domenica, luglio 29, 2012

Le interviste impossibili: Dante Alighieri


Quante volte ci siamo chiesti: se Dante fosse messo davanti allo schermo di un computer, e osservasse la scrittura che nasce attraverso gli impulsi su una tastiera, piuttosto che dal movimento articolato della mano, cosa direbbe? E se Newton conoscesse gli studi sul bosone di Higgs? E Mozart, condotto ad un concerto rock? E se Maria Curie potesse osservare gli esiti diagnostici e gli sviluppi della scoperta del radio? E Napoleone, se vedesse una guerra condotta con missili e droni? Il gioco potrebbe continuare all’infinito, in un rimando di citazioni e meraviglie ininterrotto. Allora, ci siamo detti: proviamo. Proviamo a far parlare alcuni di questi personaggi, ponendo loro domande sul nostro oggi. Una sorta di “interviste impossibili”: con quel tanto di leggero ed ironico – vogliamo sperarlo – da risultare di piacevole lettura.

di Agostino Francesco Poli

Ahi serva Italia, di dolore ostello
Un’invettiva contro chi lascia andare a male la storia, la cultura, l’arte dell’Italia

Verrebbe da chiamarla “Dante”, come usiamo conoscerla a scuola, come ci viene insegnato fin dai primi anni di studio… ma temo di osare troppo. 
«No, la mi chiami pure Dante… l’è un nome bello, importante. Lo sa cosa significa? ».
No, me lo dica. 
«Significa colui che perdura. Che persevera. E, da quello che vedo, la mia opera perdura davvero… La mia opera: “'l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, sì che m'ha fatto per molti anni macro”. Ci ho lavorato davvero tanti anni, sa? Diciassette. Ero giunto, o almeno credevo, “nel mezzo del cammin di nostra vita”. In realtà, la malaria mi ha sopraffatto molto prima.
 La vedo corrucciato. Allora, non si tratta solo di una tradizione iconografica, che la ritrae così… 
«Non ho mai trovato eccessivi motivi di felicità. Secondo lei, che c’è da ridere? Mica sono un umorista: a me si confacevano la grande poesia, l’invettiva, il trasporto lirico, ma non la poesia da mammolette!
Eppure, Dante, lei ha scritto uno dei componimenti d’amore più belli di sempre, il canto di Paolo e Francesca. Per non parlare delle sue poesie, del Dolce Stil Novo. 
Il Dolce Stil Novo è cosa di gioventù, quando rimavo: “Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io/fossimo presi per incantamento,/e messi in un vasel ch'ad ogni vento/per mare andasse al voler vostro e mio”. Poi, sono arrivati l’impegno politico, la partecipazione alle vicende della mia città e del mio tempo, l’Imperatore ed il Papa, i Guelfi ed i Ghibellini, gli incarichi da ambasciatore, e il duello, a distanza ma durissimo, con il papa nemico, Bonifacio VIII. Sa che sono stato cacciato da Firenze, la mia città? che ho vissuto in esilio per venti anni? «Tu proverai sì come sa di sale/lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e 'l salir per l'altrui scale».
Lei amava Firenze? 
«Firenze … la amavo e la odiavo. Ho reso grande anche Farinata degli Uberti, pur se ghibellino, pur cacciandolo nell’Inferno, dove meritava di stare, perché, dopo la vittoria di Montaperti, si oppose a che Firenze, sconfitta, fosse distrutta».
E che ci dice delle cose di oggi? Questa nostra Italia, come la vede? 
«Io ho creato la vostra lingua. Ho usato il cosiddetto “volgare”, gli ho dato dignità e grandezza poetica. Ho creato figure indimenticabili, come il poeta Sordello da Goito: è nel Purgatorio, ma pensa tanto alla sua patria, all’Italia, con nostalgia e dolore. Si ricorda?».
Sì.. quei versi indimenticabili, che spaventano un po’. 
«Sono versi di rabbia. Molto più importante della nostalgia è la rabbia che ne sgorga, in cui si tramuta. “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, // non donna di provincie, ma bordello!».
Parrebbero adatti al nostro oggi, in un certo senso. 
«Lo sono. Vivete in un Paese ancora ricco, forte, dotato di tradizione e bellezza incommensurabili. Perché non ve ne avvalete? Perché li gettate via? Lo sa cosa ho sentito dire?».
Che cosa? 
«Che a Firenze, nella mia città, la più bella città del mondo, ovvia… me lo faccia dire! Insomma, a Firenze non c’è modo di conservare ammodo le pergamene su cui scrivevamo ai miei tempi! Ma le pare possibile? Pare che non ci sia denaro per evitare l’umidità e il caldo! Ma dico io, siete andati sulla Luna! E non c’è modo di conservare le pergamene che narrano la storia e la memoria di una città come Firenze! Altro che intervistarmi: dovrebbe denunciare queste cose! Tutti i giornali, visto che ce li avete a disposizione, e anche quella cosa, Internet… tutto dovreste utilizzare, per un’invettiva come quelle mie, contro chi lascia andare a male la storia, la cultura, l’arte dell’Italia! Ah, potessi tornare indietro! Io scrivevo a mano, ci pensa? Potessi usare la stampa, potessi essere nato ai tempi di Gutenberg! Potessi scrivere cose da diffondere in centinaia, migliaia di copie! Sarei diventato il maggior polemista di tutti i tempi! La prego, mi dica: che ne penserebbe di un pamphlet sulla situazione politica ed economica del vostro tempo, che terminasse con “Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate”?».
Penso che sarebbe un enorme successo, caro Dante, padre dell’Italia verso cui proviamo un amore dolceamaro. La ringrazio.

