sabato, ottobre 31, 2009

Bravi in orale, meno nello scritto

A parole siamo tutti bravi. Alcuni meno altri concretamente di più, ma in fondo a chiacchiere ce la caviamo tutti. Soprattutto quando si sa, come diceva il mio vecchio: “Le parole non pagano il dazio”. Oramai i veri maestri, quelli che un tempo erano chiamati gli affabulatori sono politici e governanti. Costoro arrivano a dare il loro meglio, immancabilmente, con l’approssimarsi delle scadenze elettorali. Il tema preferito per promesse e sacri impegni sono di frequente e in ogni tempo, le tasse. “Meno tasse per tutti” è oramai storia. Adesso è la volta dell’Irap (l’imposta regionale sulle attività produttive). Si propone l’eliminazione della tassa per dare ossigeno all’industria in difficoltà. Difficile crederlo. Con questa imposta viene compensata tutta la spesa sanitaria. Infatti, questa, è almeno la terza volta che lo sento dire negli ultimi cinque anni. Ed è questo il punto … tanto poi nessuno chiede il conto. Avete più sentito parlare del bollo auto che doveva essere abolito? Delle gabbie salariali che solo due mesi fa erano questione di grande dibattito, con di contorno l’insegnamento del dialetto, per il quale c’era già pronta la legge? Parole che, insieme a tante altre, il vento ha portato via. Forse, con uno sforzo, se ne può ancora ascoltare la eco. Un flebile e lontano suono di slogan elettorali recenti: “Una casa per tutti “Un lavoro sicuro per tutti”, “Nuovi fondi per le forze dell’ordine”. E se facciamo ancora più silenzio, possiamo ancora captare: “Sostegni alle famiglie, asili nido, detassazione del lavoro femminile…”.Per la prossima occasione ne suggerisco uno io, di sicuro successo: “Benzina gratis per tutti”. Tanto poi una ragione per non dare seguito la si trova sempre. Eppure le parole sono importanti. Dal loro abuso e dal non dar conto di quanto si dice, è certo che, alla lunga, si ottengono solo sfiducia e scetticismo.

a.b.

venerdì, ottobre 09, 2009

Del ponte di Messina non m’importa niente

Della costruzione del ponte sullo Stretto a me non importa niente, e a voi? Dico questo dopo aver ascoltato il monito del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (in questi giorni chiamato in causa da molti) che, all’indomani dei tragici eventi di Messina, aveva esortato: «O c'è un piano serio che piuttosto che in opere faraoniche investa sulla sicurezza in questo paese o si potranno avere altre sciagure». Ho immaginato che si riferisse allatanto discussa econtroversa ipotesi di costruzione del ponte di Messina. Il giorno dopo, in una trasmissione televisiva (e dove se no?), ecco che risponde un rappresentante della maggioranza di governo che in sostanza dice: “ Il ponte si farà perché lo vogliono gli italiani. La costruzione del ponte sullo stretto è nel programma di governo che gli italiani hanno votato”. Ipse dixit. Il ragionamento mi lascia perplesso. Però dice che siamo in democrazia e pertantola maggioranza decide, sempre. A prescindere. Quindi tutto quello che il governo fa o disfa,lo fa perché lo vogliono gli italiani. Io, che sono fuori dal gioco, sono andato dal mio amico Attilio. Lui ha votato per l’attuale maggioranza, e gli ho chiesto: “Tu vuoi il ponte di Messina?” Mi guarda sorpreso, con facciasgomenta, e dice: ” Io? Ma fammi il piacere. Sai cosa me ne frega a me del ponte. E’ un’opera inutile, costosissima che in pochi vogliono. Rischiosa. Finirà che la pagheremo noi. Prima o poi un terremoto la tirerà giù perché la zona è a forte pericolo sismico. A causa del vento non sarà utilizzabile per almeno cento giorni l’anno. E’buona solo per gli interessi di mafia e ‘ndrangheta. Lascia pur li”. Condivido. Signor Presidente del Consiglio, se vuole fare il ponte lo faccia (e chi può impedirlo?), ma, per favore, non dica che sono gli italiani a volerlo. Nemmeno la maggioranza dei siciliani è favorevole. Di fronte a un quesito referendario del tipo: cari italiani, siete favorevoli alla costruzione del ponte sullo stretto… quale sarebbe il risultato? Not in my name. Per favore.

a.b.

