sabato, dicembre 01, 2012

Non scherziamo con la salute


Che cosa dovrebbe assicurare lo Stato? Essenzialmente, tre cose: il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione, il diritto alla salute. Ora, il lavoro, nel nostro Paese, è allo stremo. Un'emorragia continua di posti, uno stillicidio di licenziamenti, di imprese che chiudono. Il premier insiste: ci sono segni di ripresa, anzi la vedremo nel 2013. Speriamo e lavoriamo perché questo possa accadere. Intanto, sarà un Natale durissimo per molti. E la scuola? Disastrata, senza fondi, ridotta all'osso. Gli studenti e i docenti vanno in piazza, e protestano. Nei convegni e negli incontri i politici dicono loro: siete il futuro del Paese, contiamo su di voi. Sì, ma con quale futuro? Con quali prospettive? Ma veniamo alla sanità, la sanità pubblica, punto molto dolente. Il premier Monti, giorni fa, ha lanciato un allarme: “ La sostenibilità futura del Servizio Sanitario nazionale potrebbe non essere garantita". Ho pensato al fatto che una delle poche certezze della nostra esistenza era il servizio sanitario nazionale. Ho pensato alla paura ed all'incertezza di chi si ammala e dei parenti, a cui forse dovrà aggiungersi la paura e l'incertezza sulla possibilità' di curarsi. Però, poi, Monti ha detto di essere stato male interpretato e che nessuno vuole privatizzare la sanità. Una marcia indietro? Un vezzo ereditato dal suo predecessore? Il metodo del bastone e della carota? Non è che si vuol fare come quel famoso re dell’antichità, Mitridate, che si immunizzava dal veleno assumendone piccole dosi quotidiane? Non è che, con questi annunci, ci vogliono assuefare al timore, all'incertezza, alla rassegnazione? Caro premier, non si scherza col fuoco. Non si scherza con la salute. Non si scherza con la vita. 

Daniele Tamburini

sabato, novembre 24, 2012

Monti non è candidabile … Per fortuna!


Sei o sette mesi fa, il banchiere dei banchieri, Mario Draghi, dichiarava: “Occorre un patto per la crescita, risanare i conti con il fisco può aggravare la recessione”. Era stato chiaro, anzi chiarissimo. E che cosa è stato fatto nel nostro Paese? Si è tentato di sanare i conti con il fisco. Il risultato? Vediamo un po’. Chi sostiene il governo Monti dice: non si poteva fare altrimenti, Berlusconi aveva lasciato il Paese sull’orlo del precipizio, anzi già con un piede dentro, la credibilità internazionale dell’Italia era sottozero, in inversa proporzione allo spread, che toccò quota 574, una follia. Questi elementi sono tutti veri, ma c’è un grande “ma”, e sta in quelle parole di Draghi. Il concetto, tra l’altro, è semplice. Se non c’è crescita, non aumentano le risorse di imprese e famiglie. Se si agisce solo sulla leva del fisco, quando le tasche dei più saranno proprio vuote – e ci siamo pericolosamente vicini – non ci sarà più niente da spremere. Occhio che il rigore non diventi rigor mortis. Dice: non ci sono risorse. È il mantra del governo: non ci sono risorse per detassare le tredicesime, non ci sono risorse per evitare l’aumento dell’IVA, non ci sono risorse per il fondo per le politiche sociali (ha detto la Fornero: “Sono disperata”. Si figuri noi, cara ministra), non ci sono risorse per risanare Pompei, non ci sono risorse per tutti gli esodati. Però ci sono per acquistare gli F35 (l’acquisto ci impegna da qui al 2017, con un costo per aereo che va da 99 a 107 milioni di euro). E lo spread è comunque alto, e il debito pubblico alimenta se stesso. Caro premier Monti, così non va. Ci aspettavamo una vera rottura con il passato che non è avvenuta. Francamente ci ha deluso. Sicuramente il suo governo ha restituito credito al nostro Paese, garantito nei confronti dell’Europa, dei mercati eccetera, ma a quale prezzo? Sono state tutelate le banche, gli interessi forti, i veri gangli del potere. Le famiglie e le imprese sono allo stremo. Il ceto medio non esiste praticamente più, si sta proletarizzando. Senza ceto medio non c’è possibilità di un Paese “normale”, efficiente, produttivo. Egregio Dottore, le siamo riconoscenti per averci restituito credibilità, ma ora lasci il campo, ora c'è bisogno di altro, ora c’è bisogno di scelte forti, coraggiose, politiche che diano impulso, che diano speranza, che alimentino la crescita, perché di inflazione non si muore, ma di disoccupazione, sì. Per fortuna che lei non è candidabile…

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 27, 2012

Non si ricandida


Fu vera gloria? Si chiedeva Alessandro Manzoni, commemorando Napoleone Bonaparte, nell’ode che tutti noi abbiamo imparato a memoria: Il cinque maggio. Un salto spericolato, il nostro, che però, siamo certi, piacerebbe al personaggio... Rammentate quando indulgeva a paragoni di stampo divino? L’unto del Signore. Possiamo chiederci, riguardo a Silvio Berlusconi: fu vero abbandono? Lui giura di sì. La condanna a quattro anni, forse attesa, avrà condizionato la decisione? Comunque ha detto che non si ricandida: Intende fiancheggiare, consigliare, forse proporre un suo candidato a leader del Pdl. Più che un passo indietro, un passo di lato: beh, sempre meglio che trovarselo alle spalle. Battute a parte, certo è che sembrano passati secoli: il presidente imprenditore, il presidente operaio, il presidente cantante, il presidente tifoso, il presidente campione di virilità, e via e via. I motivi? La fascinazione che ha esercitato, nel bene e nel male, sugli italiani si è edulcorata? A sentire in giro sembra proprio di sì, anche tra chi, per anni, lo ha osannato. Il clima è del tutto diverso: anche a livello di immagine, è senz'altro più indicato il volto austero di Monti. Potrebbe ancora infondere le speranze del passato, l'illusione di un mondo in cui, se non proprio tutti, molti possono farcela, fatto di denaro che corre, alleanze, a volte, sui generis, e lustrini e paillettes? Difficile dirlo, ma gli ultimi sondaggi sono spietati. Di certo, è un uomo anziano, e i TG lo mostrano quasi semiaddormentato in auto. Guardandolo nell’ultimo messaggio video mia moglie ha detto, impietosamente: ”Sembra finto, di plastica”. Comunque, vedremo. Il personaggio, si sa, è capace di riservare molte sorprese. Al momento, nel centrodestra manca un Matteo Renzi (anche se alcuni dicono che potrebbe andare bene per entrambi gli schieramenti ... Ma forse, sono malignità). E adesso? Alfano, Santanchè, Galan? Mah… Fu vero abbandono? Non ne sono del tutto convinto.

martedì, ottobre 02, 2012

«Purtroppo l’individualismo ha seppellito l’etica» Intervista a don Vincenzo Rini


di Daniele Tamburini


Indigna che la politica sottovaluti il malaffare": è uno dei passaggi più decisi della prolusione tenuta, pochi giorni fa, dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della CEI, nella prolusione al Consiglio Episcopale Permanente. Il riferimento più ovvio e più vicino è lo scandalo che ha travolto la Regione Lazio: "Dispiace molto - ha detto il cardinale – che anche dalle Regioni stia emergendo un reticolo di corruttele e di scandali, inducendo a pensare che il sospirato decentramento dello Stato in non pochi casi coincide con una zavorra inaccettabile". Secondo Bagnasco, il fatto "che l’immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia non è una consolazione, ma un motivo di rafforzata indignazione, che la classe politica continua a sottovalutare. Ed è motivo di disagio e di rabbia per gli onesti ... possibile che l'arruolamento nelle file della politica sia ormai così degradato?". Parole di grande durezza. Le commentiamo con don Vicenzo Rini, direttore de La Vita Cattolica e presidente Sir - Agenzia di informazione della Conferenza Episcopale Italiana". 
Don Rini , cosa pensa delle parole del cardinale Bagnasco? Occorrerebbero, ha detto il cardinale, "competenza e autorevolezza riconosciuti". Qual è, secondo lei, la strada per una "buona" politica, per una corretta amministrazione? 
Condivido in pieno quanto affermato dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana, come appare anche dall'editoriale di”Vita Cattolica” di questa settimana. La politica buona ha bisogno di persone, non di "magatelli" o di truffaldini, come oggi vediamo emergere sempre più nelle varie istituzioni giorno dopo giorno. Credo che la politica non buona nasca anzitutto da un humus culturale nel quale l'individualismo ha seppellito l'etica. Ognuno è legge a se stesso. Tutto ciò che interessa a me o mi è utile, mi è anche lecito. In questo fango culturale diffuso, è chiaro che anche chi giunge nelle istituzioni, se non si è formato a una visione etica sana, sarà tentato di approfittarne per fare soldi, visto che nella concezione corrente i soldi danno la felicità. Quindi la prima strada per una buona politica è quella di rifondare decisamente nel Paese un forte impegno per ritornare a un'etica della responsabilità, dell'onestà, del servizio. Connessa con questa è l'altra strada: quella della riforma dei partiti e del loro "personale". È ora di smetterla di candidare persone arriviste, disponibili a tutto pur di fare carriera; come è ora di smetterla di candidare uomini e donne che hanno come unica qualità quella di essere fedeli, se non addirittura servi, dei capi; la candidatura non può essere concepita come premio dato dai capi partito a chi gli ha fatto dei piaceri, o gli ha dato grandi regali, se non peggio ancora... Di cortigiani in politica ne abbiamo troppi. I partiti devono candidare persone che hanno dimostrato, a partire dal basso, di cercare il bene comune senza interessi personali, persone che si sono preparate al servizio politico studiando, servendo, pensando; insomma formandosi a un impegno da vedere come vocazione. Non per nulla la Chiesa, a partire dal grande papa Paolo VI, insegna che la politica è un'altissima forma di carità. Carità verso il Paese, non carità del Paese verso se stessi. Donare e donarsi, non prendere. Servire il Paese, non servirsene. 
Non vogliamo entrare più di tanto nella questione dei rapporti tra potere temporale e potere spirituale, ma, secondo lei, che ruolo ha la Chiesa, oggi, nel nostro Paese, per contrastare un certo degrado della politica e la situazione di crisi gravissima? 
I rapporti tra potere temporale e potere spirituale sono ben chiari da tempo, definitivamente illuminati dall'insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II (di cui quest'anno ricorre il mezzo secolo dall'inaugurazione). Il ruolo della Chiesa oggi è duplice. Anzitutto quello della formazione delle persone a un'etica del servire, della responsabilità personale e sociale. E su questo oggi davvero credo che già faccia molto, anche se il suo impegno va contro corrente per cui non sempre è compreso e apprezzato dalla cultura dominante. In secondo luogo, il ruolo di una libertà critica verso la politica, i politici e i governi. La Chiesa non si può e non si deve alleare con nessun partito, con nessun politico, con nessun governo. Perché la Chiesa non è né di destra, né di sinistra, né di centro. È invece di sopra: guarda, osserva e dice il suo parere. Se un governo fa leggi che la Chiesa ritiene a servizio del Paese, certamente lo loda. Ma se il giorno dopo, lo stesso governo fa leggi che la Chiesa, per i principi non solo religiosi, ma anzitutto antropologici, ritiene negative, deve in piena libertà dire il suo dissenso. La sua libertà critica interessa anche il giudizio sul comportamento dei politici, che devono essere esempio per i cittadini. Insomma, la Chiesa – e per Chiesa non intendo solo il Magistero, Papa e vescovi, ma tutti i cristiani – deve conservare sempre la sua libertà di giudizio e di azione: collabora volentieri con tutte le istituzioni dello Stato, senza rinunciare mai alla sua libertà che le viene dall'essere fondata sul Vangelo. La libertà della Chiesa non è in vendita. 
Un commento su questa frase del cardinale: "I giovani sono il nostro maggiore assillo, i giovani e il loro magro presente"...
Commento brevissimo: ai giovani oggi chi pensa? Conosco ragazzi anche più che trentenni che hanno studiato realizzando successi di alto livello e che poi si ritrovano disoccupati. Conosco altri giovani che trovano sì il lavoro, ma in condizioni che non rispettano la loro dignità, quasi ricattati: se vuoi c'è questo, a queste condizioni, con una miseria di stipendio: se non ti va, arrangiati. Senza dimenticare il dramma delle assunzioni sempre temporanee, che sembrano una grazia inizialmente, ma a lungo andare creano situazioni di grave disagio personale. Davvero magro è il presente di molti giovani in questi anni. Oggi, pur nella difficile situazione economica del Paese, occorre che il problema giovani sia affrontato, promuovendo leggi che possano favorire il loro ingresso nel mondo del lavoro. Se i giovani restano senza lavoro a lungo, rischiano di perdere speranza per il futuro, e questo potrebbe rivelarsi un dramma. 
Il presidente della CEI ha anche parlato dello "spettro dell'astensione": è un timore fondato? 
Fondatissimo: sempre più sento persone che hanno votato in ogni occasione, magari turandosi il naso, dichiarare che l'anno prossimo, se i partiti non cambiano rotta, non andranno a votare. C'è una situazione di sfiducia nella politica o, magari, perlomeno negli attuali politici e partiti, tutti giudicati negativamente. E purtroppo, anche in questi giorni, da molte istituzioni giungono notizie talmente scandalose da fare pensare che l'antipolitica sia costretta a crescere di giorno in giorno. E la colpa di questo, lo sappiamo, non è della gente comune, ma di molti politici (e partiti). Se la maggioranza degli italiani l'anno prossimo non si recasse a votare, certo i partiti si spartirebbero ugualmente i seggi, ma con quale rappresentatività? Davvero sarebbe la democrazia a risentirne gravemente. Si tratterebbe di una democrazia dimezzata.

