venerdì, settembre 30, 2011

Etica, morale, crisi di coscienza: ma che roba è?

Le cose non accadono mai per caso, verrebbe da dire. Intervistato la scorsa settimana dal nostro giornale, don Rini affermava alcuni concetti basilari, che ci piace riprendere: chi fa politica non dovrebbe tenere un comportamento autoreferenziale, riservato cioè alla propria conservazione e non al bene comune; formulare leggi che tutelino interessi personali o appartenenza politica o privilegio di casta è immorale; ciò che dovrebbe guidare l’azione politica è il bene comune. Richiami seri, forti, che proseguivano nella constatazione per cui chi non ama le regole etiche nella vita privata, difficilmente le può agire nella sfera pubblica. Sicuramente, queste parole portano allo sviluppo di tante ulteriori riflessioni. Che cos’è l’etica? Il relativista dirà che ognuno ne ha una: chi può giudicare la moralità o meno di un’azione? E altri aggiungono: quel che fa una persona nella sua sfera privata è altra questione, rispetto all’azione nella sfera pubblica. Questi ragionamenti, applicati alla vita politica e amministrativa, probabilmente hanno perso di vista proprio la mission profonda della politica stessa, e cioè – come dice don Rini – il bene comune. Che poi significa: valutare le scelte migliori da compiere per assicurare il bene di tutti o quantomeno di una quantità di persone che si avvicini il più possibile al “tutti”. Queste scelte sarebbero sempre opinabili, e tali da scontentare quando l’una, quando l’altra parte del corpo sociale, ma sicuramente vi si leggerebbe in prevalenza il desiderio del bene comune. Accade poi che, qualche giorno fa, un’alta autorità della Chiesa cattolica, il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, abbia stigmatizzato, con grande severità, “stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica”. Con il “deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonché la reciproca, sistematica denigrazione, è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di rinascimento anche politico”. Ha parlato chiaro il cardinale: il rischio è la corruzione, l’erosione del senso civico. Il senso civico va di pari passo con il rispetto delle istituzioni, in quanto biglietto da visita della credibilità di un Paese. E, venendo a noi, lo stesso sindaco Perri ha dovuto parlare di un risvolto etico nella vicenda dei matrimoni per burla celebrati da due consiglieri comunali: pur senza rilevanza penale, è un comportamento che mette a rischio il senso delle istituzioni. Siamo noi cittadini che eleggiamo persone in cui abbiamo riposto fiducia e dalle quali ci aspettiamo che sappiano rappresentarci degnamente, seriamente, civilmente. Hemingway diceva che “riguardo alla morale, so solo che è morale ciò che mi fa sentir bene e immorale ciò che mi fa sentir male dopo che l'ho fatto". Chissà come si sentono coloro di cui hanno parlato don Rini, il cardinale Bagnasco, il sindaco Perri. Avranno avuto crisi di coscienza? Forse, la chiave sta tutta qui.

Daniele Tamburini

intervista a Alessandro Volpi: "Se tornassimo alla Lira?"