venerdì, settembre 18, 2009

Meglio non fidarsi del popolo italiano

Coloro che hanno la possibilità, il tempo e la voglia di informarsi, magari non solo attraverso la tv, ma anche leggendo i quotidiani, online e non, sapranno che una parte della stampa, soprattutto quella internazionale insieme con alcuni commentatori politici, racconta di un Silvio Berlusconi politicamente in difficoltà; giungendo a profetizzare l’imminente e inesorabile inizio della sua parabola discendente. Detto così, ciò appare bizzarro e inverosimile e forse lo è. Lo è ancor di più quando ascoltiamo il Cavaliere ripetere che egli gode del sostegno del 68% degli italiani; i quali vorrebbero essere come lui. Pertanto non lo scalfiscono le critiche di “certa stampa piena di farabutti”, i richiami alla moralità e i recenti contrasti con i vescovi. Forte del consenso, non lo preoccupano più di tanto gli eventuali pronunciamenti negativi della Corte Costituzionale sulla legittimità del lodo Alfano con il conseguente processo Mills, né tanto meno le supposte inchieste, di alcune procure, su periodi nebulosi, lontani nel tempo, di questa nostra Italia. Eppure, la storia insegna. Del popolo italiano non c’è da fidarsi. L’italica progenie, opportunista per fede, è sempre pronta a salire sul carro del vincitore. “Attento ai plauditori” gli grida Gianfranco Fini, invitandolo a guardare tra i suoi. Mio zio Gastone mi raccontava che durante il regime, in Italia, c’erano quaranta milioni di fascisti. Dopo la caduta di Mussolini, invece, si contavano quaranta milioni di “eroi della Resistenza”. Lui estremizzava ma era chiaro ciò che voleva insegnare. Era sfuggito miracolosamente e astutamente, insieme a mio padre, al plotone di esecuzione tedesco nei pressi di un paesino in Toscana: Terrinca, in Alta Versilia. Zona che fu teatro di fatti difficili da immaginare e raccontare; orrori dell’umanità culminati con l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, un’atrocità inutile e per questo ancor più difficile da capire. Mi raccontano che quando un gregge di pecore, seguendo il pastore in transumanza, attraversava la via, Gastone si fermava e, cappello e sigaro in bocca, con voce richiamante gridava: “Fermi tutti, passa il popolo italiano”. Officiato il suo rito, riprendeva la passeggiata mattutina sistemandosi il borsalino sulle ventitré. La storia ci racconta, anche, che quattro mesi prima che il popolo milanese inveisse sui miserevoli resti del Duce e della sua compagna, un bagno di folla acclamante e osannante aveva accolto Mussolini in città. Adesso per sdrammatizzare, vi dico di quel mio amico, convinto elettore della Lega, che di ritorno da Torino dove, la settimana scorsa, ha assistito alla partita Italia – Bulgaria, ha detto di essersi commosso quando, al vantaggio degli azzurri, con orgoglio ed entusiasmo, ha cantato: “Fratelli d'Italia, l'Italia s'èdesta, dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa. Dov'è la Vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò…”
Mai fidarsi.
Aldemario Bentini

