Così ci intimavano quando eravamo bambini. Poi abbiamo scoperto la creatività dei murales, che fossero quelli dei messicani Siqueiros e Rivera, o quelli di Valparaiso, o del Maggio francese. La cultura e l’espressione uscivano dall’ambito chiuso di accademie e musei, e potevano e dovevano esprimersi in libertà nel tessuto urbano. Non solo immagini, ma anche slogan, pensieri, versi. Ricordo il tempo de “L’immaginazione al potere”. Negli anni, qualcuno ha parlato di una forma d’arte, la street art: ospitata in rassegne, musei, esposizioni. Da sempre si dibatte attorno alla questione di cosa sia arte. È certo che un bugnato rinascimentale o un marmo neoclassico lordati da scritte non siano tollerabili, così come una statua incisa con cuoricini infranti o, più banalmente, il muro perimetrale di un’abitazione appena ridipinto, dopo sofferte riunioni condominiali, su cui qualcuno inneggi alla squadra del cuore o dileggi l’avversario. D’altra parte, alcuni dei vecchi, brutti palazzoni della Berlino comunista sono stati coperti di graffiti e murales colorati, e questi lampi di luce rompono un grigio uniforme. Sono molte le città che scelgono anche questa strada di design urbano. A me piace il murales di via Postumia realizzato due anni fa in occasione della manifestazione Gemini Muse voluta dall’assessorato alle politiche giovanili con, oltretutto, il contributo della Regione. A Milano, invece, il Comune ha portato in tribunale, per imbrattamento molesto, uno dei più famosi “graffitari”, Daniele Nicolosi, conosciuto come Bros ,che ha peraltro esposto le sue opere anche a PalazzoReale, definito da Sgarbi “un Giotto moderno”. Chi avrà ragione, allora? Potremmo dire che le crociate, come sempre, servono a ben poco. Che questa forma di espressione è tipica della modernità e che occorre trovare modi di gestione mediata, con buon senso ed equilibrio. E che, forse, le emergenze economiche, sociali, di sicurezza di una città come Milano, e non solo, sono altre.
Daniele Tamburini
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