelti da Monti). “Mister Forbici”, come viene prontamente soprannominato, diventa in breve un personaggio tra i più noti della politica italiana, nonostante non sembri certo tipo da cercare i riflettori. A Cremona in dicembre per il 50° dell’API (Associazione Piccole e Medie Industrie), manifestò attaccamento alle radici, nonostante la lunga assenza, e anche fiducia nell’arduo compito, che consisteva nel reperire 32 miliardi entro il 2016. «Non avrei accettato se avessi pensato che l’impegno non fosse fattibile. Ci sono riusciti altri paesi». Già, altri paesi però. Evidentemente contagiato dal pragmatismo made in Usa, tornava in Italia con uno spirito ottimistico: «Mi preoccupa però – diceva allora – il pessimismo, spero che l’amministrazione pubblica ce la faccia. Serve un cambio di mentalità, in due sensi: fare tagli non lineari ma mirati per eliminare le aree di spreco, e utilizzare la maggior parte delle risorse trovate per ridurre la tassazione sul lavoro, bisogno fondamentale per l’economia italiana». Un’anticipazione chiara del contrasto poi emerso. Gli ultimi sviluppi infatti sono storia recente, di queste ore. La reazione degli ambienti politici non si è fatta attendere, ed era quella immaginabile: per il governo lo sfogo era diretto al Parlamento, per il Parlamento era chiaramente un invito al governo. Freddo il commento del premier Renzi: «Possiamo andare avanti anche senza di lui, la spending review non dipende dalle persone che la conducono, ma dalla volontà del governo». D’altro canto che il rapporto con Renzi non fosse lo stesso che aveva con Letta era cosa nota. Tanto che i dossier di Cottarelli sulla spesa pubblica sono rimasti sinora nei cassetti, e i due capitoli di spesa più rilevanti, sanità e pensioni, sembrano intoccabili, come dimostrano le continue deroghe alla riforma Fornero. A far traboccare il vaso è stato il ripristino della tutela per gli insegnanti di “quota 96”, emendamento approvato dal Parlamento ma non sembra proprio contro la volontà del governo. Cottarelli si prepara dunque a tornare al Fondo Monetario, negli Usa. Probabilmente accadrà in ottobre. Ha cercato di dare una mano al suo paese di origine, nessuno ha mai eccepito sulla bontà del suo lavoro e sull’indipendenza con cui l’ha condotto. Ha acceso i fari su situazioni che imbrigliano la nostra economia, ma la politica preferisce che la luce rimanga più tenue. Come se l’importanza di Cottarelli si misuri sulla sua presenza (messaggio ai mercati?) più che sulla sua opera, che la politica nostrana ritiene fastidiosa. Probabilmente anche a pelle il suo feeling con Letta, certamente più anglosassone di Renzi nell’approccio, era altra cosa rispetto a quello conl’attuale premier.Come ben dice Sergio Rizzo sul Corriere, “il prossimo taglio alla spesa pubblica frutto del lavoro di Cottarelli sarà il suo stipendio”.

Giuseppe Carletti: a Cottarelli fanno fare “el bàc del pulèer”

