sabato, marzo 31, 2012

Il desiderio di protagonismo giovanile. Carmen Leccardi, sociologa:«I writers non sono un fenomeno di devianza, ma una forma di espressione della propria soggettività»

Writers e non solo: per uno sguardo di insieme sui giovani di oggi, abbiamo parlato con la sociologa Carmen Leccardi, docente ordinario alla Bicocca ed esperta del mondo giovanile. Nei giorni scorsi, infatti, è uscito il libro "Sentirsi a casa. I giovani e la riconquista degli spazi-tempi della casa e della metropoli", che la professoressa Leccardi ha scritto insieme a Marita Rampanzi e Maria Grazia Gambardella. Un volume in cui si esamina la silenziosa lotta del mondo giovanile per affermare la propria presenza nella società. Professoressa Leccardi, il tema degli atti vandalici da parte di giovani è spesso occasione di dibattito, anche acceso, sul mondo giovanile. Potrebbe spiegarci cosa spinge questi ragazzi ad imbrattare muri e monumenti? 
«Alla luce della ricerca che recentemente ho condotto a Milano, e che è culminata nella pubblicazione del mio libro, rispetto alle forme di espressione della soggettività dei giovani, ritengo che il fenomeno dei writers e degli street artist non sia una forma di devianza, bensì una forma di espressione della propria soggettività. I giovani oggi vogliono riconquistare i propri spazi e i propri tempi, in una città che per loro è sempre più sconosciuta. Il loro desiderio è di sentirsi protagonisti della vita pubblica, che invece spesso li mette ai margini». 
In cosa sbaglia allora la società? 
«Invece di costruire delle stigmatizzazioni nei loro confronti, dovremmo cercare di comprendere tali pratiche urbane, e soprattutto di capire quale tipo di messaggio essi vogliono far pervenire. E' forte, da parte loro, la volontà di far sentire la propria voce. Sta poi all'ente locale il compito di trovare il modo di dare loro quello che cercano: l'essere protagonisti dello spazio pubblico, l'avere una cittadinanza culturale e il non essere messi ai margini». 
Come dovrebbe rispondere, quindi, l'ente locale? 
«Dovrebbe permettere loro di accedere alle forme di espressione culturale che invece solitamente gli vengono negate. E non come consumatori o fruitori di opere artistiche, ma nel ruolo di veri protagonisti. Invece questo non accade, anzi: nel momento in cui i giovani chiedono di poter passare a forme di protagonismo diverse, si trovano davanti un muro invalicabile. Oggi la loro condizione è già resa problematica dalla difficoltà, se non addirittura impossibilità, di progettare non solo il proprio futuro, ma anche il presente. In questo scenario si rivela indispensabile permettergli di esprimersi con i propri mezzi, a visto che questo non accade loro tendono a riprendersi come possono questo diritto. E lo fanno appunto con le tag e con le immagini sui muri. Per loro è un vero e proprio codice, a cui il mondo adulto dovrebbe dare ascolto. Ad esempio, se le amministrazioni comunali individuassero degli spazi appositi in cui permettergli di esprimere la propria creatività, loro non andrebbero a imbrattare i muri. Ad esempio in certe città vengono individuati degli spazi urbani anonimi, da lasciare ai writers affinché li abbelliscano, e i risultati sono molto buoni». 
Per quale motivo si tende a stigmatizzare così tanto i comportamenti dei giovani? 
«La comunicazione intergenerazionale è sempre più difficile, per svariati motivi. A partire dal fatto che gli stessi sistemi di comunicazione e le tecnologie utilizzate sono differenti da una generazione all'altra, tanto che a volte si creano delle vere e proprie barriere tra persone di età differenti. Bisognerebbe quindi trovare degli spazi in cui le differenti generazioni possano davvero comunicare tra loro. Oggi i giovani non parlano a scuola, non parlano in famiglia e ancora meno negli spazi pubblici». 
E in politica? 
«Purtroppo oggi è difficile vedere giovani e donne politicamente impegnati, in quanto spesso vengono messi ai margini. Fino a qualche anno fa, il giovane arrivava abbastanza in fretta ad avere un'autonomia psicologica e sociale, e la transizione dal mondo giovanile a quello adulto era abbastanza rapida e ben definita. Oggi non è più così: la condizione di "giovane" tende a protrarsi nel tempo, tanto che per assurdo si è ancora considerati giovani anche a 35-38 anni. Dall'altro lato, il prolungamento della fase formativa e la precarizzazione sempre più marcata del mondo del lavoro porta i giovani alla necessità di fermarsi sempre più a lungo in famiglia. Sono quindi persone autonome e adulte dal punto di vista psicologico, ma non da quello sociale. Questo crea una situazione di parziale marginalità: nonostante essi abbiano le energie da impiegare nella vita sociale, non possono farlo. In questo modo ogni giorno la nostra società spreca grandi quantità di energia, che invece potrebbero essere impiegate per crescere».

