sabato, dicembre 10, 2016

La sovranità appartiene al Popolo (con la maiuscola)


"La sovranità appartiene al popolo". O si sta in questo assunto, che è al secondo capoverso dell'articolo 1 della nostra Costituzione, o si va poco lontano. Il popolo ha agito la propria sovranità - con il voto del 70% del corpo elettorale, un dato impressionante, se paragonato non dico alle ultime consultazioni referendarie, ma alle ultime elezioni - e ha respinto la proposta di riforma costituzionale del governo Renzi. Alle 23 del 4 dicembre si sono viste le prime proiezioni; alle 24 e poco più, Matteo Renzi ha annunciato urbi et orbi le proprie dimissioni. Una mossa già studiata? Quindi, Renzi sapeva? Quindi, ha continuato consapevole nella estrema personalizzazione della campagna elettorale, che gli analisti ritengono sia una delle cause della sconfitta? Quindi, è proprio avulso dalla realtà (che è un dato molto negativo per chi fa politica, termine che significa azione nel mondo). Non faccio questione di posizionamenti. Né commento l'operato di chi, come se niente fosse accaduto, continua a magnificare le riforme bocciate dal voto, così come di chi ragiona, in modo disparato, sugli scenari del dopo referendum. Vedremo. Sicuramente, a seguito del 'no' il crollo delle borse, l'impennata dello spread, e neanche una biblica invasione delle cavallette si sono verificate. Siamo seri, diceva un mio amico. Sicuramente, la gente non è prendibile per il naso oltre un certo limite. Sicuramente, quelli che il 'sì' era l'unico modo perché ci fossero futuro, speranza etc. ora dicono che il voto popolare ha sbagliato. Sarà, ma la democrazia e il suffragio universale così funzionano. Il prevalere del 'no' in questa misura non è ascrivibile a nessuno dei soggetti che si sono espressi, che siano Lega, 5 Stelle etc... E’ stato un pronunciamento variegato e popolare, in cui c'è anche molta sinistra che ha difficoltà a trovare una rappresentanza partitica, ma che qui si è ritrovata. Vedremo che accadrà, ma, in ogni caso, 'la sovranità appartiene al popolo', non ai Renzi di turno.

sabato, novembre 26, 2016

Dobbiamo credere nella democrazia


Sembra che la vita stia diventando sempre più difficile. A poco servono le dichiarazioni di ottimismo, quando la realtà è dura e pesante e non sembra che ci siano spazi. Anche la natura sembra matrigna: il terremoto, le esondazioni. Se appena guardiamo al di là dei nostri confini, troviamo disastri, guerre, morte.
Un cupo cupio dissolvi? No. Noi sappiamo che tutto questo potrebbe essere arginato. Sappiamo che la natura non è crudele, semplicemente è, e i suoi scossoni e le sue intemperanze, oggi, potrebbero essere contenute e gestite. Semplicemente, almeno in Italia, non lo facciamo, o almeno non lo facciamo abbastanza. Poi c’è il coraggio straordinario di chi, come gli allevatori e gli agricoltori colpiti dal terremoto, sfidano intemperie, disagi, freddo e pioggia, ma non abbandonano terre e animali, perché la vita è lì e da lì deve ripartire. Speriamo che non ci siano state risate soddisfatte nella notte, come fu per L’Aquila. Poi abbiamo gli Usa che hanno votato Trump, e a me, ora, interessa sottolineare che questi è sempre stato un nemico acerrimo dei limiti alle produzioni inquinanti, alle regole comuni eccetera. Speriamo che non vengano azzerati i pochi, faticosi passi fatti in questa direzione negli ultimi anni, perché il riscaldamento globale è un dato di fatto e i disastri naturali - inondazioni etc… - ne derivano in gran parte. Poi vedremo come inciderà la sua presidenza sullo scacchiere politico e militare mondiale. Intanto, negli Usa temono le persone di colore, i membri della comunità Lgbt, i non cristiani, gli anziani, i malati e i bambini, l’ambiente e gli animali, i disabili, il sistema giudiziario e la stampa libera, i poco istruiti, i poveri e le donne, soprattutto le donne. Guardate che, tutti insieme, sono tanta tanta gente.Ma Trump è stato liberamente eletto, non c’è dubbio. Se crediamo nella capacità di discernere e di capire della gente, crediamo nella democrazia. A volte possono esserci defaillances. A volte, la gente segue chimere, richiami “di pancia”, paure, egoismi. Ma dobbiamo credere nella democrazia. Altrimenti saremmo per l'oligarchia e per la dittatura. E, prima o poi, “finally the tables are coming to turn”.

sabato, settembre 10, 2016

Scusate se insisto


Mi sembra che, in Italia, si oscilli sempre tra due poli. Da una parte, la fiducia nello 'stellone', icona che brilla nei nostri cieli (e a cui si ispirano tanti discorsi vanamente e stupefacentemente ottimisti che si ascoltano oggi); dall'altra, il destino cinico e baro cui imputare difficoltà, incapacità, problemi, disastri. Difficilmente si analizza la situazione e ci si assumono le responsabilità del caso. Ora, vediamo un po': tutti i Paesi del mondo cosiddetto sviluppato, e a caduta gli altri, hanno dovuto fronteggiare la crisi, gli effetti della globalizzazione, i nuovi modi di produzione eccetera. Eppure, altri stanno reagendo molto più e molto meglio di noi. Perché il sistema politico è bloccato? Perché mancano le riforme istituzionali? Ma va. Prendiamo la Spagna: ha attraversato una crisi terribile, è senza governo, eppure va, va bene. Per non parlare del Belgio: un anno e mezzo senza governo e senza ripercussioni a livello economico. E poi: ma di che parliamo? Riforme? Non sono bastate la riforma delle pensioni, il pareggio di bilancio in Costituzione, l'abolizione dell'art. 18, lo smembramento dello Statuto dei lavoratori, il precariato dilagato a macchia d'olio ... cosa manca, ancora? Ah già, la riforma costituzionale. Cioè, mi si viene a dire che il Paese ripartirà se aboliremo le Province, il Cnel e se non voteremo più per eleggere i senatori, che saranno ulteriormente nominati provenienti da tutt'altra esperienza politico amministrativa, sempre tra di loro, comunque, sempre quel 'cerchio magico'? Ma fatemi il piacere. Signori, siamo seri. O, almeno, proviamoci.