Prima la lunga estate calda dei mercati finanziari e l'imposizione, di fatto, al nostro Paese di una manovra "lacrime e sangue"; poi le incertezze sulle misure da prendere, una situazione politica ingarbugliata, l'impazzare della speculazione, i crolli ripetuti delle Borse, in Usa e in Europa, la situazione greca e il rischio di default, fino al declassamento del debito italiano operato da Standard & Poor’s, una delle agenzie di rating più influenti. Abbiamo chiesto al professor Alessandro Volpi, docente di storia contemporanea e geografia politica ed economica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Pisa, di farci un quadro della situazione. 
Come mai oggi, quando si parla di economia, c’è questa estrema attenzione allo stato dei mercati e delle borse? sta solamente qui la ricchezza dei Paesi? 
«E' chiaro che negli ultimi anni abbiamo assistito a una profonda trasformazione dell'economia mondiale, con una crescita notevole della dimensione finanziaria. Tanto che oggi il rapporto tra il valore del Pil e quello dei mercati finanziari è di dieci volte più alto di prima, a livello nominale. E' quindi incrementata la capacità di condizionamento del mercati finanziari, e insieme ad essa anche le tendenze speculative. Allo stesso modo, l'influenza dei mercati finanziari si avverte sull'andamento dei prezzi di mercato, cosicché il valore speculativo diventa superiore al valore reale del titolo. In sostanza accade che sempre più spesso si scommette sul rialzo dei titoli, e questo fa crescere anche i prezzi del bene in oggetto, anche se non vi è cambiamento nella domanda e nell'offerta. E' quello che, ad esempio, è accaduto per il petrolio. Così la differenza tra prezzo reale e finanziario è enorme, e il primo diventa sempre più condizionato dal secondo».
Quali sono le principali radici della crisi che qualcuno sta definendo “la peggiore degli ultimi cento anni”?
«La crisi nasce nel 2007 negli Usa, all'interno del mercato dei mutui. Una grande massa di soggetti si è indebitata, puntando sul fatto che il denaro costava poco. Il debito è però diventato talmente elevato che ha portato al fallimento del mercato immobiliare. Dopodiché si è generata una colossale distruzione di valore che poi ha contagiato le banche, le imprese e infine i debiti sovrani degli Stati, intervenuti nei salvataggi. Il mercato americano infatti, a salvaguardia del debito,ha immesso moltissimi titoli sul mercato. Essi sono diventati però una concorrenza pesante per quei paesi che già ricorrevano al mercato per finanziare il proprio debito. Così è accaduto per l'Italia, che già utilizzava il sistema di immettere titoli sul mercato per pagare il debito pubblico».
Qual è la situazione dell'Italia?
«Il nostro Paese si trova a pagare interessi altissimi a causa della presenza di molti altri paesi sul mercato. Questo porta a un indebitamento sempre maggiore, e a una crescita esponenziale degli interessi. Ora è intervenuta la Bce, ad acquistare una parte del debito italiano, in modo da far abbassare gli interessi, che sono ora intorno al 5,5%;. Si tratta comunque di valori molto alti, che quindi ci espongono a grandi rischi».
Si parla molto di "rischio default": ci vuole spiegare il significato di questo termine?
«In una situazione come la nostra significherebbe l'impossibilità di pagare il proprio debito o una parte di esso. Ogni anno l'Italia deve vendere 250 milioni di titoli di debito, ma se non riuscisse a venderli tutti il rischio è che non riesca a restituire per intero quelli in scadenza. I paesi che fanno i default rischiano quindi di bloccare la restituzione del debito, totalmente o anche parzialmente. Ciò ha ricadute pesanti su tutta l'economia del Paese, in quanto vengono penalizzate banche, risparmiatori, ecc. E se le banche sono danneggiate potrebbero congelare i depositi dei risparmiatori, per non perdere liquidità».
Alcuni economisti di gran fama (citiamo Loretta Napoleoni) stanno ipotizzando una fuori uscita temporanea dall’Euro, per la Grecia ma non solo. Quali scenari si aprirebbero? È una via perseguibile?
«Sono convinto che non sia la strada migliore. Anzi, sarebbe una via pesantissima, per diversi motivi: primo la difficoltà procedurale, in quanto i trattati europei non prevedono una fuoriuscita di un paese dall'Euro. In seconda istanza, se uscissimo dalla moneta unica il nostro debito resterebbe comunque conteggiato in euro, e quindi ci troveremmo con una moneta debole per pagare un debito forte. Infine si avrebbe una svalutazione della moneta, con impatto forte sulla capacità dei consumi, specialmente per chi ha redditi bassi. L'unico aspetto positivo sarebbe la possibilità di utilizzare tale svalutazione della moneta per rilanciare le esportazioni,
e movimentare un'economia stagnante. Tuttavia, a fronte di tanti aspetti negativi, non vale la pena di adottare una simile soluzione». 
Eppure se ne parla anche tra la gente e in alcuni ambienti politici. Quali sarebbero le conseguenze per il nostro paese e per la nostra economia?
«Come già detto, l'Italia sarebbe piegata dall'inflazione e dal debito. In quelle condizioni nessuno farebbe più prestiti al nostro paese, perché nessuno si fiderebbe più, e dunque si perderebbe sovranità. Per le famiglie comuni la svalutazione della moneta può significare non riuscire più a fronteggiare i pagamenti di debiti, mutui e altro. Si verificherebbe dunque un incremento della povertà nelle fasce medio-basse. Soprattutto le fasce a reddito fisso subirebbero una drastica diminuzione del potere di acquisto».
Secondo lei come finirà con la Grecia? E l’Italia?
«I sacrifici richiesti ai greci per riuscire ad avere un sostegno europeo sono eccessivi, e questo li porterà all'impossibilità a crescere. Forse, dunque, in quel caso sarà necessaria qualche misura di ristrutturazione del
debito. In Italia sarà diverso. La situazione è preoccupante, nonostante il sostegno europeo, e questo porta difficoltà anche all'Europa stessa. Non immagino comunque un default per il nostro paese, ma non escludo l'ipotesi di un congelamento dei titoli di Stato, se non entreranno in campo misure convincenti, sia italiane che europee. L'Italia ha dalla sua il fatto che i titoli abbiano scadenze lunghe ma se gli interessi aumentassero di nuovo, fino a superare il 6%, le difficoltà non mancherebbero ».
Possono ancora esserci speranze di risollevare le sorti del Paese? Se sì, quali sono le azioni che si dovrebbero intraprendere?
Innanzitutto si dovrebbe agire sul versante della leva fiscale: in Italia esiste molto risparmio privato, ma anche forte indebitamento pubblico. Dunque si dovrebbe trasferire la ricchezza patrimoniale a riduzione degli stock di debito. Si potrebbe quindi ipotizzare di intervenire sul patrimonio immobiliare, che in Italia è pari a 1.500 miliardi di euro, introducendo una tassa che consentirebbe un maggior respiro nel pagamento degli interessi. Allo stesso modo si potrebbe intervenire sui capitali, che sono pari a 900 miliardi. La tassazione di uno di questi due cespiti è auspicabile al fine di un sostegno vero al Paese. Bisogna, in sostanza, prelevare ricchezze
ove esse sono concentrate. Questo servirebbe almeno a tamponare l'emergenza. Altro intervento necessario sarebbe una riforma del sistema pensionistico. In sostanza è fondamentale lavorare perché si blocchi l'emorragia di spese che da troppo tempo caratterizza l'Italia. Allo stesso modo si dovrebbero ridurre drasticamente i costi amministrativi. La manovra del governo attuale, invece, è solo di facciata, ma non è minimamente incisiva, e non permette di dare fiducia agli investitori, né solidità al Paese».

