giovedì, dicembre 30, 2010

Aruspici, oroscopi e auguri.

Finisce un anno in chiaro scuro. Per molti cittadini, più scuro che chiaro. E’ tempo di bilanci, ma soprattutto di previsioni, oltre che di buoni propositi. In questi giorni le previsioni degli esperti di economia si sprecano: la crisi è finita. No, non è finita, ma il peggio è passato. Ma no, siamo ancora in piena crisi. Allora sono andato a leggere l’oroscopo, chissà mai… D’altronde, quella della divinazione è una pratica dai nobili natali: gli aruspici etruschi godevano di un gran ruolo sociale, e quelli romani non erano da meno. Gli aruspici erano una sorta di sacerdoti indovini che, per conto del Senato romano, esaminavano le interiora degli animali, per predire il futuro. Poi, però, ci siamo affidati alla scienza, e, tutto sommato, non siamo diventati più felici … quindi, chissà. Torniamo agli oroscopi e all’influsso che le stelle eserciterebbero sul nostro destino… mah, come potranno mai influire, su di noi, dal momento che sono distanti milioni di anni luce? Posso forse accettare un ruolo della Luna, che, com’è noto, condiziona le maree, e si sa: noi siamo fatti al novanta per cento di acqua. Del resto si dice: “Quel tipo è un po’ lunatico”. Io sono del segno dei Pesci. Ho letto svariati oroscopi ( ma non diciamolo a Margherita Hack), e ne ho trovato uno che mi è piaciuto. Finisce così: “… cerca di sperimentare qualcosa di nuovo per il 2011, hai bisogno di una scossa benigna che ti spinga a passare al livello successivo”. Qualunque sia il “livello successivo”, ho pensato che fosse l’augurio migliore che avrei potuto farmi e farvi. Buon 2011 a tutti. 

Daniele Tamburini

mercoledì, dicembre 29, 2010

Buon Natale

Care lettrici e cari lettori, questa è una letterina di Natale. Rammentate quelle che scrivevamo quando eravamo piccoli? E poi, aspettavamo con trepidazione i doni sotto l’albero? Lo pensavo giusto stamani: in questi nostri incontri settimanali, è raro che parliamo di cose belle, beneauguranti, del positivo che c’è nella vita. Certo i tempi non invogliano in questa direzione, ma potremmo provarci, magari a Natale. Rammento un racconto di Pirandello che lessi a scuola: sono andato a cercarlo. E’centrato sulla ricerca di anime di buona volontà, piuttosto che di anime ingombre di desideri, “di sogni, di comodi”. Ho pensato, allora, a quante donne e quanti uomini di buona volontà agiscono in questo nostro mondo, in modo silenzioso, assicurando cura, solidarietà, civiltà. A chi passerà il Natale pensando alle mense dei bisognosi, curando gli infermi, vigilando sulla nostra sicurezza, senza clamori, lavorando come fa la gente “comune”, facendo il proprio dovere e, spesso, qualcosa di più, senza chiedere niente se non l’appagamento della propria coscienza. Ce ne sono tanti. Perché come ha detto il sindaco, con quel suo modo di esprimersi da “allenatore”, in occasione di un incontro con la stampa: “ Non solo chi arriva primo vince. Nella vita è un vincitore anche quello che si ferma ad aspettare chi è rimasto indietro”. L’augurio che vi faccio e che mi faccio è di riuscire sempre a guardare a queste anime di buona volontà. Buon Natale.

Daniele Tamburini

sabato, dicembre 18, 2010

Il bene del Paese?


Non ci riteniamo commentatori politici né ci sembra di esprimere pareri partigiani. Anzi, cerchiamo sempre di osservare con un punto di vista equilibrato le vicende politiche, anche quelle nazionali. Ma il succedersi di avvenimenti che ha avuto il suo culmine martedì 14, con la rinnovata fiducia al governo Berlusconi, pone alcuni seri elementi di riflessione. Non ci attarderemo sulla questione del posizionamento di alcuni deputati (prima no, poi ni, poi sì), perché, ahimè, di ribalte e ribaltoni, individuali e di gruppo, più o meno spontanei, è piena la nostra storia. Invece, la cosa che più ci preoccupa è l’ennesima riprova di una classe politica spaccata comunque a metà, in perenne conflitto, spesso “a prescindere”, gli uni contro gli altri armati. Solo poco più di un anno fa, per qualcuno, la crisi era una invenzione di una parte politica, oggi, purtroppo, le previsioni che sembravano più nere si stanno rivelando fondate: la crisi è lungi dall’essere risolta, e le sue conseguenze stanno picchiando duro. Invece di lavorare insieme, magari sulle grandi questioni, e insieme significa le forze politiche, economiche, sociali, si tratta da nemico l’avversario politico, con una animosità più vicina al tifo di una curva che ai luoghi istituzionalmente più rappresentativi della Repubblica. Quanto può durare questo perenne conflitto? Quanto ancora possiamo reggerlo? Siamo ancora lì, divisi tra Coppi e Bartali, antica metafora sportiva della divisione del Paese. Ci rimane una speranza, ed un augurio: che possa ripetersi quel gesto bellissimo che fu il passaggio di borraccia. Ma ne dubitiamo...


Daniele Tamburini
daniele.tamburini@fastpiu.it

sabato, dicembre 04, 2010

Prendiamoli sul serio

Il movimento di studenti universitari, ricercatori, docenti che ha percorso il Paese nei giorni scorsi e che continua a protestare, non può essere preso sottogamba. Per molti motivi. Il primo è che gli studenti universitari sono giovani uomini e giovani donne che sono cittadini attivi, godono del diritto di voto e, domani, saranno la classe dirigente del Paese (o almeno si spera). A maggior ragione, i docenti e i ricercatori sono coloro che stanno formando questi ragazzi a ricoprire quel ruolo. A questo serve, l’Università, anche se non solo a questo. Dovrebbe servire, infatti, anche a produrre innovazione, a lanciare idee nuove, a esprimere pensieri e pratiche lungimiranti e appassionanti. Spesso lo fa, ma con sempre maggiore difficoltà. Chi protesta, noi pensiamo, ha a cuore, magari sbagliando, questa dimensione dell’Università. Lo fa da ricercatore precario che sa di rimanere tale chissà ancora per quanto. Lo fa da studente, che non sa cosa, quando e dove lavorerà. Per commentare questo stato di cose non servono le facili battute stile “State a casa a studiare che è meglio”. Un refrain già sentito, spesso ad ogni moto di piazza, ma che non tiene conto della società reale. Per moltissimi, la riforma non è adeguata a rispondere alla questione Università. Una legge realmente innovativa avrebbe dovuto rompere l’attuale schema rigido, basato sul ruolo acquisito e sulla ripartizione in fasce di docenza, e che delega moltissimo a chi, precario, non può avere il senso del proprio futuro, del proprio progetto. Si doveva prevedere l’immissione in ruolo dei tanti precari che da anni lavorano: un’iniezione di forze giovani, attraverso le procedure contemplate dalla legge. Dispiace leggere le parole di chi plaude al blocco dei concorsi per via della scarsa trasparenza con cui negli anni passati si sono svolti: è una resa, nei fatti, all’impossibilità di agire con pulizia e onestà. C’era bisogno di democratizzare i processi di gestione degli atenei, di creare nuovi spazi di innovazione e modernizzazione. Quello che più preoccupa è che, probabilmente, i “cervelli” continueranno a emigrare.

Daniele Tamburini

sabato, novembre 27, 2010

Il sindaco Perri promosso, ma non a pieni voti

Governare non è uno scherzo, né una passeggiata, soprattutto, quando si governa dopo un cambiamento di rotta che giustamente genera molte aspettative. Ma, nei fatti, ricette miracolistiche, specie di questi tempi, non ce l’ha nessuno. Mutatis mutandis, è un po’ ciò che sta succedendo, certamente non in misura eclatante, alla giunta Perri. Personalmente il sindaco gode ancora della stima e della fiducia di molti cremonesi. Qualche settimana fa ha dichiarato al nostro Fabio Varesi, contento che finalmente qualcuno lo stesse intervistando su argomenti diversi rispetto alla politica, che finito il mandato vuole tornare ad occuparsi di sport e di giovani atleti. Per quanto riguarda la sua giunta, nel complesso, emergono, dalle interviste pubblicate questa settimana, giudizi e valutazioni contrastanti. C’è una certa insoddisfazione rispetto alla gestione degli aspetti che il cittadino coglie in maniera più evidente: la manutenzione delle strade, l’arredo urbano, il traffico, i parcheggi. E poi il lavoro, l’occupazione, grandi punti dolenti. Ma, di converso, si riconosce a Perri, ed anche ai suoi assessori, una grande disponibilità all’ascolto, una vicinanza reale, non solo annunciata; oltre al merito della risoluzione di Piazza Marconi, per prima cosa. Gli intervistati insistono molto sulla capacità comunicativa del sindaco: grande dote, oggi, una caratteristica strutturale, con cui chiunque voglia fare politica e amministrare deve fare i conti. Chi sa comunicare sa condividere, sa coinvolgere, sa fare sistema. Nelle pagine speciali dedicate all'economia, abbiamo intervistato, riguardo alla situazione del nostro territorio in tempo di crisi ed alle possibili risposte, le principali associazioni: dell’industria, del commercio, dell’artigianato ed i sindacati. Con valutazioni diverse, emerge tuttavia da tutti gli interventi il bisogno di coesione, di fare sistema, di unire le forze. Da soli non ci si fa, è il messaggio comune: non ce la fa il piccolo negozio, non ce la fa il lavoratore, non ce la fa l’agricoltore, non ce la fa l’impresa. È un messaggio importante per tutti, comprese le amministrazioni locali, che, per essere davvero in sintonia con gli amministrati, dovrebbero raccoglierloe porlo in opera. Da soli non ci si fa.