sabato, settembre 03, 2016

Ciò che è possibile, e ciò che non lo è


Il nostro è un Paese terribilmente sismico. Lo sappiamo da molto, molto tempo. Ancora prima degli studi sismologici, i terremoti che da sempre scuotono il Belpaese ne sono la riprova. Il terremoto è un fatto spaventoso: esce dalle viscere della terra, con un boato enorme. Sembra incontrollabile, e nei fatti lo è. Ma possiamo difenderci, come per tutti i fatti di natura, come le piogge torrenziali, le piene etc. Oggi ci sono strumenti per mettere in sicurezza edifici pubblici e privati, lo abbiamo visto: paesi a poca distanza dall'epicentro che hanno subìto pochi danni e nessuna vittima, dopo le opere di messa in sicurezza degli edifici.
Perché altre amministrazioni locali non lo hanno fatto o lo hanno fatto in modo totalmente insufficiente? E perché lo si fa a cose fatte? Belice, Irpinia, Umbria, L'Aquila, Emilia e ora Marche: una serie infinita. Lutti, distruzioni: un dolore enorme. Eppure gli strumenti ci sono. Non ne possiamo più di promesse e rassicurazioni. Possiamo solo sperare che nessuno, questa volta, rida per l'occasione di facili ed enormi guadagni.
Sosteniamo il desiderio delle popolazioni che vogliono rimanere ad abitare lì, in quelle zone, in quelle montagne, che sono il dorso del nostro Paese: sarebbe terribile che venissero abbandonate. Sarebbe il definitivo degrado di un territorio montano e semi montano, già a grave rischio. Che non si ripeta la vicenda aquilana, con le costosissime 'casette' di cui stanno crollando componenti. Sarà un bel banco di prova per i prossimi governi. Vigiliamo. Un grande piano nazionale di messa in sicurezza delle zone a rischio idrogeologico e sismico potrebbe garantire piena occupazione per decenni, innescando, sicuramente, un percorso di crescita economica. Il fatto che ciò possa accadere, è un'utopia? Sì, oggi è ancora una utopia.

sabato, luglio 23, 2016

G8 di Genova, 15 anni dopo


21 luglio 2001, G8 di Genova, sono passati quindici anni. In quel mese estivo, nella città ligure, si incontravano i Paesi membri del G8, e il movimento no global, o per meglio dire il Genoa Social Forum, organizzò una grande manifestazione. In pochi, forse, se lo ricordano: vi parteciparono oltre trecentomila persone. Un movimento variegato, composto prevalentemente da associazioni appartenenti al terzo settore, percorse le vie della città; molti ragazzi e molte ragazze ebbero lì la prima esperienza del manifestare in piazza. C’erano i sindacati, gli studenti, insegnanti, sacerdoti, suore, la chiesa evangelica, i valdesi, legambiente, giuristi, medici, famiglie intere...
A rileggere oggi i temi della protesta contro gli otto grandi del mondo, sorgono molte domande. Si criticavano la globalizzazione, il liberismo sfrenato, il predominio della finanza, individuando i pericoli che ne sarebbero conseguiti: crisi finanziaria, disoccupazione, impoverimento. Si gridava a gran voce contro la minaccia di un futuro incerto per le giovani generazioni. Contro le lobbies economiche e finanziarie in grado di condizionare i governi, contro la corruzione. Contro una politica estera verso il medio oriente e il nord Africa, che già a quel tempo appariva sbagliata e pericolosa.
Poi purtroppo i fatti tragici, gli scontri, le violenze fuorviarono e raccontarono un’altra storia A mio parere il G8 di Genova rappresenta uno spartiacque: c'è un prima e un dopo G8, e niente è stato più come prima.
Pensiamo a quanto è avvenuto dopo: la finanziarizzazione dell’economia che ha portato alla crisi del 2007-2008, in cui siamo ancora sprofondati; la globalizzazione ha accentuato lo smantellamento del welfare. La politica ha dato una prova di sé sempre peggiore: corruzione e prevalere degli interessi delle varie lobbies, piuttosto che dell’intera comunità. Certamente, oggi, il futuro dei nostri figli appare sempre più incerto e difficile.
Forse avevano ragione quei ragazzi, quelle donne e quegli uomini di quel variegato movimento di pensiero.

venerdì, luglio 15, 2016

A chi giova?

Scrivo sotto l'impressione di quel camion che, a Nizza, massacra una folla di persone che guardavano insieme lo spettacolo dei fuochi artificiali. Sono morti tanti bambini, una cosa terribile. Era la sera del 14 luglio, anniversario della presa della Bastiglia nel 1789, data simbolo dell'inizio della grande Rivoluzione francese. Sì, proprio quella che ebbe come parole guida libertà, eguaglianza, fraternità. E pazienza se la stessa rivoluzione non sempre abbia rispettato quei valori: da allora sono imprescindibili, per adesione o per contrasto. Sarà voluta, questa coincidenza di date? È probabile. Oppure, più semplicemente, si è pensato che, in quella situazione, la strage sarebbe stata rapida, certa e massiccia. Quello che più sconcerta, in questo caso, è che la strage avrebbe potuto compierla chiunque, senza bisogno di un addestramento militare: bastava saper guidare un camion. Un atto terroristico compiuto da un francese di origine magrebina, probabilmente animato da un risentimento individuale, personale, permeabile alla propaganda paranoica di odio dello Stato islamico. Non una guerra da vincere, la sua, ma odio verso l'umanità, e assenza di spirito di autoconservazione. Qualcosa che per noi è incomprensibile. Ora come reagiranno i governi occidentali? Parole di fuoco, maggiori controlli, giro di vite eccetera? Pare chiaro che pattugliare, controllare, riempire di uomini armati fino ai denti aeroporti, stazioni e luoghi simbolo non è sufficiente. Governi liberticidi e fortemente autoritari, in altre parti del mondo, utilizzando controlli feroci non ce l'hanno fatta a bloccare il terrorismo. Facciamocene una ragione: reprimere non basta. E neppure serve prendersela con quelle folle di disperati che fuggono dalla fame, da torture e da guerre provocate dagli stessi che uccidono qui. Chiediamoci, come gli antichi: a chi giova? Chi c'è dietro? Non farebbero meglio, i governi occidentali, a rompere i rapporti politici ed economici con chi è noto che foraggi e finanzi i terroristi? Questa, ahimè, è la vera utopia. Se non si parte da qui, si capisce poco. Il timore è quello di giungere allo scontro di civiltà, e a questo punto l'Isis avrebbe raggiunto il proprio scopo, avrebbe vinto. Anche per questo, e non solo, sarebbe giusto e importante attendersi una reazione di forte dissociazione da parte dell'islam moderato.

