venerdì, ottobre 29, 2010

Il Paese, i giovani, il futuro.

Sta aumentando l’allarme per lo stato delle Università: molti corsi sono a rischio, altri subiscono forti ritardi, ovunque crescono le preoccupazioni, di rettori, docenti, ricercatori e studenti, rispetto ad una realtà che dovrebbe costituire un ganglio fondamentale per le prospettive di sviluppo del Paese. Gli errori compiuti nei confronti dell’Università sono di lunga data e, quindi, difficilmente ascrivibili ad uno schieramento politico, piuttosto che ad un altro. Sta di fatto che la palestra in cui dovrebbero maturare le eccellenze del Paese cade a pezzi, e l’intervento di un buon carpentiere sembra assai lontano. C’è, a mio parere, una sostanziale incapacità del sistema Italia di includere e far “fruttare”, fin dal momento della semina e della germinazione, le forze migliori che abbiamo. E le migliori “teste” continuano a fuggire. Anche questo governo ha fallito, e anche questo governo, ancor più dei precedenti, non ritiene che aiutare la “ricerca” possa essere un investimento per il futuro. Un paese che non investe nell’istruzione, nella ricerca e sui giovani è un paese dal futuro incerto. Già oggi la società nel suo complesso è caratterizzata da un grande sentimento di incertezza, e l’incertezza provoca paura. C’è chi si arrocca, e chi preme per conquistare la fortezza. Riprendono piede rivolte di popolo a cui non eravamo più abituati: ne sono un esempio la Francia, la Germania, ma avvengono anche qui da noi, in Campania per la discarica e in Sardegna, con la protesta dei pastori. Non è un buon segnale. Sarebbe meglio ascoltare la gente e trovare soluzioni - non solo per affrontare l’emergenza, ma dare una prospettiva al futuro - piuttosto che trattare quei problemi come se fossero solo di ordine pubblico. Chi scende in piazza per protestare non lo fa per divertimento.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 23, 2010

In perenne conflitto

Voglio porvi, per gioco, qualche domanda: quante sono le leggi vigenti oggi in Italia? Se si mettono insieme leggi statali, regionali, regolamenti ecc., si arriva a circa 200.000 (secondo una ricerca condotta pochi anni fa. Ma il bello è che esiste una legge anche per istituire una commissione bicamerale ad hoc per lo sfoltimento delle leggi!). Quanti deputati e senatori abbiamo? 645, senza contare i senatori a vita. Un apparato enorme, una squadra numerosissima al servizio del Paese, una produzione notevole di norme. Eppure, tutto questo non basta; e anzi, il cittadino comune ha una percezione assai diversa, ormai, dell’utilità di questa macchina. Paradossalmente, al contrario di quanto accade in altri campi, la TV non ha favorito il processo di riconoscimento, se proprio non vogliamo parlare di identificazione, con la classe politica. Certo non aiuta il tono di certi confronti. A differenza di altri paesi, in Italia, il confronto pubblico quasi mai si traduce in civile protesta, ma in scontro tra nemici: alle Camere, nei dibattiti televisivi ma anche al bar e alla guida delle auto. Un conflitto costante, da stadio, come se fossimo sempre in campagna elettorale. Ho osservato con ammirazione, nei giorni scorsi, il recupero dei 33 minatori cileni intrappolati per più di due mesi in una miniera. Quel Paese ha dato prova di una grande determinazione, ma anche di una grande unità: si è stretto intorno a quegli uomini, con orgoglio e con affetto. Eppure, il Cile ha vissuto una storia recente di spaccature profonde, sociali, politiche ed economiche: con la dittatura e, poi, il ritorno alla democrazia. Circola sul web una storiella: se fosse successo in Italia? “già al 3° giorno le prime difficoltà e quindi la ricerca dei colpevoli e delle responsabilità; Berlusconi: colpa dei comunisti; Di Pietro: colpa del conflitto d'interessi; Bersani: ... ma cosa è successo? Bossi: sono tutti terroni, lasciateli là; Capezzone: non è una tragedia è una grande opportunità ed è merito di questo governo e di questo premier; Fini: mio cognato non c'entra”. E’ solo una storiella, ma rende l’idea.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 16, 2010