Daniele Tamburini

sabato, novembre 20, 2010

Facciamo presto che è tardi

Con una metafora un po’ ardita, il consigliere comunale Daniele Soregaroli ha sintetizzato così quel che resterebbe della Tamoil, una volta deciso il piano di chiusura della raffineria: “un osso puzzolente”. In realtà, la vicenda in primo luogo dimostra quanto sia difficile governare scelte di sviluppo economico e produttivo coniugando la salvaguardia della salute delle persone, il rispetto per l’ambiente e il mantenimento dell’occupazione. Una cosa pare certa: la difficoltà del comparto raffinerie, che non riguarda solo la Tamoil della nostra città, è dovuta alla crisi economica, che ha fortemente contratto i consumi, ad una congiuntura internazionale molto complessa collegata al mercato dell’energia, ma anche al fatto che, in passato, non sono stati fatti, evidentemente, gli investimenti che sarebbero stati necessari alla loro modernizzazione. Una miopia generale. È anche certa la presenza di inquinamento da idrocarburi, che provoca da tempo una forte preoccupazione in città. La storia si ripete, e scoppiano e contraddizioni tra chi reclama il sacrosanto diritto al lavoro, e chi si preoccupa, in modo altrettanto sacrosanto, della tutela della salute. Nel giornale pubblichiamo una lettera, semplice, disperata e toccante, della moglie di un lavoratore della raffineria. Oggi, l’emergenza è questa, e a questo bisogna dare risposta. Se le contraddizioni e i problemi a cui abbiamo accennato, e che, anche in passato, abbiamo messo in luce sono reali, tuttavia oggi è prioritario salvaguardare il lavoro e la dignità dei lavoratori e delle famiglie. Adesso è davvero il turno delle istituzioni. Il presidente della Provincia Massimiliano Salini fa autocritica, trasmette il senso d’impotenza suo e dell’amministrazione e chiama in causa il Consiglio dei Ministri. Che la Tamoil vada pure a quel Paese, ma deve bonificare e i lavoratori vanno ricollocati. Non c’è tempo da perdere. A Roma c’è un governo che dovrebbe consentire, agli amministratori ed alle forze politiche del nostro territorio, di farsi ascoltare a voce alta e piena. C’è anche un premier che, io credo, dovrebbe avanzare qualche credito nei confronti della Libia. O no?

Daniele Tamburini

domenica, novembre 14, 2010

Quant’è bella giovinezza…

Probabilmente sollecitati ad un nuovo protagonismo dalla riforma della scuola e dell’università, targata Gelmini, i giovani sono tornati ad essere un soggetto che cerca di farsi ascoltare e pesare, nelle scelte politiche e di governo. Non crediamo che ne avessero perso la voglia: il fatto è che, come emerge anche dall'inchiesta che abbiamo condotto in alcune scuole cremonesi, è difficile, per loro, farsi spazio, e anche solo farsi sentire. Grande demerito di una società bloccata, e di una classe politica molto più centrata sul presente che sul futuro. Eppure, le sfide che aspettano il nostro Paese e tutta l’Europa sono enormi, e sono sfide globali: rendere compatibili ripresa e profitto con il welfare, coniugare la solidarietà sociale con un alto tasso di competitività. Robert Schuman, storico ministro francese, uno dei padri dell’Europa, parlava della necessità di fare, in momenti difficili, “sforzi creativi”. Anche per questo servono i giovani. Il genio è saggezza e gioventù, ha detto un poeta. I giovani hanno bisogno che gli si creino opportunità, che gli venga dato spazio e modo di esprimersi. Non corsie privilegiate, non raccomandazioni, non carità pelosa. Emerge anche questo, dai nostri ragazzi cremonesi: basta con “i soliti noti”, le raccomandazioni, il giro di poltrone. La profonda insoddisfazione che esprimono per la condizione presente è il terreno in cui si può radicare il principio speranza: diamo loro attenzione, spazio, fiducia. Alcuni di loro saranno la classe dirigente di domani. Se questa Terra è l’unica che abbiamo, questi giovani sono l’unico futuro che abbiamo.

Daniele Tamburini

sabato, novembre 06, 2010

Di questi tempi meglio non chinarsi

Non voglio parlare del bunga-bunga. Anche se, cliccando su Internet, c’è la possibilità di vedere quasi 18.000.000 di risultati. Ma non usa certo questa espressione il governatore di Bankitalia Draghi quando parla di economia italiana, tasso di disoccupazione ecc., e non basta che il ministro Sacconi tratti da ignorante una giornalista che gli ha chiesto conto di quell’11% di disoccupazione denunciatdallo stesso Draghi, per cancellare il dato. L’Italia ha accumulato troppo ritardo dice il professore Mario Monti. Emma Marcegaglia fa sapere che il Paese è in preda alla paralisi e che non c’è alcuna iniziativa del Governo, in un momento difficilissimo dell’economia, invitando la politica “riprendere il senso delle istituzioni”. Il presidente di Confindustria non vuole le elezioni anticipate, ma chiede serietà  che si facciano le cose per il Paese. Ci vogliono riforme, per la crescita e l’occupazione. Si sa, in un momento così difficile per un Paese, le elezioni anticipate non sono certo una medicina. Ma la nostra sensazione è che Berlusconi, ormai, si sia davvero incartato, prima con il Lodo Alfano poi in una sequenza di dichiarazioni che, piuttosto che calmare acque agitate da molti marosi, sembrano soffiarvi sopra. L’uomo sembra messo in un angolo: qualcuno dei suoi si distingue, Fini si defila, e Bossi? C’è da fidarsi di Bossi? Se il Senatur soltanto accennasse all’ipotesi di governi diversi, a quel punto, immagino che assisteremmo ad un fuggi fuggi e “tutti a casa”. Intanto la nave Italia, per ora, lotta contro le onde. Lo hanno riconosciuto anche in Europa, la vocazione al risparmio e un certo sano rifiuto del gigantismo hanno evitato al vascello, se non altro, di andare a fondo. Ma non basta più. Lo abbiamo scritto altre volte: servirebbero coesione e unità di intenti, non per essere tutti d’accordo, che non è possibile, ma per trovare soluzioni condivise, per fare, appunto, cose per il Paese. Non ho parlato di bunga-bunga, lo avevo promesso.
P.S. Ragazzi, leggete i giornali e fatevi una opinione tutta vostra.


Daniele Tamburini

venerdì, ottobre 29, 2010

Il Paese, i giovani, il futuro.

Sta aumentando l’allarme per lo stato delle Università: molti corsi sono a rischio, altri subiscono forti ritardi, ovunque crescono le preoccupazioni, di rettori, docenti, ricercatori e studenti, rispetto ad una realtà che dovrebbe costituire un ganglio fondamentale per le prospettive di sviluppo del Paese. Gli errori compiuti nei confronti dell’Università sono di lunga data e, quindi, difficilmente ascrivibili ad uno schieramento politico, piuttosto che ad un altro. Sta di fatto che la palestra in cui dovrebbero maturare le eccellenze del Paese cade a pezzi, e l’intervento di un buon carpentiere sembra assai lontano. C’è, a mio parere, una sostanziale incapacità del sistema Italia di includere e far “fruttare”, fin dal momento della semina e della germinazione, le forze migliori che abbiamo. E le migliori “teste” continuano a fuggire. Anche questo governo ha fallito, e anche questo governo, ancor più dei precedenti, non ritiene che aiutare la “ricerca” possa essere un investimento per il futuro. Un paese che non investe nell’istruzione, nella ricerca e sui giovani è un paese dal futuro incerto. Già oggi la società nel suo complesso è caratterizzata da un grande sentimento di incertezza, e l’incertezza provoca paura. C’è chi si arrocca, e chi preme per conquistare la fortezza. Riprendono piede rivolte di popolo a cui non eravamo più abituati: ne sono un esempio la Francia, la Germania, ma avvengono anche qui da noi, in Campania per la discarica e in Sardegna, con la protesta dei pastori. Non è un buon segnale. Sarebbe meglio ascoltare la gente e trovare soluzioni - non solo per affrontare l’emergenza, ma dare una prospettiva al futuro - piuttosto che trattare quei problemi come se fossero solo di ordine pubblico. Chi scende in piazza per protestare non lo fa per divertimento.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 23, 2010

In perenne conflitto

Voglio porvi, per gioco, qualche domanda: quante sono le leggi vigenti oggi in Italia? Se si mettono insieme leggi statali, regionali, regolamenti ecc., si arriva a circa 200.000 (secondo una ricerca condotta pochi anni fa. Ma il bello è che esiste una legge anche per istituire una commissione bicamerale ad hoc per lo sfoltimento delle leggi!). Quanti deputati e senatori abbiamo? 645, senza contare i senatori a vita. Un apparato enorme, una squadra numerosissima al servizio del Paese, una produzione notevole di norme. Eppure, tutto questo non basta; e anzi, il cittadino comune ha una percezione assai diversa, ormai, dell’utilità di questa macchina. Paradossalmente, al contrario di quanto accade in altri campi, la TV non ha favorito il processo di riconoscimento, se proprio non vogliamo parlare di identificazione, con la classe politica. Certo non aiuta il tono di certi confronti. A differenza di altri paesi, in Italia, il confronto pubblico quasi mai si traduce in civile protesta, ma in scontro tra nemici: alle Camere, nei dibattiti televisivi ma anche al bar e alla guida delle auto. Un conflitto costante, da stadio, come se fossimo sempre in campagna elettorale. Ho osservato con ammirazione, nei giorni scorsi, il recupero dei 33 minatori cileni intrappolati per più di due mesi in una miniera. Quel Paese ha dato prova di una grande determinazione, ma anche di una grande unità: si è stretto intorno a quegli uomini, con orgoglio e con affetto. Eppure, il Cile ha vissuto una storia recente di spaccature profonde, sociali, politiche ed economiche: con la dittatura e, poi, il ritorno alla democrazia. Circola sul web una storiella: se fosse successo in Italia? “già al 3° giorno le prime difficoltà e quindi la ricerca dei colpevoli e delle responsabilità; Berlusconi: colpa dei comunisti; Di Pietro: colpa del conflitto d'interessi; Bersani: ... ma cosa è successo? Bossi: sono tutti terroni, lasciateli là; Capezzone: non è una tragedia è una grande opportunità ed è merito di questo governo e di questo premier; Fini: mio cognato non c'entra”. E’ solo una storiella, ma rende l’idea.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 16, 2010

Italia - Serbia: Stupore, rabbia e brutte figure

Non si tratta di fare il solito discorso, un po’ trito, sulla violenza nello sport, da condannare, da reprimere, ma anche da interpretare. Lo spettacolo pauroso andato in scena lo scorso martedì allo stadio Ferraris di Genova, in occasione della partita tra Serbia e Italia, va più in là. Si può senz’altro discutere in termini sociologici e di costume il fatto che gli stadi siano diventati le nuove arene, in cui sfogare ribellioni e violenza repressa. Si può discutere anche dell’uso, assolutamente poco adatto alle circostanze, ma diffuso, di simbologie o gesti che richiamano ad appartenenze politiche; ma ciò che è successo martedì va oltre. Si va allo stadio, anzi si dovrebbe andare allo stadio per assistere alla partita, per condividere gioia e passione sportiva. Abbiamo assistito ad un’orda di figuri come quello rimasto immortalato in una foto, incappucciato, il braccio teso, maglietta con i simboli nazionalisti, che hanno sfidato, provocato, irriso, devastato, assaltato, lanciato fumogeni. Figli delle tigri di Arkan, il massacratore della guerra dei Balcani, qualcuno ha detto. Epigoni della peggior violenza che si sia scatenata in Europa nel secondo dopoguerra. Sono ultranazionalisti, hanno in mente la Grande Serbia, non vogliono l’indipendenza del Kossovo. Non voglio che il loro paese entri nella comunità europea e forse, per questo, sono stati assoldati da chi non ha convenienza che ciò accada. Ha detto Prandelli: “poteva essere una tragedia”. Erano presenti anche un migliaio di bambini delle scuole calcio: che ricordo ne avranno? Il calcio, la società, la politica non possono permettere che chi va allo stadio viva nella paura di una tragedia annunciata. A che servono tornelli, gabbie, tessera del tifoso, forze dell’ordine schierate e sempre a rischio, la massa di denaro pubblico che tutto questo ci costa, se poi, in uno stadio, un martedì sera, può accadere quel che noi, allibiti e pieni di rabbia, abbiamo visto? Se centinaia di teppisti hanno potuto portare dentro bombe carta, fumogeni, petardi, razzi, coltelli e tronchesi? Di chi la responsabilità? Non certo della polizia che si è comportata responsabilmente, evitando il peggio.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 09, 2010

Perchè la Germania è in forte ripresa?