Elezioni: grande preoccupazione per gli investitori


Paolo Manasse: «La tendenza dei mercati è sfuggire prima di tutto dai paesi con il debito più elevato, come l’Italia»
Secondo il docente, «La politica in Italia è un problema: né destra né sinistra hanno la minima idea di come muoversi»

di Daniele Tamburini

Se ci limitassimo a guardare i fatti, la quota che sta toccando in questi giorni lo spread (cioè, il differenziale tra i nostri titoli di stato e quelli tedeschi) non è poi così dissimile da quella che contribuì a dare il colpo finale al governo Berlusconi, lo scorso novembre. E questo, nonostante l’opera di risanamento dei conti che il premier Monti ed il suo governo stanno portando avanti, anche con scelte dolorose e assai pesanti. Ovviamente, quella che terminò a novembre era un’altra storia: ma i timori e le perplessità stanno crescendo, e danno fiato anche a chi, come l’IdV, sostiene che Monti abbia fallito e che occorra andare al voto anticipato. Grandi manovre in vista delle prossime elezioni politiche? Senz’altro. Non se ne sottraggono, ormai da settimane, sia il Pdl che il Pd. Un’altra dimostrazione di poca responsabilità delle forze politiche? O magari, queste hanno davvero ragione, e la ricetta Monti non sta funzionando? Eppure, il nostro Paese è ancora robusto, sotto diversi punti di vista (ad esempio, nel manifatturiero), e ha un Pil neppure paragonabile a quello, per esempio, della Grecia. Ne parliamo con il professor Paolo Manasse, docente di Politica Economica all’Università di Bologna.
Professor Manasse, una domanda secca, per iniziare: perché lo spread vola, nonostante la virtuosità, riconosciuta da più parti, del lavoro del governo in direzione del risanamento? 
«In questo periodo i mercati finanziari reagiscono a una serie di eventi, in parte di origine nazionale e in parte decisamente esterni all'Italia. Parte del problema, ad esempio ha a che fare con la crisi greca: è molto probabile che ci sia una opposizione da parte della Germania e del Fondo Monetario Europeo all'erogazione di una terza tranche di aiuti alla Grecia, e questi potrebbe portare al Grecia a uscire dall'area euro. Dall'altro lato c'è la crisi spagnola, che si sta aggravando notevolmente, facendo sfuggire i mercati. Del resto, ci troviamo in una situazione in cui l'Europa sembra non voler prendere delle decisioni definitive, e questo fa allontanare ulteriormente i mercati dalla zona Euro, che sta diventando sempre più fragile, tanto che iniziamo a sentire i primi scricchiolii anche in Germania. La tendenza dei mercati è sfuggire prima di tutto dai paesi con il debito più elevato, come l'Italia: le azioni restrittive del Governo potranno avere un effetto benefico nel lungo periodo, ma nel breve hanno un effetto negativo sull'economia. Del resto nel nostro Paese ci sono anche delle responsabilità nel non fare determinate scelte politiche attraverso la Banca d'Italia. Non dimentichiamo che il Fondo salva stati, senza l’aumento della sua dotazione, o senza la possibilità di ottenere credito illimitato da parte della Bce, è destinato a non decollare.
Perché la speculazione ha come obiettivo l’Italia? C’è una debolezza strutturale? 
«Effettivamente è proprio così: l'Italia è caratterizzata da un'evidente carenza strutturale. E' il Paese che cresce meno in Europa e il fatto che i tassi di interesse aumentino costantemente mette ancora più in difficoltà la solvibilità dello Stato Italiano. Ricordiamo che l'aumento di un solo punto percentuale del tasso ci costa circa 20 miliardi, ossia la metà dell'incasso dell'Imu. Questo ci mette in una situazione di grande vulnerabilità».
Il premier Monti dice: se la situazione rispecchiasse la realtà delle cose, lo spread dovrebbe essere a quota duecento. È d’accordo?