sabato, settembre 08, 2012

Intervista al professor Francesco Sylos Labini: «Occorrono investimenti pubblici per la ricerca»


Tra pochi giorni inizieranno il nuovo anno scolastico e il nuovo anno accademico. Scuola e università: pare quasi una banalità sostenere che un Paese che intenda inserirsi nella sfida della complessità contemporanea abbia grande necessità di una scuola e di un’università funzionanti, come e forse più delle materie prime e dell’energia. Eppure, questa sorta di “banalità” non riesce ad avere risposte adeguate, nel nostro Paese. Da noi, ormai, non si contano più gli interventi di riforma legislativa, cresciuti su se stessi spesso in maniera caotica, operati in modo rigorosamente bipartisan dai vari governi che si sono succeduti, anche se di orientamento politico diverso. Eppure, si tratta di interventi che hanno scontentato tutti, in modo davvero unanime: dai docenti ai ricercatori, ai genitori, agli studenti. Uno stato di disagio diffuso, alimentato anche dai tagli progressivi ai fondi destinati all’istruzione, dalla questione del precariato, dallo stato dell’edilizia scolastica e degli atenei, dalla scelta dei sistemi di reclutamento e di valutazione. Le ultime, accese polemiche si sono verificate al recente annuncio di un “concorsone” a cattedre per gli insegnanti delle scuole. Ne parliamo con Francesco Sylos Labini, ricercatore presso il Cnr, visiting professor presso il Dipartimento di Fisica della Università Cattolica degli Studi di Brescia, dove insegna Astrofisica, autore (con Stefano Zapperi) del volume “I ricercatori non crescono sugli alberi”.
Professore, so che non è facile, ma proviamo: come definirebbe la nostra scuola e la nostra Università?
«La nostra università sta vivendo, in questi anni, una situazione molto critica: ancora diverse parti funzionano bene, ma i legislatori e la politica stanno facendo di tutto per distruggerle. Già prima del ministro Gelmini, il sistema universitario non godeva di buona salute; poi è arrivata lei con una riforma terribile, peggiorando la situazione. Infine, ora, il ministro Profumo sta dando il colpo di grazia all'università. Tutto questo accade perché in Italia manca la consapevolezza culturale e politica del fatto che una società avanzata come la nostra abbia il dovere di finanziare università e ricerca. Ricordiamo ad esempio quando Berlusconi era in carica come presidente del Consiglio: gli chiesero le motivazioni dei tagli alla ricerca e lui rispose “perché dobbiamo pagare uno scienziato quando facciamo le scarpe migliori del mondo?”. Questo dimostra che i docenti e i ricercatori sono visti solo come i "baroni" che sistemano mogli, amanti e figli, o come degli scienziati che risolvono problemi astrusi. Accanto a tutto ciò, in Italia abbiamo una classe imprenditoriale che non ha la cultura della ricerca e dell'innovazione. Si tratta infatti di investimenti ad alto rischio e che hanno un ritorno solo sul lungo periodo, mentre il privato vuole vedere risultati concreti nell'immediato. E' questo uno dei motivi per cui il compito di fare questo tipo di investimenti dovrebbe spettare prioritariamente allo Stato».
Il ministro Profumo sostiene che il Governo stia procedendo ad una valutazione oggettiva e corretta della qualità delle nostre Università e dei suoi docenti …
«Innanzitutto, voglio far notare che l'Agenzia di valutazione che era stata istituita con la riforma Gelmini, e che sta lavorando ancora adesso, utilizza criteri di valutazione che non esistono in nessun altro paese al mondo. Dare un giudizio al settore universitario è un'operazione molto delicata, che tocca la libertà del ricercatore, e se fatto male può causare danni a interi settori di ricerca; per questo dovrebbe essere svolta da persone veramente preparate. Invece l'Agenzia italiana è affidata a gente incapace e irresponsabile. Con il rischio che scompaiano un paio di generazioni di ricercatori, cosa che peraltro sta già accadendo, un po' perché le Università non hanno risorse per assumere, un po' perché i pochi che verranno assunti verranno scelti con criteri che a livello internazionale sono stati screditati. Questa perdita comporterà, purtroppo un buco in alcuni campi di ricerca, per cui le competenze attuali non potranno venir trasmesse e verranno irrimediabilmente perdute. Oggi vi sono campi in cui la ricerca italiana è ancora vincente, ma rischiamo di perdere anche quelli».
Alla luce di tutto questo, qual è lo stato della ricerca nel nostro Paese?

«Innanzitutto bisogna sfatare il mito delle posizioni in classifica dell'università italiana rispetto agli altri paesi. Vi sono infatti classifiche internazionali in cui risultiamo sempre agli ultimi posti, ma esse non si basano solo sulla qualità dell'insegnamento, ma anche su parecchi indicatori infrastrutturali, in cui in effetti l'Italia va molto male. Nelle classifiche effettuate invece solo sulla base delle pubblicazioni e delle citazioni, che sono poi i veri parametri di misurazione per la qualità della ricerca, l'Italia è settima nel mondo, con un sistema universitario che si attesta quindi come efficiente, specialmente in determinati settori, come matematica, biologia, fisica, scienze informatiche. Un'efficienza dimostrata dal fatto che quando i nostri giovani laureati fanno concorsi all'estero li vincono molto spesso. Tuttavia questa tendenza positiva rischia di invertirsi, proprio perché in Italia non si investe nella ricerca, e dunque i ricercatori emigrano. Con tutto ciò non possiamo negare che nel nostro Paese vi siano delle inefficienze e delle persone che davvero non lavorano, ma sono legate prioritariamente al settore delle professioni, come medicina o legge. Questo perché vi sono docenti con il doppio lavoro, che tengono le cattedre ma poi non insegnano ».
La valutazione, la meritocrazia, la trasparenza… concetti che vengono continuamente ribaditi. Viene il sospetto che parlarne tanto dissimuli l’incapacità o la non volontà di procedere in questa direzione. Quali strumenti sarebbero necessari?
«Non c'è nulla da inventare, in realtà: tutto è già stato sperimentato. Basterebbe andare a guardare come funzionano le cose in paesi simili al nostro, come la Francia o l'Inghilterra, e vedere in che modo lì hanno risolto tali problemi, a partire dalla valutazione. Perché in Italia si devono inventare dei criteri che non esistono altrove? Ad esempio, sarebbe sufficiente responsabilizzare le scelte: chi decide di assumere una persona, dovrebbe anche essere responsabile dei risultati da essa ottenuti, e del suo comportamento».

Da Scilipoti a Giggino a’ purpett


Il mondo è bello perché è vario: lo diceva sempre mio nonno. Un detto che è stato sempre vero, ma mai, forse, come in questi ultimi anni. Abbiamo visto succedersi tutto e il contrario di tutto. Gli eccessi di politica e l’antipolitica. Gli sprechi e la crisi. Mi dicono che in molte amministrazioni pubbliche si stiano invitando i dipendenti (che, magari, già lo fanno per educazione propria) a non sprecare, a spegnere la luce nelle stanze non usate, a stampare su carta il meno possibile. Molto bene. Però diciamocelo: quante auto blu vediamo ancora in giro, nonostante le “strette” più volte annunciate? Ragionare così non è antipolitica, ma lotta al privilegio. Tornando alla grande varietà del mondo: abbiamo il linguaggio politichese di un D’Alema e di un Alfano, e le urla invasate di Grillo. Ma non solo: pensiamo all’”eroe” del giorno, Giggino a' purpett, cioè l’onorevole Luigi Cesaro, il deputato, presidente della Provincia di Napoli. Coinvolto anche in una indagine sulla camorra. Bene, in occasione del vertice mondiale dell'Onu sulle città, l’on. Cesaro, davanti a una platea di autorità internazionali, ha fatto un intervento, che sta spopolando su youtube, definito da qualcuno “degno di Totò”. Sì, ma di Totò quando recitava le sue macchiette migliori. In realtà, una cosa penosa, da nascondersi dalla vergogna. Inutile: finché avremo degli incompetenti nei posti di potere, difficilmente potremo fare sostanziosi passi in avanti. Speriamo di avere la possibilità alle prossime elezioni di poter scegliere coloro che ci dovrebbero rappresentare. Abbiamo un governatore italiano della Bce, Draghi, che si sta battendo con intelligenza e determinazione per la salvezza dell’euro e delle economie europee; abbiamo un premier, Monti, che, comunque la si pensi, è ascoltato e rispettato. Ma, allo stesso tempo, siamo stati la patria del bunga bunga, di Scilipoti e ora di Giggino a' purpett. Così non può andare. Un mondo vario in questo modo, non va.

sabato, settembre 01, 2012

Intervista al professor Sdogati: «Contenere il deficit, un pretesto per privatizzare il patrimonio pubblico»