venerdì, settembre 23, 2011

Siamo nella melma

Mi ero preparato, per me, per i miei cari, per miei figli, ad un futuro diverso, ad un’Italia diversa. A mia volta, sono figlio di una generazione che vide la seconda guerra mondiale, le sue macerie e la rinascita. Una rinascita conquistata con il lavoro, i sacrifici, l’impegno. Sono parole, queste, che sentiamo risuonare anche oggi. Ma qual è la differenza? La differenza è la palude etica e culturale in cui stiamo affondando. In una bella intervista che ospitiamo in questo numero, monsignor Vincenzo Rini dice “Viviamo un tempo di politica triste, nella quale chi governa diventa sempre più autoreferenziale: pensa alla propria conservazione e non al bene comune”. Forse è per questo che una classe politica divisa su tutto si è ricompattata nel salvare, per esempio, il deputato Marco Milanese, ex braccio destro del ministro Tremonti. Con un margine di sei voti, d’accordo. Con tanti mal di pancia nella Lega, d’accordo (a proposito, perché a Roma pare esaurirsi la baldanza guerriera che la Lega mostra altrove, anche qui a Cremona?). Ma questa classe politica si fa davvero casta nel tutelarsi e salvarsi. La prima Repubblica è caduta perché era diventato intollerabile il peso della corruzione e della concussione, in molta parte dedicate al finanziamento occulto dei partiti. Sembra che, nella Seconda, gli stessi meccanismi servano a finanziare i patrimoni personali: o sbaglio? Non ci serve certo un ritorno al passato, Dio ce ne scampi. Serve piuttosto un balzo etico e civile per costruire un futuro. Questo sì. Saremo capaci di tirarci fuori da questa melma? Saremo capaci di riappropriarci della dignità di popolo? Io ne sono certo.