«Nessuno può dire con certezza come potrebbero essere le cose. Quello che credo sia vero è che l'aumento dello spread riflette in parte ragioni che non hanno a che fare con l'Italia. Diciamo che su un 520 di spread, solo circa la metà dipende dalle scelte del nostro Paese».
Quanto ha inciso su questa situazione il rinvio a settembre della decisione della Corte costituzionale tedesca sullo “scudo antispread”? 
«Credo non più di tanto. Anzi, direi che è stata una buona scelta quella di rinviare tale misura, in quanto attualmente lo scudo non ha soldi e non sarebbe efficace».
Rischio Spagna, rischio Grecia… sono rischi reali?
«Sono rischi molto reali. Se oggi dovessi scommettere qualcosa sulla Grecia, scommetterei sulla sua fuoriuscita dall'euro nel giro di un mese o poco più: a fronte della decisione della Germania di non continuare ad erogare aiuti al Paese, le speranze sono davvero ridotte al minimo. Allo stesso modo è reale il rischio in Spagna: in mancanza di un intervento europeo, le banche spagnole rischiano il fallimento, e lo Stato spagnolo non è in grado di salvarle. L'uscita della Grecia e un tracollo della Spagna influenzerebbero negativamente l'intera zona dell'Euro, con effetti decisamente pesanti».
L’instabilità politica del Paese, sempre in agguato, ha in ruolo in tutto questo? 
«Secondo me sì. La prospettiva di una futura guida politica per il Paese, di destra o di sinistra che sia, è vista con grande preoccupazione da tutti gli investitori, in quanto nessuno dei due schieramenti ha la minima idea di come muoversi. Le proposte di Berlusconi in merito all'uscita dell'Italia dall'area Euro, poi, hanno avuto come unico effetto quello di far aumentare lo spread, e questo è un grave problema, visto l'attuale situazione recessiva del Paese».
Si è parlato molto, in questi giorni, del cosiddetto “meccanismo europeo di stabilità” (Esm), che è stato approvato proprio nei giorni scorsi, nonostante le molte contestazioni. Secondo lei potrebbe essere uno strumento efficace? 
«Purtroppo no, in quanto esso non possiede risorse sufficienti per salvare Spagna e Italia. Questo strumento va a sostituire il Fondo europeo di stabilità finanziaria, ma ha una dotazione di circa 500 miliardi, decisamente insufficiente per ridurre lo spread. Tale fondo, tra l'altro, non solo non ha il capitale necessario, ma neppure la possibilità di ottenerlo indebitandosi presso la Banca Centrale europea. Dunque se il fondo di intervento, per il quale Monti si era strenuamente battuto, non ha risorse illimitate e gli squilibri persistono, il regime di fissazione dei prezzi prima o poi collasserà. Ad un certo punto si avrà un attacco speculativo dove gli investitori, che anticipano la caduta del prezzo, venderanno in massa al fondo di stabilizzazione, esaurendone le risorse. Questo fondo, quindi, potrebbe addirittura peggiorare la situazione».



lunedì, luglio 23, 2012

Le interviste impossibili: Karl Marx



Quante volte ci siamo chiesti: se Dante fosse messo davanti allo schermo di un computer, e osservasse la scrittura che nasce attraverso gli impulsi su una tastiera, piuttosto che dal movimento articolato della mano, cosa direbbe? E se Newton conoscesse gli studi sul bosone di Higgs? E Mozart, condotto ad un concerto rock? E se Maria Curie potesse osservare gli esiti diagnostici e gli sviluppi della scoperta del radio? E Napoleone, se vedesse una guerra condotta con missili e droni? Il gioco potrebbe continuare all’infinito, in un rimando di citazioni e meraviglie ininterrotto. Allora, ci siamo detti: proviamo. Proviamo a far parlare alcuni di questi personaggi, ponendo loro domande sul nostro oggi. Una sorta di “interviste impossibili”: con quel tanto di leggero ed ironico – vogliamo sperarlo – da risultare di piacevole lettura.