"La crisi dei debiti pubblici non è crisi economica, bensì crisi della politica"

di Daniele Tamburini
Agosto è appena finito, ma, nonostante le molte tensioni politiche ed economiche che lo hanno attraversato, non si è verificata la temutissima crisi devastante sui mercati e sul rendimento dei nostri titoli di Stato. Certo, lo spread con i titoli tedeschi ha un andamento altalenante. Certo, diversi soggetti, in Germania, stanno dirigendo una selva di duri colpi nei confronti di Mario Draghi, il governatore della Banca Centrale Europea, reo di aver dichiarato, a inizio agosto, che la Bce era disposta ad agire, se necessario, con misure eccezionali contro la crisi, anche mediante l’acquisto sul mercato del debito pubblico dei Paesi in difficoltà. Uno per tutti, il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha criticato questa idea, definendola, in un'intervista al settimanale Der Spiegel, come «un finanziamento degli Stati con una stampatrice di banconote ». Di più: il finanziamento della Bce potrebbe indurre alcuni Paesi «all'assuefazione, come se fosse una droga». Una critica assai pesante, quindi. Sullo sfondo, la imminente campagna elettorale tedesca, l’incertezza politica in Italia, le prossime elezioni negli USA, il cambio di guardia politico in Francia, la situazione drammatica della Grecia, la recessione europea e il rallentamento dell’economia globale eccetera. Una situazione di grande complessità, in cui il nostro Paese cerca di procedere faticosamente, sperando di intravedere una luce in fondo al tunnel: luce che, peraltro, è stata annunciata dal governo, in testa il premier Monti. Parliamo di questi temi con il professor Fabio Sdogati, docente di Economia Internazionale presso il Politecnico di Milano, autore di molte pubblicazioni sul tema e del sito www. scenarieconomici.com. 
Professor Sdogati, come mai questo agosto è stato meno “infuocato” del previsto, sul piano economico-finanziario? 
Lungi da me dire che era prevedibile, ma certo è spiegabile. Si ricorderà certamente il periodo che io ho definito della ‘diarchia Merkel-Sarkozy’, un periodo in cui i paesi membri dell’area euro erano divisi in buoni e cattivi, formiche e cicale, sciocchezze del genere. Poi, da novembre scorso in avanti, sono arrivati Monti e, da poco, Hollande. E la diarchia, che comunque stava perdendo Sarkozy per ragioni di politica interna francese, cominciava a perdere sistematicamente di potere. Il lavoro che il Presidente Monti ha fatto, e sta facendo, sul piano internazionale è preziosissimo. La sua capacità di smussare, ricucire, ricomporre, intravedere terreni di compromesso è veramente notevole, e sta dando frutti visibili. Ciò che voglio dire è che i cosiddetti ‘mercati’, che altro non sono che le banche, gli intermediari finanziari, i fondi di investimento, stanno cominciando ad intravedere l’emergere di una leadership europea progressivamente sempre meno succube ai loro voleri, come era vero invece ai tempi della diarchia, e dunque le attività speculative stanno rallentando per ampiezza e intensità. La situazione politica internazionale e quella interna ai singoli Stati che peso ha in questa fase? Sostengo dall’autunno del 2009 che la cosiddetta ‘crisi dei debiti pubblici’ è non crisi economica, bensì crisi della politica. Abbiamo un’Unione Europea che, a causa degli egoismi nazionalisti dei governanti dei paesi membri, ha smesso di progredire sulla strada dell’integrazione e dell’unità. L’aver voluto distogliere l’attenzione dalla globalità della crisi alla cosiddetta ‘crisi greca’ ci ha fatto perdere tempo prezioso e opportunità preziose per il rilancio dell’economia europea. 
Che ne pensa delle inedite “promozioni” che sono arrivate, per l’Italia, dalle agenzie di rating? 
Per poter rispondere a questo quesito occorre aver chiaro che i giudizi delle agenzie sono prodotti in vendita. In questo essi assomigliano a qualunque prodotto e servizio offerto a mercato. Chi acquista i servizi delle agenzie di rating? Le imprese, ad esempio, che fanno valutare i propri titoli obbligazionari prima di emetterli; i fondi pensione e i fondi di investimento, i quali vogliono conoscere la valutazione delle agenzie prima di decidere se aggiungere un certo titolo al proprio portafoglio. E fin qui non c’è nulla di strano. Ciò che da potenza alle agenzie è il fatto che i gestori dei fondi sono obbligati a seguire le loro indicazioni, vale a dire ad acquistare soltanto quei titoli che sono caratterizzati da un certo rating minimo. E’ evidente come una variazione del rating di un certa obbligazione, pubblica o privata che sia, induce, grazie a questi automatismi, flussi di acquisti e di vendite di enorme valore finanziario. Ma non basta. Il vero problema, infatti, è che questi stessi meccanismi adottati dai fondi di investimento sono stati adottati dalle stesse banche centrali. Fino al maggio del 2011, ad esempio, la Bce dava credito soltanto a quelle banche che offrissero come collaterale, cioè come ‘garanzia’, titoli con un certo rating. In altre parole, le istituzioni hanno concesso alle agenzie, ovvero a degli enti privati, il modo di vincolare le proprie azioni. È questo il vero dramma, la vera capacità distruttiva dei giudizi delle agenzie. Per rispondere puntualmente al quesito: i giudizi negativi degli anni passati hanno contribuito molto a generare una recessione che sta devastando le economie del sud Europa –e che sta cominciando ad attaccare anche l’economia tedesca. Anche se dovessero aver cambiato direzione, il loro contributo alla ripresa sarà molto, molto marginale: poiché la sfiducia è stata ormai disseminata con grande cura; e dovranno passare anni prima che si torni alla situazione pre-2007. 
Il suo parere sull’attivazione dello scudo antispread? Alcuni (citiamo, tra gli altri, Ricardo Levi) sostengono che ostinarsi nel rifiutarlo sia pericoloso... 
 Il cosiddetto ‘scudo antispread’ è uno tra i tanti strumenti di intervento ideati per contenere la violenza con cui banche e fondi di investimento hanno approfittato delle carenze nella governance dell’Unione Europea a partire dall’agosto del 2007. E’ uno strumento complesso, nuovo, e ovviamente ciascun governo nazionale lo vorrebbe (o non lo vorrebbe) veder operativo secondo i propri interessi. 
L’attivazione presupporrebbe veramente una perdita di sovranità nazionale? 
Senza alcun dubbio! Ma non è forse questo che i padri fondatori dell’Unione Europea avevano in mente? Non è forse vero che il percorso iniziato con il Trattato di Parigi del 1951 doveva andare proprio in questa direzione, di potere nazionale decrescente e poteri crescenti degli organi comunitari? Questo era, ed è tutt’oggi, il sogno. E, ironia, oggi è anche una necessità: a meno che non si decida di morire schiacciati tra Cina da un lato e Stati Uniti dall’altro, divisi in tanti ‘paesini’ ciascuno con la sua ‘politichina’. Mi chiedo spesso: chi ha paura della scomparsa dello stato-nazione? Soltanto chi pensa di vivere nel migliore dei mondi possibili, cioè nel migliore dei paesi possibili. Un pensiero piuttosto infantile, non trova? 
Che ne pensa delle varie “ricette” per tagliare il debito pubblico: quella di Alfano, quella Amato-Bassanini, quella di Alberto Quadrio Curzio e Romano Prodi? Tutte basate, comunque, su una manovra che riguarda il patrimonio pubblico… 
Ho affrontato questo problema in due lavori separati: presentai il primo, datato 23 marzo, alla riunione degli alumni del Mip e del Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano; presentai il secondo, datato 23 maggio, ad un incontro a Reggio Emilia. Entrambi i testi sono, ovviamente, disponibili su www.scenarieconomici.com La tesi che sostenevo in quei lavori è che la fanfara assordante circa la necessità di contenere il deficit corrente delle pubbliche amministrazioni altro non è, appunto, che una fanfara. Il cui scopo è chiarissimo da molto tempo a chi abbia voglia di vedere: distogliere l’attenzione dalle operazioni di privatizzazione del patrimonio pubblico. E non parlo, ovviamente, di quattro caserme diroccate o qualche chilometro di spiaggia, come si è dovuto sentire in passato: parlo di privatizzazione delle municipalizzate, della sanità, dell’istruzione. Dal mio punto di vista, tutte le proposte che Lei menziona si equivalgono, poiché in nessuna delle forme proposte, o proponibili, le privatizzazioni saranno in grado di attivare l’uscita dalla crisi. Quantomeno, non per anni a venire. Ciò che aiuterebbe enormemente, invece, è uno strumento che conosciamo da decenni e che ha sempre funzionato: spesa pubblica. Certo, concordo che le condizioni presenti non consentono a governi nazionali dell’area euro di agire individualmente in questo senso, né essi lo farebbero, vista l’ideologia cosiddetta ‘del libero mercato’ che prevale al loro interno e tra i loro consiglieri. Ma pensiamoci: una spinta di spesa pubblica coordinata a livello di tutta l’Unione Europea, come in fondo chiede anche la Commissione Europea, sarebbe un passo enorme tanto nella direzione dell’integrazione che in quella della crescita. Mi permetto di consigliare, a chi ne ha voglia e tempo, l’ultimo libro di Paul Krugman, premio Nobel per l’economia 2008, disponibile anche in italiano. 
Una domanda difficile, che però facciamo sempre: ce la faremo? E a quali prezzi? Davvero si intravede la luce, come dice il premier Monti? 
Credo che la risposta corretta al Suo quesito richieda che si chiarisca anzitutto chi siamo ‘noi’. E al contempo che cosa si intenda per ‘farcela.’ Se per ‘noi’ intendiamo l’esistenza dell’euro, la risposta è: assolutamente si, come è stato ribadito in termini categorici ancora soltanto pochi giorni dal Presidente van Rumpoy, e prima di lui dal Presidente Draghi, e da molte persone serie. L’euro non si discute. Punto. Se invece per ‘noi’ intendiamo l’Italia, allora occorre ricordare che la crisi non è uguale per tutti. La pagheranno relativamente poco i pensionati, la pagheranno durissimamente i giovani, e per decenni a venire; ne usciranno benissimo gli intermediari finanziari. Se poi per ‘farcela’ intendiamo il ritorno ad un tasso di crescita dell’economia accettabile, che consenta il riassorbimento della disoccupazione a livelli pre-2007, la risposta è certamente positiva: ma occorreranno anni e anni perché ciò accada. 
Grazie Professore.

sabato, agosto 04, 2012

Le interviste impossibili: Sofonisba Anguissola


La bella pittrice cremonese
Sofonisba Anguissola: una vita da “virtuosa nobildonna”, grande artista allieva di Bernardino Campi

Signora Anguissola, lei ha avuto l’onore di una citazione anche da parte di Giorgio Vasari, pittore di valore, ma certo più conosciuto come autore delle “Vite” di artisti famosi .. 
«Anche lei con questa storia… come se tutta la mia fama, il mio valore, la mia capacità debbano essere garantite solo dal fatto che un uomo, notoriamente misogino, mi ha citato nella sua opera! Sa quanti errori ha fatto Vasari?». 
Mi scusi. Pensavo che le facesse piacere. 
«E perché, invece, non mi chiede dove ho imparato a dipingere, dove ho lavorato, dove ho fatto esperienza? Lei si immagina cosa voglia dire, in quegli anni, nella seconda metà del ‘500, viaggiare per L’Europa, giungere in Spagna, essere accettata a corte, diventare la ritrattista ufficiale della regina Elisabetta di Valois?». 
Ci descriva la vita di corte, per favore. 
«Con piacere. Fortunatamente, io ero stata educata in modo da sapermi destreggiare, con grazia, arguzia, leggiadria, in un ambiente così. La mia signora, la regina Elisabetta, era moglie di Filippo II. Era la bella figlia di Enrico II di Francia e di Caterina de’ Medici. Povera la mia dolce regina… morì giovanissima, a 23 anni. Non dia retta a chi sostiene che avesse una relazione troppo affettuosa con il figliastro Don Carlos… negli intrighi della corte, il principe ereditario trovò in Elisabetta un sostegno, una buona amica, una sincera amicizia. E lei trovò una persona coetanea: aveva dovuto lasciare la madre, le amiche. E che gioia, quando nacquero le principessine, le infante… ho fatto loro molti ritratti, sa? La sua morte fu un momento terribile, .anche per il sovrano». 
Com’era la corte spagnola? 
«Era sontuosa, ricchissima, anche se un po’ cupa. Il mio signore, il re Filippo, era custode della religione cattolica, e fece costruire l’Escorial. Il suo dominio era incredibilmente vasto: dall’Europa all’America latina». Torniamo a lei, donna Sofonisba. Alla sua formazione, alle sue esperienze… 
«Sono molto riconoscente al mio maestro cremonese, Bernardino Campi. Non dipingevo solamente io, in famiglia, ma anche le mie sorelle (eravamo in sei). È stupito dal fatto che le donne, a quell’epoca, avessero la possibilità di coltivare questa inclinazione?». 
Beh, un po’ sì … Lei, tra l’altro, è molto citata nelle testimonianze del tempo: si citano spesso alcune sue opere, si parla di lei come della “bella pittrice cremonese”, e … non si arrabbi, per favore … Vasari rammenta alcuni suoi “bellissimi” ritratti e parla di lei come di una “virtuosa nobildonna”. 
«Non dimentichi che nello stesso “Cortigiano” di Baldassarre Castiglione si prescriveva la necessità, per le donne del ceto aristocratico-borghese, di coltivare le lettere e le belle arti. Si prevedeva un modello femminile in grado di far coesistere le virtù squisitamente femminili con la capacità di intrattenere, di conversare... oggi direste, di stare in società. Lei conosce Partenia Gallerati?». 
No … dovrei? 
«Era una cremonese come me, nata alcuni anni prima, una erudita, una fine conoscitrice dei classici greci e latini. Studiava e scriveva, e pensava che le donne dovessero acquisire il sapere umanistico. Sa che fu apprezzata anche dalla regina francese Margherita di Navarra?». 
Parliamo di lei. 
«Amavo la ritrattistica. Quei volti, quegli abiti, quelle espressioni dietro le quali cercavo di indovinare il loro essere più segreto. Non era semplice: lo stile dell’epoca era molto rigido, molto controllato. Però sono soddisfatta, sinceramente, della mia opera e della mia vita. Il mio primo marito, un nobile ispano-palermitano, morì tragicamente, purtroppo, ma, quando non pensavo più all’amore, conobbi Orazio, che sarebbe diventato il mio secondo, adorato marito, un nobile genovese, un marinaio. Sì, ho avuto tante soddisfazioni… ma le voglio raccontare l’ultima». 
Ci dica… 
«Il grande Antoon Van Dyck, di passaggio a Palermo, volle conoscermi. Era diventato a sua volta pittore ufficiale della corte di Spagna, e era sedotto – mi disse – dalle mie opere. Lo sa? Volle farmi il ritratto. Ci vedevo ormai pochissimo, ero tanto anziana, ma lo apprezzai moltissimo». 
Se lo meritava, donna Sofonisba. Grazie.