Qualche giorno fa, con un imprenditore di San Daniele Po, discutevamo, presso la sua azienda che profuma di aceto, di economia e di prospettive future: come va? E soprattutto come andrà nei prossimi anni? Mi raccontava di aver partecipato ad un convegno, in America Latina, sulle prospettive economiche dei vari paesi nei mercati globalizzati. Analisi,trend e stime poco confortantiper i paesi europei e per il nostro in particolare. Forse con una eccezione: la Germania. Così mi diceva. “Sa perché la Germania ha ripreso a correre? Perche là sono capaci, tutti insieme, di rimboccarsi le maniche, di lavorare sodo e certi parassitismi, le caste in genere, non sono tollerati”.In effetti, leggo che il trend di crescita di quel paese è tre volte il nostro. E’ accaduto che, dopo la crisi derivata dalla riunificazione delle due Germanie, Est e Ovest, le grandi imprese tedesche hanno riorganizzato la loro produzione, delocalizzandola in modo massiccio e frammentandola a livello internazionale. Hanno maturato un modello di sviluppo che per effetto del profondo processo di ristrutturazione realizzato dalle imprese e dal sistema produttivo ha riportato il paese ad essere competitivo sui mercati internazionali, in particolare verso l’Asia. E’ un sistema, quello tedesco, in cui esiste una vera economia sociale di mercato, in cui il welfare, storicamente più forte ed equilibrato del nostro, è stato riformato, ridimensionando le spese di assistenza ma rafforzando le politiche attive del lavoro, della formazione e della ricerca. Si riconosce il ruolo del sindacato come attore fondamentale di un sistema in cui è impegno comune delle parti sociali migliorare la competitività dell’impresa e condividerne i risultati: da qui, il legame fra salari e produttività. Tutto un altro mondo, lontano dalle nostre miserie. La sono crucchi, ma a noi le cricche. Che dire? Merito della politica e del loro primoministro? Non c’è mai stata una donna premier, in Italia: cloniamo la Merkel?

Daniele Tamburini

venerdì, ottobre 01, 2010

L’anatra zoppa

C'è aria di bonaccia. il Governo ha ottenuto la fiducia in Parlamento, con un buon margine. Quindi, tutto normale. Almeno così sembrerebbe. Chi, come me, viene dal mare, sa che c’è quiete dopo la tempesta, ma che i venti fan presto a riportare cattivo tempo. E infatti l’equilibrio su cui si basa oggi il Presidente del Consiglio è delicatissimo. Il dibattito politico si accentra sul durissimo scontro con Fini ormai dalla scorsa estate, ed i finiani adesso risultano decisivi. A me sembra che, nel dibattito di mercoledì, Berlusconi, più che parlare al Paese, abbia parlato al Parlamento: piuttosto inconsueto per uno come lui, che ha sempre fatto un punto di forza, e anzi un vanto, della sua capacità di rapportarsi direttamente alla gente, fuori dai vincoli del bon ton istituzionale e dal politichese. Lui, il leader eletto dal popolo, è ora soggetto a verifica. Si apre una stagione in cui dovrà fare attenzione ad assetti, equilibri, bilanciamenti e – forse - manuale Cencelli. Riuscirà a stare in questi panni, per lui poco comodi? Dovrà diventare un capo di governo che discute: non potrà imporre il decreto contro le intercettazioni senza discutere con la Bongiorno, non potrà non preoccuparsi del sud, perché la Sicilia dell’Mpa di Raffaele Lombardo è diventata un laboratorio politico per lui poco gestibile, e anche i voti dell’Mpa sono molto importanti. Dovrà controllare Bossi, che non ha digerito il punto programmatico sul sud, dovrà tornare in Parlamento, centellinare, mediare … tutto contro la sua indole. Secondo voi, per come conosciamo il Cavaliere, tutto questo sarà possibile? Negli Stati Uniti, un uomo politico che, occupando una carica importante, tuttavia non sia in condizione di esercitarne appieno il relativo potere, viene definito un’ ”anatra zoppa”. Non credo che Berlusconi accetterà a lungo questa condizione.

Daniele Tamburini

sabato, settembre 25, 2010

Non siamo un Paese normale

Un vecchio film di Hitchcock si intitolava "L’ombra del dubbio". Il dubbio, proprio come la calunnia, è un venticello che si insinua, e, appunto, lascia ombre. Era un punto d’onore dei vecchi gentiluomini fugare ogni ombra di dubbio sul proprio comportamento. A che pro, quindi, la maggioranza di governo ha votato contro l’utilizzo delle intercettazioni nelle inchieste che riguardano l'ex sottosegretario Nicola Cosentino, accusato di contiguità con ambienti camorristici? Tanto più che lo stesso Cosentino aveva dichiarato che il contenuto delle intercettazioni era irrilevante. Nel suo stesso interesse, per ribadire la sua estraneità, non sarebbe stato meglio consentire al loro utilizzo? Lo abbiamo scritto altre volte: c’è una grande necessità di ricostruire la fiducia nella cosa pubblica, in chi ci amministra e ci governa. Invece, così facendo, si alimenta la convinzione che davvero ci sia una "casta", per non dire una "cricca", che si fa le regole e se le gestisce. La stessa "casta" contro cui dovrebbe lottare in prima persona la Lega. Il ministro dell’interno Maroni sa bene quanto sia importante, per lo sviluppo del Paese, la lotta al crimine organizzato: non sarebbe fondamentale agire perché chi ci governa appaia, appunto senza ombra di dubbio, implicato in certe faccende? Ma forse, oggi, è pretendere troppo. Forse abbiamo assistito ad una sorta di conta: governo si, governo no, quanti i mie, quanti i tuoi … E forse alla maggioranza degli italiani, impegnati a risolvere la quotidianità, questo importa davvero poco. Cercano di barcamenarsi, sperano che le cose possano cambiare, lavorano e si impegnano. E, magari, sono più attratti dal Superenalotto.

Daniele Tamburini

sabato, settembre 11, 2010

Fare il sindaco può essere divertente

Fare il sindaco è un mestiere sempre più difficile. Soprattutto per chi, in campagna elettorale, si è presentato come personaggio "super partes" e fuori delle logiche di partito. Perché la politica - una materia da sempre esplosiva - ogni volta che viene spedita fuori dalla porta, rientra dalla finestra. Ne sa qualcosa il sindaco di Crema, Bruno Bruttomesso, che ormai ha un scarso potere contratuale nei confronti degli uomini forti della sua giunta. Oreste Perri comincia oggi a rendersi conto di che cosa è la politica. Quella vera. Sotterranea. Innanzitutto le alleanze: possono rompersi e ricomporsi da un momento all'altro. Si diceva, per esempio, che Gianni Rossoni, il vero leader del Pdl nel Cremonese, e Massimiliano Salini, l'uomo di Formigoni nella nostra provincia, formassero un tandem indistruttibile; oggi neanche più si parlano. Anche a livello di associazioni di categoria, i politici che un tempo erano considerati nemici per la pelle, oggi sono diventati alleati. Alleanze, interessi e progetti mutano alla velocità della luce. Per un sindaco, che si dichiara fuori dai giochi della politica e del business, riuscire a star dietro, indovinare e intercettare i cambiamenti repentini diventa un'impresa ciclopica. E' meglio che lasci perdere perché in politica c'è gente che sa come e quando giocare le carte. E sanno giocare pesante. Ma i primi cittadini, mentre il mondo intorno a loro si muove vorticosamente, possono starsene fermi. A ragionare. Fidandosi solo del loro fiuto e del buon senso. Senza lasciarsi trascinare nella bagarre. Perché hanno un potere che altri non hanno: quello delle dimissioni. Che cosa ha da perdere un sindaco che fra qualche anno si ritirerà a vita privata senza rendere conto di niente, a nessuno? Niente. Può tenere tutti con il fiato sospeso minacciando di dimettersi. Basta questo spaurachio per far saltare qualsiasi banco o andare a vedere qualsiasi bluff. Perri a Cremona e Bruttomesso a Crema, scelti proprio perché non contaminati dalla politica, hanno un'arma atomica in mano. Perché non minaccino di usarla risulta incomprensibile alla gente comune. Dalla quale provengono.

sabato, settembre 04, 2010

Rimbocchiamoci le maniche

Ricordo che mio padre mi diceva spesso, forse più spesso di quel che avrei desiderato: “Studia, impara, impegnati, che così avrai un futuro miglioredel mio!”. Era l’Italia dei primi anni ’60. Uscito dalle devastazioni della guerra, il Paese era un crogiuolo di lavoro, di idee, di cambiamenti politici, economici, culturali profondi e, per certi versi, sconvolgenti. Si lavorava moltissimo: c’era mobilità sociale e territoriale; l’emigrazione interna, dal sud al nord, cambiava radicalmente paesaggi urbani, territori, usi e abitudini. Oggi, forse, la nostalgia non è più quella di un tempo, ma rimane forte il ricordo di un Paese in cammino, pur se lungo un percorso disordinato, spesso incoerente, una camminata magari zoppa. Il “made in Italy” divenne un brand di successo in tutto il mondo. Poi le battute d’arresto, il declino, per motivi che sarebbe troppo lungo elencare: crisi strutturali, crisi di congiuntura, le difficoltà della politica e delle istituzioni, chi voleva la Milano da bere e poi se l’è bevuta tutta, i mercati, le speculazioni, la bolla finanziaria etc. In un recente articolo, molto bello, Beppe Severgnini ha scritto su Il Corriere: “Nell’Italia del 2010 sappiamo tutti — padri, madri, figli — che la nuova generazione precarizzata starà peggio, e già ha bisogno di aiuto (per la macchina, per la prima casa). È un ribaltamento innaturale: la nazione che lo accetta è nei guai”. Ecco, il punto è tutto qui: non accettare fatalisticamente questo stato di cose. Dobbiamo pretendere futuro, costruire futuro. Aprirci a nuove possibilità, aprirci al mondo, non rinchiuderci – anche se, a volte, la tentazione sarebbe forte – dietro muri o dentro bunker. Tutti i muri sono destinati, prima o poi, a crollare o a essere scavalcati: dal Vallo di Adriano al Muro di Berlino. Ho letto che qualcuno, anche qui in Italia, si sta facendo costruire bunker per sopravvivere alla fine del mondo annunciata dal popolo Maya per il dicembre del 2012. E’ un sintomo di paure profonde, ma dobbiamo convincerci che la vera linea di resistenza sta in noi stessi, nelle nostre capacità, nel nostro lavoro.
Rimbocchiamoci le maniche.