di Agostino Francesco Poli

Buonasera, Herr Marx. Risponderebbe a qualche domanda?
“Sì, ma ho un po’ di fretta. Devo discutere di alcune questioni con il mio amico Friedrich. Abbiamo lasciato in sospeso la definizione del socialismo scientifico”.
Mi scusi: Friedrich Engels?
“E chi, altrimenti?”
Bene, faremo presto. Lei ha indubbiamente segnato la storia del mondo, ma poi, per un po’ di tempo, è parso che il suo pensiero fosse messo in soffitta. Salvo essere richiamato proprio oggi, nella crisi attuale, in cui si parla di crisi di capitalismo, di rapporti di produzione etc.. Come ci si sente a sapere di averci visto giusto?
“Sbaglio, o qualcuno, dalle vostre parti, pochi anni or sono, parlava di “fine della storia”? Stupidaggine! Non mi sono mai divertito tanto, a leggerlo. Io ho sostenuto che la forza motrice della storia è la lotta di classe, che sono sempre esistite classi dominanti e classi dominate, e che la storia è un continuo movimento perché questa dialettica si trasformi. Altro che fine della storia! La vostra crisi, lo sa cos’è?”
No, ce lo dica…
“E’ un terribile, feroce, violento tentativo di riorganizzazione del capitale. Non è elegante autocitarsi, ma …”
Lo faccia, lo faccia…
“Ho scritto: "a un certo livello di sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà". Le forze produttive dell’Occidente sono entrate in contraddizione con fenomeni che non hanno potuto o saputo gestire (come la chiamate? La globalizzazione. O le stesse ondate migratorie, sintomo e risultato di una incredibile capacità di circolazione delle merci).
E allora?
“Io non ho scritto i Vangeli. Ma nelle mie pagine ci sono ancora molti spunti per cercare di leggere il vostro presente e trovare una via di uscita. Oggi, lo so, è tutto cambiato. Continuo a studiare, sa? L’organizzazione del lavoro e dei mercati è sconvolta, la divisione del lavoro e della geografia del potere pure; insomma, c’è una nuova configurazione dei soggetti che si confrontano. Ci sono nuove figure dello sfruttamento ( so dei precari, so dei lavoratori in nero), ma credo anche sia possibile fare leva sui punti di crisi e elaborare una nuova teoria del “valore comune”. Specie dopo quel che è successo al comunismo …”
Già. Uno dei motivi per cui lei è stato messo nella soffitta di cui parlavamo…
“Bah. A parte che le soffitte sono luoghi molto interessanti, devo dirle che il crollo dell’URSS non mi ha fatto strappare i capelli (e guardate che ne ho ancora tanti!). Chi ha voluto l’URSS fatta nel modo in cui venne realizzata, aveva letto poco di mio. Mi creda”.
Torniamo alla crisi. Ne usciremo?
“Non allo stesso modo in cui eravate, quando ci siete entrati. Ma senta, adesso faccio io una domanda: perché vi fanno tanta paura parole come “conflitto”, “classe”, “sfruttamento”? Basta assumere il fatto che esiste il punto di vista del capitalista, ma anche il punto di vista del lavoratore. Basta accettare che il capitalismo non sia un despota irresistibile, ma che la storia si svolge su uno scacchiere in cui il giocatore non è unico. Sono tanti i soggetti e le energie che possono confrontarsi e temperare la violenza della riorganizzazione capitalistica. È assurdo non riconoscerlo. È antistorico”.
Sta andando nel difficile…
“Voglio dire che il vostro mondo, quello che chiamate welfare, la protezione sociale e sanitaria eccetera sono nate dalla contraddizione, che sempre si rinnova, tra capitale e lavoro. Anche quando il lavoro è poco o nullo, come sta accadendo ora. Ho scritto che la macchina, nella sua relativa indipendenza, trasmette sì valore al prodotto, ma come lavoro morto. Solo l’attività degli operai, il lavoro vivo, permettono alle macchine di essere produttive. Sento parlare tanto di capitale finanziario, di finanziarizzazione. A parte che la parola è orribile (io scrivevo bene, sa?), ma dove sta, lì, il lavoro vivo? Non sarà che da lì nascono tanti problemi? Ma ora mi scusi, ho davvero un impegno”.
Con Engels…
“Mmm … beh, no: con Jenny, mia moglie. È baronessa di nascita, sa? Ed è intelligentissima, colta, politicamente molto consapevole. Ci scambiamo lettere anche se stiamo lontani solo un giorno. Oggi ne è arrivata una: io le avevo scritto … lo vuole sapere?
Certo!
“Io ti ho viva davanti a me e ti porto in palmo di mano, e ti bacio dalla testa ai piedi, e cado in ginocchio e sospiro: "Madame, io vi amo!”.
Bellissima frase! E sua moglie?
“Mi ha scritto una dolce lettera, indirizzata al “mio barbuto cinghialotto”
Grazie, Herr Marx. E porti i miei rispetti alla sua signora.