domenica, luglio 29, 2012

Le interviste impossibili: Dante Alighieri


Quante volte ci siamo chiesti: se Dante fosse messo davanti allo schermo di un computer, e osservasse la scrittura che nasce attraverso gli impulsi su una tastiera, piuttosto che dal movimento articolato della mano, cosa direbbe? E se Newton conoscesse gli studi sul bosone di Higgs? E Mozart, condotto ad un concerto rock? E se Maria Curie potesse osservare gli esiti diagnostici e gli sviluppi della scoperta del radio? E Napoleone, se vedesse una guerra condotta con missili e droni? Il gioco potrebbe continuare all’infinito, in un rimando di citazioni e meraviglie ininterrotto. Allora, ci siamo detti: proviamo. Proviamo a far parlare alcuni di questi personaggi, ponendo loro domande sul nostro oggi. Una sorta di “interviste impossibili”: con quel tanto di leggero ed ironico – vogliamo sperarlo – da risultare di piacevole lettura.

di Agostino Francesco Poli

Ahi serva Italia, di dolore ostello
Un’invettiva contro chi lascia andare a male la storia, la cultura, l’arte dell’Italia

Verrebbe da chiamarla “Dante”, come usiamo conoscerla a scuola, come ci viene insegnato fin dai primi anni di studio… ma temo di osare troppo. 
«No, la mi chiami pure Dante… l’è un nome bello, importante. Lo sa cosa significa? ».
No, me lo dica. 
«Significa colui che perdura. Che persevera. E, da quello che vedo, la mia opera perdura davvero… La mia opera: “'l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, sì che m'ha fatto per molti anni macro”. Ci ho lavorato davvero tanti anni, sa? Diciassette. Ero giunto, o almeno credevo, “nel mezzo del cammin di nostra vita”. In realtà, la malaria mi ha sopraffatto molto prima.
 La vedo corrucciato. Allora, non si tratta solo di una tradizione iconografica, che la ritrae così… 
«Non ho mai trovato eccessivi motivi di felicità. Secondo lei, che c’è da ridere? Mica sono un umorista: a me si confacevano la grande poesia, l’invettiva, il trasporto lirico, ma non la poesia da mammolette!
Eppure, Dante, lei ha scritto uno dei componimenti d’amore più belli di sempre, il canto di Paolo e Francesca. Per non parlare delle sue poesie, del Dolce Stil Novo. 
Il Dolce Stil Novo è cosa di gioventù, quando rimavo: “Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io/fossimo presi per incantamento,/e messi in un vasel ch'ad ogni vento/per mare andasse al voler vostro e mio”. Poi, sono arrivati l’impegno politico, la partecipazione alle vicende della mia città e del mio tempo, l’Imperatore ed il Papa, i Guelfi ed i Ghibellini, gli incarichi da ambasciatore, e il duello, a distanza ma durissimo, con il papa nemico, Bonifacio VIII. Sa che sono stato cacciato da Firenze, la mia città? che ho vissuto in esilio per venti anni? «Tu proverai sì come sa di sale/lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e 'l salir per l'altrui scale».
Lei amava Firenze? 
«Firenze … la amavo e la odiavo. Ho reso grande anche Farinata degli Uberti, pur se ghibellino, pur cacciandolo nell’Inferno, dove meritava di stare, perché, dopo la vittoria di Montaperti, si oppose a che Firenze, sconfitta, fosse distrutta».
E che ci dice delle cose di oggi? Questa nostra Italia, come la vede? 
«Io ho creato la vostra lingua. Ho usato il cosiddetto “volgare”, gli ho dato dignità e grandezza poetica. Ho creato figure indimenticabili, come il poeta Sordello da Goito: è nel Purgatorio, ma pensa tanto alla sua patria, all’Italia, con nostalgia e dolore. Si ricorda?».
Sì.. quei versi indimenticabili, che spaventano un po’. 
«Sono versi di rabbia. Molto più importante della nostalgia è la rabbia che ne sgorga, in cui si tramuta. “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, // non donna di provincie, ma bordello!».
Parrebbero adatti al nostro oggi, in un certo senso. 
«Lo sono. Vivete in un Paese ancora ricco, forte, dotato di tradizione e bellezza incommensurabili. Perché non ve ne avvalete? Perché li gettate via? Lo sa cosa ho sentito dire?».
Che cosa? 
«Che a Firenze, nella mia città, la più bella città del mondo, ovvia… me lo faccia dire! Insomma, a Firenze non c’è modo di conservare ammodo le pergamene su cui scrivevamo ai miei tempi! Ma le pare possibile? Pare che non ci sia denaro per evitare l’umidità e il caldo! Ma dico io, siete andati sulla Luna! E non c’è modo di conservare le pergamene che narrano la storia e la memoria di una città come Firenze! Altro che intervistarmi: dovrebbe denunciare queste cose! Tutti i giornali, visto che ce li avete a disposizione, e anche quella cosa, Internet… tutto dovreste utilizzare, per un’invettiva come quelle mie, contro chi lascia andare a male la storia, la cultura, l’arte dell’Italia! Ah, potessi tornare indietro! Io scrivevo a mano, ci pensa? Potessi usare la stampa, potessi essere nato ai tempi di Gutenberg! Potessi scrivere cose da diffondere in centinaia, migliaia di copie! Sarei diventato il maggior polemista di tutti i tempi! La prego, mi dica: che ne penserebbe di un pamphlet sulla situazione politica ed economica del vostro tempo, che terminasse con “Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate”?».
Penso che sarebbe un enorme successo, caro Dante, padre dell’Italia verso cui proviamo un amore dolceamaro. La ringrazio.

Elezioni: grande preoccupazione per gli investitori


Paolo Manasse: «La tendenza dei mercati è sfuggire prima di tutto dai paesi con il debito più elevato, come l’Italia»
Secondo il docente, «La politica in Italia è un problema: né destra né sinistra hanno la minima idea di come muoversi»

di Daniele Tamburini

Se ci limitassimo a guardare i fatti, la quota che sta toccando in questi giorni lo spread (cioè, il differenziale tra i nostri titoli di stato e quelli tedeschi) non è poi così dissimile da quella che contribuì a dare il colpo finale al governo Berlusconi, lo scorso novembre. E questo, nonostante l’opera di risanamento dei conti che il premier Monti ed il suo governo stanno portando avanti, anche con scelte dolorose e assai pesanti. Ovviamente, quella che terminò a novembre era un’altra storia: ma i timori e le perplessità stanno crescendo, e danno fiato anche a chi, come l’IdV, sostiene che Monti abbia fallito e che occorra andare al voto anticipato. Grandi manovre in vista delle prossime elezioni politiche? Senz’altro. Non se ne sottraggono, ormai da settimane, sia il Pdl che il Pd. Un’altra dimostrazione di poca responsabilità delle forze politiche? O magari, queste hanno davvero ragione, e la ricetta Monti non sta funzionando? Eppure, il nostro Paese è ancora robusto, sotto diversi punti di vista (ad esempio, nel manifatturiero), e ha un Pil neppure paragonabile a quello, per esempio, della Grecia. Ne parliamo con il professor Paolo Manasse, docente di Politica Economica all’Università di Bologna.
Professor Manasse, una domanda secca, per iniziare: perché lo spread vola, nonostante la virtuosità, riconosciuta da più parti, del lavoro del governo in direzione del risanamento? 
«In questo periodo i mercati finanziari reagiscono a una serie di eventi, in parte di origine nazionale e in parte decisamente esterni all'Italia. Parte del problema, ad esempio ha a che fare con la crisi greca: è molto probabile che ci sia una opposizione da parte della Germania e del Fondo Monetario Europeo all'erogazione di una terza tranche di aiuti alla Grecia, e questi potrebbe portare al Grecia a uscire dall'area euro. Dall'altro lato c'è la crisi spagnola, che si sta aggravando notevolmente, facendo sfuggire i mercati. Del resto, ci troviamo in una situazione in cui l'Europa sembra non voler prendere delle decisioni definitive, e questo fa allontanare ulteriormente i mercati dalla zona Euro, che sta diventando sempre più fragile, tanto che iniziamo a sentire i primi scricchiolii anche in Germania. La tendenza dei mercati è sfuggire prima di tutto dai paesi con il debito più elevato, come l'Italia: le azioni restrittive del Governo potranno avere un effetto benefico nel lungo periodo, ma nel breve hanno un effetto negativo sull'economia. Del resto nel nostro Paese ci sono anche delle responsabilità nel non fare determinate scelte politiche attraverso la Banca d'Italia. Non dimentichiamo che il Fondo salva stati, senza l’aumento della sua dotazione, o senza la possibilità di ottenere credito illimitato da parte della Bce, è destinato a non decollare.
Perché la speculazione ha come obiettivo l’Italia? C’è una debolezza strutturale? 
«Effettivamente è proprio così: l'Italia è caratterizzata da un'evidente carenza strutturale. E' il Paese che cresce meno in Europa e il fatto che i tassi di interesse aumentino costantemente mette ancora più in difficoltà la solvibilità dello Stato Italiano. Ricordiamo che l'aumento di un solo punto percentuale del tasso ci costa circa 20 miliardi, ossia la metà dell'incasso dell'Imu. Questo ci mette in una situazione di grande vulnerabilità».
Il premier Monti dice: se la situazione rispecchiasse la realtà delle cose, lo spread dovrebbe essere a quota duecento. È d’accordo?
«Nessuno può dire con certezza come potrebbero essere le cose. Quello che credo sia vero è che l'aumento dello spread riflette in parte ragioni che non hanno a che fare con l'Italia. Diciamo che su un 520 di spread, solo circa la metà dipende dalle scelte del nostro Paese».
Quanto ha inciso su questa situazione il rinvio a settembre della decisione della Corte costituzionale tedesca sullo “scudo antispread”? 
«Credo non più di tanto. Anzi, direi che è stata una buona scelta quella di rinviare tale misura, in quanto attualmente lo scudo non ha soldi e non sarebbe efficace».
Rischio Spagna, rischio Grecia… sono rischi reali?
«Sono rischi molto reali. Se oggi dovessi scommettere qualcosa sulla Grecia, scommetterei sulla sua fuoriuscita dall'euro nel giro di un mese o poco più: a fronte della decisione della Germania di non continuare ad erogare aiuti al Paese, le speranze sono davvero ridotte al minimo. Allo stesso modo è reale il rischio in Spagna: in mancanza di un intervento europeo, le banche spagnole rischiano il fallimento, e lo Stato spagnolo non è in grado di salvarle. L'uscita della Grecia e un tracollo della Spagna influenzerebbero negativamente l'intera zona dell'Euro, con effetti decisamente pesanti».
L’instabilità politica del Paese, sempre in agguato, ha in ruolo in tutto questo? 
«Secondo me sì. La prospettiva di una futura guida politica per il Paese, di destra o di sinistra che sia, è vista con grande preoccupazione da tutti gli investitori, in quanto nessuno dei due schieramenti ha la minima idea di come muoversi. Le proposte di Berlusconi in merito all'uscita dell'Italia dall'area Euro, poi, hanno avuto come unico effetto quello di far aumentare lo spread, e questo è un grave problema, visto l'attuale situazione recessiva del Paese».
Si è parlato molto, in questi giorni, del cosiddetto “meccanismo europeo di stabilità” (Esm), che è stato approvato proprio nei giorni scorsi, nonostante le molte contestazioni. Secondo lei potrebbe essere uno strumento efficace? 
«Purtroppo no, in quanto esso non possiede risorse sufficienti per salvare Spagna e Italia. Questo strumento va a sostituire il Fondo europeo di stabilità finanziaria, ma ha una dotazione di circa 500 miliardi, decisamente insufficiente per ridurre lo spread. Tale fondo, tra l'altro, non solo non ha il capitale necessario, ma neppure la possibilità di ottenerlo indebitandosi presso la Banca Centrale europea. Dunque se il fondo di intervento, per il quale Monti si era strenuamente battuto, non ha risorse illimitate e gli squilibri persistono, il regime di fissazione dei prezzi prima o poi collasserà. Ad un certo punto si avrà un attacco speculativo dove gli investitori, che anticipano la caduta del prezzo, venderanno in massa al fondo di stabilizzazione, esaurendone le risorse. Questo fondo, quindi, potrebbe addirittura peggiorare la situazione».