martedì, marzo 27, 2012

Intervista al professor Andrea Fumagalli: «Così la Costituzione è condizionata dalle esigenze di bilancio dettate dai mercati finanziari»

Riforma dell’articolo 81 sull’obbligo di pareggio del bilancio statale in Costituzione: la legge in discussione. Sarà utile per il Paese? «Mai»
In questi giorni, il Parlamento sta decidendo sulla riforma dell’articolo 81 della Costituzione: una scelta che ha ben poco di “tecnico”, ma con evidenti ricadute in termini di politica economica e sociale. In sostanza, si introduce l’obbligo del pareggio del bilancio dello Stato nella legge fondamentale della Repubblica. Il dibattito, anche se piuttosto in sordina, in un momento in cui prevale quello sulla riforma del mercato del lavoro, è fra chi sostiene che anche una spesa pubblica in disavanzo produce un aumento del Pil maggiore ed è più efficace di una riduzione della pressione fiscale, e tra chi ritiene che “i conti in ordine” siano una priorità assoluta, anche a costo di comprimere ulteriormente la spesa e, quindi, gli investimenti. Senza contare che le politiche di welfare sono finanziate dalla spesa pubblica: che ne sarà del sistema di garanzie per i cittadini? Come si finanzieranno gli interventi peraltro necessari anche nel quadro dell’attuale riforma del mercato del lavoro? Per capire la reale portata di questa scelta, abbiamo intervistato il professor Andrea Fumagalli, docente di economia presso l’Università di Pavia.
Professor Fumagalli, vorremmo che ci illustrasse il significato della riforma dell’articolo 81 della Costituzione, quello che si chiama, un po’ semplificando, l’obbligo di pareggio del bilancio statale. 
«L’articolo 81 della Costituzione italiana disciplina le regole essenziali del bilancio dello Stato che rappresenta il documento contabile in cui vengono elencate le entrate e le spese relative all’attività finanziaria dello stato in un periodo di tempo determinato (di solito l’anno). Tale documento è l’esito della legge finanziaria (ora chiamata legge di stabilità) dove si enunciano i principi di politica fiscale (gestione delle entrate fiscali e della spesa pubblica) che il governo intende perseguire nel corso dell’anno. Il 30 gennaio 2012 a Bruxelles è stato siglato da parte di 25 capi di Stato e di governo il Trattato su stabilità, coordinamento e governance nell’Unione economica e monetaria. In questo accordo, per la prima volta in Europa, è stato siglato un Patto Fiscale (Fiscal Compact), come era stato chiesto esplicitamente dal governatore della Bce, Mario Draghi, nel suo discorso al Parlamento Europeo il 1° dicembre 2011. In esso, si è deciso l’obbligo di inserire in Costituzione il ‘pareggio di bilancio’, ciò che istituisce una nuova ‘costituzione economica’, comportando la cancellazione della possibilità da parte delle istituzioni pubbliche di intervenire nella gestione dell’economia con provvedimenti anticiclici. Si afferma all’art. 3, comma 2, che le regole del pareggio di bilancio: “devono avere effetto nelle leggi nazionali delle Parti contraenti al massimo entro un anno dall’entrata in vigore del Trattato attraverso previsioni con forza vincolante e di carattere permanente, preferibilmente costituzionale”. Con un trattato di carattere internazionale si interviene per modificare le Costituzioni, così da legittimare nella legge madre di tutte le leggi, il primato del pensiero economico neoliberista. Il Parlamento italiano ha già votato, in prima lettura, la modifica dell’articolo 81 per imporre una camicia di forza alle politiche di bilancio. Sarà la Corte di Giustizia dell’UE a verificare l’avvenuto inserimento e a comminare eventuali sanzioni (art. 8): la Costituzione è, così, condizionata e vassalla delle esigenze di bilancio dettate dai mercati finanziari. 