venerdì, agosto 28, 2009

Ore 8, prova scritta di dialetto

Il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, è un genio della politica? I suoi fans ne sono convinti. Con le ultime sue uscite, in rapida successione, ha conquistato la scena agostana e ha tenuto il Cavaliere in apprensione, tormentandolo con una trovata dietro l’altra, infastidendolo non poco durante un’estate già di per sé noiosa e forzatamente morigerata. Il nostro ministro ha esordito con le bandiere e gli inni regionali, poi ha attaccato con le gabbie salariali per il meridione e l’inno di Mameli, ha proseguito con la proposta d’insegnamento del dialetto, imposto per legge, a scuola, dopo aver detto altresì: niente soldi per i festeggiamenti dei 150 anni dell’unità d’Italia. E da ultimo la diatriba con il Vaticano sulla questione degli immigrati. Per il ministro La Russa è tutto frutto del sole di agosto. Anche Berlusconi ha minimizzato: “Sono soltanto messaggi che interessano i suoi elettori". Io credo, invece, che tutto questo sia strategico e propedeutico in funzione delle prossime elezioni regionali. Il senatur, nei giorni prossimi al ferragosto, ha dichiarato che lo studio del dialetto a scuola deve essere obbligatorio e che il ministro Calderoli sta, di conseguenza, preparando il disegno di legge. Non ho niente contro il dialetto, anzi, lo ritengo un arricchimento culturale, purché non sia in contrapposizione con l’italiano inteso come lingua comune. Immaginando che non s’intenda di voler insegnare una parlata diversa per singolo territorio, mi domando quale dialetto? Il lombardo? Non esiste un dialetto lombardo. Esiste caso mai il dialetto milanese, il pavese, esiste il bergamasco (quello di città e quello delle valli), esiste il cremonese, e poi il cremasco e tante e tante inflessioni locali. Idem per la regione Veneto. Il veneziano è diverso dal padovano, dal vicentino, dal trevigiano e così via. E poi su quali testi verrebbe studiato? Però, come diceva mio nonno: ” Volere è potere”, con il verbo essere che ha funzione di copula, se la Lega dovesse riuscire a imporre una tal legge, troverà anche la soluzione per individuare i dialetti identificativi regionali. In Lombardia potrebbe essere il milanese, in Veneto il veneziano, in Piemonte il torinese… e in Alto Adige? In quella regione si insegna ovviamente il tedesco. Ecco, forse è meglio imparare il tedesco. Sono convinto che ai nostri giovani serva più la padronanza dell’inglese e del tedesco e magari conoscere un po’ più l’italiano. Molti giovani hanno problemi di analisi logica e di congiuntivi, che non servono tanto a parlar forbito ma principalmente a strutturare il pensiero e a comprendere quel che si legge. Ragazzi miei, se volete avere maggiori chance e condizioni più favorevoli per riuscire in una società che diventa sempre più competitiva, imparate bene l’inglese, il tedesco e magari, visti i tempi, il cinese.
Studiate, studiate perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza.

Aldemario Bentini

sabato, maggio 30, 2009

Vincere di Marco Bellocchio

Un film importante, di grande tensione civile, etico e duro. E’ “Vincere”, di Marco Bellocchio, salutato a Cannes da una lunga standing ovation, tutta meritata. Il film si dipana attorno alla storia di Ida Dalser, una donna importante nella vita del giovane Benito Mussolini, forse sua moglie forse no, sicuramente madre di suo figlio, Benito Albino – che Mussolini infatti riconobbe. Ida è bella, giovane, appassionatamente attratta da quell’uomo: lo aiuta, lo sostiene quando se ne va dall’”Avanti!” e fonda “Il Secolo d’Italia”. La pensa come lui, vive per lui. Ma il giovane Mussolini ribelle, anticonvenzionale, anticlericale cova un’anima perbenista e da “uomo d’ordine”: sceglie Rachele, la rassicurante massaia rurale. Una fotografia ed un montaggio splendidi accompagnano nella estrema violenza sociale e politica del “periodo furioso che copre il primo ventennio del secolo”. Alla violenza dei moti di piazza interventisti (“Guerra sola igienedel mondo”), a cui Mussolini subito si avvicina, fanno da contrappunto le immagini di violenza da Sarajevo, dal fronte della Grande guerra e poi quelle del fascismo nascente: gli squadristi, gli assalti ai giornali di sinistra, alle case del popolo, alle feste socialiste. Fiamme, urla, fez issati su volti stravolti dall’odio, bastonature, prepotenze, linguaggio violento e ferino a cui si accompagna passo passo la grande, vergognosa violenza usata verso la donna Ida e suo figlio. Mussolini, ad un certo punto, la cancella: il fascismo rientra completamente in ranghi perbenisti e reazionari, si prepara la firma del Concordato con la Chiesa cattolica. Ida rincorre il suo uomo, gli mostra il piccolo: invano, riceve solo umiliazioni. Frappone tra la verità e le menzogna se stessa ed il suo corpo, si para davanti ai gerarchi nei momenti ufficiali, in cui i fez e le camicie nere si mescolano alle grisaglie borghesi ed alle tonache dei prelati: è troppo. Ecco l’esilio nella casa della sorella e del cognato, che comunque sosterranno sempre con grande affetto e sacrificio personale lei e il piccolo Benito, ecco l’internamento in manicomio e la sottrazione del figlio. Isa grida sempre la sua verità: non si accontenta che tutti sappiano, vuole che si riconosca la verità, lo vuole pervicacemente ed ossessivamente. Figura di un compulsivo eccesso femminile, Ida vuole che le parole riconoscano la verità, che la dicano. E il machismo, il disprezzo verso la donna, il perbenismo, la menzogna fascista risaltano per contrapposizione a questa donna sola nel suo essere internata, umiliata, cancellata, ma sempre resistente. Bellocchio ci mostra cos’erano i manicomi, prima della grande e civile legge Basaglia: in una sequenza indimenticabile, in un manicomio, quello di Venezia, più “umano”, Ida e gli altri internati vedono “Il monello” di Chaplin, la povertà forte della propria dignità e del proprio amore che resiste alla violenza e alla mancanza di umanità dell’ordine costituito. Piangono tutti, poi, quando Charlot si riprende il monello, scoppia un applauso incontenibile: l’amore può vincere. Ida e suo figlio, chiuso in un istituto, seguono lontani l’uno dall’altra la carriera di Mussolini, che diventa sempre più grottesco nelle parole e nei modi: un clown feroce, la maschera farsesca di una tragedia che si avvicina alla fine. Icona violenta, farisaica, volgare di un ventennio che ugualmente violento e volgare, le teste di Mussolini rotolano giù mentre rotolano nei cieli le bombe portate dalla guerra fascista, che metterà a ferro e a fuoco il nostro Paese: le nostre belle città in fiamme, i volti di chi soffre, un uomo carezza dolcemente le caviglie di una donna stesa su un carro, forse ferita, forse morta. E sapere che era già tutto là, in quel linguaggio pieno di odio, in quella vertigine di violenza e di volgarità che l’amore di Ida non ha potuto fermare. Benito junior finirà anche lui in manicomio, distrutto dal sapere di essere figlio dell’altro Benito ma deprivato,progressivamente,
della madre, degli zii, e poi del cognome: finiranno col chiamarlo Dalser, come la madre. E lui finirà con lo scimmiottare il padre, rifacendogli il verso nei momenti più grotteschi, uguale a lui in modo imbarazzante. Troppo, anche per le sua stabilità mentale. Nero e una gamma di grigi è il colore di questo film bellissimo: soli fotogrammi più chiari quelli dei rari momenti di quiete di Ida, una Giovanna Mezzogiorno meravigliosa, nel corpo, nel volto, nello spirito, che morirà anch’ella in manicomio. Sapete, questo film suscita grande ammirazione, ma anche pena ed imbarazzo. E’ un film fieramente antifascista. E' un agghiacciante memento di quello che il fascismo è stato: repressione, manipolazione, machismo, militarismo, sadismo. Ci mette implacabilmente di fronte a uno specchio. E' in quello specchio che in tanti non sopportano di guardarsi”. E non c’è niente di più difficile, e di più importante, che sapersi specchiare bene.