Daniele Tamburini

Intervista a don Vincenzo Rini, direttore di Vita Cattolica e presidente Sir: «Stiamo vivendo un tempo di politica triste chi governa pensa a se, non al bene comune»

A monsignor Vincenzo Rini, direttore di "Vita Cattolica", presidente del SIR (Servizi informazione religiosa) di Roma e assistente U.C.I.D. (Unione Cattolica Imprenditori e Dirigenti) per la diocesi di Cremona, abbiamo rivolto alcune domande.
Monsignor Rini, Sua Santità Papa Benedetto XVI ha detto, recentemente, che anche l’economia deve avere un’etica. In riferimento alla crisi che, ormai da tempo, colpisce le nostre società, portando a sempre maggiori disuguaglianze ed impoverimento, vuol commentare questa frase del Pontefice?
«Il Papa sottolinea un fatto che è sotto gli occhi di tutti. L'attuale crisi economica mondiale è nata proprio – a partire dagli Usa – dall'irresponsabilità di un mondo finanziario che ha pensato di potere agire senza regole, senza rispetto della verità "umana" dell'economia e del lavoro, creando quelle cosiddette "bolle" fatte di vuoto che hanno portato a mettere in crisi le economie del mondo intero. Senza etica, insomma, non c'è futuro per l'economia mondiale. E quando si dice etica, si intende anzitutto il mettere l'uomo, la persona, il bene comune al centro dell'economia, perché l'uomo viene prima del profitto».
Che ruolo svolge la Chiesa cattolica, in questa direzione?
«La Chiesa svolge il ruolo di sempre: quello, appunto, di difendere la dignità, la verità, la libertà dell'uomo, di ogni uomo, con particolare attenzione ai deboli, a coloro che non hanno potere né ricchezze. Un ruolo profetico, in difesa dei valori umani, che, concretamente, sono anche valori cristiani».
Venendo alla politica, il rapporto tra quest’ultima e la dimensione etica riveste caratteri spesso burrascosi. Non passa giorno che non si senta parlare di corruzione, di intrallazzi, di scarsa trasparenza nelle scelte e nelle decisioni. Lei ritiene che la vita politica possa esseremoralizzata?
«Viviamo un tempo di politica triste, nella quale chi governa diventa sempre più autoreferenziale: pensa alla propria conservazione e non al bene comune. Per questo tende a diventare una casta chiusa in se stessa, che perde il suo rapporto necessario con la società, con i problemi reali del Paese. Occorre sempre ricordare ai politici che è immorale fare le leggi pensando solo agli interessi elettorali del proprio partito, o agli interessi privati di qualcuno. Le leggi si devono fare unicamente per realizzare il bene del Paese. Leggevo in questi giorni una frase di De Gasperi: «Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alle prossime generazioni». Oggi abbiamo tanti politici (a volte più che politici, politicanti) ma siamo alla ricerca di statisti...».
Esiste un rapporto tra le scelte etiche, morali, comportamentali dell’individuo, ed il suo ruolo pubblico?
«Certamente. Chi è investito di unruolo pubblico deve essere persona che non ha niente da nascondere. Chi non ama le regole etiche nella vita privata, difficilmente le può testimoniare nella vita pubblica. L'esempio negativo di chi sta in alto, danneggia seriamente la convivenza perché diffonde una cultura relativistica che non favorisce il maturare delle coscienze e della responsabilità».
Quale dovrebbe essere il ruolo dei cattolici impegnati in politica,oggi?
«Anzitutto un ruolo di libertà: il cattolico non può vendere la coscienza a nessuno, deve essere sempre libero e critico, anche nei confronti del partito che ha votato o al quale aderisce. È il Vangelo che giudica le scelte politiche e partitiche, non viceversa. Per questo i cattolici oggi hanno il dovere di formarsi alla luce del Vangelo, che, concretamente, la Chiesa continua a presentare attraverso la sua Dottrina Sociale. I Cattolici devono quindi diffondere un modo nuovo di concepire la politica, sensibilizzando l'opinione pubblica con progetti che siano sempre finalizzati al servizio della comunità, guardando, in particolare non solo all'oggi, ma al domani: quale mondo vogliamo lasciare alle prossime generazioni?»
Come immagina il futuro prossimo del nostro Paese?
«Se non cambiano le cose, se non cambia il modo di fare politica, se non si torna a diffondere la consapevolezza di un'etica politica fondata sulla dignità della persona e sul bene comune come scopo dell'agire politico, lo vedo nero. Occorre ricostruire le coscienze. Solo su questa strada possiamo immaginare un ritorno alla vera Politica, quella con la P maiuscola».
Un'ultima domanda: il nostro vescovo ha parlato, in un'intervista sulla stampa nazionale, della ipotetica possibilità di ordinare sacerdoti persone sposate, pur dicendosi non concorde con tale possibilità. Lei cosa ne pensa?   L'idea di aprire il sacerdozio agli sposati non potrebbe risolvere la crisi delle vocazioni?
«Come sempre, la storia è maestra di vita: le chiese protestanti e quelle ortodosse, che hanno da sempre i preti sposati hanno la stessa grave carenza di vocazioni che ha la Chiesa cattolica. La carenza di vocazioni è legata a una cultura nella quale i giovani non sono educati allo spirito di sacrificio, al senso della donazione. In una società secolarizzata diminuisce la fede e diminuisce anche ciò che si nutre di fede, quindi anche la vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata. Senza dimenticare che la crisi di vocazioni è frutto anche del diminuire delle nascite. Con tutto ciò, comunque, nulla vieta che – essendo il celibato una legge della Chiesa e non una legge divina – il Papa possa, in situazione di emergenza, ammettere delle eccezioni».

