sabato, novembre 28, 2015

Combattere il terrore, anche tornando alla quotidianità

La situazione in cui vive il mondo in queste settimane è
pericolosa, anche per i possibili sviluppi. Gli attentati di
Parigi, la caccia al terrorista di Bruxelles, il jet russo
abbattuto dai turchi, tutto ha contribuito a rendere le
nostre giornate ancora più incerte. Se anche papa Francesco
parla di terza guerra mondiale, non c’è da stare allegri. I fatti
accaduti che hanno coinvolto i civili sono stati terribili, proprio
perché hanno riguardato, in maniera tragica, uomini e donne
che vivevano la propria quotidianità. Ma tutto questo non è né
nuovo, né inusitato. Forse per la mancanza di senso storico che
sempre più si avverte (qualcuno parla di “un eterno presente”
in cui siamo immersi), sembra che non ci si ricordi che il terrorismo
è questo: colpire persone normali, “innocenti”, gente
qualunque in ogni dove. Nel nostro Paese, negli anni Settanta,
il terrorismo nero eversivo (coperto da apparati deviati dello
Stato) colpì una banca in cui si recavano piccoli risparmiatori e
agricoltori, una piazza, treni, stazioni ferroviarie. È la radice del
terrorismo, quella di seminare paura, di non far sentire nessuno
sicuro da nessuna parte. È ciò che il terrorismo
vuole. E se volesse, pure, ottenere un altro scopo?
Immersi nell’emergenza, viviamo la nostra
quotidianità assorbiti da queste paure, e tendiamo,
forse, a mettere sullo sfondo altre legittime
preoccupazioni. Forse che i conti pubblici si sono
magicamente sistemati? Forse che stanno riaprendo i tanti,
troppi negozi dalle saracinesche abbassate? Forse che il sistema
del credito è diventato più snello ed efficiente? Forse che
si è ricostituito il sistema produttivo del Paese? Forse che c’è
lavoro, tanto lavoro, con le dovute garanzie e giustamente retribuito?
Forse che no. Direte voi: ma che c’entra, siamo su
piani diversi. Mi sbaglierò, ma la sensazione è che questi tragici
fatti favoriscano coloro che hanno interesse a questo sviamento,
a questo ottundimento. E allora torniamo alla normalità,
dicono che anche così si combatte il terrorismo: diamo ascolto
alle richeste delle categorie economiche espresse nello speciale
economia pubblicato in questo numero.

sabato, novembre 21, 2015

Io non lo so

Lo sgomento che deriva dai fatti di Parigi, che poi hanno
coinvolto altre comunità e altri territori, certamente nasce
dalla pietà verso le persone brutalmente assassinate,
ma anche dalla paura e dal senso di impotenza:
che fare? Io non lo so! Reagire con i bombardamenti dei territori
“covo” dell’Isis? Siamo sicuri che sia una misura efficace?
Io non lo so. Oggi ci sono molti strumenti per contrastare una
guerra terrorista, per definizione sfuggente allo scontro in campo
aperto, ma nessuno, mai potrà controllare ogni persona,
ogni bar, ogni ristorante, ogni stazione, ogni stadio, a meno di
trasformare le nostre città e le nostre vite in immense prigioni,
senza contare i costi proibitivi. Quindi, che fare? Questi fatti
tragici sono sicuramente espressione di un disegno feroce e
criminale, ma affondano le radici tanto, forse troppo, nelle politiche
svolte nel passato dal Vecchio continente. Chi sbuffa ad
ascoltare queste osservazioni non capirà mai nulla di ciò che
succede, e capire - capire, non giustificare – è la prima mossa
per reagire. Mi domando, però, anche quanto incidano gli interessi
economici e politici in tutto questo. Chi
finanzia la macchina da guerra terrorista? Chi
vende loro le armi? Altro che svuotare gli arsenali
e riempire i granai, come disse il presidente
Sandro Pertini: il divario tra poveri e ricchi è forte
come non mai e gli arsenali sono pieni di armi da
vendere. Siamo sinceri: come dicevano i latini, pecunia non
olet, il denaro non ha cattivo odore e viene prima di tutto. Penso
alle politiche di intervento, alle guerre umanitarie, alle guerre
preventive, alla ricerca delle armi di distruzione di massa: che
risultati hanno portato? La guerra è spaventosa: non si dovrebbe
pronunciare la parola “guerra” a cuor leggero. Per questo
io ho paura. Ho paura dei fanatici, degli esagitati, di coloro che
sanno tutto, degli esperti di terrorismo che incontro al bar, dei
giustizieri che popolano la rete. Nel 1940, a piazza Venezia un
popolo intero euforico e invasato disse sì alla guerra, non sapendo
nemmeno il perché: i risultati furono morte, macerie,
fame e una devastazione sanguinosa.

sabato, novembre 14, 2015

Trasparenza e rispetto dei cittadini

Una cosa non può dirla il Pd: che De Luca fosse un candidato imposto, uno che il partito aveva subìto, un marziano. Insomma, non vale per De Luca ciò che è stato detto per Marino. E ora, scandali (di nuovo), intercettazioni (di nuovo), sconcerto (di nuovo). La memoria è labile dalle nostre parti, si sa: ma converrebbe appuntarsi frasi come “è lui il nostro candidato, chi lo osteggia lo fa per una battaglia interna al Pd” (indovinate chi lo ha detto...). In fin dei conti, dirà qualcuno, De Luca è stato eletto: è stato scelto rispetto al candidato del centrodestra Stefano Caldoro. Ok. In fin dei conti, aveva pure vinto le primarie. Tutto regolare, tutto consuetamente regolare. E poi, ci può sempre essere la clausola di salvaguardia della modifica della legge Severino. Meglio essere previdenti. Confesso che, ormai, non so come maneggiare parole come trasparenza, fiducia, rispetto del mandato ricevuto dai cittadini. La negazione di questi concetti è ormai davvero bipartisan. E' palese. E non posso non parlare del caso Lgh: la cessione alla azienda A2A del 51% delle azioni di Linea Group. La questione, al solito, non è nella liceità. Lo è forse nell'opportunità dell’operazione o nella efficacia della scelta? Non so, non sono in grado di valutare, non ho sufficienti elementi. Di certo, la questione sta nel modo con cui viene condotta. A mio parere, il sindaco Galimberti avrebbe dovuto far sapere, già da tempo e con trasparenza, costi e vantaggi, acquisti e perdite legate all'operazione. E’ cosa doverosa verso le opposizioni, ma soprattutto verso i cittadini. Quei cittadini che spesso votano per una speranza di cambiamento, e anche contro certe pratiche, certi modi di governare: non è bene togliere loro le residue speranze. Non è bene per chi è governato ma anche per chi governa, non va bene per la democrazia.