venerdì, giugno 24, 2016

E le Stelle (non) stanno a guardare

Trovo che sia troppo riduttivo, nei confronti di Matteo Renzi, lo sprezzo che molti stanno esprimendo nei suoi confronti dopo la sconfitta subita dal Pd alle amministrative. Insomma, l'uomo non è un semplice bulletto di paese. Certo, ha fatto di tutto per esporsi ad attacchi vendicativi, dal punto di vista del linguaggio e dei comportamenti (i gufi, i professoroni... ciaone non lo ha detto lui, ma insomma...). E nelle azioni (i precari, gli insegnanti, i sindacati, i magistrati...), di fatto ha più diviso che unito il Paese. Renzi ha inteso e intende la politica come una scommessa, un giro di tavolo, e ha perso questa mano. Una mano importante. Aveva puntato, per mantenere il consenso nonostante una serie di misure per cui molti lo combattono aspramente, sulla ripresa. Il Paese, invece, è ancora in grande affanno, e le battute non bastano più. L'uomo è ricco di risorse, soprattutto mediatiche, e penso che, in qualche modo, saprà cavarsela. Non mi è piaciuto, comunque, l'aver gettato addosso ad altri la responsabilità della sconfitta: a chi è ancora troppo 'vecchio', troppo legato a schemi passati. Caro dottor Renzi, questa poteva risparmiarsela: perché, Berlusconi, che lei ripescò, è un uomo nuovo? E che novità comporta Denis Verdini?
Sarò vecchio anch'io, ma ammiro tanto quei comandanti di una volta, che si vedono nei film, i quali, di fronte ad una sconfitta, dicono 'mi assumo io tutte le responsabilità!' (vedi Cameron dopo Brexit). Una cosa, comunque, è certa: chi governa in questo momento il Paese lo fa sulla base di un consenso spurio e, soprattutto, non di scopo: il 'famoso' 40 per cento. Dirò di più: con l'Italicum cucito sul risultato, appunto, delle Europee, oggi il Pd sarebbe all'opposizione. Prevedo topi in fuga dalla nave che affonda. Dopo le amministrative, abbiamo molte città importanti in mano a personalità politiche fuori dai soliti schemi: la conferma De Magistris, le novità Appendino e Raggi. Il Movimento 5 Stelle ha una grossa carta in mano: non dovrebbe sprecarla. Però, cara sindaca Raggi, magari non nomini assessore Lo Cicero, che straparla, offende e assale i giornalisti... via, cominci meglio!

sabato, giugno 04, 2016

Ma quale antipolitica, chi offre un orizzonte credibile vince

Non era già abbastanza complicato il clima politico del nostro Paese, che si sono aggiunte le elezioni amministrative della scorsa settimana. Una cosa è certa: la fedeltà al voto è ormai cosa preistorica, nel nostro Paese. Abbiamo ormai un voto ondivago, a volte bizzarro, spesso governato dagli impulsi del momento. Vengono in mente le celeberrime parole di Iva Zanicchi su Berlusconi: “beh, proviamolo!”. Forse l’esempio non è dei migliori per giudicare del buon esito di un atteggiamento simile, ma mi pare che, spesso, si vada in questa direzione. Una cosa è certa: non si può più liquidare il Movimento 5 Stelle come un fenomeno-meteora, un moto protestatario, una jacquerie. L’impressione è che il 5 Stelle si sia creato un radicamento sociale, molto spurio, molto diversificato, a cui si rivolgono persone di tutti i ceti e origini ideali, con l’evidente intento di cambiare. Dare uno scossone, svoltare. E a poco vale che le esperienze nei Comuni che stanno amministrando: Livorno, Parma, non siano particolarmente felici (a onor del vero va detto che le situazioni ereditate non erano certo delle migliori). Inoltre, si sta facendo avanti un ceto politico pentastellato, preparato, capace di guadagnare la scena, al di là di Beppe Grillo (Toninelli, Di Battista, Di Maio...).
E che dire del vincitor d’ogni tenzone, Matteo Renzi? Il Pd ha subito un’innegabile emorragia di voti. Forse, la vera illusione è stato proprio quel 40% delle europee, che – attenti – è l’unica legittimazione, a oggi, del governo Renzi. Quest’ultimo, passato dal dire che “non abbiamo vinto, ma neppure perso” a minacciare l’uso dei lanciafiamme nei circoli Pd “correntizi”, ha ancora qualche coniglio nel cappello? Lo spernacchia, adesso, anche Confcommercio, sulla questione degli 80 euro da restituire. E si ha un bel dire che sia finito il bipolarismo: mi domando quando ci sia mai stato. È vero o no che le misure più radicali in senso liberista, nel nostro Paese, non le ha messe in atto Berlusconi, ma Monti e poi Renzi? Dov’è mai stato, allora, il bipolarismo? Negli ultimi anni hanno prevalso il rigore dei tagli (tanti, certi e lineari), la navigazione a vista, il barcamenarsi a seconda dei risultati dei sondaggi. Chi vuole una visione, vada al cinema, si diceva anni fa. Mamagari qualche idea, qualche paletto, che non sia solo a carattere punitivo, ma propulsivo, qualche orizzonte datecelo.

sabato, maggio 28, 2016

Me ne assumo la responsabilità...

Notavo, in questi giorni, che uno degli sport più diffusi, tra i politici, ma non solo, è la schivata rispetto alle
responsabilità. Fateci caso: dalla recessione, alla debacle produttiva, agli scandali bancari, ai disastri ambientali, passando per la voragine sul lungarno a Firenze, il refrain è “non resterà impunito!”, “troveremo
i responsabili!”, “non lasceremo niente di intentato!”. Mai che si dica - sicuramente rarissimo - "Me ne assumo la responsabilità". Un tempo, ci si dimetteva per un disastro, per uno scandalo, persino (!) per una sconfitta elettorale. Sull'etica della responsabilità si fondarono le civiltà antiche: Socrate, Solone, Catone, Bruto. Nel Novecento, l'etica della responsabilità ha avuto un grande spazio. È stato il secolo dei totalitarismi, e della vittoria di chi vi si oppose. Chi si oppose, lo fece -anche - in nome dell'etica della responsabilità. Ma il Novecento, si dice, è da rottamare. Già. Peccato che si rottamino questi uomini, queste donne, queste storie, e si conservino, del Novecento, alcuni tratti: il trasformismo. Il populismo. Il “tengo famiglia”. L’uso privato della cosa pubblica. Il gioco delle tre carte. Le pratiche di Lauro (un voto, un pacco di spaghetti). Altro che etica della responsabilità: qui si parla di... Non so, non trovo paragoni.
Pulcinella è una maschera colma di dignità al confronto.

