venerdì, marzo 25, 2011

Vorremmo onestà e verità

Vorremmo onestà e verità: nelle cose che ci vengono dette, nelle spiegazioni ufficiali di quanto sta avvenendo nel mondo. Da diversi giorni, un’Italia che assisteva sonnacchiosa ad una scena politica nazionale bloccata nella ripetizione di parole e slogan si è trovata a confrontarsi con la crisi nordafricana, con lo tsunami giapponese e la tragedia della centrale nucleare di Fukushima e l’intervento in Libia. Fatti sicuramente epocali. È per questo che vorremmo onestà e verità. Sono avvenimenti che ci mettono di fronte a quanto sia drammaticamente incerto il nostro mondo, e a quanta prudenza, lungimiranza, ricerca ci vogliano. Pensiamo all’acqua contaminata di Tokio, e ci chiediamo se sia possibile che nessuno abbia potuto pensare a questi rischi. Pensiamo che, se non ci fosse stato questo incidente, il programma nucleare sarebbe ripreso anche da noi, in un territorio fortemente sismico, colpito da frane ed alluvioni. Pensiamo a quanto sia stato osteggiato, poi blandito, poi accolto con amicizia, negli anni, il colonnello Gheddafi, dappertutto e in particolare da noi. Adesso lo stiamo bombardando, per un intervento umanitario. Vorremmo onestà e verità: perché l’intervento in Iraq, in Afghanistan ed in Libia, e non a Sarajevo, a suo tempo, non in Ruanda, non in Eritrea, luoghi in cui le violazioni dei diritti umani sono state terribili? C’è un grande bisogno di onestà. Lo ha richiamato anche il governatore della Banca d’Italia Draghi, quando ha detto che un aumento dell’imposizione fiscale colpirebbe solo il contribuente onesto, quando il problema è colpire elusione ed evasione. Sono domande che è giusto, è importante continuare a fare. Mi ricordo un detto, molte volte citato da una persona che oggi non c’è più, alla quale rendo omaggio: «non occorre sperare per intraprendere, non occorre riuscire per perseverare». È quanto fanno, tutti i giorni, le persone oneste: lavorano e intraprendono, anche se la situazione è dura, e continuano a perseverare. È l’Italia migliore, l’Italia che amiamo.

Daniele Tamburini

sabato, marzo 19, 2011

L’uranio è come un diamante: è per sempre

Se si dice che, nell’era della globalizzazione, il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo, chissà cosa provocherà lo sconquasso di terra e mare che è avvenuto in Giappone. Già abbiamo visto la distruzione, il dolore, le migliaia di morti; poi, le crisi di Borsa in tutto il mondo. Ma la cosa che più impressiona, e che ancora non sappiamo come evolverà, è il dramma che si sta consumando nella centrale nucleare di Fukushima. Abbiamo negli occhi la foto di un bambino impaurito, sul cui corpo un addetto in tuta protettiva sta passando un misuratore di radioattività. Che termine spaventoso, questo, e poi proprio in Giappone, dove è ancora viva la memoria dell’olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Non da ora pensiamo che sia troppo pericoloso affidarsi a tecnologie e produzioni dall’impatto irreversibile. L’uranio è per sempre. La memoria corre a Three Miles Island e a Chernobyl, i due incidenti nucleari più grandi, tra quelli conosciuti. Nel primo, avvenuto negli Stati Uniti, la fusione totale del nocciolo fu evitata all’ultimo momento; a Chernobyl, si sprigionò una nube radioattiva, i cui effetti disastrosi ancora non riusciamo a valutare fino in fondo. Si disse che la prima era di vecchia generazione; per la seconda, si chiamò in causa il gap tecnologico dell’allora Unione Sovietica. Eppure, oggi è successo nella patria dell’avanguardia tecnologica, il Giappone. Che valutazioni possiamo fare? Che non possiamo pensare di controllare la natura; che è troppo rischioso affidarsi a scelte irreversibili, dalle conseguenze eterne per noi esseri umani. Last, but not least: come possiamo pensare di costruire centrali in un Paese, come il nostro, in cui i terremoti fanno cadere i palazzi e si trova la sabbia nei pilastri? Un Paese costellato di zone a rischio sismico? La conclusione non può che essere una sola: nucleare? No, grazie!.

Daniele Tamburini

venerdì, marzo 11, 2011

150°: la Patria, l’educazione, la libertà

" Senza educazione voi non potete scegliere giustamente fra il bene e il male; non potete acquistare coscienza dei vostri diritti, non potete ottenere quella partecipazione nella vita politica senza della quale non riuscirete ad emanciparvi: non potete definire a voi stessi la vostra missione. L’Educazione è il pane delle anime vostre”. Lo scrisse Giuseppe Mazzini. Un ragionamento in controtendenza con quello che sta avvenendo oggi? Lo temiamo. I giovani italiani sembra che non credano più all’università pubblica. Secondo i dati del Consiglio universitario nazionale, il numero degli immatricolati è sceso del 5%. Una tendenza pericolosa, che rischia di generare una massa di giovani non in grado di competere con i ragazzi degli altri Paesi europei. E, in tempi di globalizzazione, questo è molto grave. Non bisognerebbe mai dimenticare l’importanza primaria che la Repubblica italiana e le sue istituzioni attribuiscono alla cultura e alla ricerca scientifica. Entrambe, infatti, sono valori collettivi che la nostra Costituzione repubblicana riconosce, impegnandosi a promuoverne lo sviluppo e ad assicurarne la tutela. Altri dati di Alma-Laurea dicono che l’università è sempre un buon investimento: rispetto a chi è diplomato, il tasso di occupazione sale dal 66 al 77%, mentre lo stipendio aumenta del 55%. Quindi, si tratta di una crisi di sfiducia. Bisogna intervenire su questo piano, inoculando nella percezione pubblica robuste dosi di fiducia. Come quella che si ricava dalle parole del presidente Napolitano: la ricerca scientifica è una priorità, sulla quale le istituzioni devono investire con coraggio. Come quella che esprime il presidente emerito Ciampi: “Sono stato molte ore sui libri […] Ma ne è valsa la pena. Lo rifarei. Rifarei tutto. Credo molto nello studio e nella possibilità che lo studio dà a ognuno di seguire una sua strada, di emanciparsi. L’idea di Patria passa anche da qui, dall’identità delle culture che, per essere conosciute, vanno studiate. Lo studio è impegno serio, ma anche esercizio di libertà, conquista, perché allarga le nostre conoscenze e consente di affermare la nostra persona”.
Viva l’Italia. Compie gli anni, si merita gli auguri.

Daniele Tamburini