sabato, febbraio 21, 2015

COME SE FOSSE ANTANI...

Dice il presidente del Consiglio: “Sono gasatissimo”. E’ lì con Marchionne e si fanno pubblicità a vicenda. Marchionne deve vendere le Fiat, Renzi deve vendere se stesso: e gli riesce benissimo. Che lo ritraggano su un muletto, o mentre dà il cinque a qualcuno, o mentre sussurra all’orecchio della signora Merkel, è sempre spiazzante. E’ vero, è un ottimo giocatore, è anche un uomo senza scrupoli (“stai sereno, Enrico… stai sereno, Silvio”). Si è circondato di figure che non gli fanno affatto ombra, anzi: ministri e ministre, sembrano così quieti, così mansueti, così in linea. Se si espongono, è palese che lo fanno per permettere a Lui di correggere, bacchettare, rettificare. Da ultimo è toccato a Gentiloni. Ma intanto, il messaggio è lanciato. Ho provato a leggere alcuni blog di politici suoi seguaci: dal “twit” del capo discendono commenti e valutazioni, tutti encomiastici, tutti entusiasti. L’Ocse dice che siamo sulla strada giusta? La notizia viene fatta rimbalzare ovunque (chissà se c’è qualcuno che si chieda: e chi è, l’Ocse?). Le organizzazioni come la Caritas, viceversa, dichiarano che tanta, troppa gente è allo stremo: non se ne parla proprio. Non c’è che dire, il premier porta a casa ciò che gli interessa davvero; resta da vedere se ciò che interessa a lui (la messa in un angolo di Berlusconi, l’elezione di Mattarella, l’Italicum, le riforme costituzionali etc…) interessa alla popolazione. Forse sì, forse la gente ha bisogno di ascoltare frasi come: basta con l’industria della lagna, supereremo la Germania, vinceremo sulla globalizzazione… Come aveva bisogno di sentire anche le precedenti: meno tasse per tutti, un milione di posti di lavoro… e, andando ancora all’indietro: un pacco di pasta per tutti… Eppure, erano state tante le promesse: una su tutte, la cultura sarà valorizzata, è il petrolio italiano… ma intanto Pompei continua a sgretolarsi. E gli F35? avevano promesso di ridurne l’acquisto sensibilmente, ma dagli Usa giunge notizia che non se ne parla proprio. E magari, il governo con l’elmetto commenterebbe anche: “ma ora c’è l’Isis!”, salvo poi mettersi un berrettino di lana e rassicurare che noi, guerre non ne faremo. Mah. Mi viene in mente il nostro grande Ugo in “Amici miei” con la sua supercazzola: “Come se fosse antani….”. 

Daniele Tamburini

sabato, febbraio 14, 2015

Nel resto del mondo... è semplicemente inverno

Il concetto di fondo che abbiamo ascoltato questa settimana, da parte dell'Amministrazione comunale, così come l'ho percepito io, è quello dell'inevitabilità. Inevitabili i disagi derivanti dalla nevicata "eccezionale"; inevitabile che ci voglia tempo - tanto tempo – (troppo tempo), per portar via mezzo metro di neve; inevitabili le auto bloccate, le persone che non potevano camminare sui marciapiedi, i nonni a rischio caduta, per giorni, mentre portavano i nipoti a scuola, gli asili con gli accessi impraticabili. Inevitabile, pare, dover spalare piazza del Comune e piazza Stradivari. Certo; però, forse, le scuole avrebbero potuto avere la precedenza. L'assessora competente risponde alle critiche un po' in maniera rituale, e un po' in modo stizzito: del resto, dice: “... è stato fatto un lavoro straordinario... il piano neve ha funzionato a dovere”. Ma se molti cittadini non sono d'accordo, e si sono fatti sentire, qualche motivo ci sarà, o no? È vero, amministrare una città significa non poter accontentare tutti; di questi tempi, poi... Ma noi siamo certi che amministrare una città significhi anche andare al confronto e accettare anche critiche che si considerino ingenerose. Amministrare non è una chiamata divina, non è una missione, non è neppure una scelta obbligata: è un servizio che si sceglie volontariamente di dare. Un servizio oggi difficilissimo, specie per chi amministra i Comuni, sottoposti dal governo a tagli micidiali. Strano che gli amministratori non sottolineino di più questo aspetto. Ma forse, non è così strano. E comunque, se cinquanta centimetri di neve da noi rappresentano un evento, quasi drammatico, di difficile e complicata gestione... nel resto del mondo, è semplicemente inverno.

