Siamo agli ultimi fuochi (si fa per dire…) della campagna elettorale per il
rinnovo di consigli e presidenti in 7 regioni e di consigli e sindaci in 1.089
comuni. Un test importante, sul quale le varie forze politiche contano per
capire come procederà il futuro governativo e istituzionale del Paese: e lo sa
molto bene Matteo Renzi, che si è dato un gran daffare per sostenere il suo
partito, quel Pd di cui è anche (non dimentichiamolo) segretario. Bravo, lui,
che riesce a tenere separati i cappelli di capo del governo e segretario di
partito… ammesso che lo faccia davvero. Renzi non pare arcisicuro di un grande
successo, e si è lanciato in spericolati pronostici di stampo vagamente
calcistico (“dovesse finire 4 a 3…”) o tennistico (“conto nel 6 a 1”…). Mah,
ormai dovremmo esserci abituati, al presidente tifoso, al presidente vicino al
popolo, al presidente che si fa le selfie con gli operai… deja vu, ma chissà che
non paghi ancora. Una cosa è certa: la partita o il set, come la si voglia
definire, appassiona senz’altro il personale politico e d’altronde è il loro
mestiere, e pazienza se, per qualcuno, si prefigura eventualmente
l’eleggibilità, ma poi l’obbligo di dimissioni (roba da matti, vicenda pazzesca,
quella del piddino De Luca, che neppure nei peggiori incubi istituzionali
avrebbe potuto prevedersi). Il fatto è che si teme un enorme astensionismo. Ma
voi, ne sentite parlare, al bar, al mercato, per strada, delle elezioni
regionali? Va bene, in Lombardia non si vota, ma mi dicono che sia così
dappertutto. E se ciò si dimostrasse vero, andremo avanti così, senza colpo
ferire, assistendo allo sgretolamento delle basi partecipative della nostra
Repubblica? Intanto, ho letto nuovi dati: l'Italia è l'ultimo tra i 34 Paesi
Oese per occupazione giovanile (oltre il 40%). I “Neet”, i giovani né
(lavoro)-né (studio) sono arrivati al 26,09%, e non si sono ridotti neanche con
la recente riforma del lavoro. L'abbandono scolastico si unisce alla mancanza
delle competenze giuste. È vero, si vota per le regionali e comunali, non per le
politiche, ma anche Regioni e Comuni potrebbero fare cose molto serie per
provare ad intervenire su questi dati: quelli che si eleggeranno e quelli che
abbiamo già eletto. Forza, altrimenti la “generazione perduta” di mariomontiana
memoria rischierà di essere declinata al plurale. E però l'Istat ci annuncia,
dati alla mano, la fine della recessione. Speriamo che sia vero. Intanto,
coraggio, che il meglio è passato.
sabato, maggio 30, 2015
sabato, maggio 23, 2015
Almeno avessimo imparato qualcosa...
Il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, è
ottimista: i segnali di ripresa sono sempre più evidenti, il peggio della crisi
è dietro le spalle. Ci sarà ancora da lavorare molto, ma la strada è quella
giusta. E’ un segnale che giunge anche dal mondo imprenditoriale: il clima,
insomma, è cambiato. Giorni fa pensavo a come verrà narrata, tra cinquanta -
sessanta anni, questa storia. Si parlerà, mi auguro, della forza d’animo di chi
ha resistito, ha reagito, e spero che quelle generazioni future lo facciano dal
punto di vista di chi ne è venuto fuori; ma spero che si parli anche del resto.
Di chi non ce l’ha fatta e non ce la fa, per esempio. Di chi, in un mondo di
sommersi e salvati, direbbe Primo Levi, è rimasto sommerso. L’Ocse ci dice che,
in Italia, l’1% dei più facoltosi detiene il 15% della ricchezza nazionale e il
40% della fascia più bassa si spartisce il 5%. Vorrei sperare che dalla crisi
non si esca con una situazione in cui chi era già ricco lo sarà di più, chi
stava discretamente sarà irrimediabilmente impoverito e chi era vicino ad
annegare ne resterà, appunto, sommerso. Non sarebbe un modo lungimirante di
uscirne. Vorrei sperare che la crisi - e anch’io ne voglio parlare come se fosse
dietro le spalle - ci abbia insegnato che, dagli altari alla polvere, il passo è
breve; che la rincorsa dissennata allo spreco e allo sfruttamento portano in un
precipizio. Spero che il mondo, allora, abbia imparato a fronteggiare le grandi
crisi internazionali e che le minacce di distruzione delle migliori forme di
civiltà umana siano state debellate. E poi, mi domando: la politica avrà
imparato qualcosa? Avrà capito che il bene comune è più importante del primato
nel cortile di casa? Avrà capito che occorrono, anche e soprattutto in politica,
tenacia, umiltà, capacità di ascolto, onestà? Come dite, ne dubitate?
Anch’io.
domenica, maggio 10, 2015
Imbonitori e sarti
Tutto secondo copione. La legge elettorale, che non è una barzelletta, ma che
stabilisce il modo con cui i cittadini possono eleggere i loro rappresentanti,
dando corpo, così, ad uno dei diritti democratici fondamentali (anche se sempre
meno cittadini se ne avvalgono…), insomma l’Italicum, adesso, appunto,è legge.