Celeste Celo Cottarelli, il padre di Carlo, non fu solo commissario della Cremonese. Dopo essere stato tra i protagonisti della Liberazione a Cremona, fu anche direttore amministrativo dell’Ospedale di Cremona e poi assessore comunale al Bilancio. A ricordarlo è Giuseppe Carletti, che con lui condivise sia l’esperienza politica che la passione per i colori grigiorossi. «Contribuì a far rinascere la Cremo, di cui era tifoso; conosceva il presidente Maffezzoni, anche lui un grande presidente. Dopo il ’69 non ebbe più incarichi ufficiali, ma rimase legato alla squadra. Fu segretario generale dell’Ospedale, ed ha vissuto in prima persona lo spostamento dall’ospedale vecchio al nuovo. Una delle mie prime esperienze amministrative fu proprio negli Istituti Ospedalieri». Poi vi siete incrociati a Palazzo Comunale. «Sì, l’ho avuto come consigliere di minoranza, da avversario, e poi come collega nella seconda giunta del sindaco Zaffanella: lui era assessore al Bilancio, io all’Urbanistica Attuativa e Lavori Pubblici. Era un liberale vecchio stampo, una persona correttissima. Ci siamo ritrovati in quell’esperimento che allora si chiamava liblab ». Già, liberali e laburisti alleati. Tra i liberali Cottarelli, e tra i laburisti i socialisti Zaffanella e Carletti. Celo Cottarelli morì alcuni anni fa, a seguito di una crisi improvvisa: si trovava sui gradini del Duomo, e Carletti fu tra coloro che chiamarono l’ambulanza. Un cremonese vero che salutò nel modo più cremonese che sia possibile immaginare. E di Carlo Cottarelli cosa pensa il vecchio socialista Carletti? «La politica deve tradurre le sue indicazioni in fatti concreti. E’ una persona molto valida, ma gli fanno fare “el bàc del pulèer”». Che è quel bastone su cui vanno a dormire le galline. Paragone calzante, non c’è che dire.

Perché la Spagna è in ripresa e noi no?

A volte, conservo delle pagine di quotidiani con articoli che mi hanno colpito e che mi riprometto di rileggere con calma. Spesso, ovviamente, non ci riesco e le pagine si accumulano, finché non decido di fare spazio. Ma, mentre i titoli passano sotto gli occhi, capita di avere (amare) sorprese. Era l’aprile 2010 e un grande quotidiano nazionale riportava la notizia di un convegno di grandi economisti, organizzato da Gorge Soros, dedicato ad un confronto sul “dopocrisi”. Perché l’amarezza? Primo: nel 2010 si parlava di “dopo crisi”, orizzonte di cui, oggi, nessuno si sente più di parlare, se non in termini probabilistici e, al massimo, speranzosi. E poi, leggiamo queste parole: Gli invitati concordano che i paradigmi economici dominanti negli ultimi decenni, improntati alla ritirata dello Stato regolatore perché il mercato garantisce una sua razionalità ed efficienza superiori, «devono cambiare». I venticinque di Bedford affermano che la disciplina economica nelle università «è stata manipolata dal mercato» e «si è distaccata dal pianeta Terra, quindi non riflette più il mondo reale». Bene, sono pienamente d’accordo! E però dove siamo, quattro anni e passa dopo, almeno qui da noi? Il capitalismo finanziario detta ancora legge: il suo continua ad essere un vero e proprio strapotere. Le banche continuano a rappresentare il fulcro di quell’emergenza-credito che contribuisce a strozzare ogni possibilità di ripresa. Altri Paesi (la Spagna, la stessa Grecia!) iniziano a ripartire: e noi? Cito alcuni titoli di un rapporto del Centro Studi di Confindustria dello scorso giugno: “La partenza ritardata e lenta. Investimenti penalizzati da incertezza e redditività ai minimi; le banche hanno stretto fortemente le condizioni per la concessione di prestiti a scadenza ravvicinata... Questo anello mancante nella catena di normale trasmissione dei meccanismi del riavvio della produzione (che parte dal ritorno della fiducia e dal miglioramento delle aspettative) fornisce una convincente spiegazione del ritardo con cui la ripartenza dell’economia italiana sta avvenendo. E continuerà a essere un ostacolo …”. Faccio una domanda al governo: non sarebbe meglio lavorare su questi ambiti, piuttosto che incaponirsi nella riforma del Senato? Buone vacanze.

sabato, luglio 26, 2014

Giovedì d’estate flop, commercianti: «Niente condanne, ma vanno rivisti»