Questa riforma non appare centrale, nel dibattito pubblico, come quella dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Eppure, ci sono studiosi e commentatori che ne sostengono la pericolosità, concordando sulla convenienza della spesa in disavanzo in situazioni di recessione o crescita lenta del Pil. Lei che ne pensa? 
«Concordo. Con la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio si elimina la possibilità discrezionale da parte della politica fiscale di poter operare in funzione anti-ciclica. Keynes probabilmente si sta rivoltando nella tomba. In tal modo, proprio quando si pretendono iniezioni di ulteriore flessibilità nel mercato del lavoro (leggi, precarizzazione), si introducono elementi di forte rigidità nella gestione della politica economica. Già con l’art. 105 del Trattato di Maastricht (che vincola l’operato della Banca Centrale Europea a perseguire unicamente l’obiettivo di un tasso d’inflazione inferiore al 2% annuo), si era di fatto ingabbiata la politica monetaria per evitare che potesse svolgere una funzione di intervento congiunturale a sostegno della produzione e dell’occupazione; ora, con tale misura, si elimina un ulteriore di grado di libertà per la gestione delle politiche economiche. Il tutto viene giustificato nel nome dell’autonomia della politica monetaria e ora della politica fiscale da possibili condizionamenti della “politica”. In realtà, l’obiettivo, neanche troppo malcelato, è consentire che solo i poteri economici e finanziari possano decidere quale politica economica deve essere adottata. 
E la questione della spesa per il welfare? 
«Due sono gli effetti perversi che tale misura può comportare. Il primo deriva dall’ovvia constatazione (che ogni economista serio e indipendente sa bene) che in un sistema capitalistico di libero mercato condizione necessaria perché ci possa essere attività di accumulazione (ovvero produzione di ricchezza) è che vi sia un atto preventivo di indebitamento. L’indebitamento dello Stato è quindi funzionale al processo di accumulazione e venendo meno, anche la capacità di crescita e di accumulazione si riduce. Il secondo effetto, relativo al bilancio dello Stato, è che se vi è l’obbligo del pareggio di bilancio, per mantenerlo sarà sempre più necessario intervenire (a meno che non si voglia aumentare la pressione fiscale, ipotesi politicamente da scartare) sulle spese variabili dello Stato, ovvero le spese sociali (previdenza, istruzione, sanita, ammortizzatori sociali) e sui salari dei dipendenti pubblici. Esattamente quello che sta già accadendo e che è già accaduto in Grecia. 
La scelta del pareggio inserito in Costituzione è stata veramente dettata dall’Europa? 
Secondo alcune opinioni, questo lede il concetto stesso di sovranità nazionale. La sovranità economica nazionale è un concetto (come quello di democrazia) che non esiste più da almeno 20 anni. I cambiamenti nell’organizzazione tecnologica, della produzione/accumulazione e del lavoro che si sono succeduti negli ultimi trent’anni hanno ridefinito gli assetti geo-economici e geo-politici internazionali. Il processo di finanziarizzazione ne è stato uno degli effetti e tale processo determina oggi la scala gerarchica del comando economico. Oggi 10 multinazionali della finanza sono in grado di imporre i propri interessi economici a intere comunità nazionali e sovranazionali. La novità che la crisi europea ci offre è che ora sono tali poteri a scegliere direttamente i capi di governo, mentre sino a pochi anni si limitavano a condizionare indirettamente le scelte economiche». 
Posto che la modifica venga approvata, quando se ne potranno apprezzare gli effetti? 
 «Mai».

