lunedì, giugno 23, 2008

Egr. dottor Arvedi, mi avrebbe deluso

M’interesso poco di calcio, ho seguito però con curiosa attenzione le fasi in cui Lei ha preso in mano le sorti della Cremonese. Non essendo un accanito tifoso, confesso che ho sospettato un tornaconto. Mi sono ricreduto subito. «Ce la metteremo tutta… non aspettatevi fuochi d’artificio… ma dignità, rispetto, recupero dei valori di sportività… per il bene dei nostri giovani». Belle, esemplari parole. Ho cominciato a seguire con simpatia le vicende della squadra. Dopo tanti anni sono tornato in uno stadio, coinvolto da un amico: partita Cremonese-Atalanta, in curva, cinque euro il biglietto. L’ultima volta dieci anni prima, con mio figlio ancora piccolo, Atalanta-Juventus a Bergamo. Siamo scappati per la tensione palpabile e per la paura d’incidenti, avvenuti poi di lì a poco. (Forse per questo mio figlio ha deciso di praticare il nuoto piuttosto che il calcio). In poco tempo, Lei Cavaliere, è riuscito a riportare la gente allo stadio, anche le famiglie, restituendo loro l’orgoglio e la capacità di ritrovare dignità ed entusiasmo. Ammirevole il tentativo, suo, di dimostrare che anche nel mondo del pallone si può percorrere la strada del rispetto e dell’etica sportiva, un forte insegnamento, una lezione per molti. Dottore, per delusione e amarezza, voleva gettare la spugna? «Sono stati momenti difficili per me… ma ho mantenuto fede alle mie idee», sono sue parole riferite sì, ad altra situazione; un contesto dove Lei giganteggia certo, ma credo sia ancora la sua filosofia. «La vita è una lotta continua… guai a chi si abbandona alle cose facili; ma a noi piace così; affrontarle con impegno, responsabilità e, in prima linea…» è la sua voce in occasione di un importante riconoscimento. Per un momento abbiamo rischiato che la Società potesse tornare nelle mani di chi ha altri obiettivi. Certo sarebbe mancato l’esempio, l’insegnamento. Un vero peccato.
Sono passati tanti anni. Quando La conobbi, mi sembra ieri, mi “aggredì” verbalmente… sentite le mie ragioni, si complimentò. Fu per me un insegnamento e un grande incentivo.

Daniele Tamburini

venerdì 20 giugno 2008

lunedì, giugno 16, 2008

C'è puzza di bruciato

L’idea che le forze dell’ordine utilizzino lo strumento delle intercettazioni telefoniche per indagare, contrastare o, meglio ancora, prevenire le attività illegali, a me non dispiace. Anzi, mi dà un senso di sicurezza. Ho la pretesa convinzione che sia così anche per la grande maggioranza degli italiani che non solo non hanno niente da temere, ma hanno altro cui pensare: caro benzina, bollette, potere d’acquisto. Leggo invece che il governo ha fretta di legiferare sul tema, vietare le intercettazioni, eccezion fatta per i reati più gravi: mafia, criminalità organizzata e terrorismo. Pene severe fino a cinque anni per giudici e forze dell’ordine che dovessero contravvenire, idem per i giornalisti. Togliere ai magistrati uno strumento fondamentale, il più efficace nella lotta contro il crimine, a me pare un’assurdità. A sostegno della necessità di intervenire, limitando fortemente le intercettazioni, propinano balle. Ci dicono che la spesa per le intercettazioni è pari a un terzo del bilancio della giustizia. Balla. Nel 2007 si sono spesi 224 milioni di euro pari al 3,2% della spesa totale. Si tace, invece, su quanto lo Stato ha recuperato nella lotta all’evasione grazie alle intercettazioni. Un esempio su tutti, per le indagini sull’affaire Antonveneta e i furbetti del quartierino; si sono spesi in intercettazioni 8 milioni di euro. I soldi recuperati dai 64 indagati che hanno patteggiato, assommano a 324 milioni, parte dei quali messi a bilancio per la costruzione di nuovi asili, mentre con il resto si possono pagare tutte le intercettazioni per un intero anno. «Siamo tutti intercettati», altra balla colossale. Le persone intercettate nel 2007 sono state circa 80mila. Le intercettazioni a loro carico sono state eseguite sulla base di sospetti. Se in molti casi il risultato è stato non luogo a procedere, ciò si è reso possibile grazie alle intercettazioni stesse, che possono essere a mio parere, anche una forma di garanzia. E’ di questi giorni la raccapricciante vicenda della clinica Santa Rita: vengono i brividi. «Ho agito secondo scienza e coscienza» questa la dichiarazione di uno dei responsabili. E no,ci sono le intercettazioni che fanno emergere tutt’altro quadro di scellerata disumanità. «Si sarebbe potuto arrivare alle stesse conclusioni controllando le cartelle cliniche» ha detto Il presidente dei senatori del PDL che evidentemente ci prende per fessi. Quante volte abbiamo sentito di documenti manomessi e contraffatti? Una volta si diceva verba volant, scripta manent (le parole volano, gli scritti rimangono), oggi sono le parole a restare (sui nastri magnetici). Non ne faccio un discorso di parte perché l’impressione è che, fatte salve poche eccezioni, trasversale è l’urgenza di disciplinare comunque la materia. A chi giova? Ci sarebbero altre priorità, gli italiani hanno altro cui pensare… forse è proprio per questo che il momento è adatto…
Aldemario Bentini