lunedì, luglio 23, 2012

Le interviste impossibili: Karl Marx



Quante volte ci siamo chiesti: se Dante fosse messo davanti allo schermo di un computer, e osservasse la scrittura che nasce attraverso gli impulsi su una tastiera, piuttosto che dal movimento articolato della mano, cosa direbbe? E se Newton conoscesse gli studi sul bosone di Higgs? E Mozart, condotto ad un concerto rock? E se Maria Curie potesse osservare gli esiti diagnostici e gli sviluppi della scoperta del radio? E Napoleone, se vedesse una guerra condotta con missili e droni? Il gioco potrebbe continuare all’infinito, in un rimando di citazioni e meraviglie ininterrotto. Allora, ci siamo detti: proviamo. Proviamo a far parlare alcuni di questi personaggi, ponendo loro domande sul nostro oggi. Una sorta di “interviste impossibili”: con quel tanto di leggero ed ironico – vogliamo sperarlo – da risultare di piacevole lettura.

di Agostino Francesco Poli

Buonasera, Herr Marx. Risponderebbe a qualche domanda?
“Sì, ma ho un po’ di fretta. Devo discutere di alcune questioni con il mio amico Friedrich. Abbiamo lasciato in sospeso la definizione del socialismo scientifico”.
Mi scusi: Friedrich Engels?
“E chi, altrimenti?”
Bene, faremo presto. Lei ha indubbiamente segnato la storia del mondo, ma poi, per un po’ di tempo, è parso che il suo pensiero fosse messo in soffitta. Salvo essere richiamato proprio oggi, nella crisi attuale, in cui si parla di crisi di capitalismo, di rapporti di produzione etc.. Come ci si sente a sapere di averci visto giusto?
“Sbaglio, o qualcuno, dalle vostre parti, pochi anni or sono, parlava di “fine della storia”? Stupidaggine! Non mi sono mai divertito tanto, a leggerlo. Io ho sostenuto che la forza motrice della storia è la lotta di classe, che sono sempre esistite classi dominanti e classi dominate, e che la storia è un continuo movimento perché questa dialettica si trasformi. Altro che fine della storia! La vostra crisi, lo sa cos’è?”
No, ce lo dica…
“E’ un terribile, feroce, violento tentativo di riorganizzazione del capitale. Non è elegante autocitarsi, ma …”
Lo faccia, lo faccia…
“Ho scritto: "a un certo livello di sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà". Le forze produttive dell’Occidente sono entrate in contraddizione con fenomeni che non hanno potuto o saputo gestire (come la chiamate? La globalizzazione. O le stesse ondate migratorie, sintomo e risultato di una incredibile capacità di circolazione delle merci).
E allora?
“Io non ho scritto i Vangeli. Ma nelle mie pagine ci sono ancora molti spunti per cercare di leggere il vostro presente e trovare una via di uscita. Oggi, lo so, è tutto cambiato. Continuo a studiare, sa? L’organizzazione del lavoro e dei mercati è sconvolta, la divisione del lavoro e della geografia del potere pure; insomma, c’è una nuova configurazione dei soggetti che si confrontano. Ci sono nuove figure dello sfruttamento ( so dei precari, so dei lavoratori in nero), ma credo anche sia possibile fare leva sui punti di crisi e elaborare una nuova teoria del “valore comune”. Specie dopo quel che è successo al comunismo …”
Già. Uno dei motivi per cui lei è stato messo nella soffitta di cui parlavamo…
“Bah. A parte che le soffitte sono luoghi molto interessanti, devo dirle che il crollo dell’URSS non mi ha fatto strappare i capelli (e guardate che ne ho ancora tanti!). Chi ha voluto l’URSS fatta nel modo in cui venne realizzata, aveva letto poco di mio. Mi creda”.
Torniamo alla crisi. Ne usciremo?
“Non allo stesso modo in cui eravate, quando ci siete entrati. Ma senta, adesso faccio io una domanda: perché vi fanno tanta paura parole come “conflitto”, “classe”, “sfruttamento”? Basta assumere il fatto che esiste il punto di vista del capitalista, ma anche il punto di vista del lavoratore. Basta accettare che il capitalismo non sia un despota irresistibile, ma che la storia si svolge su uno scacchiere in cui il giocatore non è unico. Sono tanti i soggetti e le energie che possono confrontarsi e temperare la violenza della riorganizzazione capitalistica. È assurdo non riconoscerlo. È antistorico”.
Sta andando nel difficile…
“Voglio dire che il vostro mondo, quello che chiamate welfare, la protezione sociale e sanitaria eccetera sono nate dalla contraddizione, che sempre si rinnova, tra capitale e lavoro. Anche quando il lavoro è poco o nullo, come sta accadendo ora. Ho scritto che la macchina, nella sua relativa indipendenza, trasmette sì valore al prodotto, ma come lavoro morto. Solo l’attività degli operai, il lavoro vivo, permettono alle macchine di essere produttive. Sento parlare tanto di capitale finanziario, di finanziarizzazione. A parte che la parola è orribile (io scrivevo bene, sa?), ma dove sta, lì, il lavoro vivo? Non sarà che da lì nascono tanti problemi? Ma ora mi scusi, ho davvero un impegno”.
Con Engels…
“Mmm … beh, no: con Jenny, mia moglie. È baronessa di nascita, sa? Ed è intelligentissima, colta, politicamente molto consapevole. Ci scambiamo lettere anche se stiamo lontani solo un giorno. Oggi ne è arrivata una: io le avevo scritto … lo vuole sapere?
Certo!
“Io ti ho viva davanti a me e ti porto in palmo di mano, e ti bacio dalla testa ai piedi, e cado in ginocchio e sospiro: "Madame, io vi amo!”.
Bellissima frase! E sua moglie?
“Mi ha scritto una dolce lettera, indirizzata al “mio barbuto cinghialotto”
Grazie, Herr Marx. E porti i miei rispetti alla sua signora.


Le forbici sono utili, se c’è stoffa da tagliare


Vorrei essere chiaro: non intendo sparare su Monti, a prescindere. E' un governo che si e' trovato a gestire una situazione devastata e fortemente compromessa, e anche un po' imbarazzante. Ha fatto cose importanti: basti pensare che ha dato dignità e valore a chi paga le tasse. Ci ha evitato - per ora - il default. Ha assunto una nuova dignità in Europa. Ma, a volte, sembra che navighi un po' a vista. Non starò a ripetere la solita cosa dei provvedimenti tutti, o quasi, assunti sul piano dei tagli di spesa e delle tasse, e scarsi sul piano degli investimenti e dello sviluppo. Ci sono, però, alcuni elementi che davvero lasciano perplessi. Pensiamo alla questione riduzione delle ferie e accorpamento delle feste patronali al sabato o alla domenica. Per ora non ne fanno di nulla, ma un sottosegretario, Polillo, le invoca a spada tratta e dice che solo in Italia c'e' la cattiva abitudine a fare il "ponte". Scusate, ma c'e' di che essere allibiti. Le ferie? quando il lavoro non c'è, o ce n'è poco, davvero le ferie sono un problema? Le statistiche dicono che un italiano lavora come un giapponese, più di un tedesco. Il problema della produttività, allora, sta nella qualità di cosa si fa, non in quanto si lavora. Il problema sono gli investimenti in tecnologia e ricerca, per esempio. E l'abolizione dei "ponti"? Che ne pensano gli albergatori, i ristoratori? Non avevamo bisogno di far ripartire lo sviluppo, di cui il turismo e' una leva importante? Non dovremmo incentivare, visto che abitiamo nel Paese più bello del mondo, anche il turismo interno, oltre che quello d’oltreconfine? Non so, sono confuso. Vorrei capire che senso hanno questi annunci, se non ad aumentare la confusione. Però vorrei dire al premier Monti una cosa di semplice buon senso: che le forbici sono utili, ma quando c'è stoffa da tagliare.

Daniele Tamburini

sabato, luglio 14, 2012

Intervista a Guglielmo Forges Davanzati: «Il vero problema italiano? basso tasso di crescita e elevato disavanzo della bilancia dei pagamenti»

«Le politiche di austerità hanno effetto recessivo»