Daniele Tamburini

sabato, febbraio 07, 2015

COME TANTI, BRAVI, PICCOLI TAFAZZI...

Un venerdì da incubo in città e nei paesi. Ore 14.30, sono sulla via Mantova, verso Gadesco, devo andare, non posso farne a meno. È vero, è caduta moltissima neve, ma ormai da diverse ore non nevica più, eppure le strade sono un disastro. Stiamo procedendo a passo d’uomo, e quindi c’è tempo per riflettere, su tante cose. La prima è l’amara constatazione che sempre facciamo in queste circostanze: siamo andati sulla Luna quasi 50 anni fa, stiamo lavorando con 2.0 e droni, ma basta una forte nevicata e tutto va in tilt. Ci sarà una soluzione? Il fatto è che vedo pochi mezzi, pochi uomini, forse anche poco sale. E penso: sono questi, evidentemente, i primi risultati dei tagli lineari ai bilanci degli enti locali? Questo è il primo risultato dell’operazione sgangherata che è stata condotta sulle Province, per esempio? Sindaci, presidenti eccetera avranno anche amministrato male in passato, in alcuni casi; sicuramente ci saranno stati sprechi; ma, all’italiana, cosa si è pensato di fare? Di rendere ingestibile quel che era già difficile reggere; di tagliare senza pietà quei servizi che già languivano. Invece di razionalizzare, sfrondare, sistemare, si è tagliato indiscriminatamente. Invece che un ragionamento serio, una serie di tagliole. D’altronde, chi parla più del dossier Cottarelli, che aveva individuato – pare – spese da razionalizzare davvero, senza colpire i servizi al cittadino, e che è sepolto, sparito, sommerso chissà dove? Aboliamo le Province, gridavano, certi politici, con la bava alla bocca. Mi sa che, più che colpire la casta, abbiamo fatto come Tafazzi e colpito a morte i servizi. Medito ancora, mentre ancora vado a passo d’uomo. Siamo tante scatole semoventi in fila, mentre il tempo, prezioso, scorre, i droni, forse, volano, e i sacchi di sale sono desolatamente vuoti.

Daniele Tamburini

Torrazzo Srl: così la ’Ndrangheta si spartiva il nostro territorio

General Contractor ed Edilstella: le due “società-fortino” da cui si controllava il territorio cremonese


Nelle carte dell’indagine “Aemilia”, Cremona risulta «un punto di riferimento» importante dell’impero dei Grande Aracri

