Per un lungo periodo, nella storia dell’umanità, l’anziano ha ricoperto un ruolo essenziale. In famiglia, si attendeva dalla sua voce il sì o il no finale ad una scelta importante. In molte società, il “consiglio degli anziani” ha retto la cosa pubblica. Al lavoro, ti dicevano: “impara da chi è più anziano di te”. Anziano come sinonimo di venerando, saggio, maestro paterno. Per alcuni versi, si trattava di una costruzione mitologica: spesso i comportamenti erano di tipo gerarchico, fortemente autoritario. Se stavi in quel modello, bene, altrimenti lo pagavi con conflitti e allontanamenti. Arriva il Novecento, e la storia galoppa, e tutte le certezze vengono messe in discussione, compresa quella del valore dell’esperienza e della tradizione. Si afferma un altro mito: la gioventù. “Giovinezza”, cantavano durante il ventennio; giovane è bello, efficace, al passo con i tempi. Essere giovani diventa sempre più un valore, nella società dell’immagine. Ma i giovani restano spesso al palo, sempre più precarizzati. E gli anziani Stanno tra Scilla e Cariddi, tra l’accusa di togliere risorse ai giovani e la realtà di un ruolo sociale sempre più scarso (escluso che in politica? Lì gli anziani prosperano …). E se una delle riforme più condivise degli ultimi anni è stata quella che ha innalzato l’età pensionabile, in Francia, Martine Aubry, leader politica recente vincitrice delle elezioni regionali, sostiene che si debba compensare la sagesse (la saggezza), innalzando, sì, ma il valore delle pensioni. Significa che nel resto dell’Europa girano anche idee diverse da quelle che qui appaiono scontate. Scontate? Provate a chiedere a un padre: “Lo sai che tuo figlio andrà in pensione a 68 anni?”.
Daniele Tamburini
Nessun commento:
Posta un commento