Daniele Tamburini

venerdì, agosto 27, 2010

Ecco settembre

Avete fatto caso che, ormai, il nostro tempo sociale, e anche quello privato, non sono più scanditi dall’anno solare, ma vanno da settembre all’agosto successivo, in una sorta di anno scolastico? Siamo quasi tutti rientrati dalle ferie e si ricomincia. Qualche tempo fa, un periodico tedesco ha compiuto un’analisi spassionata della situazione italiana, rilevando, tra le altre cose, che il “caso” italiano è una continua emergenza che, apparentemente, non sfocia mai in tragedia. L’ingresso nell’eurozona fu gestito attuando, per anni, una rigorosa disciplina di bilancio, unitamente al rigido risparmio: questa politica ha avviato la pluriennale fase del “declino”, perché l’allora riacquistata solidità della politica fiscale significò infatti anche rinuncia alla prosperità derivante dallo sviluppo economico. Ma non c’era alternativa. Insomma, la morale potrebbe essere: meno si sale, meno la caduta sarà dolorosa. È una possibile interpretazione: una “stabile depressione”. Ma la depressione può essere una malattia mortale, specie quando viene accentuata da una continua incertezza che riduce fortemente la voglia di investire. Fuor di metafora, la crisi politico-istituzionale di questo agosto rischia di avere effetti pesanti. In molti gridano: “al voto, al voto”, seppur poco convinti e pronti a far marcia indietro. Mi domando se davvero possa essere una soluzione tornare alle urne con questo sistema elettorale, che non solo “nomina”, e non elegge, i parlamentari, ma che ha dimostrato, nessuno lo può negare, di non favorire in alcun modo la governabilità. Il guaio è che una proposta seria su una nuova legge elettorale necessiterebbe di una lettura precisa della fase politica: per esempio, una lettura e un giudizio oggettivo sul bipolarismo. Un “sistema” che ha evidenziato forti lacune e una fragilità connaturata, quasi inevitabile. Occorrerebbero soluzioni di sistema, non soluzioni estemporanee. Il Paese ha grande bisogno di questo, e poco di ulteriori pettegolezzi, di risse e di inutili cortigiani.

Daniele Tamburini

venerdì, agosto 06, 2010

E’ in un momento come questo che…

Quello che sta accadendo nel Pdl è un vero e proprio terremoto politico del quale è difficile, per ora, saper valutare appieno le conseguenze, sia politiche che istituzionali. È certo che la situazione richiederebbe un forte senso di responsabilità, ma, al momento, sembra prevalere, come preoccupazione maggiore, la “convenienza” dei partiti di andare o meno a elezioni anticipate. Il Paese avrebbe bisogno di ben altro. Anche i vescovi raccomandano di non usare arroganza, dando un giudizio davvero impietoso sulla attuale classe dirigente. Intanto il grande mondo va avanti, ed è proprio in un momento come questo, in cui si intravede in lontananza un barlume di ripresa, che occorrerebbe una classe politica capace di aiutarci ad uscire dal guado (per non dire di peggio). Una cosa è certa: ci sono molte questioni su cui, se i cittadini trovassero unità, parole e azioni comuni, potrebbero intervenire con forza, decisione, incisività. Ma il potere è bravo a tenerci separati, polemici e deboli. Divide et impera. Si respira una sorta di minorità, nell’opinione pubblica, stremata, forse, da un’incertezza ormai patologica nel nostro sistema. Contro cui, ognuno reagisce come può: chi non ha strumenti di censo e di status se la passa male, ma anche chi è in una posizione di privilegio comincia a rendersi conto che se non si favorisce la domanda interna, se non si rafforza il potere d’acquisto delle famiglie finisce male per tutti. E, invece, in molte situazioni prevalgono i posizionamenti ed i favori delle caste. E il maggior difetto di una casta, forse, è la chiusura in se stessa, che protegge ma non fa cogliere opportunità. È la nostra storia recente? Opportunità non colte, strade promettenti non percorse. Care lettrici e cari lettori, è l’ultimo numero prima delle vacanze, e avremmo certo voluto usare toni più ottimisti, ma “così è (se vi pare)” come dice Pirandello. Speriamo di tornare più fortificati dal meritato riposo e che la situazione possa migliorare. Buone vacanze.

Daniele Tamburini

sabato, luglio 31, 2010

Vacanze

Sono uno che preferisce la montagna, ma, quest’anno, mi sono fatto convincere a trascorrere qualche giorno al mare. Spiaggia, sole, onde … finalmente un po’ di relax, per sfuggire alle preoccupazioni quotidiane, almeno per un breve periodo. Un modo per illudersi di averle dimenticate? Come il titolo di un vecchio giallo di Agatha Christie: corpi al sole. Apparentemente immemori, abbandonati. Le ragazze ed i ragazzi corrono felici, si spruzzano, si corteggiano: hanno finito la scuola, oppure hanno lasciato un lavoro – probabilmente, un lavoretto. Chissà se pensano, e in quali termini, al loro futuro? Quali sogni avranno, quali desideri. Ma ci sarà tempo per le riflessioni un po’ più cupe, ora siamo qua, a goderci la vacanza. A dar retta alle analisi ed alle previsioni, avremmo dovuto tutti nasconderci in un buco nel terreno ad aspettare che la tempesta passasse. Invece siamo qui, perché la vita prevale, e la speranza pure. L’estate segna una sorta di spartiacque dell’anno: è al dopo estate che rimandiamo i buoni propositi: “mi metterò a dieta, a settembre palestra tutti i giorni, lavorerò a quel progetto…”. E ne traiamo nuova linfa, nuova vitalità, una piccola forza che cresce nuova dentro di noi. Nutrita dal sole, dall’aria, dai ritmi più rilassati. Noi, che abbiamo alle spalle diverse estati, ci godiamo la vacanza come una tregua, senza troppe aspettative. Loro, le ragazze ed i ragazzi, aspettano invece qualcosa, qualcosa che somigli alla felicità, qualcosa che sia la felicità. Che bello vedere giovaniche ridono: sono contagiosi.
Buone vacanze.

Daniele Tamburini

sabato, luglio 24, 2010

Una buona notizia

E' una notizia importante: secondo dati forniti da Confartigianato, la copertura energetica rinnovabile per i consumi domestici delle famiglie italiane ha raggiunto il 100%. Vale a dire che nel nostro Paese il fabbisogno di energia elettrica dei nuclei familiari viene coperto completamente dalla produzione complessiva che proviene dalle fonti rinnovabili. E questo risultato è stato raggiunto nonostante che la crisi abbia abbattuto la produzione tradizionale di elettricità dell’8,3%. Significa che sostenibile si può. In economia, come nella vita, sono pericolosi gli integralismi, le scelte senza alternative, le forzature che spesso peccano di ideologismi. L’energia è un tema di grandissima rilevanza economica e ambientale, ed è ormai chiaro a tutti che occorre ridurre la dipendenza dai combustibili fossili attraverso lo sviluppo delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico. Diversificare, e anche pianificare. Le energie alternative (fonti rinnovabili, sole, vento, interventid'efficienza energetica) sono in grado di generare aumenti nell'occupazione: il lavoro di installatori e manutentori. Posto che i due problemi più grandi relativi al nucleare (la questione delle scorie radioattive, la cui messa in sicurezza impegna per migliaia d'anni, e quella della sicurezza non intrinseca delle centrali nucleari, dovuta alle reazioni secondarie incontrollabili in caso d'incidente) sono tuttora lontani da una soluzione, la diversificazione energetica tra risorse rinnovabili e combustibili fossili è la strada più convincente. Negli stessi giorni in cui sono usciti i dati di Confartigianato, anche il presidente USA Barack Obama ha parlato, dallo Studio Ovale, di sviluppo di fonti energetiche alternative. È il presidente del Paese più potente del mondo, grande produttore di petrolio, che sta affrontando la catastrofe ambientale della Bp e in cui ci sono molte centrali nucleari: eppure, parla di 'clean energy economy', un’economia fatta di energia pulita e di "green jobs", lavori “verdi”. La strada è ancora lunga e accidentata, ma qualcosa si sta muovendo e, a mio parere, nel senso giusto.

Daniele Tamburini

sabato, luglio 17, 2010

Il dovere dei padri

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto spesso sulla situazione dei giovani nel nostro Paese. Nell’ultimo, recente discorso, ha detto, non a caso in occasione di una visita ad una scuola di alta specializzazione, che “non possiamo continuare a far pesare sulle spalle dei giovani un debito pubblico così pesante”. Non possiamo, cioè, continuare ad imporre alle giovani generazioni una ipoteca schiacciante sulle possibilità di lavoro, di sviluppo, di ricerca di una loro strada nella vita. È una grande contraddizione: la società spinge verso modelli giovanilistici, nella moda, nell’estetica (pensiamo al boom degli interventi di chirurgia estetica, per le donne ma anche per gli uomini) ma, nella realtà, si fa ben poco, di concreto, per chi si affaccia alla vita adulta. Qualcuno dice che questa generazione di ragazzi forse è la prima che starà peggio rispetto ai genitori. L’inchiesta nelle pagine interne rileva le difficoltà, per i giovani, anche nell’acquisto della prima casa, con tutto quello che ne consegue riguardo ai progetti per formare una famiglia. Lo stesso Napolitano, lo scorso dicembre, aveva rivolto loro un appello: “Non ve ne andate. Possiamo far crescere il nostro Paese all'altezza delle conquiste delle società contemporanee più avanzate”. E’ una fase difficile ma ne usciremo, ne dobbiamo uscire. Contenere il debito pubblico è un dovere dei padri verso le generazioni future. Ricordiamo sempre quel detto per cui la terra non è nostra, ma l'abbiamo avuta in prestito dai nostri figli, e a loro dovremo restituirla.

Daniele Tamburini

venerdì, luglio 09, 2010

Nichi Vendola, una manna dal cielo?

