"La crisi dei debiti pubblici non è crisi economica, bensì crisi della politica"
di Daniele Tamburini
Agosto è appena finito, ma, nonostante le molte tensioni politiche ed
economiche che lo hanno attraversato, non si è verificata la temutissima crisi
devastante sui mercati e sul rendimento dei nostri titoli di Stato. Certo, lo
spread con i titoli tedeschi ha un andamento altalenante. Certo, diversi
soggetti, in Germania, stanno dirigendo una selva di duri colpi nei confronti di
Mario Draghi, il governatore della Banca Centrale Europea, reo di aver
dichiarato, a inizio agosto, che la Bce era disposta ad agire, se necessario,
con misure eccezionali contro la crisi, anche mediante l’acquisto sul mercato
del debito pubblico dei Paesi in difficoltà. Uno per tutti, il presidente della
Bundesbank, Jens Weidmann, ha criticato questa idea, definendola, in
un'intervista al settimanale Der Spiegel, come «un finanziamento degli Stati con
una stampatrice di banconote ». Di più: il finanziamento della Bce potrebbe
indurre alcuni Paesi «all'assuefazione, come se fosse una droga». Una critica
assai pesante, quindi. Sullo sfondo, la imminente campagna elettorale tedesca,
l’incertezza politica in Italia, le prossime elezioni negli USA, il cambio di
guardia politico in Francia, la situazione drammatica della Grecia, la
recessione europea e il rallentamento dell’economia globale eccetera. Una
situazione di grande complessità, in cui il nostro Paese cerca di procedere
faticosamente, sperando di intravedere una luce in fondo al tunnel: luce che,
peraltro, è stata annunciata dal governo, in testa il premier Monti. Parliamo di
questi temi con il professor Fabio Sdogati, docente di Economia Internazionale
presso il Politecnico di Milano, autore di molte pubblicazioni sul tema e del
sito www. scenarieconomici.com.
Professor Sdogati, come mai questo agosto è
stato meno “infuocato” del previsto, sul piano economico-finanziario?
Lungi da
me dire che era prevedibile, ma certo è spiegabile. Si ricorderà certamente il
periodo che io ho definito della ‘diarchia Merkel-Sarkozy’, un periodo in cui i
paesi membri dell’area euro erano divisi in buoni e cattivi, formiche e cicale,
sciocchezze del genere. Poi, da novembre scorso in avanti, sono arrivati Monti
e, da poco, Hollande. E la diarchia, che comunque stava perdendo Sarkozy per
ragioni di politica interna francese, cominciava a perdere sistematicamente di
potere. Il lavoro che il Presidente Monti ha fatto, e sta facendo, sul piano
internazionale è preziosissimo. La sua capacità di smussare, ricucire,
ricomporre, intravedere terreni di compromesso è veramente notevole, e sta dando
frutti visibili. Ciò che voglio dire è che i cosiddetti ‘mercati’, che altro non
sono che le banche, gli intermediari finanziari, i fondi di investimento, stanno
cominciando ad intravedere l’emergere di una leadership europea progressivamente
sempre meno succube ai loro voleri, come era vero invece ai tempi della
diarchia, e dunque le attività speculative stanno rallentando per ampiezza e
intensità. La situazione politica internazionale e quella interna ai singoli
Stati che peso ha in questa fase? Sostengo dall’autunno del 2009 che la
cosiddetta ‘crisi dei debiti pubblici’ è non crisi economica, bensì crisi della
politica. Abbiamo un’Unione Europea che, a causa degli egoismi nazionalisti dei
governanti dei paesi membri, ha smesso di progredire sulla strada
dell’integrazione e dell’unità. L’aver voluto distogliere l’attenzione dalla
globalità della crisi alla cosiddetta ‘crisi greca’ ci ha fatto perdere tempo
prezioso e opportunità preziose per il rilancio dell’economia europea.
Che ne
pensa delle inedite “promozioni” che sono arrivate, per l’Italia, dalle agenzie
di rating?
Per poter rispondere a questo quesito occorre aver chiaro che i
giudizi delle agenzie sono prodotti in vendita. In questo essi assomigliano a
qualunque prodotto e servizio offerto a mercato. Chi acquista i servizi delle
agenzie di rating? Le imprese, ad esempio, che fanno valutare i propri titoli
obbligazionari prima di emetterli; i fondi pensione e i fondi di investimento, i
quali vogliono conoscere la valutazione delle agenzie prima di decidere se
aggiungere un certo titolo al proprio portafoglio. E fin qui non c’è nulla di
strano. Ciò che da potenza alle agenzie è il fatto che i gestori dei fondi sono
obbligati a seguire le loro indicazioni, vale a dire ad acquistare soltanto quei
titoli che sono caratterizzati da un certo rating minimo. E’ evidente come una
variazione del rating di un certa obbligazione, pubblica o privata che sia,
induce, grazie a questi automatismi, flussi di acquisti e di vendite di enorme
valore finanziario. Ma non basta. Il vero problema, infatti, è che questi stessi
meccanismi adottati dai fondi di investimento sono stati adottati dalle stesse
banche centrali. Fino al maggio del 2011, ad esempio, la Bce dava credito
soltanto a quelle banche che offrissero come collaterale, cioè come ‘garanzia’,
titoli con un certo rating. In altre parole, le istituzioni hanno concesso alle
agenzie, ovvero a degli enti privati, il modo di vincolare le proprie azioni. È
questo il vero dramma, la vera capacità distruttiva dei giudizi delle agenzie.