sabato, settembre 17, 2011

LA POLITICA RIMANE UNA COSA SERIA, DOVE NON È DATO IMPROVVISARE.

La politica è in grande difficoltà: difficile negarlo. E lo è a livello centrale, nel governo del Paese, nel Parlamento, ma non solo. Ovunque nascono crisi, si frantumano alleanze e certezze, si rimescolano le carte. Succede anche a Cremona, sono settimane che se ne parla. Le forze politiche di maggioranza sono litigiose e compongono e scompongono scacchieri di alleanze e di scontri, senza che se ne percepiscano motivi reali che non siano gli assetti di potere. E i problemi del territorio? Lo dice anche Ugo Carminati, nell’intervista qui accanto. E la crisi che rischia di portare tutto e tutti a fondo? Dove sono la novità, la progettualità, la volontà di scompaginare vecchi assetti, vecchie incrostature di potere e poteri, a suo tempo promesse dalla attuale amministrazione? Dov’è l’altra storia che era stata garantita in campagna elettorale? La verità è che la politica ha i suoi tempi, le sue contraddizioni, e una grande, enorme complessità. Non la si fa con il taglione, né con i proclami. E soprattutto, quando la politica (intesa come governo, gestione, risposta ai bisogni della gente, capacità di costruire, mediare, mettere in relazione) viene a mancare, come a mio parere sta avvenendo a Cremona, poiché il vuoto in natura non esiste, arrivano altre realtà a cercare di riempire questo vuoto. Forse per questo assistiamo al proliferare di associazioni ? Ad oggi ne contiamo già quattro. Eccole In ordine di apparizione: Progetto Cremona, associazione che, secondo fonti non so quanto attendibili, intenderebbe sostenere la candidatura, alle prossime amministrative, dell’ex vice sindaco Luigi Baldani. L’Associazione Popolari delle Libertà di Marco Lodigiani, coordinatore cittadino di Futuro e Libertà ed ex presidente del Comitato dei commercianti di Corso Garibaldi. La “minacciosa” Cremona verso il Partito Popolare, dell’ambizioso assessore Roberto Nolli, che avrebbe trovato già potenti sponsors . E, da ultimo, il Movimento per Cremona a cui fa riferimento Carmine Scotti, conosciuto e stimato poliziotto a capo della Digos, oggi in pensione, negli ultimi anni particolarmente attivo nel sindacato di polizia. Nell’intento sono tutte associazioni trasversali, tutte improntate al bisogno di esprimere opinioni e fare proposte in un modo che, evidentemente, nella politica non è possibile fare. Non dico che sia la via giusta. Non dico che la ragione stia qui. Ma è un dato. E’ un segnale, o ancor di più: un monito per i partiti.
Meditate gente, meditate…