Daniele Tamburini

sabato, marzo 17, 2012

Che sia destra o sia sinistra: più competenze, meno poltrone

Il governo Monti è – legittimamente – soddisfatto: lo spread continua a scendere, nonostante che, a gennaio, il debito pubblico sia aumentato. Ma i mercati, questa volta, non hanno reagito scompostamente. Eppure, il quarto trimestre del 2011 registra un ulteriore calo del PIL italiano, e lo stesso Monti dice: attenzione, l’emergenza non è finita. Abbiamo solo rimesso la barca nella giusta direzione. Allora, sorge una considerazione: che cosa ha fatto e sta facendo, Monti? Primo, ha dato l'impressione di voler mettere mano davvero alle cose. Secondo, ha l'aria di uno competente, di uno che non parla a vanvera o per sentito dire, né per oscure allusioni, né cercando di piacere a tutti i costi. Allora, la rivoluzione è questa: faccia le cose chi sa farle. È così? E come si ottiene questo? Mettendo le persone giuste al posto giusto. Incredibile: c’è voluto un quasi default, per capirlo. Eppure, circola molto meno denaro, i consumi si sono ridotti, la disoccupazione è alta, la precarietà è la regola. Ma sembra che stia nascendo una sorta di nuovo buon senso. Mi sto illudendo? A questo proposito, mi viene da pensare ad una frase dell’assessore Demicheli, nell’intervista che ospitiamo su questo numero, rispetto all’atteggiamento della Lega verso l’Amministrazione comunale, culminata nella espulsione sua e di Jane Alquati: si è trattato di una guerra di poltrone. Al di là del merito, non vorremmo mai ascoltare queste parole, in qualsiasi contesto vengano pronunciate. È davvero ora che tutti, da destra e da sinistra, ragionino in termini di competenze e non di poltrone. La crescita presuppone competenze e meriti. Le poltrone, lasciamole nei salotti. 

Daniele Tamburini

venerdì, marzo 09, 2012

Chi decide, in democrazia?

Ascolto sempre molto volentieri Luca Mercalli: parla della sua materia, la meteorologia, con competenza ed equilibrio, non tralasciando di utilizzare i fenomeni climatici per aprire il discorso a molti problemi emergenti: per esempio, la qualità dello sviluppo, della crescita, delle infrastrutture. Mercalli, con molti altri scienziati e ricercatori (sono in tutto 360), ha sottoscritto una lettera aperta al premier Monti sulla questione TAV. Nella sostanza si dice: chiediamo un ascolto attento e privo di pregiudizi ad una serie di osservazioni critiche sul progetto. Non voglio entrare nel merito, ma mi pare che quelle parole (ascolto attento e privo di pregiudizi) dovrebbero essere utilizzate sempre, quando si tratta di compiere delle scelte che impattano fortemente sulla vita dei cittadini e dei territori. Ma c’è la capacità di ascoltare? I cittadini, spesso, pensano di no: per la TAV, piuttosto che per la Strada sud e alcuni anche per il terzo ponte, qui da noi. Sorgono, allora, i comitati. La domanda è: chi decide, in democrazia? È una domanda difficile, nel nostro mondo complesso. La Francia ha “inventato” il cosiddetto débat public, il mondo anglosassone il “public engagement”: la partecipazione alla discussione degli interessi del territorio è formalizzata e le procedure ed i tempi sono definiti. Non so se è il modello migliore, ma quello che strema, in Italia, sono i lustri, i decenni che sono necessari, che dico per la realizzazione, ma per lo stesso avvio di un progetto. Intanto, gli animi si scaldano, le posizioni si irrigidiscono. Tutto diventa una questione ideologica. Se la gente oppone resistenza a certi progetti, un motivo ci sarà: andrebbe ascoltata. Se c’è un corto circuito tra chi decide (i decisori pubblici: governi locali, governo nazionale) e chi ha dato loro mandato di decidere (con il voto), è sicuro che esiste un problema. Torna, allora, il tema dell’ascolto, da parte di chi decide, e anche, certamente, di chi contesta. Si può ascoltare e non condividere, e magari rimanere della propria idea, ma è difficile che un qualcosa non si sposti, e non si possano trovare punti di mediazione. Sapete quante energie in meno si sprecherebbero, quante risorse, quanto tempo, soprattutto. Il tempo oggi è prezioso. Rispettare l’uso del tempo è sintomo di serietà. L’Italia non può più permettersi di trascinare le questioni all’infinito. Quindi: che si progetti, si ascolti, si cerchino le mediazioni necessarie, e poi si decida. Magari avendo come obiettivo l’interesse comune. Un’utopia? Dipende. Da che cosa? Indovinate un po’… Dalle persone che sono chiamate a decidere, che sono state elette. Quindi…

