sabato, febbraio 20, 2016

Siamo indignati? Apriamo una bella pagina su Facebook...

di Daniele Tamburini
E se la rivoluzione d’ottobre fosse stata fatta… su Facebook? O se, invece di prendere la Bastiglia, i parigini avessero scritto un tweet di fuoco? Immaginatevi Danton, Robespierre, Saint Just tutti intenti a smanettare sull’I-Phone, oppure, per dire, Lenin che, invece di arringare i marinai con le magliette a strisce, aggiusta il suo profilo su Instagram e chiama a raccolta i “navigatori”? Consentitemi questo tono leggero, per un argomento che leggero non è, anzi. Sono stati scritti volumi di saggi sulla democrazia nel tempo dei social e sono state condotte molteplici analisi sulle nuove forme di lotta politica realizzate attraverso un uso massivo e, allo stesso tempo, mirato del web. Il fenomeno si è manifestato con forte rilevanza in specie all’epoca delle rivoluzioni che hanno interessato i Paesi arabi del Nordafrica e la Turchia. E’ una modalità nuova e, come tutte le modalità nuove, risulta leggermente spiazzante verso chi è abituato, per età e per cultura, a modi diversi, per esempio nell’agire politico. Rilevo comunque che, ancora una volta, il passaggio da una modalità all’altra rischia di essere una sorta di salto mortale triplo. Per spiegarmi: forse non erano molto interessanti le tribune politiche televisive di una volta. Qualcuno se le ricorda? Il conduttore poneva una domanda e tutti gli esponenti dei partiti intervenivano, uno dopo l’altro. Se gli animi si accendevano, magari alzavano un po’ la voce, ma niente insulti, per carità. Il conduttore era rigorosamente attento a dosare tempi e parole (oggi si chiamerebbe “anchorman”, ma ve li immaginate Giorgio Vecchietti o Ugo Zatterin a sentirsi definire così?). Ma io, sinceramente, trovo poco interessante anche un tweet. Cosa si può esprimere in un tweet?
Più la realtà è complessa, più la si dovrebbe analizzare con attenzione. A che serve il tweet? A tirare una bomba di parole? Una schioppettata di concetti? A me viene in mente quando, da ragazzi, qualcuno la sparava grossa e gli altri dicevano “bum!!”. Insomma, serve a fare rumore gradasso, e basta? Anni fa, se scoppiava una guerra, la gente andava in piazza a manifestare: ma ci andavamo anche se qualcuno annunciava di manomettere le pensioni. Oggi, ci indigniamo su Facebook, e tutti a “condividere”. Vogliamo dare sfogo alla nostra protesta? Apriamo una bella pagina su Facebook. Mah. Era giusto prima, è giusto ora? Non lo so.