Daniele Tamburini

sabato, settembre 10, 2011

Inutilità e miserie

Una forza politica, in Consiglio comunale, ha più assessori che consiglieri: situazione assai singolare e inedita. Che ne diranno gli elettori leghisti del comportamento degli eletti? Anche il Giro della Padania non è stato un gran successo: che succede alla Lega? E il clima interno al Comune? Ha avuto ragione la tattica manzoniana del troncare e sopire, oppure il fuoco cova sotto la cenere, prossimo a divampare? Quali le mire dell’assessore Nolli, cardinal Richelieu in salsa cremonese? Intanto, un disegno di legge costituzionale prevede la soppressione delle Province. Forse nessuno sa bene a che cosa servano questi Enti: e pensare che dovrebbero occuparsi di scuola superiore, di lavoro e formazione professionale, di ambiente. Già, l’ambiente. Pare che proprio i ritardi sul pronunciamento della Provincia di Cremona (sic) abbiano creato una situazione assai difficile per il contesto territoriale, rispetto alla questione della discarica di amianto di Cappella Cantone. E quindi: enti che forse non sarebbero inutili, ma che provocanodanni, con lentezze, indecisioni e soggezioni. Un ente esponenziale come il Comune, bloccato, per settimane, se non mesi, da questioni di incarichi e poltrone. Intanto, si prevede per legge costituzionale, oltre alla soppressione delle Province, l’obbligo di pareggio di bilancio. A noi pare che si parli dell’Araba Fenice. Invece per i parlamentari al momento rimane quasi tutto invariato: loro sì che sono come la Fenice, risorgono sempre dalle proprie (virtuali) ceneri. Confidiamo in tempi migliori. Mio nonno, però, mi diceva: “Chi vive sperando…”

Daniele Tamburini

venerdì, settembre 02, 2011

Oramai somigliano ai capponi di Renzo


Neppure il caldo torrido a cavallo del Ferragosto ha risparmiato al Paese incertezza e preoccupazioni pesanti, dovute alla crisi ed alle risposte che l’Europa ci chiede. Risposte che hanno visto una ridda incredibile di provvedimenti annunciati, sostenuti, poi ritirati, poi riproposti. Un tratto di penna o una telefonata o un incontro di tre, quattro persone provocavano scenari di enti che sparivano, anni di contributi azzerati, voci stipendiali congelate, tasse e tagli, e così via. Forse in Europa non sono molto contenti. Certamente lo sono poco gli amministratori locali, i cittadini, le imprese. Ma, tanto per non farci mancare niente, gli amministratori del nostro Comune, in primis il sindaco Perri, sono alle prese con una crisi politica assai grave. Le radici sono lunghe, ma la situazione è precipitata a seguito dei rinnovi contestati di alcuni consigli di amministrazione di società partecipate. Da settimane si parla di rimpasto nella giunta, e l’assessore al bilancio Nolli, personaggio di peso, ha ripescato l’espressione “nani e ballerine”, riferita ad esponenti del proprio partito. Ora, noi assistiamo a questo scenario, perché lo abbiamo in casa nostra. Ma chissà quante altre situazioni simili ci saranno, in giro per il Paese. Voglio dare voce al cittadino medio che dice, rivolto alla politica, sia locale che nazionale: ma come, ci parlate di responsabilità, ci dite che il momento è gravissimo e che dobbiamo tutti farcene carico, e voi, che esempio date? Ci dite che viviamo in un’emergenza, che i problemi sono tanti, e dunque non sapete fare di meglio che litigare, piuttosto che governare la città? Ci ricordate i manzoniani capponi di Renzo. Davvero, se deve continuare così, meglio tutti a casa.
Ore 19,41 di giovedì 1. Apprendiamo che, come spesso accade in questi casi, tutto finisce a tarallucci e vino, almeno questo fanno intendere. Bene, se così è, allora avanti e lavorare sodo. 

Daniele Tamburini