di Daniele Tamburini
Le misure previste nel decreto legge n. 95 del 6 luglio scorso (quello sulla cosiddetta spending review, o revisione della spesa pubblica) impattano fortemente su una spesa pubblica già sottoposta a tagli e riduzioni di trasferimenti statali da anni a questa parte. Dopo le tasse e le imposte, la riorganizzazione della macchina pubblica e la razionalizzazione della spesa. È presto per dire se tutto ciò porterà a ridurre gli sprechi o, piuttosto, a tagliare servizi. Alcune misure – vedi i tagli alla ricerca e la sostanziale deregulation della possibilità di aumentare le tasse universitarie - sembrano stridere con le intenzioni di crescita e sviluppo. Altre lasciano nel limbo di “decreti attuativi” la riorganizzazione della macchina pubblica periferica (la riduzione del numero e delle competenze delle Province). Sono pesantemente coinvolti la sanità (siamo sicuri che un piccolo ospedale è comunque inefficiente?) e la giustizia. Sono ancora previsti grandi tagli alla spesa delle Regioni e degli enti locali (alcuni hanno paventato di non poter riaprire le scuole a settembre). Sono tagliati gli organici di dirigenti e dipendenti pubblici (ma che fine farà, questa gente?). E la reazione del Paese? Protestano i sindacati, la Confindustria (ma con toni parzialmente attenuati, dopo il primo giudizio di Squinzi, che ha parlato di “macelleria sociale”, e la reprimenda di Monti) e la società civile. Alcuni economisti continuano a sostenere che la ripresa certamente non passa da tagli, riduzione di servizi, licenziamenti. Ma, nelle forze politiche, almeno in quelle rappresentate in Parlamento, c’è accettazione, a volte non molto convinta (quasi che sia l’ennesimo amaro calice da sorbire), a volte vigorosa (alcuni esponenti Pd hanno scritto che il loro partito dovrebbe portare l’agenda Monti nella prossima legislatura). La grande stampa plaude alle misure del governo, che incassa l’approvazione di Ue e Bce. Insomma, tutto bene? Ne abbiamo parlato con Guglielmo Forges Davanzati, docente di economia politica all’Università del Salento e saggista. Professore, vorrei partire proprio da questo: se la metà delle misure di spending review attuate o in via di attuazione da parte del governo Monti fossero state realizzate dal governo Berlusconi, si sarebbe verificata, su molti versanti, una vera e propria sollevazione. Adesso non è così. Perché? Cosa è cambiato, rispetto a un anno fa? 
Il Governo Monti fa gioco sullo stato di emergenza e, in larga misura, lo crea, diffondendo il timore di attacchi speculativi determinati da un eccessivo debito pubblico e il conseguente possibile fallimento dello Stato italiano. Occorre preliminarmente rilevare che un elevato debito pubblico non costituisce in sé un problema, se è data alla Banca Centrale la possibilità di acquistare titoli di Stato non acquistati da privati (il che non nelle prerogative della BCE). In altri termini, la teoria economica, ad oggi, non è in grado di stabilire il limite di sostenibilità del debito pubblico, se non rinviandolo a fattori extra-economici che, per loro natura, attengono alla sfera delle decisioni politiche. Non si spiegherebbe diversamente per quale ragione, a titolo esemplificativo, l’economia giapponese non ha un problema di eccesso di debito pubblico con un rapporto debito/PIL che supera il 220% (a fronte del 120% italiano). Il problema italiano consiste semmai nella fragilità dei c.d. fondamentali: basso tasso di crescita ed elevato e persistente disavanzo della bilancia dei pagamenti, innanzitutto. 
Qual è il suo giudizio complessivo sul decreto legge cosiddetto di spending review? 
La spending review è, nonostante quanto afferma il Presidente del Consiglio, una manovra fiscale di massicce dimensioni, che viene legittimata dalla lotta agli sprechi. “Spreco” è forse il termine più ricorrente nel dibattito politico italiano degli ultimi anni, eppure il suo esatto significato è piuttosto oscuro. Non si tratta, in questo caso, di avventurarsi in una disquisizione linguistica, ma di interrogarsi sugli effetti che l’uso di questo termine ha sulle principali scelte di politica economica. Il provvedimento sulla spending review (revisione di spesa) intende legittimarsi precisamente intorno a questa parola d’ordine, dato l’assunto (tutto da dimostrare) che tutto ciò che è pubblico è fonte di spreco, inefficienza, corruzione. La chiusura di ospedali, il licenziamento di funzionari pubblici, la decurtazione di fondi per la ricerca, la soppressione o l’accorpamento di Enti considerati inutili, la riduzione del numero di Province asseconda appunto il progetto dichiarato di riduzione degli sprechi. Il fine dichiarato è rendere la pubblica amministrazione più efficiente: il risultato consiste nell’ulteriore drammatica manovra di contrazione della spesa pubblica, con inevitabile aumento della disoccupazione e minore quantità (e qualità) di beni e servizi offerti dallo Stato, ovvero riduzione del potere d’acquisto delle famiglie. Si calcola che le misure adottate generano un effetto di decurtazione della spesa pari a 4,5 miliardi di euro per 2012, 10,5 miliardi per il 2013 e 11 miliardi per il 2014, con particolare riguardo ai tagli dei servizi sanitari (circa 13 miliardi di euro). Il tutto senza ridurre l’aumento dell’IVA, che verrà posticipato e che ammonterà a circa 4 miliardi di euro, in una condizione nella quale – in assenza di queste misure – il tasso di crescita previsto per il 2013 era di segno negativo, nell’ordine del meno 2-2.5%. Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria, ha definito questa manovra macelleria sociale. Difficile dargli torto. Va rilevato che il provvedimento di revisione di spesa parte da un assunto falso, ovvero che, nell’ultimo trentennio, la spesa pubblica in Italia sia sempre aumentata. Su fonte Banca d’Italia, si rileva, per contro, che, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, la spesa corrente ha cominciato a contrarsi, riducendosi, dal 1993 al 1994, da 896.000 miliardi a circa 894.000 miliardi. La spesa complessiva delle Amministrazioni pubbliche diminuisce dal 51,7% al 50,8% del PIL nel 1994 e, nel 1995, continua la riduzione dell’incidenza della spesa sul PIL, che raggiunge il 49,2%. Interessante osservare che, nel confronto internazionale con i principali Paesi OCSE, dal 1961 al 1980 (periodo nel quale la spesa pubblica in Italia è stata in continua crescita), lo Stato italiano ha impegnato risorse pubbliche in rapporto al PIL sistematicamente inferiori alla media dei Paesi industrializzati: a titolo puramente esemplificativo, nel 1980, il rapporto spesa corrente su PIL, in Italia, era pari al 41% a fronte del 41.2% della Germania. Il documento ministeriale imputa l’aumento della spesa pubblica nell’ultimo trentennio unicamente a una sua gestione inefficiente (p.e. la duplicazione delle funzioni a livello centrale e locale). Anche in questo caso, ci si trova di fronte a una tesi opinabile, per due ragioni. • 1. Senza negare che sprechi e inefficienze ci sono (e ci sono stati) nella gestione della cosa pubblica, occorre considerare che l’aumento della spesa pubblica, nel periodo considerato dal documento ministeriale, è stato essenzialmente finalizzato all’ampliamento delle funzioni dello Stato sociale (come del resto è accaduto nella gran parte dei Paesi OCSE, in quel periodo) che, a sua volta, si è reso necessario per venire incontro alla crescente domanda di giustizia distributiva in una fase storica caratterizzata da un elevato potere contrattuale dei lavoratori e delle loro rappresentanze nell’arena politica. Appare, dunque, a dir poco riduttivo ritenere – come fa il Governo – che la spesa pubblica è aumentata perché è stata gestita male. • 2. Non è chiaro perché la revisione di spesa venga effettuata a partire dall’andamento dei valori assoluti della spesa pubblica. L’andamento del valore assoluto della spesa pubblica non tiene conto delle variazioni del tasso di inflazione, così che non si hanno informazioni relative al suo andamento in termini reali. In ogni caso, anche assumendo l’ipotesi governativa, si rileva – su fonte Bundesbank – che, con la sola eccezione del 2004 e del 2011, la spesa pubblica in valore assoluto in Germania è costantemente aumentata. Può essere sufficiente rilevare che, nel triennio 2008-2010, la spesa pubblica in Germania è aumentata, nel 2008, del 3,16%, del 4,66% nel 2009 e del 3,8% nel 2010, e ben oltre il tasso d’inflazione, quindi anche in termini reali. L’aumento è imputabile essenzialmente alla crescita degli investimenti pubblici, dei salari dei dipendenti pubblici e della spesa per il pagamento degli ammortizzatori sociali. 
La spesa pubblica è davvero così mal gestita e pesante, nel nostro Paese? 
Ovviamente in alcuni casi lo è, e lo è soprattutto nelle aree nelle quali è alto il tasso di disoccupazione, dal momento che lì la Pubblica Amministrazione svolge la funzione (impropria) di datore di lavoro di ultima istanza. Se si pone la questione in questi termini, occorrerebbe creare semmai le condizioni per un aumento dell’occupazione per rendere meno frequenti i casi di corruzione e cattiva gestione della cosa pubblica. 
Si tratta di misure che impatteranno sulla qualità del welfare, o ne avremo un beneficio in termini di risparmio e razionalizzazione? In quale rapporto sta questa manovra con la riforma dell’articolo 81 della C.I., con cui è stato inserito in Costituzione l‘obbligo del pareggio di bilancio? 
Non vedo alcun vantaggio. Si tratta, come nel caso dell’introduzione del vincolo del pareggio di bilancio in Costituzione, dell’accelerazione di politiche di austerità il cui unico effetto è recessivo. In più, le politiche di austerità (aumento dell’imposizione fiscale e riduzione della spesa pubblica) sono del tutto inefficaci per l’obiettivo che si propongono – ovvero ridurre il rapporto debito pubblico/ PIL. Ciò per le seguenti ragioni: • 1.La riduzione della spesa pubblica (e/o l’aumento della pressione fiscale) riduce l’occupazione e dunque la produzione, con il risultato che, sotto date condizioni, il rapporto debito/PIL può semmai aumentare; • 2. La riduzione della spesa pubblica (e/o l’aumento della pressione fiscale), riducendo l’occupazione, riduce la base imponibile e, dunque, anche per questa via, può accrescere il rapporto debito pubblico/PIL; • 3 La riduzione della spesa pubblica (e/o l’aumento della pressione fiscale) riduce i mercati di sbocco a danno soprattutto delle imprese che operano su mercati locali, riducendone i profitti (o determinandone il fallimento) con ricadute negative su occupazione e PIL. Anche per questo meccanismo, quanto meno si spende (e quanto più si tassa) tanto più ci si indebita e tanto più si riduce la crescita. 
Perché – e lo si vede anche dai sondaggi – l’opinione corrente maggioritaria è che la spesa, l’amministrazione e il lavoro pubblico siano fonti di inefficienza? 
Non c’è dubbio che zone di inefficienza esistono, e – nella quotidianità – si sperimentano spesso. Ovviamente l’opinione corrente può essere largamente influenzata dalla propaganda dominante, ma va sottolineato che l’intervento dello Stato in economia è ciò che ha permesso la costituzione di un sistema di Welfare che oggi si intende smantellare. La sola possibile alternativa, perseguita da questo Governo, consiste nel privatizzare anche i servizi pubblici essenziali (sanità e istruzione, in primis). L’esperienza storica recente dimostra in modo inequivocabile che laddove si privatizza la qualità del servizio non sempre migliora, mentre l’unico effetto certo riguarda l’aumento dei prezzi.

Che fine sta facendo il “contratto sociale”?



Verrebbe da chiedersi: ma perché si è cittadini? A scuola ci parlavano del contratto sociale. Per far parte di uno Stato, ognuno di noi deve sottostare ad alcune regole: per esempio, pagare le tasse, osservare le prescrizioni del codice penale, del codice civile, e così via. In cambio, il cittadino sa che la sua sicurezza è tutelata, che i figli potranno andare a scuola, che verrà curato se si ammala, che riceverà una pensione al termine della sua vita lavorativa, eccetera. Perlomeno, queste erano certezze fino a poco tempo fa. Mi sembra che questo sistema di certezze si stia sgretolando, e forse sta qui la radice della grande paura che si sente crescere intorno. Altro che lo spread, ci pare di capire. Qui, se le compatibilità di bilancio non ci sono, tagliano la possibilità che tuo figlio possa frequentare l’università e che tu venga curato. Hai lavorato una vita, ti propongono l’”esodo”, poi scopri che non ci sono soldi per la pensione e così non hai né quella né il lavoro. O comunque non si hanno più certezze su quando potrai andare in pensione. Ma il patto, il contratto, dove sono finiti? Lo Stato non sta più onorando i suoi impegni nei confronti dei cittadini? Chi ha pagato le tasse, ha lavorato, si è comportato bene, quindi ha onorato le clausole contrattuali, pretende, giustamente, che vengano rispettati anche gli obblighi contratti dall’altra parte. Del resto lo stesso Mario Monti evoca il contratto sociale, quando dice che l’evasione fiscale è una grave violazione del patto tra Stato e cittadini. Sicuramente ha ragione. Ma allora, cosa dovrebbero dire i cittadini? Quando lo Stato non rispetta i patti, a quale giudice dovrebbero appellarsi? E’ a questo punto che la Politica con la P maiuscola dovrebbe, attraverso i partiti, farsi interprete… Per adesso, attendiamo fiduciosi.
Daniele Tamburini

sabato, luglio 07, 2012

Ma che colpa abbiamo noi?


Sapete una cosa? A me, come cittadino, questa continua chiamata in causa per condividere le colpe e le responsabilità' della crisi è venuta a noia. E' un coro di voci del tipo: siamo tutti responsabili, quindi tutti dobbiamo fare sacrifici. Ci ricordano continuamente che i conti dello Stato sono in dissesto per colpa della cattiva gestione della cosa pubblica, protrattasi per tanti anni. Sarà mica colpa mia? Sembrerebbe di sì, visto che anch’io, come quasi tutti gli italiani, sono chiamato a risponderne. Aumento delle tasse, aumento delle tariffe, età pensionabile che si eleva, minori servizi… Il fatto è che, quando la colpa è di tutti, non è poi di nessuno. Scrive il professor Giacomo Vaciago, nell'intervista che pubblichiamo su questo numero: “In Italia stiamo pagando il costo dei tanti errori commessi”. Nella vita ho certamente commesso tanti errori, ma non tali, credo, da aver procurato questo sfascio nello Stato. Pertanto, fuori i colpevoli, ma che siano i colpevoli veri, e comincino a pagare anche i responsabili del dissesto. Nel decreto sulla spending review ho visto un accanimento contro i dipendenti pubblici, quasi a rispondere a un diffuso sentimento, presente nell’immaginario collettivo, di rifiuto di tutto ciò che è pubblico, frutto di anni di campagne mediatiche superficiali e qualunquiste. Ma non ho visto gli annunciati tagli agli armamenti. Vorrà dire che saremo anche un paese con le pezze al culo, ma armato fino ai denti. Evviva.