Le forbici sono utili, se c’è stoffa da tagliare


Vorrei essere chiaro: non intendo sparare su Monti, a prescindere. E' un governo che si e' trovato a gestire una situazione devastata e fortemente compromessa, e anche un po' imbarazzante. Ha fatto cose importanti: basti pensare che ha dato dignità e valore a chi paga le tasse. Ci ha evitato - per ora - il default. Ha assunto una nuova dignità in Europa. Ma, a volte, sembra che navighi un po' a vista. Non starò a ripetere la solita cosa dei provvedimenti tutti, o quasi, assunti sul piano dei tagli di spesa e delle tasse, e scarsi sul piano degli investimenti e dello sviluppo. Ci sono, però, alcuni elementi che davvero lasciano perplessi. Pensiamo alla questione riduzione delle ferie e accorpamento delle feste patronali al sabato o alla domenica. Per ora non ne fanno di nulla, ma un sottosegretario, Polillo, le invoca a spada tratta e dice che solo in Italia c'e' la cattiva abitudine a fare il "ponte". Scusate, ma c'e' di che essere allibiti. Le ferie? quando il lavoro non c'è, o ce n'è poco, davvero le ferie sono un problema? Le statistiche dicono che un italiano lavora come un giapponese, più di un tedesco. Il problema della produttività, allora, sta nella qualità di cosa si fa, non in quanto si lavora. Il problema sono gli investimenti in tecnologia e ricerca, per esempio. E l'abolizione dei "ponti"? Che ne pensano gli albergatori, i ristoratori? Non avevamo bisogno di far ripartire lo sviluppo, di cui il turismo e' una leva importante? Non dovremmo incentivare, visto che abitiamo nel Paese più bello del mondo, anche il turismo interno, oltre che quello d’oltreconfine? Non so, sono confuso. Vorrei capire che senso hanno questi annunci, se non ad aumentare la confusione. Però vorrei dire al premier Monti una cosa di semplice buon senso: che le forbici sono utili, ma quando c'è stoffa da tagliare.

Daniele Tamburini

sabato, luglio 14, 2012

Intervista a Guglielmo Forges Davanzati: «Il vero problema italiano? basso tasso di crescita e elevato disavanzo della bilancia dei pagamenti»

«Le politiche di austerità hanno effetto recessivo»