VENERDI’ 13 GIUGNO 2008

giovedì, giugno 05, 2008

Fuori posto

Capita di essere o di sentirsi fuori posto, l’ultima volta qualche giorno fa in un noto ristorante del centro. C’erano dirigenti, addetti stampa, giornalisti. Io, che giornalista non sono, mi sentivo fuori posto e anche un po’ a disagio: “Lo sapevo, non dovevo venire” mi son detto. In questi casi che si fa? Non confidate più di tanto su gli altri commensali, raramente vi tolgono dall’impiccio. La situazione si può gestire diventando chiacchieroni a prescindere dagli interlocutori o restando in silenzio facendo finta di niente, oppure dispensando sorrisi assecondando e compiacendo secondo le circostanze. Meglio, però, restare seri sempre e comunque… a prescindere.
Anche la “Tamoil” è fuori posto. La faccenda è grave e la serietà si impone. La vicinanza con la Città è una situazione anacronistica, generata dall’ignoranza del tempo che fu, è un intollerabile pericolo. Errare umanum est, perseverare diabolicum, errare è umano, perseverare è diabolico e la terza possibilità non è concessa. Tocchiamo ferro, legno e quant'altro: quali sarebbero le conseguenze in caso di grave incidente? Di chi le responsabilità? Nessuno può negare che la raffineria sia fuori posto a meno che non lo sia la Città. Di certo non sono fuori posto le canottieri, stanno dove devono stare: sulle sponde del fiume. Cremona città è dove l’hanno fondata i Romani circa 2.200 anni fa, baluardo contro Annibale che scendeva giù dalle Alpi. I nostri avi avevano scelto un bel luogo: terra fertile e abbondanza di acqua. A quel tempo il combustibile era il sudore sia umano sia animale, oggi è ancora purtroppo una sostanza cancerogena.
Il diritto alla salute è riconosciuto dalla Costituzione, è un diritto che lo Stato deve tutelare nell’interesse dell’individuo e della collettività, quindi di se stesso. Se il diritto non è garantito, è lecito rivendicarlo, per farlo è necessario essere in tanti e protestare. Uscire da quella condizione di eterna inerzia, traguardare lo sguardo oltre i confini del proprio orticello, grande o piccolo che sia, sconfiggere l’idea che tocchi sempre agli altri risolvere i problemi: noi no perché “Non si sa mai…”. Quando la folla rumoreggia e preme anche i politici più guardinghi possono sentire su se stessi un peso morale e prendere decisioni coraggiose. Certo è che ci vorrebbero dei trascinatori, uomini di carisma. Intellettuali e studiosi dovrebbero uscire allo scoperto, uomini abili nello spiegare e convincere, capaci di spingere i cittadini ad abbandonare l’apatia, a vincere la paura di perdere i propri piccoli e presunti privilegi per rivendicare il diritto sacrosanto alla sicurezza e alla salute che è imprescindibile, prioritario rispetto a tutto anche a: “Chi si fa carico della bonifica, chi paga?”
P.S. Nel caso risultasse, invece, che a essere fuori posto è la Città, per l’eventuale delocalizzazione suggerisco il mare: lo iodio fa bene.
Aldemario Bentini

venerdì 6 giugno 2008