I giovedì d'estate non hanno avuto il successo sperato: lo sostengono i commercianti di Cremona, che non hanno visto quell'affluenza di clienti che auspicavano, nonostante che il centro città in queste serate sia sempre stato gremito. Tuttavia, secondo alcune associazioni di categoria, non è il caso «di condannare una manifestazione ormai radicata e consolidata»: è l'opinione di Antonio Pisacane, segretario di Asvicom Cremona. «La gente che viene in centro non manca, è un dato di fatto. Il problema è che non entrano nei negozi. Da un lato, come sappiamo, la crisi incide anche su quello. Dall'altro, forse bisogna pensare a una rivisitazione dell'evento. Mandarlo a monte sarebbe assurdo. Invece potrebbe essere sensato pensare a qualcosa di nuovo, magari iniziative nuove, più adatte ad una situazione che è cambiata. Anche gli stessi eventi organizzati nell'ambito dei Giovedì d'estate potrebbero essere legati a iniziative commerciali più specifiche». Di questo è convinto anche Giorgio Bonoli, direttore di Confesercenti: «I Giovedì d'estate sono un'ottima iniziativa, ma forse vanno rivisti e dotati di una connotazione maggiormente commerciale, con eventi finalizzati a far entrare la gente nei negozi. Eventi di questo tipo sono già stati fatti in passato: ad esempio particolari sconti legati alla partecipazione agli eventi. Insomma, se già i soldi sono pochi, bisogna fare in modo che la gente vada a spenderli nei negozi della città anziché nei centri commerciali».

Sport con cani e cavalli

L'associazione sportiva GiancaDog lancia uno sport innovativo, per la prima volta in Italia

L'attività dell'associazione sportiva dilettantistica Gianca- Dog è sempre più variegata e ampia. Una delle recenti sfide è quella partita nel maggio scorso presso il parco Asia (quartiere Zaist), in un’area assegnatagli dal Comune per l’addestramento e l’educazione dei cani. Ma la vera novità è un'attività sportiva decisamente innovativa, che vede lavorare affiancati cane e cavallo. «E' uno sport nuovo, già molto diffuso all'estero ma che in Italia non esiste - spiega il responsabile. Giancarlo Guarino -. Siamo i primi a prenderlo in considerazione. In sostanza funziona così: cavallo e il cavaliere eseguono degli esercizi, e poi il cane li deve ripetere. Per ora ci stiamo limitando a fare degli allenamenti, gestiti da me e dalla mia compagna, che si occupa dei cavalli. Successivamente vogliamo organizzare delle gare, cercando di diffondere la passione per questa nuova e interessantissima disciplina». L’associazione è presieduta da Giancarlo Guarino, responsabile tecnico per Cremona e provincia del Centro Sportivo Educativo Nazionale – Settore Cinofilia, formatosi nel Nord Europa, da diversi anni impegnato in attività mirate all’educazione dei cani attraverso il rispetto dell’animale, bandendo qualsiasi forma di coercizione, e facendo leva sulla lunga esperienza maturata nel settore, a contatto stretto con cani cuccioli e adulti di tutte le razze. GiancaDog ha collaborato e collabora con altre associazioni, con enti, scuole ed istituzioni per la realizzazione di corsi sportivi e nell’ambito di interventi assistenziali, educativi e terapeutici assistiti dal cane (pet therapy), nonché nella paragility, sport cinofilo inteso come intervento di tipo ludico-ricreativo e di supporto psico-relazionale, finalizzato al miglioramento della qualità di vita di persone diversamente abili. GiancaDog si avvale di personale specializzato che effettua dapprima una valutazione gratuita a monte, anche a domicilio, quindi, in base alle caratteristiche dell’animale ed alle necessità dei proprietari, individuando un percorso individuale e anche di gruppo. Un tema fondamentale, per GiancaDog, è l'educazione dell'animale: «ci battiamo contro qualsiasi forma di maltrattamento e siamo contrari alla coercizione addestrativa» conclude Guarino.