Per rispondere puntualmente al quesito: i giudizi negativi degli anni passati
hanno contribuito molto a generare una recessione che sta devastando le economie
del sud Europa –e che sta cominciando ad attaccare anche l’economia tedesca.
Anche se dovessero aver cambiato direzione, il loro contributo alla ripresa sarà
molto, molto marginale: poiché la sfiducia è stata ormai disseminata con grande
cura; e dovranno passare anni prima che si torni alla situazione pre-2007.
Il
suo parere sull’attivazione dello scudo antispread? Alcuni (citiamo, tra gli
altri, Ricardo Levi) sostengono che ostinarsi nel rifiutarlo sia pericoloso...
Il cosiddetto ‘scudo antispread’ è uno tra i tanti strumenti di intervento
ideati per contenere la violenza con cui banche e fondi di investimento hanno
approfittato delle carenze nella governance dell’Unione Europea a partire
dall’agosto del 2007. E’ uno strumento complesso, nuovo, e ovviamente ciascun
governo nazionale lo vorrebbe (o non lo vorrebbe) veder operativo secondo i
propri interessi.
L’attivazione presupporrebbe veramente una perdita di
sovranità nazionale?
Senza alcun dubbio! Ma non è forse questo che i padri
fondatori dell’Unione Europea avevano in mente? Non è forse vero che il percorso
iniziato con il Trattato di Parigi del 1951 doveva andare proprio in questa
direzione, di potere nazionale decrescente e poteri crescenti degli organi
comunitari? Questo era, ed è tutt’oggi, il sogno. E, ironia, oggi è anche una
necessità: a meno che non si decida di morire schiacciati tra Cina da un lato e
Stati Uniti dall’altro, divisi in tanti ‘paesini’ ciascuno con la sua
‘politichina’. Mi chiedo spesso: chi ha paura della scomparsa dello
stato-nazione? Soltanto chi pensa di vivere nel migliore dei mondi possibili,
cioè nel migliore dei paesi possibili. Un pensiero piuttosto infantile, non
trova?
Che ne pensa delle varie “ricette” per tagliare il debito pubblico:
quella di Alfano, quella Amato-Bassanini, quella di Alberto Quadrio Curzio e
Romano Prodi? Tutte basate, comunque, su una manovra che riguarda il patrimonio
pubblico…
Ho affrontato questo problema in due lavori separati: presentai il
primo, datato 23 marzo, alla riunione degli alumni del Mip e del Corso di Laurea
in Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano; presentai il secondo, datato
23 maggio, ad un incontro a Reggio Emilia. Entrambi i testi sono, ovviamente,
disponibili su www.scenarieconomici.com La tesi che sostenevo in quei lavori è
che la fanfara assordante circa la necessità di contenere il deficit corrente
delle pubbliche amministrazioni altro non è, appunto, che una fanfara. Il cui
scopo è chiarissimo da molto tempo a chi abbia voglia di vedere: distogliere
l’attenzione dalle operazioni di privatizzazione del patrimonio pubblico. E non
parlo, ovviamente, di quattro caserme diroccate o qualche chilometro di
spiaggia, come si è dovuto sentire in passato: parlo di privatizzazione delle
municipalizzate, della sanità, dell’istruzione. Dal mio punto di vista, tutte le
proposte che Lei menziona si equivalgono, poiché in nessuna delle forme
proposte, o proponibili, le privatizzazioni saranno in grado di attivare
l’uscita dalla crisi. Quantomeno, non per anni a venire. Ciò che aiuterebbe
enormemente, invece, è uno strumento che conosciamo da decenni e che ha sempre
funzionato: spesa pubblica. Certo, concordo che le condizioni presenti non
consentono a governi nazionali dell’area euro di agire individualmente in questo
senso, né essi lo farebbero, vista l’ideologia cosiddetta ‘del libero mercato’
che prevale al loro interno e tra i loro consiglieri. Ma pensiamoci: una spinta
di spesa pubblica coordinata a livello di tutta l’Unione Europea, come in fondo
chiede anche la Commissione Europea, sarebbe un passo enorme tanto nella
direzione dell’integrazione che in quella della crescita. Mi permetto di
consigliare, a chi ne ha voglia e tempo, l’ultimo libro di Paul Krugman, premio
Nobel per l’economia 2008, disponibile anche in italiano.
Una domanda difficile,
che però facciamo sempre: ce la faremo? E a quali prezzi? Davvero si intravede
la luce, come dice il premier Monti?
Credo che la risposta corretta al Suo
quesito richieda che si chiarisca anzitutto chi siamo ‘noi’. E al contempo che
cosa si intenda per ‘farcela.’ Se per ‘noi’ intendiamo l’esistenza dell’euro, la
risposta è: assolutamente si, come è stato ribadito in termini categorici ancora
soltanto pochi giorni dal Presidente van Rumpoy, e prima di lui dal Presidente
Draghi, e da molte persone serie. L’euro non si discute. Punto. Se invece per
‘noi’ intendiamo l’Italia, allora occorre ricordare che la crisi non è uguale
per tutti. La pagheranno relativamente poco i pensionati, la pagheranno
durissimamente i giovani, e per decenni a venire; ne usciranno benissimo gli
intermediari finanziari. Se poi per ‘farcela’ intendiamo il ritorno ad un tasso
di crescita dell’economia accettabile, che consenta il riassorbimento della
disoccupazione a livelli pre-2007, la risposta è certamente positiva: ma
occorreranno anni e anni perché ciò accada.
Grazie Professore.
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