sabato, maggio 21, 2016

Le ciliegie maturano a giugno

Le promesse, come le ciliegie, arrivano di primavera. E, come le ciliegie, nella primavera elettorale arrivano le rassicurazioni- choc: dal 2017, meno tasse al ceto medio! Flessibilità in uscita per le pensioni! E poi, san Giorgio parte, lancia in resta, contro il drago: nel 2018 verrà abolita Equitalia! Bene! Domanda sommessa: come, con quali risorse? Cosa significa l’abolizione di Equitalia, al di là dell’annuncio-bomba: che i debiti pendenti con lo Stato verranno azzerati? Non credo proprio. Quindi, ci sarà un altro soggetto che reclamerà il dovuto: e allora? Dove sta il vantaggio? Ce lo fate sapere? L’equazione è semplice: se diminuiscono le tasse, o si trova il modo di compensare questo minore introito, o si diminuiscono i servizi pubblici. Si parla dell’estensione degli 80 euro ai pensionati, bene! Però, 80 euro, a fronte di una sanità che sempre più deve essere pagata dal cittadino, che cosa sono? E difatti, le persone si curano meno: una notizia scioccante, passata nel silenzio dei più, è quella apparsa poche settimane fa, secondo cui, per la prima volta nella storia d’Italia, l’aspettativa di vita degli italiani è in calo. Lo ha affermato il rapporto Osservasalute, secondo cui il fenomeno è legato ad una riduzione della prevenzione. In realtà, ci sarebbe il modo di compensare una riduzione delle tasse di coloro che pagano, pagano sempre, pagano tanto: intanto, smantellare i meccanismi della criminalità organizzata, di gran lunga la maggiore industria italiana, illegale e sommersa, spesso collusa con il potere politico. Combattere gli sprechi, il malaffare, la corruzione che fa lievitare i costi di qualsiasi opera: non passa giorno che un amministratore pubblico non venga indagato. Ma queste non sono ciliegie da cogliere nella primavera elettorale. Hai voglia di proporre il voto anche il lunedì: vedremo in quanti andranno a votare, nelle prossime consultazioni. L’abbandono progressivo del diritto di voto è molto pericoloso, e è dovuto ad una crisi di credibilità della classe politica come poche altre volte si è verificata. Ma è primavera, e le promesse vengono una dopo l’altra, come le ciliegie. Speriamo che non diventino nespole.

sabato, maggio 07, 2016

Il nostro petrolio

Abbiamo parlato molte volte, su queste pagine, del tesoro d’Italia, del nostro vero petrolio: il paesaggio,
i luoghi d’arte, la cultura declinata non solo come letteratura, poesia, architettura, musica, ma anche riguardo ai cibi tipici, alle particolarità gastronomiche, ai cultivar particolari. E, altrettante volte, ci siamo – a giusta ragione – lamentati: per l’incuria, per il degrado, per l’indifferenza con cui vengono trattati, molto, troppo spesso, questi nostri tesori. La nostra storia, le bellezze naturali, la buona cucina: come valorizzarli?
Ebbene, qualcuno ci sta provando, attraverso la formazione delle giovani generazioni, che possano anche trovare, in questo ambito, possibilità di occupazione. E così, alcune Università hanno attivato corsi di laurea sull’enogastronomia e, in generale, sulle scienze collegate alla gastronomia e alla ristorazione: ve ne sono a Roma, a Padova, a Bari, a Parma, a Torino. Ma ora, c’è di più: a Termoli, l’università del Molise ha creato un corso di laurea in enogastronomia e turismo. Un ciclo di studi, in comunicazione con le aziende del territorio e le associazioni di categoria, che tiene insieme arte e gastronomia, storia e cibo, turismo e scoperta delle particolarità dei territori. Sono presenti anche insegnamenti collegati al marketing, alla comunicazione, a materie economiche e socio-umanistiche. Mi pare una bellissima idea, anche perché è nata nel Sud, una realtà che troppo spesso passa per essere spenta ed arretrata... Mi pare che sia questo, ciò che necessita al nostro Paese. E, a proposito: la Lombardia non è seconda a nessuno, quanto a paesaggio, arte, gastronomia e vini. Che dite, potrebbe essere un’idea per Cremona?

sabato, aprile 23, 2016

La rassegnazione

Ha ragione Federico Centenari, quando mi dice: “Sai, quando vado in centro osservo sempre le persone che incontro. Lo faccio da anni, guardo le loro facce, osservo i commercianti davanti ai negozi, la gente che percorre le vie. Mi fermo a parlare e raccolgo le loro lamentele. Sui loro volti non leggo tristezza né tanto meno rabbia, vedo piuttosto smarrimento, o, per meglio dire vedo la rassegnazione”. Giacomo Leopardi equiparava la rassegnazione ad una immobilità non ragionata. E ancora: “Dall’abito della rassegnazione sempre nasce noncuranza, negligenza, indolenza, inattività, quasi immobilità”. Che parole profetiche, verrebbe da dire. Marcel Proust scriveva che la rassegnazione, modalità dell'abitudine, permette a certe forze di accrescersi indefinitamente. Forse è proprio così. Una di queste forze, di cui parla Proust, una forza che cresce indefinitamente è a mio parere il risentimento. Sempre più spesso si assiste ad un senso di animosità verso gli altri, anzi, verso il mondo in generale. Pessimi sentimenti covano sotto la cenere.
sentimenti molto negativi. Anche Cremona ne soffre, pur essendo una città prevalentemente addormentata, sicuramente rassegnata, spesso genuflessa. Molti si lamentano, da sempre. E è da sempre che ascolto la solita litania: basta con certe dinamiche, non se ne può più di certi equilibri che imprigionano la città e che la rendono impermeabile, basta con le oligarchie, con le trame raccontate dai soliti registi… dobbiamo fare, dobbiamo dire. “Mo dimo, mo famo”, direbbero a Roma. E ancora, in molti vorrebbero cambiare le cose, salvo poi realizzare che questo costa fatica, esposizione in prima persona, rottura di antiche e consolidate dinamiche di convenienza oltre che di convivenza sociale. E, siccome la rassegnazione sta al coraggio come il ferro sta all'acciaio, quasi sempre, tutto finisce li. Anzi, finisce nella solita esortazione: “Intanto vai avanti tu... che a me vien da ridere”.