sabato, febbraio 13, 2016

Domande, Tante Domande

di Daniele Tamburini
Ma come si fa a non rendersi conto che molto di quel che si ascolta, di quel che viene veicolato, di quel che ci raccontano della situazione politica ed economica, è, nella migliore delle ipotesi, impreciso, e, nella peggiore, falso? Qualcuno usa e abusa della parola “teatrino”: figuriamoci. La parola ha un che di leggiadro e forse lezioso, che può disturbare, ma che malissimo si attaglia alla realtà crudele e vischiosa di oggi. Ci sono, in tutto il mondo e anche da noi, centri di potere vero, concreto, violento, che si mantengono in una sorta di cupola sovrastante, utilizzando e sfruttando le azioni e la faccia di mezze calzette, utili ad obbedire agli ordini. Poteri nascosti, che da molto, molto tempo lavorano perché nessuno più controlli chi manovra, chi tiene le fila del gioco, chi decide sulle nostre vite. Poteri burattinai, che tirano le fila di burattini ventriloqui, mentre accumulano profitti enormi. Ecco che si creano e si implementano disattenzione e disaffezione nei confronti della politica e della cosa pubblica, disonorandole con inefficienze, scandali, furti; ecco che si vota meno, abolendo livelli elettivi (le Province, poi il Senato, poi chissà); ecco che si disincentiva il voto, con il combinato disposto di questi due aspetti; ecco che si produce una “nuova”, ma in realtà antichissima ansia accentratrice. Le banche che falliscono hanno dietro, spesso, nomi eccellenti e una costante, perpetua contiguità con il potere. Dall’oggi al domani, da una situazione in cui si diceva, il giorno prima, che “la barca va”, parte la speculazione in borsa, i titoli crollano, lo spread – bestia nera, incubo per tanti mesi, poi improvvisamente ammansito – si impenna. Perché? Cosa cambia, nel frattempo, nelleconcrete e materiali condizioni di vita di tutti noi? Niente. Chi stava male, sta male egualmente; chi sta così e così, peggiora. Chi ha strapotere e straricchezze, li aumenta. Ma chi ci crede ancora? Expo parte gravata di sospetti, e adesso Sala è il miglior manager sulla piazza, dovrà essere l’uomo giusto per la città giusta, una nuova Milano da bere. L’informazione mainstreaming, giuliva, va dove soffia il vento: basta una polemica sul festival di Sanremo e non si parla già più di Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano massacrato in Egitto. Avete letto cosa gli hanno fatto? Un misto di via Tasso e dello stadio di Santiago. Ma loro hanno tanti, tanti affari con al-Sisi, e allora... non disturbiamo chi manovra, chi nasconde, chi mente. Mentre sto scrivendo ha iniziato anche a piovere, Governo ladro.

sabato, febbraio 06, 2016

Solido come una banca

La gente non ha più fiducia nelle banche, e ha ben ragione. Una volta si diceva: solido come una banca; oggi, la frase fa venire in mente il Manifesto del Partito Comunista, opera di Karl Marx: “tutto ciò che è solido si dissolve nell'aria”. Le banche, in effetti, hanno il problema delle eccessive sofferenze: crediti concessi e difficilmente recuperabili. Per questo si sono inventati il Bail in, ossia la legge per la quale, in caso di necessità, gli azionisti, gli obbligazionisti e in parte i correntisti devono farsi carico delle difficoltà della banca. E' ciò che è accaduto con Banca Etruria, e qualcuno teme che possa accadere anche per qualche altra banca, magari anche più importante di Banca Etruria. E sempre per le ragioni di cui sopra, oggi, viene ipotizzata la creazione di una Bad Bank in cui riversare i crediti inesigibili, dare così una mano di bianco ai bilanci delle banche stesse, e cercare di far ripartire il sistema. E' facilmente intuibile che la fiducia dei risparmiatori è elemento fondamentale e imprescindibile per il corretto svolgimento dell’attività bancaria. Certamente, le notizie che continuano a filtrare sul caso “Banca Etruria” non contribuiscono a far crescere la fiducia: diciamo che le banche ci hanno messo del loro. Ma è sbagliato, in effetti, dire “le banche”. Parlando a livello di concetti,
la banca ha una enorme utilità sociale: senza le banche non esisterebbe l’economia per come la conosciamo. Il problema, allora, qual è? È di chi, tra i banchieri ed i sistemi bancari, ha sempre più virato in direzione della speculazione. I banchieri che portarono alla rovina del 1929, i banchieri dei titoli tossici del 2007-2008. Sono d’accordo con chi dice che non possiamo abbandonare le banche a se stesse, pena un danno inimmaginabile per un’economia già debole e sfiancata; ma penso che occorrerebbe molta cautela nel correre in aiuto dei banchieri speculatori, che se ne infischiano dei risparmiatori e vivono in un sistema di bolle finanziarie e giochi molto prossimi all’azzardo, senza considerare le concrete esistenze delle persone e delle aziende. Mi chiedo dove sia finito il modello di banca basato sul dualismo risparmio-credito: abbandonato a favore del modello banca di investimento? Un buon sistema bancario non può che aiutare le imprese, dare una spinta ai desideri dei cittadini, far decollare l’economia. Un cattivo sistema bancario mina la fiducia e avvelena l’aria dei tempi. Proprio non ne abbiamo bisogno. Altrimenti sarebbe veritiera la cruda frase di Bertolt Brecht: “E’ più criminale fondare una banca che scassinarla”.