di Michele Scolari

Altra ‘ndrangheta». O «’ndrangheta emiliana». E’ il fantasma inseguito per anni da magistrati e investigatori (e di cui abbiamo più volte parlato su queste colonne negli ultimi due anni). Ora sappiamo nei dettagli cos’è. Avvisaglie non erano mancate. Ma l’indagine Aemilia (160 arresti, di cui 117 emessi da Bologna) è mastodontica rispetto a Grande Drago, Edilpiovra, Scacco Matto e Pandora. «Una svolta storica senza precedenti», per dirla con le parole di Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia. Un terremoto che ha colpito duramente l’epicentro settentrionale del potentato afferente al boss Nicolino Grande Aracri, propaggine della “locale” di Cutro e infiltrato nei gangli vitali del tessuto emiliano, cremonese, mantovano e veneto, arrivando a intrecciarsi con profili di imprenditorialità, in particolare l’edilizia, la politica e, ancor più pericolosamente, l’informazione. È su questa “zona grigia” che si è concentrata e dovrà continuare a concentrarsi l’attenzione. E il terremoto giudiziario non ha risparmiato neppure Cremona: dieci arresti, tra città e dintorni (sei con l’accusa di associazione mafiosa, tra cui un ex funzionario della Polstrada, ora in carcere in Venezuela). Nomi eccellenti e noti da tempo, assieme a qualche nome nuovo. Certo, dall’omicidio “Dramore” degli anni ’90 si sapeva di una cellula operante autonomamente nel territorio piacentino cremonese, riferibile a Nicolino Grande Aracri, sgominata una prima volta dall’indagine Grande Drago del 2002; nel 2012 si sapeva che «è la direttrice Reggio- Cremona quella alla quale occorrerà stare particolarmente attenti in futuro» (aveva avvertito il sostituto procuratore della Dna Roberto Pennisi); nel 2013 si sapeva che il caso di usura scoperto a Cremona a maggio (quel filo affiorante che, tirato, ha permesso di dissotterrare la spaventosa rete ‘ndranghetista scoperta da Aemilia) appariva «connesso a fenomeni anche pregressi di usura sistematica connessa ad ambienti della criminalità organizzata» (osservava già allora il gip di Cremona Guido Salvini); ancora nel 2013 si sapeva del persistere di «costanti attività delittuose legate alla criminalità organizzata nel territorio di Cremona e Mantova» (riferiva il Rapporto della Dia milanese); nel 2014 si sapeva dell’incidenza sul territorio di Cremona di «soggetti ritenuti legati alla cosca Grande Aracri di Cutro» (si leggeva nel rapporto Dna); si sapeva che, in questi anni, questi soggetti si stavano infiltrando con modalità nuove nel tessuto economico locale, nell’edilizia e nel settore immobiliare (rapporto Dna 2014); si sapeva che si trattava di «potentati mafiosi crotonesi tali da far impallidire quelli reggini» (come aveva dichiarato il procuratore Roberto Pennisi). E si sapeva, dalle parole del pentito Luigi Bonaventura, che la ‘ndrangheta “emiliana” si era rafforzata estendendosi progressivamente in una “Provincia” (“cupola” forte di più potentati mafiosi) che investiva in pieno Cremona, come si vede nella cartina. Ma un ciclone delle dimensioni di Aemilia forse pochi se l’aspettavano. IL TERZIARIO DELLA ‘NDRANGHETA – Eccola dunque, la “altra ‘ndrangheta”. Quella ‘ndrangheta che «si rimodella in base al territorio in cui viene a trovarsi, agendo in modo sotterraneo e subdolo». Quella ‘ndrangheta che non colonizza ma “delocalizza”: ciò significa che il “ramo” dell’impresa “madre” (la ‘ndrina con base il Calabria) sistemato nel nuovo territorio (ad esempio, Reggio o Cremona) è subordinato al “centro direttivo” rimasto in Calabria, il quale crea una sua rappresentanza nel luogo della “delocalizzazione” mettendovi a capo un “institore” (termine del