E' stato approvato in via definitiva dalla Camera con la procedura del voto di
fiducia. Ora, io non voterei neppure un capocondominio con il voto di fiducia.
Il governo pone la questione di fiducia su una legge, in quanto la qualifica
come un atto fondamentale della propria azione politica e fa dipendere dalla sua
approvazione la propria permanenza in carica. Sapete quante sono le fiducie
fatte votare dal governo Renzi? Arrivano, se si escludono le ratifiche di
trattati internazionali, al 70%. E come funziona la “fiducia”? Basta
chiacchiere, basta discussioni, dice il governo, qui si deve lavorare, qui si
produce, e allora, si voti la fiducia, altrimenti cade il governo stesso. Come
principio e come metodo, non c’è male. Non credo che venga utilizzato neppure
nelle famiglie più all’antica: ve li figurate, voi, un padre o una madre che
battono il pugno sul tavolo e dicono: “ora basta!”, e i figli tacciono ed
obbediscono, tremebondi? In Parlamento succede di continuo. E quando sarà
effettiva la riforma del Senato, i pugni da battere saranno ancora meno, con
meno fatica. Io non capisco come facciano così tanti parlamentari ad accettare
questo stato di cose: dalla carota al bastone, dai toni di imbonitore di paese
alla grinta del capo. O meglio, lo so: i capilista saranno bloccati, garantiti,
quindi, vi immaginate che appetiti si scateneranno? Tutto ruota attorno alla
figura del premier, al “sindaco d’Italia”, al capo del “partito della nazione”.
A me fa un po’ paura. Poniamo che “venga su”, come dicevano i vecchi, un tizio
con idee pericolosamente autoritarie (dice il mio lato ottimista: ma no, non
sarebbe possibile, in Italia siamo vaccinati… ma ribatte il mio lato non
ottimista: intanto, nelle liste delle regionali si stanno accettando elementi di
ogni risma…). Un premierato forte, che rischi comporterebbe? Chi farà da
arbitro, da garante, da contrappeso, visto che sparirà anche il bicameralismo?
Avremo, invece che un bipartitismo imperfetto un monopartitismo perfetto, si
chiede qualcuno? Questo percorso fa paura a molti, non solo a me, e non solo
alle opposizioni: lo abbiamo visto. In nessuna democrazia europea la
governabilità dipende dal premio di maggioranza. E poi, mi domando: strappo su
strappo, dove si intende arrivare? Chi potrà essere un sarto capace di
rammendare un tessuto così liso?
venerdì, maggio 01, 2015
Expo, respiro universale e miserie quotidiane
Sapete da cosa nasce l’idea dell’Esposizione universale? Tenuto conto che la
prima si tenne a Londra nel 1851, vi predominava il desiderio di mostrare le
capacità, l’industriosità, il genio di cui era capace l’essere umano. Un’idea
quasi illuministica: l’intelletto e l’operosità possono spingere l’uomo a
raggiungere traguardi impensabili; la scienza e la tecnica permettono di
dominare il mondo. Non a caso, per quella di Parigi del 1889 fu costruita la
Torre Eiffel, gigantesco simbolo della capacità umana di sfidare i limiti posti
dalla natura. È cambiato tutto, ovviamente, e la fiducia nella scienza e nella
tecnica è caduta, di fronte ai grandi disastri ambientali, al loro utilizzo per
dare morte anziché vita, e, soprattutto, all’incapacità di risolvere molti
grandi problemi dell’umanità. Non a caso, l’Expo di Milano è dedicata al cibo e
all’alimentazione: non è un argomento alla moda, ma, nel nostro mondo,
ipertecnologico da un lato (molto ridotto), e immerso, ancora in gran parte,
nella miseria, la vera e propria tortura della fame viene subita ancora da
moltissime persone. Ci sarà sostenibilità futura, in questa nostra Terra? Noi
siamo in altre faccende affaccendati, nel nostro scorrere quotidiano, spesso
difficile e faticoso: ma è bene prestare attenzione, ogni tanto, a questi grandi
temi. Servirà l’Expo per questo? Forse. Certo che non hanno aiutato le accuse di
malaffare intorno all'Expo, i tempi concitati di preparazione, gli svarioni,
come quello delle cartine geografiche sbagliate… speriamo che vada tutto bene.
Speriamo che non finisca come con Potemkin, che, per accontentare la zarina
Caterina di Russia, fece costruire bellissimi scenari di cartone per nascondere
la cruda realtà delle contrade che attraversava. Speriamo che il doverci
misurare con i problemi mondiali di tale importantissima natura faccia un po’
alzare la testa dalle nostre beghe quotidiane: ma non credo. Continuiamo ad
assistere ad una concezione proprietaria, un po’ bulgara, del potere e delle
istituzioni, che si discosta da una tentazione di autoritarismo quando assume
toni da infanzia offesa: “se non si fa come dico io, allora tutti a casa!”, “il
pallone è mio, le regole le faccio io, altrimenti non si gioca più”. Ne troviamo
le tracce a Roma, e anche a Cremona. Certo, è un meccanismo che sembra anche
funzionare, almeno per ora. Voglio solo sperare che l’Expo, con il suo respiro
universale, faccia alzare un po’ lo sguardo in alto, come intendeva fare la
Torre Eiffel
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