sabato, settembre 25, 2010

Non siamo un Paese normale

Un vecchio film di Hitchcock si intitolava "L’ombra del dubbio". Il dubbio, proprio come la calunnia, è un venticello che si insinua, e, appunto, lascia ombre. Era un punto d’onore dei vecchi gentiluomini fugare ogni ombra di dubbio sul proprio comportamento. A che pro, quindi, la maggioranza di governo ha votato contro l’utilizzo delle intercettazioni nelle inchieste che riguardano l'ex sottosegretario Nicola Cosentino, accusato di contiguità con ambienti camorristici? Tanto più che lo stesso Cosentino aveva dichiarato che il contenuto delle intercettazioni era irrilevante. Nel suo stesso interesse, per ribadire la sua estraneità, non sarebbe stato meglio consentire al loro utilizzo? Lo abbiamo scritto altre volte: c’è una grande necessità di ricostruire la fiducia nella cosa pubblica, in chi ci amministra e ci governa. Invece, così facendo, si alimenta la convinzione che davvero ci sia una "casta", per non dire una "cricca", che si fa le regole e se le gestisce. La stessa "casta" contro cui dovrebbe lottare in prima persona la Lega. Il ministro dell’interno Maroni sa bene quanto sia importante, per lo sviluppo del Paese, la lotta al crimine organizzato: non sarebbe fondamentale agire perché chi ci governa appaia, appunto senza ombra di dubbio, implicato in certe faccende? Ma forse, oggi, è pretendere troppo. Forse abbiamo assistito ad una sorta di conta: governo si, governo no, quanti i mie, quanti i tuoi … E forse alla maggioranza degli italiani, impegnati a risolvere la quotidianità, questo importa davvero poco. Cercano di barcamenarsi, sperano che le cose possano cambiare, lavorano e si impegnano. E, magari, sono più attratti dal Superenalotto.

Daniele Tamburini

sabato, settembre 11, 2010

Fare il sindaco può essere divertente

Fare il sindaco è un mestiere sempre più difficile. Soprattutto per chi, in campagna elettorale, si è presentato come personaggio "super partes" e fuori delle logiche di partito. Perché la politica - una materia da sempre esplosiva - ogni volta che viene spedita fuori dalla porta, rientra dalla finestra. Ne sa qualcosa il sindaco di Crema, Bruno Bruttomesso, che ormai ha un scarso potere contratuale nei confronti degli uomini forti della sua giunta. Oreste Perri comincia oggi a rendersi conto di che cosa è la politica. Quella vera. Sotterranea. Innanzitutto le alleanze: possono rompersi e ricomporsi da un momento all'altro. Si diceva, per esempio, che Gianni Rossoni, il vero leader del Pdl nel Cremonese, e Massimiliano Salini, l'uomo di Formigoni nella nostra provincia, formassero un tandem indistruttibile; oggi neanche più si parlano. Anche a livello di associazioni di categoria, i politici che un tempo erano considerati nemici per la pelle, oggi sono diventati alleati. Alleanze, interessi e progetti mutano alla velocità della luce. Per un sindaco, che si dichiara fuori dai giochi della politica e del business, riuscire a star dietro, indovinare e intercettare i cambiamenti repentini diventa un'impresa ciclopica. E' meglio che lasci perdere perché in politica c'è gente che sa come e quando giocare le carte. E sanno giocare pesante. Ma i primi cittadini, mentre il mondo intorno a loro si muove vorticosamente, possono starsene fermi. A ragionare. Fidandosi solo del loro fiuto e del buon senso. Senza lasciarsi trascinare nella bagarre. Perché hanno un potere che altri non hanno: quello delle dimissioni. Che cosa ha da perdere un sindaco che fra qualche anno si ritirerà a vita privata senza rendere conto di niente, a nessuno? Niente. Può tenere tutti con il fiato sospeso minacciando di dimettersi. Basta questo spaurachio per far saltare qualsiasi banco o andare a vedere qualsiasi bluff. Perri a Cremona e Bruttomesso a Crema, scelti proprio perché non contaminati dalla politica, hanno un'arma atomica in mano. Perché non minaccino di usarla risulta incomprensibile alla gente comune. Dalla quale provengono.

sabato, settembre 04, 2010

Rimbocchiamoci le maniche

Ricordo che mio padre mi diceva spesso, forse più spesso di quel che avrei desiderato: “Studia, impara, impegnati, che così avrai un futuro miglioredel mio!”. Era l’Italia dei primi anni ’60. Uscito dalle devastazioni della guerra, il Paese era un crogiuolo di lavoro, di idee, di cambiamenti politici, economici, culturali profondi e, per certi versi, sconvolgenti. Si lavorava moltissimo: c’era mobilità sociale e territoriale; l’emigrazione interna, dal sud al nord, cambiava radicalmente paesaggi urbani, territori, usi e abitudini. Oggi, forse, la nostalgia non è più quella di un tempo, ma rimane forte il ricordo di un Paese in cammino, pur se lungo un percorso disordinato, spesso incoerente, una camminata magari zoppa. Il “made in Italy” divenne un brand di successo in tutto il mondo. Poi le battute d’arresto, il declino, per motivi che sarebbe troppo lungo elencare: crisi strutturali, crisi di congiuntura, le difficoltà della politica e delle istituzioni, chi voleva la Milano da bere e poi se l’è bevuta tutta, i mercati, le speculazioni, la bolla finanziaria etc. In un recente articolo, molto bello, Beppe Severgnini ha scritto su Il Corriere: “Nell’Italia del 2010 sappiamo tutti — padri, madri, figli — che la nuova generazione precarizzata starà peggio, e già ha bisogno di aiuto (per la macchina, per la prima casa). È un ribaltamento innaturale: la nazione che lo accetta è nei guai”. Ecco, il punto è tutto qui: non accettare fatalisticamente questo stato di cose. Dobbiamo pretendere futuro, costruire futuro. Aprirci a nuove possibilità, aprirci al mondo, non rinchiuderci – anche se, a volte, la tentazione sarebbe forte – dietro muri o dentro bunker. Tutti i muri sono destinati, prima o poi, a crollare o a essere scavalcati: dal Vallo di Adriano al Muro di Berlino. Ho letto che qualcuno, anche qui in Italia, si sta facendo costruire bunker per sopravvivere alla fine del mondo annunciata dal popolo Maya per il dicembre del 2012. E’ un sintomo di paure profonde, ma dobbiamo convincerci che la vera linea di resistenza sta in noi stessi, nelle nostre capacità, nel nostro lavoro.
Rimbocchiamoci le maniche.

Daniele Tamburini