sabato, settembre 04, 2010

Rimbocchiamoci le maniche

Ricordo che mio padre mi diceva spesso, forse più spesso di quel che avrei desiderato: “Studia, impara, impegnati, che così avrai un futuro miglioredel mio!”. Era l’Italia dei primi anni ’60. Uscito dalle devastazioni della guerra, il Paese era un crogiuolo di lavoro, di idee, di cambiamenti politici, economici, culturali profondi e, per certi versi, sconvolgenti. Si lavorava moltissimo: c’era mobilità sociale e territoriale; l’emigrazione interna, dal sud al nord, cambiava radicalmente paesaggi urbani, territori, usi e abitudini. Oggi, forse, la nostalgia non è più quella di un tempo, ma rimane forte il ricordo di un Paese in cammino, pur se lungo un percorso disordinato, spesso incoerente, una camminata magari zoppa. Il “made in Italy” divenne un brand di successo in tutto il mondo. Poi le battute d’arresto, il declino, per motivi che sarebbe troppo lungo elencare: crisi strutturali, crisi di congiuntura, le difficoltà della politica e delle istituzioni, chi voleva la Milano da bere e poi se l’è bevuta tutta, i mercati, le speculazioni, la bolla finanziaria etc. In un recente articolo, molto bello, Beppe Severgnini ha scritto su Il Corriere: “Nell’Italia del 2010 sappiamo tutti — padri, madri, figli — che la nuova generazione precarizzata starà peggio, e già ha bisogno di aiuto (per la macchina, per la prima casa). È un ribaltamento innaturale: la nazione che lo accetta è nei guai”. Ecco, il punto è tutto qui: non accettare fatalisticamente questo stato di cose. Dobbiamo pretendere futuro, costruire futuro. Aprirci a nuove possibilità, aprirci al mondo, non rinchiuderci – anche se, a volte, la tentazione sarebbe forte – dietro muri o dentro bunker. Tutti i muri sono destinati, prima o poi, a crollare o a essere scavalcati: dal Vallo di Adriano al Muro di Berlino. Ho letto che qualcuno, anche qui in Italia, si sta facendo costruire bunker per sopravvivere alla fine del mondo annunciata dal popolo Maya per il dicembre del 2012. E’ un sintomo di paure profonde, ma dobbiamo convincerci che la vera linea di resistenza sta in noi stessi, nelle nostre capacità, nel nostro lavoro.
Rimbocchiamoci le maniche.

Daniele Tamburini

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