di Daniele Tamburini
Le misure previste nel decreto legge n. 95 del 6 luglio scorso (quello sulla cosiddetta spending review, o revisione della spesa pubblica) impattano fortemente su una spesa pubblica già sottoposta a tagli e riduzioni di trasferimenti statali da anni a questa parte. Dopo le tasse e le imposte, la riorganizzazione della macchina pubblica e la razionalizzazione della spesa. È presto per dire se tutto ciò porterà a ridurre gli sprechi o, piuttosto, a tagliare servizi. Alcune misure – vedi i tagli alla ricerca e la sostanziale deregulation della possibilità di aumentare le tasse universitarie - sembrano stridere con le intenzioni di crescita e sviluppo. Altre lasciano nel limbo di “decreti attuativi” la riorganizzazione della macchina pubblica periferica (la riduzione del numero e delle competenze delle Province). Sono pesantemente coinvolti la sanità (siamo sicuri che un piccolo ospedale è comunque inefficiente?) e la giustizia. Sono ancora previsti grandi tagli alla spesa delle Regioni e degli enti locali (alcuni hanno paventato di non poter riaprire le scuole a settembre). Sono tagliati gli organici di dirigenti e dipendenti pubblici (ma che fine farà, questa gente?). E la reazione del Paese? Protestano i sindacati, la Confindustria (ma con toni parzialmente attenuati, dopo il primo giudizio di Squinzi, che ha parlato di “macelleria sociale”, e la reprimenda di Monti) e la società civile. Alcuni economisti continuano a sostenere che la ripresa certamente non passa da tagli, riduzione di servizi, licenziamenti. Ma, nelle forze politiche, almeno in quelle rappresentate in Parlamento, c’è accettazione, a volte non molto convinta (quasi che sia l’ennesimo amaro calice da sorbire), a volte vigorosa (alcuni esponenti Pd hanno scritto che il loro partito dovrebbe portare l’agenda Monti nella prossima legislatura). La grande stampa plaude alle misure del governo, che incassa l’approvazione di Ue e Bce. Insomma, tutto bene? Ne abbiamo parlato con Guglielmo Forges Davanzati, docente di economia politica all’Università del Salento e saggista. Professore, vorrei partire proprio da questo: se la metà delle misure di spending review attuate o in via di attuazione da parte del governo Monti fossero state realizzate dal governo Berlusconi, si sarebbe verificata, su molti versanti, una vera e propria sollevazione. Adesso non è così. Perché? Cosa è cambiato, rispetto a un anno fa? 
Il Governo Monti fa gioco sullo stato di emergenza e, in larga misura, lo crea, diffondendo il timore di attacchi speculativi determinati da un eccessivo debito pubblico e il conseguente possibile fallimento dello Stato italiano. Occorre preliminarmente rilevare che un elevato debito pubblico non costituisce in sé un problema, se è data alla Banca Centrale la possibilità di acquistare titoli di Stato non acquistati da privati (il che non nelle prerogative della BCE). In altri termini, la teoria economica, ad oggi, non è in grado di stabilire il limite di sostenibilità del debito pubblico, se non rinviandolo a fattori extra-economici che, per loro natura, attengono alla sfera delle decisioni politiche. Non si spiegherebbe diversamente per quale ragione, a titolo esemplificativo, l’economia giapponese non ha un problema di eccesso di debito pubblico con un rapporto debito/PIL che supera il 220% (a fronte del 120% italiano). Il problema italiano consiste semmai nella fragilità dei c.d. fondamentali: basso tasso di crescita ed elevato e persistente disavanzo della bilancia dei pagamenti, innanzitutto. 
Qual è il suo giudizio complessivo sul decreto legge cosiddetto di spending review? 
La spending review è, nonostante quanto afferma il Presidente del Consiglio, una manovra fiscale di massicce dimensioni, che viene legittimata dalla lotta agli sprechi. “Spreco” è forse il termine più ricorrente nel dibattito politico italiano degli ultimi anni, eppure il suo esatto significato è piuttosto oscuro. Non si tratta, in questo caso, di avventurarsi in una disquisizione linguistica, ma di interrogarsi sugli effetti che l’uso di questo termine ha sulle principali scelte di politica economica. Il provvedimento sulla spending review (revisione di spesa) intende legittimarsi precisamente intorno a questa parola d’ordine, dato l’assunto (tutto da dimostrare) che tutto ciò che è pubblico è fonte di spreco, inefficienza, corruzione. La chiusura di ospedali, il licenziamento di funzionari pubblici, la decurtazione di fondi per la ricerca, la soppressione o l’accorpamento di Enti considerati inutili, la riduzione del numero di Province asseconda appunto il progetto dichiarato di riduzione degli sprechi. Il fine dichiarato è rendere la pubblica amministrazione più efficiente: il risultato consiste nell’ulteriore drammatica manovra di contrazione della spesa pubblica, con inevitabile aumento della disoccupazione e minore quantità (e qualità) di beni e servizi offerti dallo Stato, ovvero riduzione del potere d’acquisto delle famiglie. Si calcola che le misure adottate generano un effetto di decurtazione della spesa pari a 4,5 miliardi di euro per 2012, 10,5 miliardi per il 2013 e 11 miliardi per il 2014, con particolare riguardo ai tagli dei servizi sanitari (circa 13 miliardi di euro). Il tutto senza ridurre l’aumento dell’IVA, che verrà posticipato e che ammonterà a circa 4 miliardi di euro, in una condizione nella quale – in assenza di queste misure – il tasso di crescita previsto per il 2013 era di segno negativo, nell’ordine del meno 2-2.5%. Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria, ha definito questa manovra macelleria sociale. Difficile dargli torto. Va rilevato che il provvedimento di revisione di spesa parte da un assunto falso, ovvero che, nell’ultimo trentennio, la spesa pubblica in Italia sia sempre aumentata. Su fonte Banca d’Italia, si rileva, per contro, che, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, la spesa corrente ha cominciato a contrarsi, riducendosi, dal 1993 al 1994, da 896.000 miliardi a circa 894.000 miliardi. La spesa complessiva delle Amministrazioni pubbliche diminuisce dal 51,7% al 50,8% del PIL nel 1994 e, nel 1995, continua la riduzione dell’incidenza della spesa sul PIL, che raggiunge il 49,2%. Interessante osservare che, nel confronto internazionale con i principali Paesi OCSE, dal 1961 al 1980 (periodo nel quale la spesa pubblica in Italia è stata in continua crescita), lo Stato italiano ha impegnato risorse pubbliche in rapporto al PIL sistematicamente inferiori alla media dei Paesi industrializzati: a titolo puramente esemplificativo, nel 1980, il rapporto spesa corrente su PIL, in Italia, era pari al 41% a fronte del 41.2% della Germania. Il documento ministeriale imputa l’aumento della spesa pubblica nell’ultimo trentennio unicamente a una sua gestione inefficiente (p.e. la duplicazione delle funzioni a livello centrale e locale). Anche in questo caso, ci si trova di fronte a una tesi opinabile, per due ragioni. • 1. Senza negare che sprechi e inefficienze ci sono (e ci sono stati) nella gestione della cosa pubblica, occorre considerare che l’aumento della spesa pubblica, nel periodo considerato dal documento ministeriale, è stato essenzialmente finalizzato all’ampliamento delle funzioni dello Stato sociale (come del resto è accaduto nella gran parte dei Paesi OCSE, in quel periodo) che, a sua volta, si è reso necessario per venire incontro alla crescente domanda di giustizia distributiva in una fase storica caratterizzata da un elevato potere contrattuale dei lavoratori e delle loro rappresentanze nell’arena politica. Appare, dunque, a dir poco riduttivo ritenere – come fa il Governo – che la spesa pubblica è aumentata perché è stata gestita male. • 2. Non è chiaro perché la revisione di spesa venga effettuata a partire dall’andamento dei valori assoluti della spesa pubblica. L’andamento del valore assoluto della spesa pubblica non tiene conto delle variazioni del tasso di inflazione, così che non si hanno informazioni relative al suo andamento in termini reali. In ogni caso, anche assumendo l’ipotesi governativa, si rileva – su fonte Bundesbank – che, con la sola eccezione del 2004 e del 2011, la spesa pubblica in valore assoluto in Germania è costantemente aumentata. Può essere sufficiente rilevare che, nel triennio 2008-2010, la spesa pubblica in Germania è aumentata, nel 2008, del 3,16%, del 4,66% nel 2009 e del 3,8% nel 2010, e ben oltre il tasso d’inflazione, quindi anche in termini reali. L’aumento è imputabile essenzialmente alla crescita degli investimenti pubblici, dei salari dei dipendenti pubblici e della spesa per il pagamento degli ammortizzatori sociali. 
La spesa pubblica è davvero così mal gestita e pesante, nel nostro Paese? 
Ovviamente in alcuni casi lo è, e lo è soprattutto nelle aree nelle quali è alto il tasso di disoccupazione, dal momento che lì la Pubblica Amministrazione svolge la funzione (impropria) di datore di lavoro di ultima istanza. Se si pone la questione in questi termini, occorrerebbe creare semmai le condizioni per un aumento dell’occupazione per rendere meno frequenti i casi di corruzione e cattiva gestione della cosa pubblica. 
Si tratta di misure che impatteranno sulla qualità del welfare, o ne avremo un beneficio in termini di risparmio e razionalizzazione? In quale rapporto sta questa manovra con la riforma dell’articolo 81 della C.I., con cui è stato inserito in Costituzione l‘obbligo del pareggio di bilancio? 
Non vedo alcun vantaggio. Si tratta, come nel caso dell’introduzione del vincolo del pareggio di bilancio in Costituzione, dell’accelerazione di politiche di austerità il cui unico effetto è recessivo. In più, le politiche di austerità (aumento dell’imposizione fiscale e riduzione della spesa pubblica) sono del tutto inefficaci per l’obiettivo che si propongono – ovvero ridurre il rapporto debito pubblico/ PIL. Ciò per le seguenti ragioni: • 1.La riduzione della spesa pubblica (e/o l’aumento della pressione fiscale) riduce l’occupazione e dunque la produzione, con il risultato che, sotto date condizioni, il rapporto debito/PIL può semmai aumentare; • 2. La riduzione della spesa pubblica (e/o l’aumento della pressione fiscale), riducendo l’occupazione, riduce la base imponibile e, dunque, anche per questa via, può accrescere il rapporto debito pubblico/PIL; • 3 La riduzione della spesa pubblica (e/o l’aumento della pressione fiscale) riduce i mercati di sbocco a danno soprattutto delle imprese che operano su mercati locali, riducendone i profitti (o determinandone il fallimento) con ricadute negative su occupazione e PIL. Anche per questo meccanismo, quanto meno si spende (e quanto più si tassa) tanto più ci si indebita e tanto più si riduce la crescita. 
Perché – e lo si vede anche dai sondaggi – l’opinione corrente maggioritaria è che la spesa, l’amministrazione e il lavoro pubblico siano fonti di inefficienza? 
Non c’è dubbio che zone di inefficienza esistono, e – nella quotidianità – si sperimentano spesso. Ovviamente l’opinione corrente può essere largamente influenzata dalla propaganda dominante, ma va sottolineato che l’intervento dello Stato in economia è ciò che ha permesso la costituzione di un sistema di Welfare che oggi si intende smantellare. La sola possibile alternativa, perseguita da questo Governo, consiste nel privatizzare anche i servizi pubblici essenziali (sanità e istruzione, in primis). L’esperienza storica recente dimostra in modo inequivocabile che laddove si privatizza la qualità del servizio non sempre migliora, mentre l’unico effetto certo riguarda l’aumento dei prezzi.