Un buon comandante, dice Sun Tzu ne «L’arte della guerra», deve possedere diverse qualità: saggezza, rettitudine, umanità, coraggio e severità. Tutte caratteristiche che volentieri vorremmo vedere negli esponenti politici, e che qualcuno sicuramente possiede. Però, se fossero più estese, pensiamo a quanto sarebbe più interessante ascoltarli, e quanto sarebbe più coinvolgente occuparci del dibattito tra i partiti, in Parlamento eccetera. E come sarebbe più stimolante poter parteggiare per l’uno o l’altro di due avversari che possedessero le qualità indicate da Sun Tzu! O che, comunque, si ponessero in maniera ben diversificata, netta, precisa, senza balletti di cortesie manierate reciproche o senza urla tra sordi. Sinceramente, un recente esempio della possibilità di dialogare, pur nella profonda diversità dei punti di vista, l’ha fornito Nichi Vendola, che ha parlato ad una platea di industriali, riuniti in assemblea, a Vicenza (lui, uomo di sinistra del Sud), ascoltando e facendosi ascoltare attentamente. Vendola è un fenomeno da tenere d’occhio, secondo molti. Qualcuno dice che a Berlusconi farebbe comodo averlo come avversario, perché il Cavaliere potrebbe attaccarlo con facilità su molti piani: Vendola era comunista, parla di Marx senza problemi, dice “sinistra” senza imbarazzi, è dichiaratamente e tranquillamente omosessuale. Una persona ai suoi antipodi, un bersaglio perfetto: una manna dal cielo. Però … ha un grande coraggio delle sue idee. È cattolico senza infingimenti; è vicino alla Chiesa e apprezza papa Ratzinger, ma dice che la Chiesa va sfidata sul terreno della libertà e dell’amore, anche di quello gay; parla senza problemi di povertà, ma anche di gioia e di bellezza. In Puglia ha investito sulle energie pulite, su turismo e cultura, e l’acquedotto pubblico – incredibile - produce utili. Spariglia le carte, mette insieme anime diverse, difficile che dica parole conformiste. Il suo linguaggio è concreto e immaginifico insieme: affascina i giovani, fa riaffiorare idee e orgoglio sopito nei più anziani. Non fa finta di non essere un politico ed un amministratore, e se ne assume le responsabilità. Potrebbe davvero rimettere insieme i cocci di una sinistra che aspetta un leader capace di nutrirsi della grande tradizione novecentesca legata ai temi del lavoro, della solidarietà, dell’uguaglianza, della giustizia sociale, coniugati con le sfide di oggi: la precarietà, la frammentazione ideologica, la globalizzazione. Rieletto presidente della Regione Puglia, ha detto tranquillamente che se ne sarebbe andato un po’ in vacanza, senza fingere di mettersi a lavorare subito indefessamente per la comunità. Il tempo per la politica e per l’impegno, il tempo per sé. Chissà se verrà il suo tempo? Staremo a vedere.

dt

Anche nell’isola felice…

Rimaniamo sbigottiti di fronte ai due fatti di sangue, accaduti a pochissimi giorni di distanza nella nostra zona: due uomini, respinti, uccidono la donna che non li vuole più. Due donne, con tutta la vita davanti, che avevano fatto le loro scelte: per loro, tutto è finito. “Anche nell'isola felice il profondo disagio di una società allo sbando”, ha scritto Antonio Leoni all’indomani dei due omicidi. Non si creda che vogliamo fare la parte dei corvi, nel prendere spunto da fatti così dolorosi per fare alcune riflessioni. Ma forse, serve a tutti fermarsi un momento a pensare. Drammi – forse – nati dalla paura della solitudine, dall’angoscia del sentirsi rifiutati. Ma anche, da una convinzione che perdura ancora: molti uomini non accettano che le donne possano liberamente e consapevolmente decidere. Fatti come questi accadono sempre più spesso, a nord e a sud, trasversali alle classi sociali, alla condizione economica etc. Mezzo secolo di storia ha cambiato in profondità le compagne di una vita o di un percorso, e forse, noi uomini facciamo ancora fatica ad accettarlo fino in fondo. Difficile da ammettere, ma, se potesse essere occasione per riflettere, si tratterebbe pur sempre di un punto di partenza. Crescendo abbiamo imparato che la vita non è una fiaba. E’ un percorso dove si conosce il riso e il pianto, l’emozione e il disinganno, la fortuna decide per noi. Non sempre – purtroppo – finisce: “…e vissero felici e contenti”.

Daniele Tamburini

lunedì, luglio 05, 2010

La riqualificazione della zona stadio

Dalla crisi si può uscire con una dinamica di cambiamento, certo non con la staticità. Il progetto CremonaCityHub, presentato venerdi 25 in una affollatissima Sala Mercanti e al quale dedichiamo alcune pagine di commento, all’interno del giornale, riguarda una consistente riqualificazione urbana della zona compresa tra il Foro Boario e gli ex Magazzini Cariplo. Un’area cittadina in passato occupata da attività legate al mercato ed al commercio. Su questo programma sindaco e vicesindaco hanno scelto la strada del coinvolgimento e della partecipazione delle forze economiche e sociali della città, una scelta che, se portata fino in fondo, si rivelerà strategica. Ma la strategia, proprio perché, per sua natura, non deve avere il carattere dell’improvvisazione, non può tralasciare alcuni aspetti. Prima di tutto, la necessità di coniugare sviluppo e regole. Regole di mercato e di impresa, certo, ma anche regole nella salvaguardia del territorio e dell’ambiente e nella trasparenza di scelte e procedure. Lo sviluppo di cui abbiamo estremo bisogno è quello legato al lavoro ed agli investimenti, che rimetta in moto i consumi e che innesti dinamiche virtuose per cui la nostra città, la nostre zone diventino punti di attrazione per investimenti ulteriori: “Volare alto, pensiamo in grande” dice l’architetto Pagliari, concetto ribadito dall’onorevole Pizzetti. L’innovazione di cui abbiamo grande bisogno sta anche nelle idee, negli apporti progettuali che sicuramente circolano, ma che, a volte, stentano nel trovare espressione ed accoglimento. Il progetto CremonaCityHub, se ben gestito, può essere tutto questo. Il sindaco Perri ha detto, davanti ad una platea accaldata e all’inizio, forse, un po’ scettica: “State pur certi, andremo sino in fondo!”. Il presidente della Camera di Commercio Giandomenico Auricchio, entusiasta, non ha nascosto il suo consenso.

Daniele Tamburini

sabato, giugno 26, 2010

La fortuna di incontrare bravi maestri

Ricordo ancora il mio maestro delle elementari: mi sembrava molto alto e molto autorevole. Era attento alla correttezza della scrittura e delle parole che usavamo, ci riprendeva e faceva degli esempi. Era un maestro, appunto. Trasmetteva il suo sapere, quello che si era formato nel corso degli studi ma anche quello che gli derivava dall’esperienza di anni con gli alunni, e questo era considerato un grande valore. E oggi? E’ una strana epoca, la nostra: da una parte siamo allergici all'autorità e agli obblighi e ci disturba chi fa pesare il suo ruolo; dall’altra, ci affidiamo a modelli, sollecitazioni, schemi che magari subiamo in maniera passiva. Una cosa è certa: la “lezione” di un maestro, per essere davvero tale, dovrebbe essere un luogo di incontro e di scambio, un dialogo, prima di tutto tra le generazioni. Il dialogo è fatto anche di interruzioni, e quindi di ascolto. Scrive Mario Lodi, un maestro vero: educare significa educare alla parola e all’ascolto, quindi alle regole, quindi alla democrazia. Essere maestri significa creare cittadini liberi: il problema è che la loro voce rischia di essere sommersa dal chiasso generale. Per questo si dice che la storia sia maestra di vita, perché ci consente di capire le radici di come siamo. La Chiesa ha un suo magistero, con cui impartisce insegnamenti morali, etici e religiosi: Gesù Cristo era un rabbi, un maestro. Nelle officine, sovente gli apprendisti chiamavano l’operaio più esperto “maestro”, che li conduceva passo passo dalle operazioni più semplici a quelle più complesse. Un buon maestro insegna a rispettare la complessità, questione chiave, e a non affidarsi sempre alle scorciatoie ed alle semplificazioni. Invece, oggi, i maestri di scuola non mi pare abbiano il riconoscimento sociale che meritano e, anzi, vengono “tagliati” senza pietà. Poi ci sono pure i cattivi maestri. Anche se qualcuno ha detto che non ci sono cattivi maestri, bensì cattivi scolari.

Daniele Tamburini

venerdì, giugno 18, 2010

Va' pensiero...

E' abbastanza singolare che si voglia contrapporre il “Va’ pensiero” all’inno di Mameli. Come è avvenuto nei giorni scorsi. La storia sembra dire qualcosa di diverso da quello che molti pensano. Quando Giuseppe Verdi compose l’opera il “Nabucco”, da cui è tratto il “Va’ Pensiero”, si ispirò alla parte della Bibbia in cui gli ebrei, soggiogati dai Babilonesi, piangono la loro dura sorte. Il “Va’ Pensiero” è dunque un canto di dolore, di sconfitta, di rimpianto. Niente a che vedere, quindi, con un inno che dovrebbe accendere gli animi, invitare alla riscossa e al riscatto. E infatti il compositore di Busseto non pensava assolutamente a fomentare lo spirito rivoluzionario che serpeggiava in quei tempi (1842), nell’Italia del nord, contro gli austriaci. Se, come si narra, la grande musica verdiana infiammò i cuori, fu perché quel canto accorato di un popolo schiavo rispecchiava la condizione dell’Italia di allora, soggetta al dominio straniero. Sui muri delle città, alcuni coraggiosi scrivevano: “VIVA VERDI”. Un acronimo che così andava interpretato: “Viva Vittorio Emanuele Re Di Italia”. Mentre è lo stesso Verdi che, nel suo “Inno delle Nazioni” del 1862, affida proprio al “Canto degli Italiani” – meglio conosciuto, poi, come “Fratelli d’Italia” - il compito di simboleggiare il nostro paese. L’Inno fu scritto da due giovanissimi: Goffredo Mameli, l’autore del testo, aveva venti anni, Michele Novaro, che lo musicò, ne aveva ventinove. Di sicuro non fa una grande figura accanto a inni solenni come quello della Gran Bretagna, della Germania, della Russia, degli U.S.A. E’ svelto ma poco marziale, praticamente una marcetta, con un testo che, ormai, capiscono in pochi: “Noi siam da secoli calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi …”. E, udite udite, parla di Legnano: “Dall'Alpi a Sicilia dovunque è Legnano”, luogo in cui, nel 1176, si svolse la battaglia in cui l’esercito della Lega Lombarda comandato dai volontari della Compagnia della Morte (non da Alberto da Giussano, che è un personaggio letterario) sconfisse l’imperatore Barbarossa. Il 12 ottobre 1946 l'”Inno di Mameli” diviene l'inno nazionale della Repubblica Italiana. Di tutta l’Italia, dalle Alpi a Capo Passero.
Ho letto che il film Kolossal su Barbarossa, finanziato dalla Rai, è costato trenta milioni di euro... ne ha incassato uno.