sabato, aprile 16, 2016

La trasgressione

di Daniele Tamburini
Quando ero ragazzino, trasgredire era, oltre che disubbidire alla mamma, riuscire a comprare in un bar un “boero”: il cioccolatino con dentro la ciliegia e ripieno di liquore. Lo si prelevava dall’espositore posto sul bancone del bar. Ricordo che furtivamente scartavo quella carta rossa e, finalmente, potevo gustare quel liquore, altrimenti severamente proibito per un ragazzino di dieci anni. Le prime volte soffrivo di quel piccolo senso di colpa che risiedeva non tanto nel gesto in sé, ma nella volontà di volerlo compiere. Poi, preso atto che non c’erano conseguenze, il senso di colpa svaniva. Se poi trovavo nella confezione la scritta: “hai vinto un boero”, altro che senso di colpa! ero pieno di soddisfazione. Per me, sospeso tra l’esser bambino e adolescente, l'atto ribelle e trasgressivo era forse il primo passo verso la conquista di una personalità propria, della capacità di discernere tra bene e male. Divieto e trasgressione, infatti, fanno parte da sempre di complessi apparati filosofici e morali, per non parlare dei sistemi di fede. La trasgressione, diceva il filosofo Bataille, “sospende il divieto senza eliminarlo. Qui si cela la molla dell’erotismo, e qui ugualmente si cela la molla di ogni religione”. Il divieto permane: alcuni tabù sono costitutivi della civiltà per come la conosciamo; l’apparato della legge mosaica, che il cristianesimo ha sussunto e sviluppato, consta di molti divieti, ripetuti ossessivamente (non uccidere, non desiderare la roba d’altri, non rubare …). Il divieto a comportarsi male deriva, anche se non si è religiosi, dalla propria legge morale, dall’osservanza delle leggi, dal senso civico. Il divieto comporta, se lo si trasgredisce, una sanzione, un’ammenda, una punizione: è così. Quando però vengono a mancare legge morale e senso civico, e si è convinti dell’impunità, ecco che dalla trasgressione si giunge al comportamento truffaldino. E il senso di impunità deve essere tale, che non ci si cura neppure del fatto che la magistratura e le forze dell'ordine colpiscano duro, con tutti i limiti, temporali e in termini di efficienza, del “sistema giustizia”. Non è mia intenzione condannare nessuno: ognuno se la veda con la propria coscienza. Ma, a questo proposito, poiché il senso civico, nella nostra repubblica, ha come fari la Costituzione ed il sistema democratico, io vi dico che, domenica, andrò a votare al referendum. E invito anche i miei lettori a farlo. Andate, esercitate il diritto di voto: che votiate “sì” o “no” non importa, ma siate cittadini consapevoli.

sabato, aprile 02, 2016

Sempre più in basso

di Daniele Tamburini
La famiglia, si sa, è importante. Lo è in particolare nel nostro Paese. Sappiamo bene che persino l’ossatura del nostro sistema produttivo si è basata e forse si basa ancora sul modello familiare o familistico che dir si voglia. È la forza del Paese: lo hanno ripetuto per anni autorevoli studi e importanti commentatori. E’ diventato quasi uno stile, quando non uno stigma. Abbiamo anche capito che questa dimensione, radicata e forte, portava con sé lati negativi: una certa provincializzazione, una certa riluttanza ad affrontare le sfide dell’innovazione e della globalizzazione. Fin qui, ci muoviamo su un terreno quantomeno molto dignitoso. Poi, però, si è rischiato e si rischia di scadere nel vieto modello “tengo famiglia”: un ombrello riparatore sotto il quale si celano e si giustificano mezzucci, manfrine, varie mani del gioco delle tre carte. Sinceramente, ancora mi mancava “tengo un fidanzato”. Un fidanzato ancora non è proprio famiglia, o forse sì, nell’epoca della “famiglia liquida”, ma che c’entra, meglio premunirsi per un futuro roseo. E, se si è nel posto giusto, invece che aderire ad una assicurazione sulla vita o accendere un mutuo o pensare alla divisione dei beni, cosa prevedere meglio di un piccolo, piccolissimo emendamento ad una legge – che poi, dire “ad una legge” è anche riduttivo: si trattava della legge cosiddetta “SbloccaItalia”, che il governo varò con grande fanfara – e oplà, il fidanzato è a posto. Quel che fa più male, oltre al solito rammarico per un’immagine dell’Italia cialtrona, corrotta, venduta, è che la ministra in questione venisse da Confindustria: da quell’organizzazione, cioè, che molto e seriamente si è battuta e si batte per tutelare gli imprenditori in difficoltà per via dei taglieggiamenti e dei ricatti subiti da parte della criminalità organizzata. Allora, che significa questo? E’ davvero il potere che corrode? È l'aria del Palazzo che è mefitica? Adesso le opposizioni chiederanno le dimissioni del governo. Saranno respinte. Io penso che, più di un nuovo governo servirebbe una grande riforma morale, e pure servirebbe che i cittadini potessero scegliere liberamente i parlamentari e non delegare la scelta ad un leader di partito. Servirebbe pretendere onestà nelle istituzioni. Perché a volte la colpa è di chi applaude, non di chi recita. Oggi in tanti continuano ad applaudire, facendo finta di non vedere, magari perché “tengono famiglia”. Non so voi, ma io sono stanco, sono stufo, sono fortemente deluso. Francamente non ho più voglia.