P.M.

sabato, maggio 16, 2009

Senza Commento

Propongo ai lettori de il Piccolo questo pezzo di storia. Si tratta di una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso Americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti. La relazione è del 1912. Può essere motivo di riflessione e ognuno, se vuole, in cuor suo lo faccia. Questo il testo. "Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città, dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro, affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, diventano violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, di attività criminali"…
La relazione conclude dicendo: "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostrasi curezza deve essere la prima preoccupazione".

a.b.

venerdì, aprile 24, 2009

Da Jair a Balotelli

Il calcio non mi appassiona più. Da ragazzino la passione era sfrenata. Una passione che si trasferiva tutti i giorni sul ruvido cemento dietro casa. La domenica stavo incollato alla radio ad ascoltare Tutto il calcio minuto per minuto “Se la squadra del vostro cuore ha vinto, brindate con Stock 84, se ha perso, consolatevi con Stock 84’’. Tutta colpa di Omar Sivori. Fu lui, el cabezon, che mi ammaliò. Un tracagnotto trotterellante con una testa folta e arruffata, faccia da indiano apache, irriverentemente estroso, un genio della pelota. Giocava solo con il piede sinistro, calzettoni sfrontatamente abbassati, irritante con quel suo dribbling stretto alla ricerca dell’umiliante tunnel. Esercitava su di noi ragazzini un grande fascino con quel carattere ribelle, rissoso, beffardo e vendicativo. Altri tempi. Erano anche i tempi in cui giocava nell’Inter, anzi nell’Internazionale, un certo Jair. Da Costa Jair, giocatore brasiliano, un fuoriclasse veloce come una saetta. Una delle tante scommesse del mago Herrera. Un furetto, scartato dal Milan, che con l’Inter vinse quattro scudetti, due coppe dei campioni e due coppe intercontinentali. Jair era nero, ma in quel tempo si diceva “negro” e nella parola non c’era alcun senso di offesa. Nero, proprio come Mario Balotelli, un ragazzo di colore non ancora ventenne che nel carattere mi ricorda Sivori. Non ho mai sentito cori di disprezzo né tantomeno odiose battute razziste contro Jair. Mai. Sabato scorso mezzo stadio di Torino ha rovesciato su Balotelli ogni genere di insulto, mentre l’altra metà dello stadio è rimasta impassibile. Vergogna. Ventimila persone. Non soltanto i soliti immancabili quattro cretini, quelli che inducono a dire: ” La mamma degli stolti è sempre incinta”, ma uno stadio intero. Cosa sta accadendo? Quanto tempo è trascorso da Jair a Balotelli? Di chi la responsabilità? Il presidente dell’Inter ha detto che se fosse stato a Torino sarebbe sceso in campo per ritirare la squadra. Che occasione persa presidente Moratti. Sarebbe stato un gesto con una valenza più forte di cento squalifiche del campo o di altrettante partite giocate a porte chiuse. Balotelli, un ragazzo con tanta amarezza dentro che, anziché gioire come un pazzo quando fa goal, reagisce come se fosse a fine carriera. Coraggio Mario, quando sarai in Nazionale, gli stessi stolti ti osanneranno.

d.t.

venerdì, aprile 17, 2009

Ma dove ti ho trovato?

Nel Tide! Così scherzavamo da ragazzi. Chi si ricorda del Tide? Immagino quelli della mia generazione. Siamo negli anni 60. Noi ragazzi pregavamo le nostre mamme perché comprassero quel detersivo in polvere. Conteneva una sorpresa, solitamente soldatini di plastica, spesso dell’esercito americano. Ce n’erano in varie pose: quello con la mitragliatrice, quello che lancia la granata, quello a terra con la ricetrasmittente. Il mio ricordo è nitido anche perché in estate, finita la scuola, andavo a lavorare da mio zio in Versilia. Lo zio faceva l’ambulante, vendeva detergenti, saponi e lisciva nei mercati di Forte dei Marmi, Pietrasanta, Querceta, Seravezza. La mattina sveglia alle cinque e con il motocarro Guzzi raggiungevamo il mercato per preparare il banco dei mille profumi. Al pomeriggio meritato bagno in mare: spiaggia libera del Cinquale. Ricordo che con una piccola quantità di polvere diluita in una bacinella d’acqua, usando un pennello, pulivo il motorino. Olio e grasso si disgregavano con estrema facilità, il motore tornava come nuovo. Penso che il Tide, allora, fosse un detersivo tra i più inquinanti in commercio. In quel tempo si parlava poco di ecologia. Non che fino ad oggi si sia fatto molto in difesa dell’ambiente. Attendiamo il New Deal ecologico del presidente Obama. Forse, se funzionerà negli States, se sarà in grado di risollevare l’economia americana, può essere che anche qualcuno dei nostri governanti si decida a prendere in considerazione le opportunità che una riconversione ecologica può offrire. Si potrebbe già cominciare dal cosiddetto piano casa che dovrebbe, a mio parere, favorire principalmente le ristrutturazioni ad alta efficienza energetica; prevedere incentivi verso la bioedilizia, concedere sostegni consistenti per l’edilizia antisismica, con particolare riguardo a scuole, ospedali e edilizia popolare. Sarebbe conveniente, poi, investire nelle energie alternative: sole, vento, maree, biomasse, motori elettrici, pannelli solari e conseguentemente nelle infrastrutture necessarie. Invece sentiamo parlare di centrali nucleari… lasciamo stare per favore. Ho una mia personale teoria: l’età anagrafica è inversamente proporzionale alla lungimiranza. E’ un limite psicologico? Sembra di sì, tanto che s’immagina un futuro che al massimo raggiunge i prossimi cinquanta anni; quando, ci dicono, il combustibile per le centrali nucleari sarà esaurito. Oppure si progetta di costruire un ponte nel posto peggiore. Lo dicono geologi: prima o poi un terremoto lo tirerà giù. Se non fosse che intorno alla costruzione del ponte di Messina ci sono interessi esorbitanti direi che è una nuova Torre di Babele: una sfida alla natura e a Dio, frutto della vanità e dell’arroganza degli uomini.