La Pomì ora è forte anche in regia

Accanto alla confermata Beatrice Agrifoglio giostrerà la forte Katarzyna Skorupa, da anni nazionale polacca

Con una sola mossa, la Pomì Casalmaggiore ha perfezionato la regia per la stagione 2014-2015. Si tratta di una conferma ed un arrivo a sorpresa per il ruolo di palleggiatrice. La nuova coppia di alzatrici risponde al nome di Beatrice Agrifoglio e Katarzyna Skorupa. Se per la giovane toscana, tra i più bei talenti in questo ruolo a livello italiano, si può parlare di un conquista importante per la società del presidente Massimo Boselli Botturi, che ha voluto rispettare con la giocatrice il biennale stipulato alla vigilia della scorsa stagione, non è esagerato definire l’ingaggio della polacca un autentico “colpo da novanta”, trattandosi di una delle prime giocatrici al mondo nel proprio ruolo. Beatrice Agrifoglio è al suo terzo anno con la maglia della Pomì e da quando è arrivata in rosa ha dimostrato di non essere seconda a nessuna: nella prima stagione da vice di Stefania Corna, è stata impiegata con grande generosità da mister Gianfranco Milano prima e da Claudio Cuello poi, nell’annata sportiva appena conclusa ha rappresentato un vero e proprio alter ego di Letizia Camera, trovando spesso il campo ed anche nei finali di gara con formazioni del calibro di Busto e Bergamo, denotando una crescita tecnica e caratteriale che alla corte di Davide Mazzanti non potranno che trovare un’ulteriore conferma. Skorupa non la si scopre certo ora, a parlare per lei c’è un curriculum da urlo che ha visto quale ultima tappa, la doppia annata nel Rabita Baku, dove sino a marzo, quando ha accusato un infortunio al polso (risolto poi secondo i tempi prestabiliti), è stata tra le migliori giocatrici del campionato azero. La polacca, che con la Pomì ha firmato un contratto di un anno, vanta numerose presenze nella nazionale del proprio Paese, dove staziona ininterrottamente dal 2005 e con la quale ha partecipato alle Olimpiadi di Pechino, chiuse al nono posto. Tra le sue tappe di carriera anche una stagione, 2011-2012, ad Urbino, dove ha avuto come compagne di squadre Imma Sirressi e Valentina Tirozzi, che ritroverà in maglia rosa. Con una coppia di palleggiatrici del calibro di Agrifoglio e Skorupa, mister Davide Mazzanti e il suo staff possono dormire sonni tranquilli. Con Katarzyna Skorupa, salgono a tre le straniere della Pomì Casalmaggiore per la stagione 2014-2015: le altre sono la riconfermata Jovana Stevanovic e il neo arrivo Lauren Gibbemeyer. A questo punto, per completare l’organico, manca solamente una pedina, una terza centrale e la società è in dirittura di arrivo anche su questo fronte. LE SCHEDE Beatrice Agrifoglio è nata l’1-1-1994 ad Arezzo. Gioca nel ruolo di palleggiatrice ed è alta 178 centimetri. Nelle ultime due stagioni, come detto, ha giocato con la Pomì. Katarzyna Skorupa è nata il 16-9- 1984 a Radom in Polonia. E’ una palleggiatrice alta 183 centimetri. In carriera ha vinto due campionati azeri, uno polacco, due coppe e una supercoppa di Polonia 2012-2013. A livello individuale, per due volte è stata eletta miglior palleggiatrice (nel 2011 nella Coppa di Polonia e nel 2013 nella Superliga azera. Prima di arrivare a Casalmaggiore, ha giocato con Skra Varsavia (2002-2003), Ptps Pila (2003- 2005), Bks Bielsko-Biala (2005-2006), ancora Ptps Pila (2006-2008), di nuovo Bks Bielsko-Biala (2008-2011), Tiboni Urbino (2011-2012) e infine Rabita Baku ( 2012-2014).