Daniele Tamburini

venerdì, giugno 11, 2010

Sudafrica e nuvole

Ci siamo. Accolti con sufficiente distacco e una buona dose di scetticismo, iniziano i Mondiali di calcio. E come accade, oramai da qualche anno, alla Nazionale, detentrice del titolo di campione del Mondo, è mancata anche la benedizione da parte delle istituzioni. I nostri ragazzi sono partiti per il Sudafrica nella totale indifferenza di Presidente del Consiglio, ministri e compagnia bella. Meglio stare defilati, in questi casi; dovesse andare male, c’è il rischio di essere additati come menagramo. A dire il vero, questa è una settimana piena di eventi di grande rilievo che riguardano la politica: si discute di manovra finanziaria, di tagli, di intercettazioni telefoniche, di giustizia, di Costituzione, di Stato e di Antistato. Cose importanti che ci riguardano direttamente. Tuttavia partono i Mondiali e anche di questo dobbiamo parlare. Sono i primi Mondiali di calcio in terra africana, un evento che non è solo a carattere sportivo, ma che coinvolge aspetti economici, sociali e di costume non indifferenti. Il presidente della Repubblica sudafricana, Jacob Zuma, ha dichiarato che un entusiasmo così grande lo si era visto soltanto nel 1990, quando Nelson Mandela venne scarcerato. “Questi Mondiali di calcio possono unire la nostra nazione”. Anche il ministro del Turismo ha parlato dei Mondiali come di uno strumento di “socializzazione e di condivisione”. Una manifestazione che dovrebbe coinvolgere ed unire. A parte il tifo. Il tifo non unisce, divide. Spesso si è tifosi non “per” qualcosa ma “contro” qualcosa. Così anche in politica: è più appagante denigrare l’avversario piuttosto che sostenere le proprie ragioni. Ma torniamo al calcio giocato. L’Italia non parte favorita. Anche quattro anni fa fu così, e anche quattro anni fa pareggiò uno a uno contro la Svizzera nell’ultima amichevole prima dei torneo. Sogno un’altra finale Italia-Francia, come nel 2006. Più che una partita sembrò un film scritto da un sadico sceneggiatore. Che goduria, quel giorno, battere i francesi con il minimo scarto e oltretutto all’ultimo rigore. Meglio, ma molto meglio, di un sonante e irrefutabile tre a zero. Adesso e non da ultimo: forza Cremo!

Daniele Tamburini

venerdì, giugno 04, 2010

Emergenza

Abbiamo conosciuto l’emergenza incendi: un paese a fuoco. Poi, per contraltare, quasi, l’emergenza dell’acqua … E l’emergenza rifiuti, l’emergenza petrolio, l’emergenza terremoto, l’emergenza frane, l’emergenza sanità con i malati nei corridoi, l’emergenza giustizia. E l’emergenza sicurezza. Solo che l’emergenza, per definizione, è una condizione eccezionale, imprevista, inattesa, rara. Un’emergenza che diventa normalità non è più emergenza. Eppure, noi viviamo, da molti anni, da molti governi, da molte stagioni, una continua emergenza. Si dice: ci vuole rigore, la situazione è di emergenza, e da qui le manovre, i tagli e la richiesta di sacrifici. Poi si scopre che l’attore massimo dell’emergenza, la protezione civile, deve gestire anche i festeggiamenti di San Giuseppe da Copertino, patrono degli studenti … e cadono le braccia. La spesa pubblica è un’emergenza? Probabilmente sì. Il rimedio sta nel blocco degli stipendi degli statali? Probabilmente no. I sacrifici sono necessari per il bene di tutti, dice il Presidente del Consiglio. Sono provvedimenti episodici e non strutturali, dice il capo dell’opposizione. La sensazione è che ci sia tanta improvvisazione e tanta paura. Sapete qual è secondo me un’emergenza grave che condiziona la futura possibilità di ripresa? Lo dicel’ultimo Rapporto annuale dell’Istat che dipinge un quadro a tinte fosche della condizione dei giovani nel nostro paese: il 30% dei giovani sono inoccupati e si sta cronicizzando la loro dipendenza dalla famiglia. Un esercito immobile, che chi guida il paese non riesce a rendere attivo per creare sviluppo e ricchezza, ma che nemmeno si mobilita per protestare contro una situazione assai penalizzante. La conseguenza è un’economia che non si riprende e una società che non riesce a rinnovarsi. Mio figlio ha venti anni, gli ho fatto leggere questo mio breve scritto; mi dice che alla fine non sto dicendo niente e meno propongo. E’ vero: la mia è solo una costatazione. Ma non rinuncio alla speranza che le nuove generazioni siano in grado di costruire un futuro migliore.

Daniele Tamburini

venerdì, maggio 28, 2010

Sacrifici

Chi volesse scrivere la storia dei nostri ultimi quarant’anni, potrebbe farlo a partire da una parola: “sacrifici”. La crisi petrolifera dette una scossa terribile alle economie dell’Occidente, all’inizio degli anni settanta dello scorso secolo; e la ricetta furono i sacrifici. Chi ha i capelli grigi si ricorderà: l’austerity, le domeniche a piedi. Dopo di che, ad ogni fase recessiva, ad ogni depressione della Borsa, ad ogni trend negativo dell’economia la parola è uscita fuori. Come se fosse nuova di zecca. A questo non si sottrae l’odierna manovra economica che il Governo ha approntato. Di nuovo, c’è solo l’ammissione della reale consistenza dello stato delle cose da parte del Presidente del Consiglio. Ora, nel mondo antico si offrivano sacrifici al dio per ingraziarselo, ringraziarlo, venerarlo. È certo che l’economia può essere considerata una dea capricciosa, ma, forse, esisterebbero anche altri modi per renderla benigna. Per esempio, dicendo con chiarezza quale sia la portata della crisi e indicando una strada, o un insieme di strade, che possono essere anche impopolari o dolorose, ma che facciano intravedere un barlume di luce in fondo al percorso e soprattutto che evitino che il futuro dei nostri giovani venga ipotecato. Probabilmente servono riforme che mettano in discussione diritti acquisiti e interessi costituiti. Probabilmente serviranno davvero altri sacrifici. Il problema è come distribuirli, con quale incidenza reale sulle varie fasce di reddito, con quale cadenza e con quali obiettivi, evitando ristagno e contrazione dei consumi. Questo lo si fa con analisi serie, mirando ad obiettivi di medio e lungo termine, ragionando e non seguendo umori e sondaggi: “ … c’è uno schiacciamento pericoloso sull’immediato” (Gianfranco Fini). Altrimenti, si corre il rischio che, invece di ingraziarsi la dea economia, si debba confidare nella dea Fortuna.

Daniele Tamburini

venerdì, maggio 21, 2010

Non si può stare sempre a lamentarsi

Un eminente psichiatra, il professor Di Giannantonio, parla di una vera e propria epidemia di malumore ed irritabilità nel nostro Paese, dovuta alle incertezze del clima atmosferico di questi giorni. Sarà senz’altro così. È probabile, però, che malumore ed irritabilità derivino anche da un forte senso di insicurezza che si percepisce nel Paese. Siamo finiti tra i PIGS, brutto acronimo, con Portogallo, Grecia e Spagna: Paesi a rischio. La crisi economica, che pareva fosse in via di superamento ci dicono, ora, che richiede invece tagli a salari e pensioni. E probabili tagli – ancora– a università e ricerca. A meno che non basti quello del 5% ai ministri … Ma non si esce dalla crisi, se non si compie anche un balzo in avanti in tecnologie innovative e nuovi modelli di produzione e se non si danno risorse alla ricerca. La gente si fa domande, è inevitabile.
Per esempio: quello che trapela da affari illeciti, ricarichi di spesa, affitti e appartamenti pagati, ristrutturazioni e corruzione in genere, un fiume di denaro illecito che pare scorra ovunque, questo denaro che comunque viene distolto dalle casse pubbliche, seconvenientemente investito, alla luce del sole, non potrebbe essere una risposta, seppure parziale, alla crisi? E siamo proprio sicuri che serva al Paese spendere cifre altissime per la missione in Afghanistan, oltre al terribile costo umano dei nostri soldati morti? Si dirà: manon si può stare sempre a lamentarsi. Diceva Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti, che dissentire è una forma di patriottismo, perché si vorrebbe sempre il meglio per il proprio Paese. E anche noi vorremmo il meglio per il nostro.


Daniele Tamburini

venerdì, maggio 14, 2010

La cenere del vulcano

La cosa ha inizio con Prometeo, addirittura: narra la mitologia greca che avesse fatto dono agli uomini dell'intelligenza, della memoria e, soprattutto, del fuoco. Quindi, la possibilità di affrancarsi dallo stato bestiale, di trasformare la natura riscaldandosi, cuocendo i cibi, lavorando i metalli, fino a spingere nello spazio i missili e le navicelle. Prometeo viene terribilmente punito. Incatenato a una roccia, un'aquila glis quarcia il petto: gli dei non accettano che gli uomini possiedano intelligenza e scienza. Ma si tratta di un dono irreversibile, e da allora si parlerà del "dominio" umano sulla natura. Fino a scindere l'atomo, fino a trivellare combustibile nelle viscere della Terra, fino a mettere piede sulla Luna. Certo, "dominare" la natura significa anche curare malattie che credevamo incurabili, prevenire e prevedere. L'umanità ci crede da secoli: la natura può essere domata. Eppure... eppure, basta un piccolos cossone della madre Terra e le città crollano, e basta un vulcano arrabbiato, e tutta la nostra fretta, la nostra ansia di velocità, di spostamento, di appuntamenti da non perdere, di vacanze da non rimandare, diventano insignificanti. Un vulcano dal nome impronunciabile, nell'Islanda dei ghiacci e del fuoco, un vulcano come quello di cui racconta Jules Verne in "Viaggio al centro della terra",e gli aerei, il simbolo del dominio umano sulla distanza e sul tempo, si fermano. E poi... riusciremo a fermare la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico? L'aquila ancora si erge su Prometeo incatenato.