diritto commerciale), «vero alter-ego del boss con il compito di sovrintendere a tutta l’attività criminosa svolta dall’associazione e di acquisirne i proventi». Ma, si legge ancora nelle carte, «la dipendenza dal capo-società non è però totalitaria ed asfissiante»: la ‘ndrina piacentina- cremonese e quella reggiana «godono infatti di grande autonomia, nel rispetto di regole che fanno della ‘ndrangheta un’organizzazione del tutto verticistica. Difatti, i responsabili delle cellule emiliane possono gestire i loro affari autodeterminandosi, decidendo cioè i traffici illeciti da attuare, avendo cura solo di riconoscere una percentuale sui profitti illeciti a favore». È questa “terziarizzazione” dell’organizzazione, che la rende simile ad una società di servizi (come l’ha definita perfettamente il giornalista Giovanni Tizian), la novità. È la nuova dimensione economica e finanziaria della ‘ndrangheta, ora non più relegata a qualche indagine locale. Non è più soltanto una metamorfosi estetica (dalla coppola alla cravatta) ma professionale: non più attività “vetero-criminali” (sequestri, grandi partite di droga, prostituzione) ma frodi fiscali, fatture false, marketing, investimenti e prestiti (ad usura). E questo in tempi di crisi, in cui i cordoni delle banche sono sempre più stretti e l’imprenditoria ha un disperato bisogno di credito. Ed ecco spiegato anche il perché di quella strana «quiete», di quella «stasi» (si fa per dire) di cui Pennisi aveva parlato relativamente alla zona di Reggio, Cremona e Piacenza negli anni successivi alle sentenze del processo Grande Drago, pronunciate nel 2008 dal Tribunale di Piacenza. La situazione tra Emilia e Cremona «si muoveva poco – con le parole del pentito Bonaventura -. Sembrava che si muovesse poco… non c’è più la caciara che… come c’era prima… perché adesso… si sono creati degli investimenti veramente importanti in quell’area, per questo magari sembra che ci sia un po’ di silenzio no? Ehhh… (…) silenzio che non si spara». CREMONA: UN «PUNTO DI RIFERIMENTO » – Per quanto riguarda il filone di Cremona, dalle carte dell’inchiesta, emerge come anche dopo il 2008 (l’anno delle sentenze dell’operazione Grande Drago) la nostra città avesse continuato ad essere sede di una delle due ‘ndrine, indicate dal pentito Angelo Salvatore Cortese come «quelle vere e proprie… le operative»: una attiva «a Reggio Emilia, con competenza allargata alle province di Modena, Parma, fino a Bologna»; l’altra attiva tra Piacenza e Cremona, «con a capo Francesco Lamanna». «Le due ‘ndrine distaccate, sebbene fortemente interconnesse tra loro, sono tuttavia riferibili a due famiglie diverse, benché saldamente alleate: mentre quella di Reggio Emilia è congiuntamente gestita dai Nicoscia e dai Grande Aracri, quella insistente tra Piacenza e Cremona è ad esclusivo appannaggio del Grande Aracri, pur rimanendo “a disposizione del clan”». In questo quadro, Cremona risulta un vero e proprio punto di riferimento: «Le persone di giù sanno che a Cremona c’è Franco Lamanna – spiegava Cortese agli investigatori – se c’ho bisogno di qualcosa, un appoggio di qualsiasi cosa, io vado da Franco Lamanna, perché “mi serve una macchina rubata, vedi che dobbiamo fare una rapina, dobbiamo… ci serve per fare un traffico di droga” cioè è un punto di riferimento che c’è, e si stacca, lo puoi fare dove vuoi». LE DUE SOCIETA’-FORTINO DI CREMONA – Le carte dell’indagine parlano di due società consortili con sede legale a Cremona e operative a Castelvetro (Pc): la General Contractor Group e la Edilstella Srl. Da queste postazioni, secondo gli inquirenti, Francesco L. avrebbe controllato il territorio. In queste