Hayes e Clark alla corte di Pancotto

Sono giorni intensissimi per la Vanoli. Giovedì è stato ufficializzato calendario della prossima stagione, mentre in settimana la società ha lanciato la campagna abbonamenti che ci pare vada nel verso giusto, per favorire l’incremento degli abbonati, anche i più “freddi”, comunque attenti alle mosse societarie, molte negli ultimi frangenti. Sono stati, infatti, ufficializzati due atleti di nascita e scuola Usa: la guardia Kenny Hayes, 27 anni, già con esperienze europee e l’ala forte Cameron Clark, appena uscito dai college, ma di cui si dice molto bene. Per quattro quinti lo “starting five” dovrebbe essere completato con Vitali e Campani e con Mian pronto a dar cambi. Manca “l'omone” da centro area, ma potrebbe anche non arrivare se, come è quasi normale di questi tempi, non lo si ritiene indispensabile tecnicamente. Ma a decidere come agire sarà giustamente coach Pancotto. Non possiamo che dirci soddisfatti del lavoro della società, per puntualità e dinamismo nel costruire per tempo la squadra. Sarà il campo, poi, a dire se le scelte saranno state felici. A noi dispiace solo che non si sia potuto trattenere Zavackas, accasatosi in Lituania, che ritenevamo atleta di grande sostanza ed estrema utilità tattica. Come detto, la Lega ha diramato il calendario che prevede l’esordio della Vanoli contro Milano, la seconda gara in trasferta a Reggio Emilia e la terza sempre in trasferta a Pistoia. Ci sia consentito un commento breve ma significativo: peggio di così forse non poteva capitare! Ma siamo abituati a vedere i giocatori biancoblu soffrire e venire avanti con pazienza e voglia, senza scoramenti o frustrazioni di sorta. Forza Vanoli!. LE SCHEDE Kenny Hayes, guardia di 188 centimetri, è nato a Dayton (Ohio) il 16 aprile del 1987 ed ha frequentato la Nortmont High School a Dayton (Ohio). Dopo essersi iscritto alla Cincinnati State Technical and Community College, nel 2006 si è trasferito alla Miami University (Ohio). Al suo ultimo anno con i Red Hawks, giocando una media di 31 minuti, ha ottenuto una media di 13,9 punti tirando con il 41,9% da 2 e il 53,3% da 3 con 3,8 assist. Nel 2010 è stato scelto dai Maine Red Claws della Nba D-League dove alla sua seconda stagione ha ottenuto il premio come giocatore più migliorato della lega di sviluppo nel 2012. Al suo ultimo anno con i Red Claws in 33 minuti giocati, ha messo mise a segno 17,1 punti a partita con il 45,5% da 2 e il 40,2% da 3 e 5,2 assist. Nella passata stagione ha militato nel Maccabi Ashdod: in 28 partite, ha giocato una media di 33 minuti, realizzando 14,8 punti di media con il 45% da 2 e il 37% da 3 e 3,4 assist a partita. Cameron Clark, invece, è nato il 16 settembre del 1991 a Sherman (Texas). Ala forte di 204 cm, dopo aver frequentato la Sherman High School è entrato a far parte dei “Sooners” della University of Oklahoma, con cui non ha saltato nemmeno una partita in tutta la sua carriera universitaria. Nel suo anno da Senior ha totalizzato in 33 partite giocate (28 minuti di media in campo), ha realizzato 15,6 punti a partita con il 46,9% da 2, il 43,5% da 3 e 5,5 rimbalzi. Ha partecipato alla Summer League con i Los Angeles Clippers con una media di 7,5 punti, 1,5 rimbalzi in 17,3 minuti in 4 gare.

QUANDO POTREMO FARE SHOPPING DOPO CENA?