sabato, marzo 26, 2016

La mano destra e la sinistra dovrebbero unirsi, non solo per pregare

di Daniele Tamburini
Difficile fare gli auguri di buona Pasqua in giorni come questi. Il mistero della morte e della resurrezione di Cristo, che è atto di fede per i credenti, ma che affascina, con i suoi significati così vicini al cuore della vita, pure gli agnostici ed i laici, potrebbe farci meditare anche sul dolore, sull’ira e sulla paura di questi giorni. I venti di guerra soffiano forti. Purtroppo, è storia: quando si parla tanto di stato di guerra, di guerra di fatto eccetera, non si tarda mai troppo, poi, a dichiararla apertamente. Dobbiamo confidare nella prudenza, nella lungimiranza di chi ci governa in Italia, in Europa, nel mondo? Come possiamo, quando sappiamo bene che la mano destra si alza a ammonire fieramente contro il terrorismo, mentre la mano sinistra stringe quella dei potentati che, come dire, potrebbero avere in loro potere il destino di Isis, Is, Daesh, o che dir si voglia. Il prefetto di Roma Franco Gabrielli, con un ragionamento molto condivisibile, ha detto che dopo gli attentati di Bruxelles, per Roma e per l’Italia è cambiato poco: c'è solo la consapevolezza del fatto che i timori dell'essere dentro una minaccia sono reali. La minaccia, è incombente e siamo un obiettivo di questo nuovo terrorismo di matrice islamista, continua Gabrielli, ma mettere un militare a ogni angolo di strada non solo non è realistico, ma nemmeno funzionale a garantire la sicurezza. “Questo tipo di terrorismo lo si combatte in prevenzione”.
Ma qual è la prevenzione possibile? Qualcuno ha la ricetta pronta: non far entrare più e, anzi, cacciare via chi è di religione islamica. Ora, oltre alle ragioni umane ed economiche che rendono questa ipotesi a dir poco fantascientifica, c’è da dire che mai, mai, i muri hanno funzionato: si sfondano, si scalano, si aggirano, anche sotto il fuoco e le bombe. E allora? A parere mio solo l'Islam può sconfiggere questa degenerazione. E allora, dovremmo essere capaci di creare un sogno civile, un sogno di dialogo, di giustizia sociale, di convivenza, una convivenza che per tanti anni è stata possibile, termini che non sono vuote parole ma che, se concretizzati, sarebbero la chiave della prevenzione di cui parla Gabrielli. Sono un visionario? Forse. Ma la Pasqua è fatta anche di questo messaggio. Auguri a tutti

sabato, marzo 12, 2016

C’è chi prende, sempre, ma non dà mai

di Daniele Tamburini
Leggo in un articolo del giornalista Gerhard Mumelter: “In Italia, da sempre, lobby trasversali e gruppi di potere hanno contrastato e svuotato tutte le leggi per liberalizzare i mercati e favorire la concorrenza”. E spiega: ultimo in ordine di tempo (ricordate la “lenzuolata” di Bersani del 2007?), la “legge per il mercato e la concorrenza” varata un anno fa dal consiglio dei ministri. Renzi aveva proclamato: “Il provvedimento incontrerà le resistenze delle lobby e noi le sfideremo”. Poi, alla Camera ci sono voluti sei mesi per far passare la legge, tra stralci, rinvii e correzioni, e il decreto ora giace in Senato, arenato da 1.200 emendamenti ispirati da notai, avvocati, tassisti, banche, ordini professionali. Tutti hanno inteso salvaguardare il proprio pezzo. Forse è umano, forse è inevitabile, ma che ci sta a fare, allora, il Parlamento? Soprattutto, a chi risponde? Al bene comune, o ai singoli portatori di interesse? Secondo uno studio del Fondo Monetario Internazionale, una vera liberalizzazione dell’economia italiana farebbe crescere il Pil in pochi anni di parecchi punti. Ma non avverrà: le lobby trasversali sapranno impedirlo. Insomma, c’è chi prende ma non dà mai. Ancora e sempre, siamo alle prese con una politica che ha promesso, che ha generato tante aspettative, la maggior parte delle quali sono ancora nel mondo dei sogni. Forse che una crescita dello 0,7% ci rende soddisfatti, quando il resto di Europa cresce il doppio? Forse che dovremmo far finta di nulla, ascoltando le notizie del marciume come quelle che emergono dal caso Anas? Forse che non dovremmo stupirci più, tutte le volte che si attiva lo strumento “popolare” delle primarie per scegliere chi si proporrà al nostro voto, e ne escono fuori di cotte e di crude? Chi ben comincia, verrebbe da dire, è a metà dell’opera. Delle beghe interne ai partiti o alle coalizioni dovrebbe interessarci poco, ciò che invece dovrebbe starci a cuore è la sorte di questo nostro Paese.

sabato, marzo 05, 2016

A uno specchio preferisco una finestra

di Daniele Tamburini
Il tema dei diritti e della libertà non ha niente di astratto, e ce ne rendiamo conto proprio in questi giorni, anche rispetto alla virulenza dei toni che ha assunto la discussione sulla stepchild adoption e sulla gestazione per altri. Sono temi su cui, a mio parere, è molto difficile intervenire e, se lo si fa, occorrerebbero moderazione, attenzione e, soprattutto, tanto, tanto rispetto. Elementi che latitano, invece, nei toni urlati che ascoltiamo da tempo. Ci hanno insegnato che il concetto di libertà personale non è illimitato: la mia libertà deve essere per forza “limitata” dal fatto che ognuno di noi condivide il mondo con altre persone, con altri esseri umani. In caso contrario, prevarrebbero le ragioni della rapina, dell’accaparramento, della guerra di tutti controtutti. Ora, queste idee portano alla distruzione globale, e anche chi ritiene che la propria libertà non debba piegarsi a ragioni di contenimento, deve per forza condividere un mondo che, per sua natura, è limitato. Questo vale, per esempio, per i grandi temi ambientali, ma anche, a mio parere, per quelli legati ai diritti civili. Non intendo assolutamente dare giudizi o formulare opinioni sul desiderio di ognuno, uomo o donna, di formare una famiglia, uno stile di convivenza: questo potrà offendere le opinioni e le credenze di qualcuno, ma non mette in gioco altre esistenze. Mi pare, però, che si debbano valutare con molta più attenzione le scelte che, per esempio, danno origine ad una nuova vita, ad un nuovo nato. Qui si apre una forte ipoteca – che, peraltro, non è detto sia negativa - sul futuro di una creatura; qui si coinvolge pesantemente un “terzo”, che domani avrà bisogno di ripensare la propria storia e le proprie origini. Per questo, bisognerebbe essere ancora più prudenti, ancora più discreti, in qualunque modo la si pensi. Pensate al neonato Tobia, il figlio avuto con la gestazione per altri da Nichi Vendola e dal suo compagno: cosa penserà, quando sarà grande, leggendo tutto ciò che è stato scritto in questi giorni? Come si sentirà? Se non si ha rispetto per i “grandi”, cerchiamo di rispettare almeno i “piccoli”. Si esprimano le proprie opinioni, ma con educazione e rispetto. Lo stesso rispetto che ognuno di noi vorrebbe ricevere, sempre.

sabato, febbraio 20, 2016

Siamo indignati? Apriamo una bella pagina su Facebook...