Daniele Tamburini

Oggi più che mai occorre una scuola di qualità

Mi hanno fatto riflettere le parole che Luca Cordero di Montezemolo ha pronunciato qualche settimana fa in occasione di un convegno promosso dall’Associazione Italia Futura. "Ognuno di noi ha detto almeno una volta: voglio che mio figlio abbia possibilità migliori di quelle che ho avuto io, voglio che i miei nipoti stiano meglio di me. La risposta a questa speranza così naturale e così necessaria è il buon funzionamento della mobilità sociale, di quell’ascensore che dovrebbe permettere a chiunque di salire verso l’alto facendo affidamento sul proprio talento e sulle proprie capacità”. E' questa la condizione necessaria per un Paese dinamico, capace di rispondere alle sfide della modernità e della crisi, con idee, progetti, lavoro in squadra. E, per far questo, occorre imparare. Nel 2000, a Lisbona, l'Europa s’impegnò solennemente a divenire l'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica durevole accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione e da una maggiore coesione sociale, attraverso sistemi d'istruzione e di formazione che coniugassero qualità, accesso e apertura sul mondo. Questo doveva avvenire entro il 2010. Oggi, nel 2010, la nostra Corte dei Conti boccia sonoramente il sistema universitario italiano, il cosiddetto 3+2, laurea triennale + specialistica. Non solo non è aumentato il numero dei laureati, ma l'offerta formativa è frammentata, moltiplicata in segmenti immotivati, insomma, è scadente. Non ha creato lavoro né tanto meno nuove opportunità di crescita. Domanda: dove dovrebbero imparare i nostri giovani? Un paese che vuole essere di qualità non può pensare al suo futuro, e nemmeno riesce a immaginarlo, senza una scuola di qualità. Non è poi così difficileda capire. O no?

Daniele Tamburini

venerdì, aprile 30, 2010

Lo showdown tra Oni e Ini.

Come finirà la crisi che si è aperta nel centrodestra dopo lo scontro Berlusconi-Fini? Vedremo. Certo che questo è un ulteriore segnale della incertezza che domina la vita politica italiana di questi ultimi anni. Chi lo avrebbe detto, neppure due anni fa, con il centrodestra trionfatore alle elezioni politiche, che si potessero paventare elezionianticipate …
Come vorrei poter leggere quello che, tra cent’anni, diranno gli storici sulla figura del capo del governo. Personaggio che oggi a me pare così paternalisticamente ottocentesco e premoderno, nel suo modo di intendere la politica, e invece così capace, da imprenditore, di interpretare ed anticipare, in molti casi, i tempi: l’impero mediatico, l’impatto della comunicazione. Una commistione inedita, tra il cipiglio del padrone delle ferriere, che decide e dispone e mal accetta critiche ed opposizione, e la spregiudicatezza del cittadino Kane in “Quarto potere”, antesignano dell’enorme capacità dei mezzi di informazione di influenzare e formare l’opinione pubblica. Sta qui forse la radice del successo di Berlusconi, nella sua “differenza”, nella sua capacità di impersonare ed esprimere linguaggi e codici diversi che tanto affascinano la maggioranza degli italiani. Una capacità di persuasione che arriverà a convincere il popolo, in una totale confusione tra scienza e economia, che anche il nucleare è cosa buona e giusta. Intanto l’opposizione, a mio parere, invece che discutere se Fini sia “accidente” o sostanza dovrebbe vincere il panico da elezioni anticipate e scegliere in fretta identità, alleanze e magari il candidato. Dovrebbe insomma sapere chi è e cosa vuole. Bossi lo sa, Berlusconi pure e lo sa anche Fini. Il centrosinistra ancora se lo domanda. Chiudo con la domanda, un po’ provocatoria, che l’on. Pizzetti si pone: è anomalo Berlusconi o è anomala l’assenza di un’alternativa, nel nostro Paese?

Daniele Tamburini

venerdì, aprile 23, 2010

La ricompensa per la saggezza

Per un lungo periodo, nella storia dell’umanità, l’anziano ha ricoperto un ruolo essenziale. In famiglia, si attendeva dalla sua voce il sì o il no finale ad una scelta importante. In molte società, il “consiglio degli anziani” ha retto la cosa pubblica. Al lavoro, ti dicevano: “impara da chi è più anziano di te”. Anziano come sinonimo di venerando, saggio, maestro paterno. Per alcuni versi, si trattava di una costruzione mitologica: spesso i comportamenti erano di tipo gerarchico, fortemente autoritario. Se stavi in quel modello, bene, altrimenti lo pagavi con conflitti e allontanamenti. Arriva il Novecento, e la storia galoppa, e tutte le certezze vengono messe in discussione, compresa quella del valore dell’esperienza e della tradizione. Si afferma un altro mito: la gioventù. “Giovinezza”, cantavano durante il ventennio; giovane è bello, efficace, al passo con i tempi. Essere giovani diventa sempre più un valore, nella società dell’immagine. Ma i giovani restano spesso al palo, sempre più precarizzati. E gli anziani Stanno tra Scilla e Cariddi, tra l’accusa di togliere risorse ai giovani e la realtà di un ruolo sociale sempre più scarso (escluso che in politica? Lì gli anziani prosperano …). E se una delle riforme più condivise degli ultimi anni è stata quella che ha innalzato l’età pensionabile, in Francia, Martine Aubry, leader politica recente vincitrice delle elezioni regionali, sostiene che si debba compensare la sagesse (la saggezza), innalzando, sì, ma il valore delle pensioni. Significa che nel resto dell’Europa girano anche idee diverse da quelle che qui appaiono scontate. Scontate? Provate a chiedere a un padre: “Lo sai che tuo figlio andrà in pensione a 68 anni?”.

Daniele Tamburini

venerdì, aprile 16, 2010

C'è chi non ci sta

Avviene anche qualcosa di bello. Spesso siamo portati a pensare che il nostro non sia un Paese per chi è debole: malato, povero, vecchio, svantaggiato, o semplicemente precario. Se nascono pochi bambini, è perché molte donne e molti uomini giovani si chiedono se saranno abbastanza forti per condurli ad avere tutte le opportunità che una nuova vita merita. Perché questo, penso, è il vero rispetto della vita: cercare di far sì che ognuno abbia le opportunità per crescere in dignità e in libertà. Ci sono zone del mondo in cui questo è impossibile, per la miseria estrema, per la guerra, per la persecuzione. Ci sono situazioni, anche qui da noi, sempre più difficili. Bene: per poter crescere come cittadini consapevoli, preparati, in grado di dare il proprio contributo alla società, l’educazione, la cultura e la scuola sono mattoni essenziali. Allora, qui vicino a noi, a Adro nel bresciano, un imprenditore, che ha voluto rimanere anonimo, ha saputo che le famiglie di alcuni bambini delle elementari, in difficoltà economica, non avevano pagato la mensa scolastica, e che, quindi, i piccoli stavano per essere esclusi dal servizio mensa. Giova ricordare che una legge dello Stato sancisce l’obbligo di frequenza del tempo mensa. Questo signore ha scritto una lettera bellissima, senza alcuna retorica, piena di memoria e di rispetto. Ma non solo: ha detto ”Pago io”. Ha rimesso il debito di quelle famiglie. Ha scritto: ” Io non ci sto. Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi, ma un infinito patrimonio di dignità… Sono certo che almeno uno di quei bambini diventerà docente universitario o medico o imprenditore o infermiere e il suo solo rispetto varrà la spesa”. Consapevole di compiere un gesto simbolico, ma di una portata enorme. Sono le ragioni della solidarietà, dell’umanità, del rispetto. Dare una mano quando si può.
Non è una cosa da poco.

Daniele Tamburini

venerdì, aprile 09, 2010

Non si scrive sui muri !

Così ci intimavano quando eravamo bambini. Poi abbiamo scoperto la creatività dei murales, che fossero quelli dei messicani Siqueiros e Rivera, o quelli di Valparaiso, o del Maggio francese. La cultura e l’espressione uscivano dall’ambito chiuso di accademie e musei, e potevano e dovevano esprimersi in libertà nel tessuto urbano. Non solo immagini, ma anche slogan, pensieri, versi. Ricordo il tempo de “L’immaginazione al potere”. Negli anni, qualcuno ha parlato di una forma d’arte, la street art: ospitata in rassegne, musei, esposizioni. Da sempre si dibatte attorno alla questione di cosa sia arte. È certo che un bugnato rinascimentale o un marmo neoclassico lordati da scritte non siano tollerabili, così come una statua incisa con cuoricini infranti o, più banalmente, il muro perimetrale di un’abitazione appena ridipinto, dopo sofferte riunioni condominiali, su cui qualcuno inneggi alla squadra del cuore o dileggi l’avversario. D’altra parte, alcuni dei vecchi, brutti palazzoni della Berlino comunista sono stati coperti di graffiti e murales colorati, e questi lampi di luce rompono un grigio uniforme. Sono molte le città che scelgono anche questa strada di design urbano. A me piace il murales di via Postumia realizzato due anni fa in occasione della manifestazione Gemini Muse voluta dall’assessorato alle politiche giovanili con, oltretutto, il contributo della Regione. A Milano, invece, il Comune ha portato in tribunale, per imbrattamento molesto, uno dei più famosi “graffitari”, Daniele Nicolosi, conosciuto come Bros ,che ha peraltro esposto le sue opere anche a PalazzoReale, definito da Sgarbi “un Giotto moderno”. Chi avrà ragione, allora? Potremmo dire che le crociate, come sempre, servono a ben poco. Che questa forma di espressione è tipica della modernità e che occorre trovare modi di gestione mediata, con buon senso ed equilibrio. E che, forse, le emergenze economiche, sociali, di sicurezza di una città come Milano, e non solo, sono altre.

Daniele Tamburini

venerdì, marzo 26, 2010

Chiare, fresche e dolci acque

Non sempre, ma la saggezza popolare, nutrita da secoli di esperienza e di condivisione, dice grandi verità. Come quella per cui non si apprezza mai tanto ciò che si ha, quando lo si è perduto. Quando finisce, quando non lo si ha più. E questovale per tutto: nei rapporti umani, nelle cose materiali, nei beni e nelle speranze. Prendiamo l’amore: lo si vive, lo si assapora, lo giochiamo in una partita a volte scherzosa, a volte dolorosa, ma è lì, presente, caldo, rassicurante, quasi scontato, poi un giorno finisce e ci troviamo soli e infreddoliti. Assetati: come quando manca l’acqua. Per millenni abbiamo dato per scontato che l’acqua fosse un bene inesauribile, che le chiare, fresche e dolci acque sgorgassero per l’eternità da rocce e fondali, ma ora non è più così. Una gran parte del mondo è assetata, ma – se le previsioni dicono il vero – lo saremo presto anche noi. 2020? 2050? Cambia poco. Si dice che le prossime guerre saranno per l’acqua. Einstein diceva che non sapeva con che armi si sarebbe combattuta la terza guerra mondiale, ma che conosceva le armi della quarta: arco e frecce. Volete un altro esempio? Il nostro modello di sanità. Il modello universalistico, il welfare, pur “temperato” e convenzionato con il privato. Giustamente siamo pronti a stigmatizzare la malasanità, i disservizi, gli sprechi. Ma il presidente Obama, negli Stati Uniti, ha salutato con un sorriso radioso il voto alla Camera che estende – ma ancora non a tutti i cittadini, si badi bene – la copertura sanitaria (cavilli permettendo). Una svolta epocale, ha detto. Se questo è vero per una grande democrazia come quella statunitense, a maggior ragione dovrebbe rendere orgogliosi noi, che di tale scelta siamo modello. Una volta tanto, l’America è qui da noi. Questo grazie alla grande civiltà di una riforma sanitaria approvata, alla vigilia del Natale del 1978, e condivisa praticamente da tutti i partiti dell’arco costituzionale.
Altri tempi!
P.s. La settimana scorsa sono stato in una
nota Casa di Cura cremonese per un esame
piuttosto fastidioso. Ho trovato nel personale
medico e paramedico una grande, generosa e
confortante umanità. Grazie.