Che fine sta facendo il “contratto sociale”?



Verrebbe da chiedersi: ma perché si è cittadini? A scuola ci parlavano del contratto sociale. Per far parte di uno Stato, ognuno di noi deve sottostare ad alcune regole: per esempio, pagare le tasse, osservare le prescrizioni del codice penale, del codice civile, e così via. In cambio, il cittadino sa che la sua sicurezza è tutelata, che i figli potranno andare a scuola, che verrà curato se si ammala, che riceverà una pensione al termine della sua vita lavorativa, eccetera. Perlomeno, queste erano certezze fino a poco tempo fa. Mi sembra che questo sistema di certezze si stia sgretolando, e forse sta qui la radice della grande paura che si sente crescere intorno. Altro che lo spread, ci pare di capire. Qui, se le compatibilità di bilancio non ci sono, tagliano la possibilità che tuo figlio possa frequentare l’università e che tu venga curato. Hai lavorato una vita, ti propongono l’”esodo”, poi scopri che non ci sono soldi per la pensione e così non hai né quella né il lavoro. O comunque non si hanno più certezze su quando potrai andare in pensione. Ma il patto, il contratto, dove sono finiti? Lo Stato non sta più onorando i suoi impegni nei confronti dei cittadini? Chi ha pagato le tasse, ha lavorato, si è comportato bene, quindi ha onorato le clausole contrattuali, pretende, giustamente, che vengano rispettati anche gli obblighi contratti dall’altra parte. Del resto lo stesso Mario Monti evoca il contratto sociale, quando dice che l’evasione fiscale è una grave violazione del patto tra Stato e cittadini. Sicuramente ha ragione. Ma allora, cosa dovrebbero dire i cittadini? Quando lo Stato non rispetta i patti, a quale giudice dovrebbero appellarsi? E’ a questo punto che la Politica con la P maiuscola dovrebbe, attraverso i partiti, farsi interprete… Per adesso, attendiamo fiduciosi.
Daniele Tamburini

sabato, luglio 07, 2012

Ma che colpa abbiamo noi?


Sapete una cosa? A me, come cittadino, questa continua chiamata in causa per condividere le colpe e le responsabilità' della crisi è venuta a noia. E' un coro di voci del tipo: siamo tutti responsabili, quindi tutti dobbiamo fare sacrifici. Ci ricordano continuamente che i conti dello Stato sono in dissesto per colpa della cattiva gestione della cosa pubblica, protrattasi per tanti anni. Sarà mica colpa mia? Sembrerebbe di sì, visto che anch’io, come quasi tutti gli italiani, sono chiamato a risponderne. Aumento delle tasse, aumento delle tariffe, età pensionabile che si eleva, minori servizi… Il fatto è che, quando la colpa è di tutti, non è poi di nessuno. Scrive il professor Giacomo Vaciago, nell'intervista che pubblichiamo su questo numero: “In Italia stiamo pagando il costo dei tanti errori commessi”. Nella vita ho certamente commesso tanti errori, ma non tali, credo, da aver procurato questo sfascio nello Stato. Pertanto, fuori i colpevoli, ma che siano i colpevoli veri, e comincino a pagare anche i responsabili del dissesto. Nel decreto sulla spending review ho visto un accanimento contro i dipendenti pubblici, quasi a rispondere a un diffuso sentimento, presente nell’immaginario collettivo, di rifiuto di tutto ciò che è pubblico, frutto di anni di campagne mediatiche superficiali e qualunquiste. Ma non ho visto gli annunciati tagli agli armamenti. Vorrà dire che saremo anche un paese con le pezze al culo, ma armato fino ai denti. Evviva.

Daniele Tamburini