di Daniele Tamburini
E se la rivoluzione d’ottobre fosse stata fatta… su Facebook? O se, invece di prendere la Bastiglia, i parigini avessero scritto un tweet di fuoco? Immaginatevi Danton, Robespierre, Saint Just tutti intenti a smanettare sull’I-Phone, oppure, per dire, Lenin che, invece di arringare i marinai con le magliette a strisce, aggiusta il suo profilo su Instagram e chiama a raccolta i “navigatori”? Consentitemi questo tono leggero, per un argomento che leggero non è, anzi. Sono stati scritti volumi di saggi sulla democrazia nel tempo dei social e sono state condotte molteplici analisi sulle nuove forme di lotta politica realizzate attraverso un uso massivo e, allo stesso tempo, mirato del web. Il fenomeno si è manifestato con forte rilevanza in specie all’epoca delle rivoluzioni che hanno interessato i Paesi arabi del Nordafrica e la Turchia. E’ una modalità nuova e, come tutte le modalità nuove, risulta leggermente spiazzante verso chi è abituato, per età e per cultura, a modi diversi, per esempio nell’agire politico. Rilevo comunque che, ancora una volta, il passaggio da una modalità all’altra rischia di essere una sorta di salto mortale triplo. Per spiegarmi: forse non erano molto interessanti le tribune politiche televisive di una volta. Qualcuno se le ricorda? Il conduttore poneva una domanda e tutti gli esponenti dei partiti intervenivano, uno dopo l’altro. Se gli animi si accendevano, magari alzavano un po’ la voce, ma niente insulti, per carità. Il conduttore era rigorosamente attento a dosare tempi e parole (oggi si chiamerebbe “anchorman”, ma ve li immaginate Giorgio Vecchietti o Ugo Zatterin a sentirsi definire così?). Ma io, sinceramente, trovo poco interessante anche un tweet. Cosa si può esprimere in un tweet?
Più la realtà è complessa, più la si dovrebbe analizzare con attenzione. A che serve il tweet? A tirare una bomba di parole? Una schioppettata di concetti? A me viene in mente quando, da ragazzi, qualcuno la sparava grossa e gli altri dicevano “bum!!”. Insomma, serve a fare rumore gradasso, e basta? Anni fa, se scoppiava una guerra, la gente andava in piazza a manifestare: ma ci andavamo anche se qualcuno annunciava di manomettere le pensioni. Oggi, ci indigniamo su Facebook, e tutti a “condividere”. Vogliamo dare sfogo alla nostra protesta? Apriamo una bella pagina su Facebook. Mah. Era giusto prima, è giusto ora? Non lo so.

sabato, febbraio 13, 2016

Domande, Tante Domande

di Daniele Tamburini
Ma come si fa a non rendersi conto che molto di quel che si ascolta, di quel che viene veicolato, di quel che ci raccontano della situazione politica ed economica, è, nella migliore delle ipotesi, impreciso, e, nella peggiore, falso? Qualcuno usa e abusa della parola “teatrino”: figuriamoci. La parola ha un che di leggiadro e forse lezioso, che può disturbare, ma che malissimo si attaglia alla realtà crudele e vischiosa di oggi. Ci sono, in tutto il mondo e anche da noi, centri di potere vero, concreto, violento, che si mantengono in una sorta di cupola sovrastante, utilizzando e sfruttando le azioni e la faccia di mezze calzette, utili ad obbedire agli ordini. Poteri nascosti, che da molto, molto tempo lavorano perché nessuno più controlli chi manovra, chi tiene le fila del gioco, chi decide sulle nostre vite. Poteri burattinai, che tirano le fila di burattini ventriloqui, mentre accumulano profitti enormi. Ecco che si creano e si implementano disattenzione e disaffezione nei confronti della politica e della cosa pubblica, disonorandole con inefficienze, scandali, furti; ecco che si vota meno, abolendo livelli elettivi (le Province, poi il Senato, poi chissà); ecco che si disincentiva il voto, con il combinato disposto di questi due aspetti; ecco che si produce una “nuova”, ma in realtà antichissima ansia accentratrice. Le banche che falliscono hanno dietro, spesso, nomi eccellenti e una costante, perpetua contiguità con il potere. Dall’oggi al domani, da una situazione in cui si diceva, il giorno prima, che “la barca va”, parte la speculazione in borsa, i titoli crollano, lo spread – bestia nera, incubo per tanti mesi, poi improvvisamente ammansito – si impenna. Perché? Cosa cambia, nel frattempo, nelleconcrete e materiali condizioni di vita di tutti noi? Niente. Chi stava male, sta male egualmente; chi sta così e così, peggiora. Chi ha strapotere e straricchezze, li aumenta. Ma chi ci crede ancora? Expo parte gravata di sospetti, e adesso Sala è il miglior manager sulla piazza, dovrà essere l’uomo giusto per la città giusta, una nuova Milano da bere. L’informazione mainstreaming, giuliva, va dove soffia il vento: basta una polemica sul festival di Sanremo e non si parla già più di Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano massacrato in Egitto. Avete letto cosa gli hanno fatto? Un misto di via Tasso e dello stadio di Santiago. Ma loro hanno tanti, tanti affari con al-Sisi, e allora... non disturbiamo chi manovra, chi nasconde, chi mente. Mentre sto scrivendo ha iniziato anche a piovere, Governo ladro.