Italia - Serbia: Stupore, rabbia e brutte figure

Non si tratta di fare il solito discorso, un po’ trito, sulla violenza nello sport, da condannare, da reprimere, ma anche da interpretare. Lo spettacolo pauroso andato in scena lo scorso martedì allo stadio Ferraris di Genova, in occasione della partita tra Serbia e Italia, va più in là. Si può senz’altro discutere in termini sociologici e di costume il fatto che gli stadi siano diventati le nuove arene, in cui sfogare ribellioni e violenza repressa. Si può discutere anche dell’uso, assolutamente poco adatto alle circostanze, ma diffuso, di simbologie o gesti che richiamano ad appartenenze politiche; ma ciò che è successo martedì va oltre. Si va allo stadio, anzi si dovrebbe andare allo stadio per assistere alla partita, per condividere gioia e passione sportiva. Abbiamo assistito ad un’orda di figuri come quello rimasto immortalato in una foto, incappucciato, il braccio teso, maglietta con i simboli nazionalisti, che hanno sfidato, provocato, irriso, devastato, assaltato, lanciato fumogeni. Figli delle tigri di Arkan, il massacratore della guerra dei Balcani, qualcuno ha detto. Epigoni della peggior violenza che si sia scatenata in Europa nel secondo dopoguerra. Sono ultranazionalisti, hanno in mente la Grande Serbia, non vogliono l’indipendenza del Kossovo. Non voglio che il loro paese entri nella comunità europea e forse, per questo, sono stati assoldati da chi non ha convenienza che ciò accada. Ha detto Prandelli: “poteva essere una tragedia”. Erano presenti anche un migliaio di bambini delle scuole calcio: che ricordo ne avranno? Il calcio, la società, la politica non possono permettere che chi va allo stadio viva nella paura di una tragedia annunciata. A che servono tornelli, gabbie, tessera del tifoso, forze dell’ordine schierate e sempre a rischio, la massa di denaro pubblico che tutto questo ci costa, se poi, in uno stadio, un martedì sera, può accadere quel che noi, allibiti e pieni di rabbia, abbiamo visto? Se centinaia di teppisti hanno potuto portare dentro bombe carta, fumogeni, petardi, razzi, coltelli e tronchesi? Di chi la responsabilità? Non certo della polizia che si è comportata responsabilmente, evitando il peggio.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 09, 2010

Perchè la Germania è in forte ripresa?

Qualche giorno fa, con un imprenditore di San Daniele Po, discutevamo, presso la sua azienda che profuma di aceto, di economia e di prospettive future: come va? E soprattutto come andrà nei prossimi anni? Mi raccontava di aver partecipato ad un convegno, in America Latina, sulle prospettive economiche dei vari paesi nei mercati globalizzati. Analisi,trend e stime poco confortantiper i paesi europei e per il nostro in particolare. Forse con una eccezione: la Germania. Così mi diceva. “Sa perché la Germania ha ripreso a correre? Perche là sono capaci, tutti insieme, di rimboccarsi le maniche, di lavorare sodo e certi parassitismi, le caste in genere, non sono tollerati”.In effetti, leggo che il trend di crescita di quel paese è tre volte il nostro. E’ accaduto che, dopo la crisi derivata dalla riunificazione delle due Germanie, Est e Ovest, le grandi imprese tedesche hanno riorganizzato la loro produzione, delocalizzandola in modo massiccio e frammentandola a livello internazionale. Hanno maturato un modello di sviluppo che per effetto del profondo processo di ristrutturazione realizzato dalle imprese e dal sistema produttivo ha riportato il paese ad essere competitivo sui mercati internazionali, in particolare verso l’Asia. E’ un sistema, quello tedesco, in cui esiste una vera economia sociale di mercato, in cui il welfare, storicamente più forte ed equilibrato del nostro, è stato riformato, ridimensionando le spese di assistenza ma rafforzando le politiche attive del lavoro, della formazione e della ricerca. Si riconosce il ruolo del sindacato come attore fondamentale di un sistema in cui è impegno comune delle parti sociali migliorare la competitività dell’impresa e condividerne i risultati: da qui, il legame fra salari e produttività. Tutto un altro mondo, lontano dalle nostre miserie. La sono crucchi, ma a noi le cricche. Che dire? Merito della politica e del loro primoministro? Non c’è mai stata una donna premier, in Italia: cloniamo la Merkel?

Daniele Tamburini

venerdì, ottobre 01, 2010

L’anatra zoppa

C'è aria di bonaccia. il Governo ha ottenuto la fiducia in Parlamento, con un buon margine. Quindi, tutto normale. Almeno così sembrerebbe. Chi, come me, viene dal mare, sa che c’è quiete dopo la tempesta, ma che i venti fan presto a riportare cattivo tempo. E infatti l’equilibrio su cui si basa oggi il Presidente del Consiglio è delicatissimo. Il dibattito politico si accentra sul durissimo scontro con Fini ormai dalla scorsa estate, ed i finiani adesso risultano decisivi. A me sembra che, nel dibattito di mercoledì, Berlusconi, più che parlare al Paese, abbia parlato al Parlamento: piuttosto inconsueto per uno come lui, che ha sempre fatto un punto di forza, e anzi un vanto, della sua capacità di rapportarsi direttamente alla gente, fuori dai vincoli del bon ton istituzionale e dal politichese. Lui, il leader eletto dal popolo, è ora soggetto a verifica. Si apre una stagione in cui dovrà fare attenzione ad assetti, equilibri, bilanciamenti e – forse - manuale Cencelli. Riuscirà a stare in questi panni, per lui poco comodi? Dovrà diventare un capo di governo che discute: non potrà imporre il decreto contro le intercettazioni senza discutere con la Bongiorno, non potrà non preoccuparsi del sud, perché la Sicilia dell’Mpa di Raffaele Lombardo è diventata un laboratorio politico per lui poco gestibile, e anche i voti dell’Mpa sono molto importanti. Dovrà controllare Bossi, che non ha digerito il punto programmatico sul sud, dovrà tornare in Parlamento, centellinare, mediare … tutto contro la sua indole. Secondo voi, per come conosciamo il Cavaliere, tutto questo sarà possibile? Negli Stati Uniti, un uomo politico che, occupando una carica importante, tuttavia non sia in condizione di esercitarne appieno il relativo potere, viene definito un’ ”anatra zoppa”. Non credo che Berlusconi accetterà a lungo questa condizione.

Daniele Tamburini