Orari dei negozi, è il momento di cambiare?
Cambiare gli orari di apertura dei negozi della città, spostandoli verso la sera o comunque nelle fasce orarie in cui i cremonesi sono più propensi a uscire, in particolare nei mesi estivi: questa la riflessione che stanno facendo le categorie del commercio cremonese, cercando delle risposte concrete a una crisi sempre più forte. In realtà da tempo se ne parla, ma si tratta di un tema delicato che va portato avanti attraverso un confronto con tutte le parti in causa, compresi i sindacati dei lavoratori, e che dovrebbe essere gestito dall'amministrazione comunale. Quello degli orari è un tema che da tempo porta avanti anche Antonio Pisacane, segretario di Asvicom Cremona: «Sono stato tra i precursori, in questo tema, ancora dai tempi in cui era assessore Baldani. Credo sia un'ipotesi su cui si dovrebbe riflettere seriamente. Ancora di più oggi, con i tempi di crisi che stiamo vivendo». Di fatto, normalmente i cremonesi sono al lavoro negli orari in cui sono aperti i negozi, oppure al pomeriggio vanno alle società canottieri, in estate. E nel momento in cui escono e avrebbero tempo per lo shopping, dalle 19 in poi, i negozi sono già chiusi, e l'unica alternativa restano i centri commerciali. «Nel sud Italia al pomeriggio fa talmente caldo che i negozi aprono intorno alle 18, e restano aperti fino alle 22 - continua Pisacane -. Poiché anche da noi il clima pomeridiano, nelle giornate di sole, non è dei migliori, perchè non provare a prendere esempio, almeno a livello sperimentale, provando a modificare gli orari di apertura dei negozi?». L'ipotesi di aperture che proseguano fino alla prima serata potrebbe essere vincente, così come l'idea di tenere aperto nell'orario di pausa pranzo, quando il centro storico si riempie di persone che spesso si riversano nei pochi negozi aperti, quelli delle grandi catene, come Tezenis e Sephora. «Mi chiedo perché non valutare seriamente di modificare gli orari, fermo restando che prima va fatta una valutazione con i dipendenti, con le sigle sindacali, per individuare una soluzione sperimentale che possa andare bene a tutti - continua Pisacane -. Sono convinto che anche per chi lavora nei negozi potrebbe essere un vantaggio avere delle ore libere al pomeriggio, in estate, tornando a lavorare poi nella fascia oraria tra le 17 e le 22. Credo vi siano gli spazi per trovare una sperimentazione di buon senso. Peccato che nessuno finora abbia mai trovato il coraggio, a livello istituzionale, di approfondire l'argomento. Spero che questa amministrazione possa prendere in considerazione l'idea e magari avviare una riflessione ad ampio raggio. Del resto i giovedì d'estate sono la prova che la gente ha voglia di uscire e di andare in centro. Basta dargliene le motivazioni». Sulle aperture serali è possibilista anche Giorgio Bonoli (direttore di Confesercenti Cremona), secondo cui «E' una logica di cui già spesso si è discusso, soprattutto guardando alle esigenze di una città come Cremona, dove in estate la gente preferisce passare il pomeriggio in piscina, alle società canottieri». Tuttavia non mancano i dubbi: «Gli orari possono essere un problema per i dipendenti, ma anche per gli stessi commercianti, che non vogliono rinunciare alla propria vita - continua Bonoli -. E' senza dubbio una cosa su cui riflettere, di cui già a Crema si sta parlando». Insomma, alla luce delle recenti liberalizzazioni degli orari del commercio, che consentono ai negozi di gestire in autonomia i propri orari di apertura e chiusura, forse è davvero il momento di rivedere le vecchie abitudini, andando incontro alle ormai mutate esigenze dei consumatori, come del resto già viene fatto in quasi tutta Europa e anche in diverse cittadine italiane.