Daniele Tamburini

sabato, giugno 30, 2012

Avulsi dalla realtà

L’Italia batte la Germania, almeno sul campo di calcio, e che gran bel calcio: una lezione. È presto per commentare gli esiti del vertice europeo in corso, ma sappiamo che la partita, lì, è dura, più che a Varsavia. Intanto, nonostante la cancelliera tedesca avesse detto che non le piaceva proprio il piano antispread di Monti, sembra ci sia stato accordo sull’individuazione delle misure per salvare l’euro. Vedremo. Qualcuno (Guido Gentili) ha detto che l’Italia, così come si è presentata a Bruxelles, è un Paese con il fiato grosso che cammina sull’orlo del precipizio. Lo sanno i commentatori, i giornalisti, gli analisti. Lo sa Monti. Lo sa, anche troppo bene, la gente comune. Lo sanno tutti? No. I politici, no; o almeno, questo appare dalle dichiarazioni che continuano a rilasciare. Roba da non credere. Prima l’uscita di Berlusconi: “pronto a fare il ministro dell’economia (sic) in un governo Alfano” (poi, come da copione, ha fatto marcia indietro, ma il danno ormai era fatto … ed è costato 16 punti di spread). Poi fanno intendere di voler andare al voto anticipato: sarebbe un disastro. Da ultimo Cicchitto, e qui siamo sul surreale, che sbraita: “Non toccate le nostre ferie, se ci toccate Agosto sarà crisi”. Una frase la sua che, se mai ce ne fosse stato bisogno, ha fatto imbufalire milioni di persone. La maggioranza dei politici sembra essere distaccata dalla realtà, lontana dai problemi della gente, ai cui la politica non dà risposte. Il loro teatrino sembra, a volte, rasentare la schizofrenia, non si rendono conto di quanto sta accadendo. Ormai da tutte le parti, è un coro, un boato, una marea che monta: di questa politica, di questi politici non ne possiamo più. Si gingillano con percentuali elettorali, calcolate però su chi vota. Nei sondaggi, ad esempio, il Pdl è dato al 17% dei votanti, ossia di circa il 62%; ma più propriamente questo 17% corrisponde a poco più del 10% degli aventi diritto al voto. Cari signori, se non vi svegliate, se non vi date una mossa, Grillo vi sommergerà. Grillo porterà a votare i delusi, gli arrabbiati, … tutti coloro che vorrebbero fare piazza pulita, nel bene e nel male. Altro che alchimie, altro che alleanze, altro che giochini di potere. E magari ci governerà, a furor di popolo, chi è pieno di buona volontà, ma che è senza esperienza, senza idea di come muoversi, orientarsi, comportarsi. Quando, oggi più che mai, c’è bisogno di persone preparate, competenti. Abbiamo visto le fatiche di Pizzarotti a Parma nel comporre la giunta. Eppure, i Berlusconi i Cicchitto i Maroni i Bersani i Casini dichiarano, e poi ancora dichiarano, e magari dichiarano... Un Paese in affanno sull’orlo del precipizio? Non lo so, ma certi politici sembrano danzare sulla tolda del Titanic, mentre la nave affonda.
Daniele Tamburini

sabato, giugno 23, 2012

Dateci almeno un senso di futuro



Sono tempi strani. Si dice che il premier Monti debba presentarsi, al vertice europeo del prossimo 28 giugno, con "qualcosa" in mano: riforma del lavoro, spending review etc. Ammettiamolo: c’è qualcosa di un po' surreale nell'immaginare l'austero ex rettore della Bocconi nei panni di uno studente con il compito fatto. Intanto, le notizie sicuramente positive del decreto sviluppo rischiano di essere sovrastate dal continuo senso di allarme in cui viviamo. Tante uscite estemporanee (la riduzione delle ferie? La mobilità per gli statali ultrasessantenni? Il moltiplicarsi, ahimè non dei pani e dei pesci, che aiuterebbe molti, di questi tempi, ma degli esodati?). Si apre il giornale e non si sa cosa aspettarsi. Invece la gente avrebbe bisogno di sperare in qualcosa, di vedere una luce in fondo al vicolo scuro e accidentato che percorriamo; avrebbe bisogno di essere certa che sta facendo sacrifici per il proprio futuro e per quello dei figli, invece che per combattere lo spread. Ma che spread d'Egitto, avrebbe detto Totò... Intanto, Monti potrebbe chiedere l'allentamento del patto di stabilità: 13 città metropolitane italiane potrebbero rimettere in circolo fondi per circa un miliardo di euro, che hanno lì, congelati, e che non possono spendere, fino a giungere a triplicarli, se potessero usare le giacenze di cassa. Sarebbe una bella boccata di ossigeno, lavoro, pagamenti, manutenzioni... insomma, un senso di futuro. Andremo in pensione più tardi, abbiamo pagato l’Imu, pagheremo sempre di più i servizi sociali, stiamo facendo rinunce... Io credo che sia giunto il tempo di cominciare a pretendere, almeno questo: appunto, il senso di futuro.
Daniele Tamburini

sabato, giugno 02, 2012

Diteci come stanno realmente le cose, perché stiamo diventando nervosi



Non ditemi che si tratta di un problema di linguaggio. Primo, le parole sono importanti; secondo, attraverso il linguaggio, per fare un esempio, si educa. C’è poco di educativo nel dire che il calcioscommesse è opera di 40-50 “sfigatelli”. Prandelli lo avrà detto con tutte le migliori intenzioni del mondo, ma le parole, appunto, sono importanti. E Buffon che si indigna? Io, quando la Nazionale giocava e si comportava bene, ero orgoglioso del mio Paese. Ne sono sempre orgoglioso, nonostante tutto. Certo non di quel che esprime il suo calcio. Non lo sono neppure granché del fatto che alcuni velivoli della nostra aeronautica militare verranno presto armati con missili e bombe a guida satellitare. Pare che siamo l’unico alleato ad aver ricevuto da Washington i cosiddetti “droni” e i relativi armamenti. Non so: che costi comporterà, tutto questo? Ma non dovevamo lavorare alla “spending review”? E le spese militari, non sono spesa pubblica? Sarà un mio limite, ma no, non ne sono orgoglioso. Lo sono, quando vedo il coraggio, la dignità, il senso del lavoro e dell’impegno ostinato e tenace delle popolazioni dell’Emilia, che lo dimostrano anche sotto le macerie. Quando vedo la catena di solidarietà e di reciproco aiuto che si è messa in moto. Voglio solo sperare che non ci siano telefonate dove qualcuno ride, pregustando affari futuri, e che non finisca come a L’Aquila: dice che anche il premier sia preoccupato del precedente abruzzese. A proposito: e Monti? Lo spread è a 460: ciò che è stato fatto finora non è servito a niente? L’allarme nazionale non c’è più? Allora, fatemi capire: dove sta la verità? In mano a chi siamo, veramente? Delle banche e della finanza non parla più nessuno: si sono tutti redenti? L’INPS chiude il 2011 con un attivo di 831 milioni di euro: ma come? Sembrava non ci fossero più soldi per le pensioni. Ci vorrebbe gente seria e che dica la verità.

Daniele Tamburini

sabato, maggio 19, 2012

Una maschera per ogni occasione


Mi dicono persone che sono state recentemente in Grecia: “E’ una specie di incubo. Il centro di Atene è quasi spettrale, la povertà è palpabile”. La minaccia Grecia continua ad essere agitata anche davanti a noi italiani, che siamo ancora e comunque vulnerabili, insieme alla Spagna. Oggi vorrei scrivere quasi soltanto domande. Lo spread è risalito, ma l'allarme che crea, mi pare, è più contenuto rispetto a qualche mese fa: perché? Abbiamo sopportato e stiamo sopportando sacrifici enormi. A causa dell'emergenza finanziaria? A causa di problemi strutturali dell'economia? Per tutti e due gli aspetti? Vado avanti: per il primo, il nuovo presidente della Consob Giuseppe Vegas, vice ministro all’economia nel governo Berlusconi, tuona contro lo strapotere della finanza. C’è da trasecolare: dov'era, finora? L'ABI, invece, tuona anch'essa, ma contro il declassamento delle banche italiane. Perfetto, ma perché tuonano solo ora? Finché la finanza ha fatto comodo e ha fatto salire i profitti, andava tutto bene: è questa la verità? Finche' la Grecia era un bersaglio della speculazione a vantaggio di molti, l'Europa ha fatto molto poco. Ora ha paura. Ho letto che il ritorno alla dracma ridurrebbe alla fame chi ancora, là, riesce a galleggiare. Ma questo interessa poco: ora sono preoccupati e fanno la faccia seria gli allegri compari di qualche tempo fa. In Italia, in Grecia, in Europa. Molti di coloro che parlano hanno davvero tante maschere a disposizione: al momento buono, ne tirano fuori una. Tanti Soloni in maschera. Sarà per quello che la gente si è affidata ad un comico che adesso ha la faccia seria? E spera che non abbia figli bisognosi di "paghette" di 5000 euro mensili? Speriamo di non dover dire: e la farsa continua...

Intervista al professor Angelo Baglioni (Lavoceinfo) "Se la Grecia esce dall’euro si rischia l’effetto contagio"


Sembra che non se ne possa uscire. Gli italiani stanno facendo - stiamo facendo - sacrifici enormi, per qualcuno insopportabili, ma ci sono eventi, apparentemente incontrollabili, che stanno alimentando nuova speculazione. Lo spread torna a crescere, con effetti molto negativi sul debito pubblico. Sembra non esserci via di uscita. Colpa solo dell'ingovernabilità della Grecia? Lo abbiamo chiesto ad Angelo Baglioni, docente di economia politica all'Università Cattolica di Milano. 
Professor Baglioni, le Borse perdono, lo spread è di nuovo stabile sopra i 400 punti: i sacrifici chiesti agli italiani sono quindi inefficaci? 
«I sacrifici che sono stati richiesti dal Governo attraverso il Decreto "Salva- Italia" erano necessari per fare uscire il nostro Paese da una situazione pericolosa come quella che si era venuta a creare. Non avremmo potuto fare altrimenti. Bisogna poi valutare il fatto che la crisi greca potrebbe precipitare, comportandone l'uscita dall'area euro. Ciò per l'Italia potrebbe avere un peso in termini di incremento dei tassi di interesse, per cui ci metterebbe nella condizione di non essere in grado di far fronte agli oneri. Questo ci porterebbe a dover rifare i nostri conti. Se si verificasse un effetto contagio, si dovranno mettere in campo misure correttive, oppure si dovrà prendere atto del fatto che non sarà possibile raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. 
Il problema è solo l'impossibilità di formare un nuovo governo in Grecia? 
«Il problema è, in primo luogo, proprio quello, ossia la frantumazione politica della Grecia, che sembra non permetterle di formare un nuovo governo. Ma se anche ci riuscisse, si dovrà poi vedere quale sarà l'atteggiamento dei nuovi eletti nei confronti degli accordi presi con l'Unione Europea nel Memorandum d'Intesa siglato alcuni mesi fa, in cui l'Europa si impegnava sì a sostenere il Paese ma a fronte di una richiesta di sacrifici e restrizioni. Se il nuovo governo dovesse rinnegare tale accordo, l'Europa potrebbe tenere ferma la sua posizione di rigore e portare la Grecia a uscire dall'area Euro. 
Ma cosa succederebbe all'Eurozona se la Grecia dovesse uscirne? 
 «Il rischio è l'effetto contagio. L'Unione Europea, infatti, è sempre stata fondata sull'irreversibilità: si può entrare, ma non è possibile uscirne. Si è scelto di proposito di menzionare la possibilità di uscita negli atti costitutivi dell'Unione monetaria europea, allo scopo di dare più forza e credibilità alla moneta unita. Se questo dovesse avvenire comunque, con l'allontanamento della Grecia, si romperebbe il presupposto dell'irreversibilità, e si verrebbe a creare un precedente, per il quale i mercati potrebbero aspettarsi l'uscita di altri paesi, come Italia, Spagna o Portogallo. Questo rischio comporterebbe un incremento delle richieste di compensazione economica nell'acquisto dei titoli di tali paesi: chi comprasse, quindi, titoli italiani (o di altri Paesi nella stessa situazione), privati o pubblici, potrà richiedere un tasso di interesse maggiorato. Una situazione simile potrebbe portare al dissolvimento dell'area Euro nel suo complesso, con il rischio di fare dei passi indietro nel processo di integrazione dell'Europa iniziato mezzo secolo fa, e che ha visto nella costituzione della moneta unica la sua tappa finale». 
Perché l'Europa non riesce a fare fronte alla speculazione dei mercati? 
«Perché non esiste una linea d'azione univoca da parte dell'Europa. La politica seguita dalla Merkel e da Sarkozy è stata molto incerta, e ha seguito male il problema della Grecia, che si trascina da due anni e mezzo senza una soluzione. E' mancata una strategia europea di lungo periodo, e si sono sempre cercate soluzioni dell'ultimo minuto, prese in base alle pressioni dei mercati. Questo non ha permesso ai mercati di capire con chiarezza in che direzione si stava andando, e ha impedito che si ancorassero delle aspettative. Oggi le cose sono ancora così: si fanno dichiarazioni ambigue, continuando a ondeggiare tra la solidarietà e la linea dura». 
Il cambiamento nell'asse politico tra Parigi e Berlino, con Hollande presidente, che effetti avrà? 
«Il fatto che ora sia Hollande a tenere le redini del Governo francese, accanto al fatto che l'Italia ha un nuovo Presidente del consiglio che in Europa ha più peso di quello precedente, può portare a un ammorbidimento della linea tedesca e all'affrontare con più forza i temi della crescita economica. Non si può pensare solo al rigore dei conti: la crescita dell'Europa è fondamentale per risolvere i nostri problemi». Hollande ha posto il tema degli Eurobond: lei che ne pensa? 
 «Ho una visione favorevole rispetto a questa proposta, di cui condivido la filosofia di fondo. Il fatto di avere una garanzia comune che consenta di ridurre lo spread per tutti i paesi, rendendo simile per tutti il costo del debito. Al momento, tuttavia, ritengo sia poco probabile che i tedeschi accettino una soluzione di questo tipo: per i paesi più forti, infatti, questo diverrebbe un costo implicito».

