di Daniele Tamburini
Il 2016 è un anno bisestile: cosa ci riserverà l’anno nuovo?
Arrancheremo ancora, stretti da una crisi ormai lunghissima, pesante, che ha offeso l’economia e le esistenze? Oppure, potremo cogliere segnali di un’aria nuova, tale da poterci far tirare un respiro profondo e dire: “Ok, sarà dura, ma la si volta!”? Sinceramente, non so. Certamente l’argomento non campeggia più nei notiziari e sulle pagine dei giornali: si fa l’abitudine anche alla crisi? Ci si adegua all’incertezza, alla paura, all’insicurezza? Ho un timore, che spero non diventi certezza: mi sembra che si siano deteriorati i rapporti umani. “Ognuno sta solo sul cuor della terra”, cantava il poeta. Chiusura, solitudine, indifferenza alle sorti altrui: questi comportamenti sono cresciuti. Ma ci sono anche tanti esempi di splendido altruismo e di cura dei rapporti di comunità. Tema centrale è, ancora e sempre, il lavoro. Un’altra cosa a cui sembra che abbiamo fatto l’abitudine è questo refrain per cui il lavoro è e sarà sempre di più instabile, intermittente, non garantito. Io credo che questa sia una posizione assolutamente ideologica e non, come sostengono i suoi fautori, un’inevitabile conseguenza della modernità, della globalizzazione eccetera. Sapete, vero, quanto lavoro ci sarebbe nel nostro Paese? Per quanti anni potrebbe lavorare personale impiegato, e cito a caso, nella sistemazione del patrimonio edilizio pubblico, nel ripristino dei suoli, dei corsi d’acqua, insomma del sistema idrogeologico, nella valorizzazione delle biblioteche e dei musei? E’ anche vero però che, per qualcuno, il problema non si pone neppure. Abbiamo letto degli stipendi dei funzionari della Camera, per non parlare di quelli dei manager pubblici che guadagnano molto più del presidente degli Stati Uniti. E’ come per i tagli ai bilanci: distrutte le Province, tramortiti i Comuni, colpite al cuore le autonomie locali, quelle più vicine al cittadino, i corpi centrali dello Stato e i ministeri restano praticamente indenni da riduzioni, tagli e sforbiciate. I sacrifici sono sempre per i soliti. Il fatto è che, per quanto mi riguarda, questa classe politica o per meglio dire questa classe dirigente (come si diceva una volta) non è più credibile.
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