sabato, marzo 03, 2012

Nessun sconto

Un nostro autorevole columnist e opinion leader, Renato Ancorotti, ha accettato la richiesta del Pdl cremasco di scendere in campo per la carica di sindaco di Crema. Di questo partito e di altri al governo della città ne ha fustigato, giustamente, i vizi per lungo tempo. Ora sta cercando di vincere una sua scommessa. Qualche altro nostro opinion maker ha deciso, invece, di spendersi per il centrosinistra. E’ questo un problema per il giornale, come ci è stato maliziosamente suggerito? Neppure per sogno. Anzi. Da una parte, c’è l’indubbia soddisfazione per il «Cremasco » di avere scelto gli opinionisti giusti che, articolo dopo articolo, hanno saputo catturare l’attenzione, la stima e il gradimento dei lettori. E poiché piacciono alla gente perché sanno parlare alla gente, la politica si è fatta avanti. Ma la soddisfazione è anche un’altra. Questo giornale è stato una scommessa da autentici liberal: vive, infatti, solo per le risorse che raccoglie dal mercato e mette al centro l’impresa. Convinto che senza le aziende (artigianali, industriali e commerciali), gli imprenditori (piccoli, medi e grandi) e lo svilupparsi di un’imprenditoria di massa non ci sarà lavoro, progresso, migliore qualità della vita e libertà. Da questa idea base, il «Cremasco» è diventato un laboratorio di opinioni economico-sociali liberali che, speriamo, possano conquistare un pubblico sempre più vasto. Idee, principi, convincimenti che i nostri opinion leader ora hanno la possibilità di seminare nei programmi elettorali sia di centrodestra che di centrosinistra. E poi di realizzarli. Se infatti, da una parte sentiamo dire che «al centro di ogni pensiero ci deve essere lavoro, occupazione, sviluppo», e dall’altra che «chi sarà chiamato a governare Crema deve mettere in campo non solo proposte in campo socio assistenziale, ma soprattutto iniziative per favorire le imprese esistenti, attirarne delle nuove, contribuire alla creazione di posti di lavoro…», significa che pur stando in campi politici differenti, l’obiettivo sarà lo stesso. E il giornale, a sua volta? Come al solito non farà sconti a nessuno. 
Cuti

Coraggio, il tempo stringe

Quello spread che ha iniziato a tormentarci la scorsa estate, il cui incremento vertiginoso era sparato dai giornali in prima pagina, quasi in assonanza con lo spettro non più del comunismo, ma del default, adesso sembra addomesticato. Da interventi pesanti sulle pensioni, dall'introduzione di nuove tasse o dall'incremento di quelle precedenti, dalle liberalizzazioni, da una rinnovata lotta all'evasione e all'elusione fiscale, dalla indubbia considerazione di cui Monti gode in Europa (non risulta che Merkel e Sarkozy ridano di lui). E' vero che, nel frattempo, le varie lobbies si sono fatte sentire: è recentissima la - scandalosa - presa di posizione dell'ABI: o cambia la decisione del governo sulla riduzione delle commissioni bancarie, oppure finiremo per strozzare il credito per imprese e famiglie. Proprio quel che ci voleva, in tempi di crisi. Una “chiara” risposta all’appello fatto nei giorni scorsi dal ministro per lo sviluppo Corrado Passera, che aveva chiesto alle banche di sostenere il sistema Italia. Lo scontro è sull’emendamento al decreto liberalizzazioni, che vorrebbe imporre alle banche l’eliminazione di tutte le commissioni previste quando viene concesso un credito. Già bastano e avanzano gli esosi tassi di interesse. O no? Comunque sia, il governo ha fatto cassa. E forse non poteva far altro, vista la situazione in cui ci eravamo cacciati. Ma le imprese e i lavoratori, dipendenti o autonomi che siano, sono sempre più in difficoltà. I segnali si moltiplicano. Misure di sviluppo e creazione di lavoro sono urgenti, dai Super Mario, le attendiamo con impazienza. E' difficile pagare in maniera convinta le tasse, se ti dicono in eterno che l'obiettivo è la lotta allo spread, al default, elementi impalpabili e remoti. Sarebbe diverso se si vedesse che i giovani iniziano a trovare lavori dignitosi, se rinascessero le aziende, se qualche cassintegrato venisse riassunto, se si tornasse, insomma, a respirare. Forza e coraggio, che il tempo stringe.

Daniele Tamburini