Parcheggi liberi, la legge è rispettata? Si saprà il 1º agosto

Costi troppo alti e pochi posteggi liberi. Secondo la nuova giunta: «In questi anni è mancata una visione complessiva del problema»
Il tema dei parcheggi in città continua a coinvolgere l'opinione pubblica e le associazioni di categoria, e ora la neoeletta amministrazione comunale deve assumere delle decisioni, affrontando è questo l'intento dichiarato _ questa ed altre questioni con un approccio interdisciplinare diverso rispetto al passato. Ne parliamo con l'assessora Alessia Manfredini. 
Da tempo la situazione dei parcheggi a Cremona è criticata dalla cittadinanza e dal mondo del. commercio: avete già fatto una prima valutazione della situazione? 
«Nei giorni immediatamente successivi all'insediamento della Giunta abbiamo iniziato ad affrontare le principali criticità alle quali dobbiamo porre mano. Tra queste vi è senza dubbio la mobilità. Per lavorare al meglio e in linea con l'innovativo metodo che questa Amministrazione ha introdotto, abbiamo avviato la prima fase per la riorganizzazione dell'assetto della struttura comunale: un passaggio indubbiamente forte, coraggioso che si basa su semplificazione ed efficienza. Non si possono infatti affrontare le varie tematiche senza prima porre mano all'assetto organizzativo in modo tale che sia in grado di supportare la parte politica nella realizzazione delle sue linee di azione. Per questo abbiamo riunito la mobilità in capo ad un unico settore: la divisione tra mobilità sostenibile e mobilità non ha prodotto, con la precedente amministrazione, grandi risultati, anzi, la divergenza tra le visioni dei due assessori sono state sotto gli occhi di tutti. Nel frattempo abbiamo già fatta una ricognizione con Aem sulla situazione dei parcheggi e abbiamo in calendario un incontro con Saba, gestore insieme ad Aem dei parcheggi cittadini». 
Secondo alcuni, c'è un numero eccessivo di parcheggi a pagamento, soprattutto nel centro città, rispetto a quelli liberi: avete già fatto una verifica in questo senso? 
«Lo affronteremo nella prima riunione dello staff mobilità che prende avvio il 1° agosto. Ci siamo infatti dati questa nuova modalità di lavoro: affrontare i temi in riunione specifiche, dove partecipano gli assessori di riferimento, i dirigenti, i dipendenti con esperienza e, in determinati casi, anche i rappresentanti delle partecipate. Lo stato dell'arte viene affrontato collegialmente, vengono passate in rassegne le varie criticità e proposte soluzioni. In questo modo saremo più strutturati e con i gestori avremo un rapporto più stretto». 
Un altro problema è l'impossibilità di pagare solo per frazioni orarie, soprattutto in piazza Marconi... 
«Ne siamo a conoscenza, per questo è necessario rafforzare il confronto con i gestori dei parcheggi. In tal senso abbiamo già avuto un confronto con Aem per quanto riguarda la rigenerazione di corso Garibaldi a proposito del parcheggio di via Villa Glori e speriamo di avere quanto prima il via libera definitivo». 
Parliamo infine dei prezzi, che vengono definiti eccessivi per una città come Cremona: ci sono i margini per abbassarli? Se si, come? 
«La questione è nota e condivisibile, ma la cornice deve essere il nuovo piano della sosta. Un piano strutturato e con una visione a breve ma anche medio e lungo termine, uno strumento lasciato disatteso per anni dalla precedente amministrazione. E su questo abbiamo le idee chiare. E' necessario un progetto integrato: piano soste, piano carico e scarico merci, pedonalizzazione, zone a traffico limitato, trasporto pubblico locale, ciclabilità in un’unica visione. Un piano generale della sosta: per commercianti e residenti occorre rendere standard i costi; occorre incentivare l’uso dei parcheggi esistenti e implementare quello della stazione, serve applicare un piano di carico e scarico merci. 
In una visione complessiva del piano della mobilità e della sosta, cosa si dovrebbe cambiare? 
«E' giusto parlare di visione complessiva, quella che è appunto mancata in questi anni. Come prima cosa cercheremo, partendo dalle professionalità che ci sono in Comune, di ricostruire il settore della mobilità, strutturando gli uffici su progetti mirati. A settembre, con l'approvazione delle linee programmatiche di governo in Consiglio comunale, alle quali stiamo appunto lavorando in queste settimane, avremo l'indirizzo politico che si tradurrà in azioni e scelte da attuare nell'immediato futuro per migliorare la mobilità e la sosta».