sabato, febbraio 06, 2016

Solido come una banca

La gente non ha più fiducia nelle banche, e ha ben ragione. Una volta si diceva: solido come una banca; oggi, la frase fa venire in mente il Manifesto del Partito Comunista, opera di Karl Marx: “tutto ciò che è solido si dissolve nell'aria”. Le banche, in effetti, hanno il problema delle eccessive sofferenze: crediti concessi e difficilmente recuperabili. Per questo si sono inventati il Bail in, ossia la legge per la quale, in caso di necessità, gli azionisti, gli obbligazionisti e in parte i correntisti devono farsi carico delle difficoltà della banca. E' ciò che è accaduto con Banca Etruria, e qualcuno teme che possa accadere anche per qualche altra banca, magari anche più importante di Banca Etruria. E sempre per le ragioni di cui sopra, oggi, viene ipotizzata la creazione di una Bad Bank in cui riversare i crediti inesigibili, dare così una mano di bianco ai bilanci delle banche stesse, e cercare di far ripartire il sistema. E' facilmente intuibile che la fiducia dei risparmiatori è elemento fondamentale e imprescindibile per il corretto svolgimento dell’attività bancaria. Certamente, le notizie che continuano a filtrare sul caso “Banca Etruria” non contribuiscono a far crescere la fiducia: diciamo che le banche ci hanno messo del loro. Ma è sbagliato, in effetti, dire “le banche”. Parlando a livello di concetti,
la banca ha una enorme utilità sociale: senza le banche non esisterebbe l’economia per come la conosciamo. Il problema, allora, qual è? È di chi, tra i banchieri ed i sistemi bancari, ha sempre più virato in direzione della speculazione. I banchieri che portarono alla rovina del 1929, i banchieri dei titoli tossici del 2007-2008. Sono d’accordo con chi dice che non possiamo abbandonare le banche a se stesse, pena un danno inimmaginabile per un’economia già debole e sfiancata; ma penso che occorrerebbe molta cautela nel correre in aiuto dei banchieri speculatori, che se ne infischiano dei risparmiatori e vivono in un sistema di bolle finanziarie e giochi molto prossimi all’azzardo, senza considerare le concrete esistenze delle persone e delle aziende. Mi chiedo dove sia finito il modello di banca basato sul dualismo risparmio-credito: abbandonato a favore del modello banca di investimento? Un buon sistema bancario non può che aiutare le imprese, dare una spinta ai desideri dei cittadini, far decollare l’economia. Un cattivo sistema bancario mina la fiducia e avvelena l’aria dei tempi. Proprio non ne abbiamo bisogno. Altrimenti sarebbe veritiera la cruda frase di Bertolt Brecht: “E’ più criminale fondare una banca che scassinarla”.

sabato, gennaio 23, 2016

SENATUS POPULUSQUE ROMANUS

di Daniele Tamburini
Mentre l’Europa – ci verrebbe da dire, l’Europa che conta – mostra cipiglio feroce nei confronti di Matteo Renzi da Rignano, e tutti ci chiediamo se effettivamente il capo del governo intenda portare a fondo la crociata contro le pretese dell’austerity continentale, oppure se si tratti di una sorta di gioco delle parti (le amministrative si avvicinano), viene definitivamente approvata la riforma istituzionale del Senato. Il “Senato dei cento”, ridotto a pallido simulacro di un organismo politico-istituzionale degno di questo nome, sarà composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 senatori nominati dal capo dello Stato per sette anni. per fare che? Il Senato non avrà più il potere di dare o togliere la fiducia al governo; potrà esprimere proposte di modifica sulle leggi, ma l'ultima parola spetta alla Camera. L'approvazione delle leggi, quindi, sarà quasi sempre prerogativa della Camera: una sorta di monocameralismo de facto. Il governo avrà una corsia preferenziale per i suoi provvedimenti: il potere esecutivo si rafforza ulteriormente a scapito del legislativo. Insomma, chi governerà – anche se non eletto, come nel caso attuale – non dovrà preoccuparsi troppo del parere di chi dovrebbe, per definizione, fare le leggi, essendo eletto a tale scopo. E chi saranno i senatori? Non più eletti durante le elezioni politiche, risulteranno dal novero dei consiglieri regionali e dei sindaci. Signori, si vota sempre meno: ve ne siete accorti? Non si vota più per le Province, non si voterà più per il Senato. Ma c’è un altro dato: il potere centrale si rafforza ulteriormente, perché sarà lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva (politica estera, immigrazione, difesa, moneta, burocrazia, ordine pubblico, ecc.), con una fortissima inversione di tendenza rispetto ad un recente passato di valorizzazione delle autonomie locali. Altro che una visione romanocentrica: questa è una visione Palazzochigicentrica. Ma allora, perché mantenere i simulacri? Perché non abolirlo direttamente, il Senato? Questi signori che lo comporranno saranno lì a fare le belle statuine, e, comunque, ci costeranno almeno per i rimborsi spese. Se si crede nella bontà del modello “un uomo solo al comando”, forza, seguiamolo fino in fondo, chiudiamo gli occhi e la mente dinanzi ai drammi che modelli simili hanno provocato ed evitiamo i pasticci all’italiana, il “vorrei ma non posso”, le ipocrisie. Si pensa che all’Italia serva un “conducator”? Forza: chi si candida? Basta non votarlo, e arriverà in cima.

sabato, gennaio 16, 2016

Questa classe dirigente non è più credibile

di Daniele Tamburini
Il 2016 è un anno bisestile: cosa ci riserverà l’anno nuovo?
Arrancheremo ancora, stretti da una crisi ormai lunghissima, pesante, che ha offeso l’economia e le esistenze? Oppure, potremo cogliere segnali di un’aria nuova, tale da poterci far tirare un respiro profondo e dire: “Ok, sarà dura, ma la si volta!”? Sinceramente, non so. Certamente l’argomento non campeggia più nei notiziari e sulle pagine dei giornali: si fa l’abitudine anche alla crisi? Ci si adegua all’incertezza, alla paura, all’insicurezza? Ho un timore, che spero non diventi certezza: mi sembra che si siano deteriorati i rapporti umani. “Ognuno sta solo sul cuor della terra”, cantava il poeta. Chiusura, solitudine, indifferenza alle sorti altrui: questi comportamenti sono cresciuti. Ma ci sono anche tanti esempi di splendido altruismo e di cura dei rapporti di comunità. Tema centrale è, ancora e sempre, il lavoro. Un’altra cosa a cui sembra che abbiamo fatto l’abitudine è questo refrain per cui il lavoro è e sarà sempre di più instabile, intermittente, non garantito. Io credo che questa sia una posizione assolutamente ideologica e non, come sostengono i suoi fautori, un’inevitabile conseguenza della modernità, della globalizzazione eccetera. Sapete, vero, quanto lavoro ci sarebbe nel nostro Paese? Per quanti anni potrebbe lavorare personale impiegato, e cito a caso, nella sistemazione del patrimonio edilizio pubblico, nel ripristino dei suoli, dei corsi d’acqua, insomma del sistema idrogeologico, nella valorizzazione delle biblioteche e dei musei? E’ anche vero però che, per qualcuno, il problema non si pone neppure. Abbiamo letto degli stipendi dei funzionari della Camera, per non parlare di quelli dei manager pubblici che guadagnano molto più del presidente degli Stati Uniti. E’ come per i tagli ai bilanci: distrutte le Province, tramortiti i Comuni, colpite al cuore le autonomie locali, quelle più vicine al cittadino, i corpi centrali dello Stato e i ministeri restano praticamente indenni da riduzioni, tagli e sforbiciate. I sacrifici sono sempre per i soliti. Il fatto è che, per quanto mi riguarda, questa classe politica o per meglio dire questa classe dirigente (come si diceva una volta) non è più credibile.