sabato, agosto 25, 2018

Il filo del destino





Gli antichi Greci si erano costruiti un sistema di credenze, una cosiddetta mitologia, capace di diventare anche una metafisica. Per esempio, nel porsi le domande che ogni essere dotato di raziocinio prima o poi si pone, e cioè chi siamo, da dove veniamo, quando finirà la nostra vita, avevano elaborato una mitologia che diventò sempre più elaborata ma che, alla base, aveva un senso tragico della vita. Penso al mito delle Moire, che i Romani poi chiamarono Parche. Erano tre donne: bellissime, austere, simbolo del destino, della sorte di ognuno di noi. La prima, Cloto avvolge sulla conocchia la quantità di filato che ad ognuno tocca in sorte, Lachesi, la seconda, lo fila, e questo è il destino che tocca in sorte a ogni individuo. Infine, Atropo che ha in mano un paio di forbici: taglia il filo ad un certo punto, casualmente, ignorando a chi appartenga, inesorabile. È il momento della morte. Nessuno può mutare questi gesti, neppure gli dei. Ho pensato a questo potente mito, quando ho visto decine di persone sprofondare nelle macerie di un ponte colpevolmente trascurato, e altrettante, o più, che erano passate pochi secondi prima, o che sarebbero transitate pochi secondi dopo. Ma se è vero che il mito ci dice come il destino di ciascuno sia imperscrutabile, è anche più vero che noi umani abbiamo una grande respon-sabilità verso di noi e verso i nostri simili: la vita è un bene prezioso e va salvaguardata. A fronte della vita, non esistono o non dovrebbero esistere giustificazioni legate ai contratti, al profitto, al mercato azionario. Al mercato azionario? Ma andate a quel paese! Ma i Greci ci insegnano anche un altro grande concet-to: quello di hybris. La tracotanza dell’essere umano che sfida i limiti della natura, che vuole andare sempre più in là, anche mettendo a rischio se stesso e la propria specie. Con azioni che avranno conseguenze nefaste anche negli anni a venire e che condizioneranno il futuro di chi viene dopo. Spianare oppure forare montagne senza rispetto per cosa c’è intorno, gettare campate che uniscono spazi enormi, violare e trivellare i fondali dei mari. Senza cura, senza preconizzarne le conseguenze per il futuro della specie umana. Gli antichi Romani avevano affidato la cura del loro ponte più sacro, il Ponte Sublicio, quello su cui Orazio Coclite difese da solo le sorti di Roma, al pontifex maximus, la più alta carica sacerdotale. In nome del rispetto che si deve all’opera umana e ai rischi che può provocare.