società «avevano a vario titolo il controllo o possedevano quote di partecipazione determinanti (direttamente o per interposta persona)» R.V. (ritenuto figura centrale nella gestione), Francesco L. (di Cremona) ed altri tre soggetti: M.C. (di Castelvetro, ex sovrintendente della Polstrada, accusato tra l’altro di essersi introdotto «abusivamente nel sistema informatico denominato Sistema di Indagine, in dotazione alle forze di polizia, sistema protetto da misure di sicurezza, con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti la sua funzione di ufficiale di p.g. e con violazione delle direttive concernenti l’accesso allo Sdi da parte di appartenenti alle forze dell’ordine»), V.M., (cutrese di Castelverde, che «deteneva armi da fuoco a disposizione dell’associazione »), e i fratelli P.V. e R.V. (cutresi di Castelvetro), accusati, assieme ad assieme a F.L. (anch’egli cutrese di Castelvetro) di tentata estorsione ai danni di un imprenditore del paese («avvalendosi della condizione di intimidazione derivante dalla loro appartenenza alla ‘ndrangheta ed in particolare all’articolazione ‘ndranghetistica emiliana, avente epicentro nella provincia di Reggio Emilia»); a questi si aggiungono S.M., cutrese residente a Corte de’ Frati, ritenuto «costantemente a disposizione di Lamanna Francesco» di cui sarebbe «autista e factotum» e «punto di riferimento degli altri sodali di Castelvetro Piacentino», nonché «in possesso di armi da fuoco»; G.M., cutrese residente a Sesto ed Uniti, «in possesso di armi da fuoco»; S.C., di Bagnara, accusato di avere «illegalmente detenuto e portato una pistola a tamburo e relativo munizionamento»; e P.V., di Castelvetro. Eccetto gli ultimi tre, per gli altri l’accusa è di associazione a delinquere di stampo mafioso. I primi sei, «nella piena consapevolezza della provenienza di parte del denaro affidato a R.V. dall’associazione mafiosa dei Grande Aracri di Cutro, lo investivano nell’attività di fatturazione per operazioni inesistenti oggetto sostanzialmente dominante dell’attività del gruppo di società sopra indicate». La Edilstella «funge da trait d’union con numerose altre società riferibili a soggetti originari di Cutro e risulta essere stata utilizzata come copertura per compiere attività illecite quali il riciclaggio di denaro proveniente da usura o altri reati attraverso false fatturazioni su lavori inesistenti». Dal canto suo, la General Contractor, secondo le accuse, sarebbe anche servita a coprire, tramite l’emissione di false fatture, una tentata azione estorsiva da parte di F.L. e P.V. ai danni di un imprenditore di Castelvetro. E il metodo utilizzato per il riciclaggio ricostruito dagli inquirenti risulta indubbiamente ingegnoso: «Il denaro contante, dopo essere stato consegnato ad una società – sulla carta – appaltante, che non ha alcun legame con l’organizzazione calabrese, viene quindi trasmesso mediante bonifico al Consorzio “Edil Stella” che a sua volta, lo gira a società correlabili al sodalizio in qualità di operatori in subappalto nei lavori fittizi o direttamente al finanziatore del denaro contante. Tutte queste movimentazioni vengono quindi rese lecite mediante una serie di false fatturazioni nel campo edile». Insomma, la quantità di denaro per i necessari investimenti del clan, che prima veniva creata attraverso le metodologie “militari” delle attività “vetero-criminali”, anche a Cremona avveniva ormai con i nuovi illeciti para-legali. Ed ora, come ha ricordato il procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, quella «mafia imprenditrice » inseguita per anni come un fantasma «l’abbiamo scoperta e perseguita proprio in casa nostra».