Daniele Tamburini

venerdì, marzo 19, 2010

Venga a prendere un caffè da noi

Abbiamo visto tutti alla Tv gli striscioni dei manifestanti ad Atene:non pagheremo la vostra crisi. Igreci protestano contro il piano di austerità del governo, per combattere una situazione ormai giunta ai livelli di guardia, che preoccupa l’Europa. Ma anchei n Islanda la popolazione protesta contro l’idea di pagare i debiti ereditati dall’affondamento delle banche. E gli spagnoli protestano contro il prolungamento dell’età pensionabile. Il sistema bancario ha giocato sull’ingegneria finanziaria, e alla fine l’economia reale ha presentato il conto: profondo rosso. Ma cosa può fare uno Stato,per non rischiare la bancarotta? Semplice: o aumentare le entrate o limitare le spese. E’ sicuro che una corretta politica fiscale centrerebbe il primo obiettivo, magari anche con una ripartizione più equa del carico. Si dirà che non è facile, ma non lo è neppure la seconda strada. Infatti, chi paga, così? Il rigore sarà pagato dai cittadini: con meno qualità nella scuola, nella sanità, nell’ambiente, nei servizi. Il fatto è che la crisi della finanza privata si è trasformata in crisi della finanza pubblica, e che gli Stati non riescono, non possono, non sanno metterla in conto a chi l’ha provocata. Certamente, le banche non pagheranno il conto in prima battuta: il presidente Obama ha previsto una tassa speciale per le banche, ma in un periodo di dieci anni. In questa fiera dell’irresponsabilità, dell’economia cannibale, come l’ha chiamata qualcuno, cosa resta da fare?
Magari, un Coffee party: il caffè delle persone responsabili. L’idea viene dagli Usa, ed è un movimento che si batte per la partecipazione democratica e l’unità del Paese su alcuni obiettivi prioritari, per risolvere i problemi; in particolare la “cleptocrazia”del capitalismo finanziario di rapina.
E’ un’idea importabile? Il caffè italiano è senz’altro migliore di quello made in Usa… ma la classe dirigente?

Paolo L.

sabato, marzo 13, 2010

Dedicato a me, a te e al Paese

Sapete? Noi abitiamo la terra dove fioriscono i limoni, scriveva Goethe. E un giardino di limoni è il luogo profumato in cui due donne, che appartengono a due popoli in lotta tra loro, stipulano un’alleanza per la vita, contro la violenza: è la trama di un film. Ancora, in un giardino segreto, due bambini e un pettirosso trasformano la storia vuota e arida di una famiglia distrutta in una nuova vita, un nuovo inizio, una speranza: è un libro, degli inizi del Novecento. L’Eden era il luogo in cui Dio creò un giardino. I giardini che verranno dopo, forse, sono tutti debitori del rimpianto di quello, inarrivabile. Il giardino, per poeti e scrittori, è un luogo di pausa, di sussurri segreti, di sottrazione agli affanni della vita quotidiana, di amori appena dichiarati, di vita che scorre insieme alle stagioni. Nel giardini all’italiana, viali e aiuole ordinati geometricamente si accompagnano a grotte, nicchie, anfratti segreti. Le siepi sono sempreverdi, le acque sono incanalate e alimentano le fontane, i colori sono quelli dei fiori. Il giardino all’italiana come metafora di un Paese che vorremmo? Un Paese in cui possano stare insieme regole ed invenzione, fantasia e richiamo alla realtà. Abbiamo avuto un inverno terribile, e i giardini sono ammutoliti, seccati, gelati. Non sappiamo ancora cosa sia sopravvissuto, quali radici siano state danneggiate, quali abbiano resistito, protette dalla terra e dalla cura. Ma già, in qualche arbusto, fanno capolino i germogli. Non si espongono troppo, perché la stagione riserva ancora bufere. E in alcuni alberi sono spuntati i primi fiori. Quei colori e quei piccoli segni verdi, che spaccano i rami, ci dicono che, forse, l’inverno sta finendo.

domenica, marzo 07, 2010

La situazione è grave, ma non è seria

“Guai al mondo per gli scandali!”, sta scritto nel Vangelo. Lo scandalo è l’inciampo, il tranello, l’ostacolo forte alla fede. Potremmo allora dire che gli scandali, nella vita quotidiana, sono un ostacolo alla convivenza civile, al corretto andamento dei rapporti sociali ed economici. Un ostacolo che sembra insormontabile: si solleva un coperchio e, dal vaso di Pandora, escono centinaia di migliaia di euro andate in fumo, spese bizzarre e incomprensibili (i famosi megafoni del G8), regali per “ungere” certi meccanismi, denaro pubblico usato per portare in vacanza la segretaria, e chi più ne ha più ne metta. Ma non solo. Ritardi nelle procedure, strutture lasciate al degrado, ospedali mai funzionanti, carceri mai aperte. Il catalogo è questo: la situazione è grave ma non è seria, direbbe Flaiano. Eppure, non c’è reazione. Ci si potrebbe aspettare una sorta di “rivolta dei giusti”, al di là del colore politico; un movimento di indignazione, un’onda che si solleva per dire basta. Perché questo non accade? Non c’è una spiegazione unica. La paura, certo. Siamo tutti spaventati, dal presente e dal futuro: abbiamo timore di perdere ancora qualcosa, di peggiorare la nostra situazione, di infilarci in un tunnel senza uscita. Ma, soprattutto, si sono smarriti il senso e la forza dell’azione collettiva. Quella che ha permesso le tante conquiste civili, sociali e politiche che oggi diamo per scontate. Il senso di chi agiva insieme ad altri per migliorare le cose, per una prospettiva futura di cui, magari, sapeva che non avrebbe neppure goduto i frutti, ma lo faceva per i figli, per i compagni di lavoro, di fede politica, per il proprio Paese, per l’umanità.
Adesso, è come se ognuno stesse solo con le angosce e le incertezze che i tempi ci portano. È come se non si avvertisse più la responsabilità collettiva verso il posto in cui viviamo, verso la sua storia ed il suo futuro. L'Italia, direbbe ancora Flaiano, è un Paese dove sono accampati gli italiani.

Giulio Branciforte

Gli avrei affidato il mio portafoglio

Si presenta proprio bene: serio, concreto. Maglioncino da lavoro, aria decisa e pratica. Avrebbe detto mio nonno: affiderei anche il portafoglio a Guido Bertolaso. Un uomo che si è sempre proclamato al servizio dello Stato e non dei governi. Percarità, nel nostro ordinamento ognuno è presunto innocente fino a che non sia dimostrata la sua colpevolezza, ma intanto, qualcosa
Bertolaso ha ammesso. Ha detto: “Forse qualcosa mi è sfuggito e mi sono fidato troppo". Beh, ma questa non è una risposta. O meglio, non è una giustificazione. Avere una responsabilità
pubblica può portare a errori, anche commessi in buona fede, ma, senza che per questo si invochi la gogna, chi ammette che gli è sfuggito qualcosa e che si è fidato troppo, dovrebbe trarne le dovute conseguenze. Specie se quello che è sfuggito ha a che fare con appalti per milioni di euro. Specie se ci si è fidati di personaggi che si dicono al telefono cose da far drizzare i capelli.Ciò che si fa con i soldi pubblici richiede una grande responsabilità: che non è di destra o di sinistra. Si chiama coscienza civile, spirito di servizio, onestà. Bertolaso ha detto che il suo potere consiste nello stare tra la gente che soffre, nel fango e tra la neve. Ci si chiede se condividano questo pensiero anche il presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e gli imprenditori indagati, mentre parlavano al telefono di mobili, cellulari, soggiorniin hotel, ristrutturazioni di immobiliprivati e altri benefit. E di donne che, ormai,vengono usate come bustarelle. E chissà cosane pensano quegli imprenditori che ridevanopoche ore dopo il terremoto dell'Aquila, pregustando la montagna di affari.Adesso il Governo ha rinunciato a trasformare la Protezione Civile in S.p.A. Scelta saggia:saranno vie lente e farraginose, ma è bene checontinui il controllo pubblico dei soldi pubblici;ossia i nostri.
Giulio Branciforte

Sempre più isola e sempre meno felice

Tutte le strade portano a Roma, ma non passano più da Cremona. E’ ufficiale: Trenitalia ha soppresso il collegamento veloce tra la nostra città e la Capitale. Lor signori non sentono ragioni. Se vogliamo andare a Roma, in un tempo ragionevole, dobbiamo raggiungere Bologna e prendere l’alta velocità. Come? Con l’autobus! E poco importano la Fiera internazionale, la liuteria, l’agroalimentare... Cremona è sempre più isolata, anche in prospettiva Expo 2015. Già anni fa Trenitalia aveva tentato la stessa operazione, trovando però la resistenza di un fronte politico, economico e istituzionale compatto e determinato che era riuscito a impedire la soppressione. Questa volta, invece, la società che gestisce il servizio ferroviario ha vinto. Ha raggiunto il proprio obiettivo. Complici la rassegnazione e l’impotenza dei nostri?
O piuttosto una mancata capacità di reazione? Così è sembrato.Sono pochi i cremonesi che mediamenteutilizzano il Pendolino, quindi la tratta è antieconomica. E’ con queste parole che Trenitalia si giustifica. Pochi biglietti niente servizio. Quando ero ragazzo, capitava di sentir gridare, dalla carovana che faceva propaganda al circo appena giunto in città: “Venite numerosi, più gente entra più animali si vedono”. Se questa è la logica, non vale però per i malcapitati pendolari che quotidianamente si recano a Milano. Le carrozze sono sempre affollate ma il servizio rimane osceno per puntualità, conforto e pulizia. C’è qualcosa che non torna. Sembra chiaro l’intento di privilegiare l’alta velocità a discapito degli altri collegamenti, con buona pace di che ne subisce il disagio. C’è qualcosa che non va … in questo cielo.

a.b.