sabato, maggio 05, 2012

L'indignazione vi sommergerà



Adesso siamo al tecnico dei tecnici. Non è una battuta: il governo Monti ha affidato a Enrico Bondi, già commissario della Parmalat, il lavoro di revisione della spesa pubblica nel suo complesso, per eliminare gli sprechi. Uno bravo, non c'è che dire: ha risollevato l’azienda alimentare dopo il crack, senza licenziare un solo operaio. La promessa è di presentare una proposta già tra quindici giorni. Si parla, quindi, di ulteriori tagli alla spesa pubblica. Si parla di Regioni, Province, Comuni: ma c’è ancora da tagliare? E siamo sicuri che si debba tagliare proprio qui? Intanto, il Parlamento è escluso. Complice una classe politica che è incapace di riformare e di riformarsi, siamo arrivati al punto, o, almeno, a uno dei punti. Non nasce dal nulla la crisi, che continua a colpire durissimo, ma neppure lo stato così dissestato delle nostre finanze. Monti ha indicato esplicitamente due aspetti della colpevole miopia governativa del passato: l'abolizione dell'ICI sulla prima casa (noi lo scrivemmo subito che sarebbe stato un errore) e una insufficiente attenzione (per usare un eufemismo) al rigore fiscale. E' forse la prima volta che il premier parla esplicitamente di responsabilità passate, con tanto di nome e cognome. Cosa è cambiato? Ragioniamo: il premier viene accusato di avere acuito talmente la pressione fiscale complessiva da deprimere ogni possibilità di ripresa. Impoverimento oggettivo e mancanza di lavoro: un mix micidiale. Si dice: recupera le risorse nelle tasche dei soliti. Fa pagare l'IMU a chi possiede una casa acquistata con sacrifici, su cui magari paga il mutuo, e magari ha perso il lavoro o è in cassa integrazione. Invece di creare lavoro, studia misure per licenziare di più. Non è forse per caso che si è scatenata, sui giornali vicini a Berlusconi, una campagna di quotidiana demolizione: titoloni di prima pagina contro il governo Monti. Però, ricordiamoci una cosa: Monti aveva parlato, all'inizio, di patrimoniale. Fu stoppato immediatamente. Parlò di eliminare alcuni privilegi di alcune categorie professionali: i partiti, i gruppi di interesse, anche qui stoppato: le varie lobbies hanno limato, tolto, annacquato. Azzardo un’ipotesi di Monti-pensiero? Bene, dirà: il catalogo è questo. Mi avete condizionato, e anche minacciato . Devo recuperare risorse, questo è certo. Lo faccio fare da un esterno. Se voi partiti non siete capaci di accettare una riforma seria e seriamente complessiva, continuerò a cercarle presso chi non si può nascondere. Intanto, però, gli chiedo anche di segnalare gli sprechi che vede compiere: un segnale? Di certo, cresceranno lo smarrimento, l’impotenza, la depressione, l’impoverimento, ma anche la rabbia e l’indignazione. Avete visto i sondaggi, cari partiti? L’indignazione vi sommergerà. E non sarà un bel giorno, probabilmente, per nessuno. E se, davvero, stesse ragionando così?
Daniele Tamburini

venerdì, maggio 04, 2012

Lo sviluppo culturale strategia per la crescita


di Agostino Francesco Poli
Se mai qualcuno se ne fosse dimenticato, giova tornare a quella frase dell’allora ministro Giulio Tremonti: “di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura e comincio dalla Divina Commedia”. La frase venne stigmatizzata e assurse a simbolo della china precipitosamente discendente percorsa da una certa Italia: quell’arroganza affaristica che negava alla cultura non solo lo status di cibo fondamentale per l’animo delle persone e dei territori, ma anche una sottovalutazione miope e grevemente ignorante delle possibilità di sviluppo offerte dalla valorizzazione della cultura stessa. Eppure, per parafrasare una frase di Hugh Grant nel ruolo di un fascinoso primo ministro inglese (il film è “Love actually”), siamo la patria di Dante, Leonardo, Michelangelo e Vivaldi, di Pirandello e di Renzo Piano, di Rita Levi Montalcini e di Margherita Hack, della mano di Filippo Brunelleschi e del piede del “Mosè”, dei panorami struggenti, delle città d’arte tra le più straordinarie del mondo, delle biblioteche, delle pinacoteche, dei musei, degli archivi, dei siti archeologici di infinita, splendida, delirante bellezza. Mi fermo qui, perché la meraviglia e la cultura che hanno dimora nel nostro Paese sono, forse, senza pari. Certo non si fanno panini con i calcinacci di Pompei progressivamente sbriciolata e del centro storico de L’Aquila, ancora ridotto a macerie. Eppure, negli ultimi anni abbiamo assistito a enti culturali decapitati, fondi allo spettacolo decurtati, teatri e cinema sempre più chiusi. Occorrerebbe un volume intero (e qualcuno ne ha scritti) per documentare i veri e propri insulti di cui sono state oggetto, negli anni, la scuola e l‘università, il sistema dell’istruzione pubblica. Ho sempre pensato però che, al fondo dell’ignoranza, si celasse un progetto preciso. Lo ha scritto in un bell’articolo Andrea Cortellessa: l’”egemonia sottoculturale” di cui parla Massimiliano Panarari non può che essere funzionale a un progetto di dominio economico, sociale e, dunque, politico. È appena il caso di accennare al crescere del fenomeno dell’analfabetismo di ritorno, su cui si è fermato più volte Tullio De Mauro. Ma forse, qualcosa si sta muovendo, e non solo a livello di ristrette élite intellettuali, quasi voces clamantes in deserto. È accaduto che, lo scorso 19 febbraio, “Il Sole 24 ORE” abbia pubblicato, nel suo inserto domenicale, sempre di grande qualità, il “Manifesto per la cultura”, intitolato “Niente cultura, niente sviluppo”. Vi si legge che “la cultura e la ricerca innescano l’innovazione, e dunque creano occupazione, producono progresso e sviluppo”. Altri assunti: l’Italia, e in grande misura l’intera Europa, devono oggi fronteggiare una sfida non semplice, ritrovare la via della crescita. È una opinione ancora minoritaria, ma sempre più diffusa, che la cultura debba far parte in modo importante del nuovo scenario. Lo sviluppo culturale è strategico non solo per l'Italia, ma per l'intera Europa: numerosi studi dimostrano come il sistema della produzione culturale e creativa sia anche uno dei più grandi settori, superiore per fatturato ai principali comparti del manifatturiero e alla maggior parte dei comparti del terziario avanzato. Ci sono cinque punti fermi: una Costituente per la cultura; strategie di lungo periodo; cooperazione tra ministeri; l’arte a scuola e la cultura scientifica; merito, complementarietà pubblico-privato, sgravi ed equità fiscale. Il successo è stato grande, e continua a crescere. Hanno aderito, tra i moltissimi, anche tre ministri, Passera, Profumo e Ornaghi; il commissario europeo all’istruzione e alla cultura Vassiliou e il ministro danese della cultura Elbaek. Tutto bene, quindi? Direi di sì, se questa attenzione, se non altro, servisse a rimettere al centro della scena la questione cultura, l’affaire cultura. Il nostro Paese ha una legge importante, su questa materia: è il Codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo n. 42 del 2004. Vi si legge che “in attuazione dell'articolo 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale” e che “la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura”. Cultura e memoria, in un binomio inscindibile. Senza memoria non potremmo capire il presente né, tanto meno, attrezzarci per vivere il futuro. Ma leggiamo anche l’articolo 9 della nostra Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Come dicevo, riportare all’attenzione pubblica, politica ed amministrativa questi assunti non può che essere positivo. C’è però da dire che, come ha ricordato Tomaso Montanari, la tesi di fondo portata avanti dal “Manifesto” non è nuova. Già nel 1985, Gianni De Michelis diceva: “le risorse non si avranno mai semplicemente sulla base del valore etico-estetico della conservazione, [ma] solo nella misura in cui il bene culturale viene concepito come convenienza economica”. Molto sintetico, molto chiaro. Ripeto, passare dall’idea che con la cultura non si fa un panino, a quella per cui è qualcosa che comunque “conviene” valorizzare, può forse renderci moderatamente ottimisti, o non totalmente pessimisti, sul presente e sul futuro dei nostri monumenti, dei nostri musei, dei teatri, delle biblioteche e degli archivi. Ma vorrei spendere poche parole, per ora, su un’altra esperienza culturale: quella del Teatro Valle occupato, a Roma. Si sta sviluppando l’idea di gestire il teatro attraverso lo strumento di una fondazione, il cui statuto non preveda il Consiglio di amministrazione, regoli le direzioni artistiche turnarie, premi la gestione partecipata del teatro e l’autogoverno dei lavoratori dello spettacolo. In prospettiva, si vuol “rovesciare l’idea che la misura dello spettacolo in Italia sia il biglietto”. Stefano Rodotà, che vi ha collaborato, ne scrive così: “Non siamo di fronte ad una questione marginale o settoriale, ma ad una diversa idea della politica e delle sue forme, capace non solo di dare voce alle persone, ma di costruire soggettività politiche, di redistribuire poteri. È un tema “costituzionale”, almeno per tutti quelli che, volgendo lo sguardo sul mondo, colgono l’insostenibilità crescente degli assetti ciecamente affidati alla legge “naturale” dei mercati”. Il tema è ricco e meritevole di approfondimenti, che non possiamo fare qui e ora. Ma io desidererei una realtà in cui non sia del tutto vero il vaticinio di Bernard Berenson, grande critico d’arte, che, nel 1941, prevedeva un mondo “retto da biologi ed economisti, dai quali non verrebbe tollerata attività o vita alcuna che non collaborasse a un fine strettamente biologico ed economico”. La bellezza e la cultura devono stare anche nell’esperienza gratuita del mondo, o non sono. Ne riparleremo.