L’ombra di cutro su rifiuti, night club e immobiliare


A Cremona permangono situazioni non chiare in cui spuntano ancora nomi di cutresi già coinvolti nella Grande Drago
Dalla discarica di Cignone ai possibili intrecci tra ‘ndrangheta e camorra nel settore a luci rosse

Il salto di qualità della ‘ndrangheta “terziarizzata” compiuto dalla rete dei vassalli emiliani del presunto boss Nicolino Grande Aracri lo abbiamo visto nella prima parte dell’inchiesta. La data d’inizio la conosciamo: il 1982, quando il boss cutrese Totò Dragone arrivò in terra emiliana (il suo posto l’avrebbe poi preso l’attuale presunto boss, Nicolino Grande Aracri, estesosi poi nel cremonese e nel mantovano). Ma si può dire che i 160 arresti di “Aemilia” segnino la data di scadenza? Le mafie sono come monete false: prima o poi saltano sempre fuori. E, oltre alla dimensione da holding finanziaria, l’altra novità preoccupante è l’occupazione non più “militare” del territorio, ma «dei cittadini e delle loro menti» (come ha sottolineato il sostituto procuratore antimafia Roberto Pennisi nella conferenza stampa del 28 gennaio). Ha scritto il giornalista Giovanni Tizian: «La sensazione è che siamo solo all’inizio. Come fu per la Lombardia dopo la maxi operazione Crimine (300 arresti tra Calabria e Lombardia nel 2010), che diede il via a decine di operazioni della stessa importanza. Questo perché una volta aperti, certi vasi sono più profondi di quel che potevamo immaginare». E come dargli torto? In Emilia e a Mantova restano numerose zone d’ombra. E lo stesso si può dire per la provincia di Cremona, dove persistono ombre nel traffico dei rifiuti, nell’immobiliare, nel giro dei night club che per ora sembrano essere rimaste fuori dall’inchiesta. TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI – Un soggetto cutrese (C.O.M.), già comparso tra quelli dell’indagine Grande Drago del 2002, è rispuntato nell’affaire della mega discarica abusiva sequestrata dal Noe di Brescia nel maggio del 2012 in un vecchio impianto di betonaggio a Cignone (Corte de’ Cortesi). Nel periodo della conduzione “cutrese” del terreno, numerose testimonianze parlano di estorsioni perpetrate in paese. E un imprenditore edile cremonese (che ha chiesto l’anonimato) indica l’amministratore “fantasma” della società intestata a C.O.M. in un secondo cutrese, che sarebbe rimasto fuori dalle carte della società a “tirare le fila” da dietro la tenda: «Questa è la parte peggiore della ’ndrangheta – commentava l’imprenditore edile – perché non fanno neppure girare denaro, per quanto illecito: si limitano ad un’azione di solo parassitismo, sfruttando e ripulendo società in perdita senza costruire o produrre nulla». CONTROLLO E SVUOTAMENTO AZIENDE IN CRISI – Curioso anche il caso di un’azienda in crisi in un paese del territorio di Casalmaggiore, relativamente alla quale è emerso un metodo di “svuotamento delle aziende” analogo a quello identificato da Roberto Pennisi per la “altra ’ndrangheta” e la camorra in molte zone dell’Emilia e del territorio Veneto. Nel 2012, l’azienda è risultata affittata ad alcuni misteriosi soggetti “senza storia” e di origine campana, comparsi all’improvviso dal nulla; all’inizio del 2013, lo stabile era inspiegabilmente chiuso anche ai legittimi proprietari ed agli operai: nessuno vi accedeva più. Alcuni testimoni riferirono di aver udito all’interno, nei mesi successivi (circa da febbraio a giugno 2013), continui rumori di macchinari smontati e materiale metallico segato, segnalando un intenso via vai soprattutto notturno di autoarticolati che entravano in azienda con i cassoni scoperti e vi uscivano di nuovo coperti con teloni. Poi i soggetti sparirono assieme al nome ed alla persona giuridica della società. NIGHT CLUB E POSSIBILI INTRECCI ‘NDRANGHETA-CAMORRA – Nella zona di Cremona, ombre preoccupanti si allungano anche sul settore dei night club. Da indiscrezioni circolate negli ultimi tempi (per le quali si attendono verifiche) si parlerebbe di un’azione congiunta di soggetti cutresi già coinvolti nell’operazione Grande Drago (uno comparso anche nel caso della discarica di Cignone) e legati alla ‘ndrina di Grande Aracri, con altri legati ad ambienti camorristici di Torre Annunziata (e tra questi ultimi, incuriosisce il nome di un soggetto legato ad un partito politico di centro e più volte immortalato assieme ad un noto parlamentare centrista). Oltretutto, alcuni dei soggetti di parte cutrese risultano legati ad altri soggetti cutresi residenti in Emilia che spuntano dalle carte della maxi-operazione “Venus” scattata nel 2012 a Parma contro il racket della prostituzione. AGENZIE IMMOBILIARI SENZA SEDE E COMPRATORI “NULLATENENTI” – Di strani movimenti si parla anche nel settore immobiliare, dietro un’agenzia cittadina (che risulta, almeno apparentemente, senza sede): indiscrezioni parlano di numerose ed ambigue compravendite perlopiù di case appena costruite in lotti situati sia a Cremona che in un paese del vicino territorio, da parte di alcuni soggetti di origine cutrese, che risulterebbero però disoccupati e senza entrate. Anche in questo caso, alcuni nomi risultano, curiosamente, già comparsi nell’ambito dell’operazione Grande Drago. E in un Comune vicino a Cremona sono affiorate irregolarità nei conteggi relativi all’edificazione di due lotti da parte di imprese edilizie riferibili a due soggetti cutresi appena arrestati nell’operazione “Aemilia”. Questa settimana è stata depositata dal consigliere comunale Giancarlo Schifano una mozione sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella provincia di Cremona. Non è la prima. E, al netto della situazione, forse non sarà neppure l’ultima. Incontrerà stavolta il voto della maggioranza? Ci sarà per una volta la volontà politica di guardare in faccia la realtà?

domenica, febbraio 01, 2015

Dopo gli scontri, su Facebook è il delirio

In seguito ai disordini di sabato la comunità di cittadini, di tutte le età, commenta e si sfoga sui social network

Il mondo reale e il mondo virtuale. 

I livelli di incattivimento, di rozzezza, di inciviltà salgono, salgono…


La foto postata da una cittadina che si dichiara “non violenta”

di Agostino Francesco Poli

Non vi è correlazione accertata tra i comportamenti adottati dalle persone nella vita reale e quelli, viceversa, agiti nel mondo virtuale: lo dimostrano serie ricerche condotte in ambito anglosassone. Quando leggiamo sfrenati commenti su Facebook, atroci volgarità, offese sessiste e razziste, è come se si spalancasse la porta di una stanza umida e chiusa da anni: ne potrebbero uscire schifezze di ogni genere. La ricerca dimostra l'errore concettuale di chi ritenga che un'indole tendenzialmente aggressiva nella vita reale, "coperta" e implementata dalla distanza e dalla separatezza insite nel social, possa amplificare le sue caratteristiche, mentre una persona mite non giungerebbe mai, anche se coperta dall'anonimato, all'insulto gratuito. Non è vero. Quando avvengono situazioni che provocano tensioni, paure, rabbia, l'aggressività e l'aggressione su Facebook raggiungono livelli da paranoia. Diventano un delirio collettivo. Il delirio, in psichiatria, è un disturbo nell'interpretazione della realtà. È allora evidente che il mondo virtuale, non contenuto, non garantito dalla corporeità in presenza, sia vissuto, in molti casi, come un'arena in cui proiettare le proprie paure e dare voce e spazio alle proprie fobie. Leggo, stamani, un post di una persona che conosco, in cui racconta la vera e propria aggressione verbale subita da un ex collega, riguardo a diverse opinioni politiche espresse su un tema "caldo" (il terrorismo islamista). Conosco entrambi, due intellettuali, due persone colte e civili: sono rimasto di stucco. Tento qualche valutazione. L'insulto a base politica, la volgarità sessista e razzista sono utilizzati, anche perché Facebook, in realtà, li tollera: difficile che rimuova qualcosa. Qui entreremmo nel delicatissimo tema della libertà di espressione e dei suoi limiti ... Le esibizioni muscolari fasciste e naziste avvengono quasi sempre sotto copertura (si dovrebbe comunque sempre ricordare che la ricostituzione sotto qualsiasi forma del fascismo e la sua apologia sono vietati dalla XII disposizione transitoria e finale della nostra Costituzione e da una legge dello Stato; quindi, senza giri di parole, sono reati). L'invocazione della pena di morte, l'urlo, la sparata sono linguaggi che, ahimè, da tempo vengono veicolati da quella palestra di malcostume e irrisione che spesso diventa la TV. Ma c'è anche un altro aspetto. Avete mai visto due animali che lottano? Si sorvegliano a vicenda, studiano non solo i movimenti, ma anche le contrazioni impercettibili del corpo, e lo sguardo. Bilanciano le azioni e le reazioni secondo questa dinamicità corporea. È ciò che manca nel mondo virtuale: la corporeità, lo stare in presenza, lo scambio di sguardi. Più facile frenarsi se incontriamo uno sguardo offeso o ferito; troppo facile colpire, svillaneggiare, massacrare verbalmente un fantasma incorporeo. Ma, intanto, i livelli di incattivimento, di rozzezza, di inciviltà salgono, salgono… 

Alcuni dei commenti letti in questi giorni su Facebook, ce ne erano anche di peggiori.


"Noi paghiamo la corrente del centro sociale con cui questi maiali si fanno il concerto..loro che pagano 50 euro di affito e i poveri disoccupati esodati cassintegrati che devono pagarsi il bollo e l'affitto.... ma quando c'era LUI questo nn succedeva"

"Io adesso andrei a bruciare quella merda del centro Dordoni e tutti quelli che lo frequentano.... animali ignoranti"

"Avrebbero dovuto farli sloggiare da molto tempo, invece che calarsi le braghe, così come facciamo con gli immigrati. Siamo sempre leccaculo di gentaglia, ormai noi che in questa città ci siamo nati, cresciuti e l'abbiamo vista mutare, non contiamo più un cazzo di niente". Come fai dopo a non farti prendere da un istinto di violenza!!!"

"Fuoco ad altezza uomo e ruspe che raccolgono cadaveri per caricarli su bilici diretti all'inceneritore! Unica soluzione possibile"

"I centri sociali con i black bloc non centrano un cazzo e se guardate e ascoltate bene i video reportage si sentono i veri manifestanti che gridano merde coglioni ecc ecc e solo i black bloc attaccano gli altri si sono allontanati imparate a fare buona informazione al posto di fomentare odio....... solo questo sa fare la politica e i politicanti tutti é cosi da sempre svegliaaaaaa "

"Non giustifico certo la violenza, ma le persone come voi, mi fanno profondamente schifo, perché siete tutti un ammasso di secondi fini. Infatti, nessuno di voi si è indignato per domenica scorsa, quando un uomo ha difeso il suo spazio ed è quasi stato ucciso, nell'indifferenza più totale, aggiungerei. Lo sapete perché non avete detto nulla? Perché avete pensato solamente "uno di meno", quindi ficcatevele dove non batte il sole le vostre parole al vento"

"Si doveva sparare alle gambe a tutti loro che hanno fatto la manifestazione "pacifica "e nel frattempo bruciargli i pullman. Non si può nel 2015 stare ancora a pensare se è giusto o meno far fare a gente che si conosce bene ,ancora stronzate del genere".