d.t.
venerdi 17 aprile 2009

domenica, marzo 01, 2009

Quel brindisi di Corada è un bicchiere mezzo pieno

E' apparsa su tutti i giornali locali la fotografia del sindaco Gian Carlo Corada che brinda nel cantiere di piazza Marconi, insieme ad alcuni dirigenti comunali e ai vertici di Sea, l’azienda che si è aggiudicata il secondo lotto dei lavori. Si è fatta dell’ironia su quel brindisi. Legittima. Così come i dirigenti del centrodestra hanno usato il sarcasmo guardando quell’immagine. Legittimo pure questo. Ironia e sarcasmo sono il sale della democrazia. Questa fotografia che dalla cronaca passerà alla storia è come il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Noi l’abbiamo visto mezzo pieno. Non per partito preso dal momento che questogiornale non parteggia per alcuno. Ma perché faceva tenerezza vedere il sindaco brindare, soddisfatto, come se avesse sconfitto una maledizione che gravava su quel cantiere. Siamo sinceri: ognuno di noi si porta le sue croci e le sue colpe, ma non possiamo negare che in piazza Marconi, in questi anni, è successo davvero di tutto: ritrovamenti di siti archeologici, ricorsi e controricorsi, sentenze del Tar. Che andavano a demolire quanto si stava cercando di costruire. Quel brindisi deve, quindi, essere di buon augurio per tutti i cremonesi. Il malocchio sul cantiere, forse, è stato sconfitto del tutto. E per sempre. Chiunque sarà il prossimo sindaco della città, si ritroverà una piazza Marconi messa a nuovo. Al servizio di tutti i cremonesi. Che hanno dovuto pazientare per alcuni anni, ma ora vedono il traguardo vicino. Nella vita, anche la fortuna o la sfortuna contano. E alla fine i conti si pareggiano. Per Gian Carlo Corada, quel cantiere ha rappresentato la parte meno piacevole del suo mestiere di sindaco. Quella che gli ha provocato i maggiori mal di pancia. Così, quando ha potuto brindare all’apertura dei lavori, si è sentito come liberato di un peso. Anzi di un macigno.E ha tirato un sospiro di sollievo. Quel calice alzato era anche il suo calcio alla sfortuna, al malocchio, alla iella. Perché rovinargli, e rovinarci, la festa? Brindiamo, almeno oggi. La crisi economica e finanziaria che si sta abbattendo anche su Cremona e il suo territorio, è peggio di un milione dipiazze Marconi.
s.c.
venerdi 27 febbario 2009

Non c'è più tempo da perdere,contro la crisi non basta il lotto

Scorrendo le pagine di internet alla voce «homeless», come gli anglosassoni definiscono i nostri «senza casa» o «barboni», sono rimasto impressionato nel leggere quanti siti esistano attraverso i quali è possibile trovare indicazioni per le cose più disparate: assistenza legale, aiuti per trovare un rifugio, distribuzione di pasti e così via. Ma sono le notizie sulla nostra società che mi colpiscono e mi impressionano quando indicano fra i 70 ed i 100mila i barboni che popolano le nostre strade a fronte degli stimati ventimila tedeschi o ventunmila spagnoli, con numeri in costante e preoccupante crescita. E chi sono questi vicini di cui sino ad oggi non ci eravamo accorti? Cominciamo col dire che i barboni nostrani non sono più quei personaggi da letteratura che avevano scelto la vita di strada per romanticismo, ma sono persone fra i 40-50 anni che hanno perso il lavoro e non ne trovano un altro, sono i pensionati con redditi insufficienti, sono i divorziati che non ce la fanno a coprire le spese di due famiglie, sono iconiugi con più di 3 figli, sono i singoli con stipendi da 650/700 euro che ne devono pagare 500 di affitto, gli anziani monoreddito, sono quei 7 milioni e mezzo di «poveri relativi» come li definisce l’ISTAT, cioè coloro che hanno meno della metà del reddito di sopravvivenza, e, altra sorpresa, la metà circa sono nostri connazionali. Stazioni ferroviarie, conventi e sedi di enti assistenziali stanno sempre più diventando mete di pellegrinaggi giornalieri di chi chiede un pasto, soldi per i libri dei figli, assistenza legale od un aiuto per pagare luce e gas. Ancora più triste è la lettura di altri indicatori di povertà: in Italia i furti nei supermercati sono aumentati del 4% contro una media europea dello 0,8%, i pignoramenti di case sono passati dai 15mila del 2006 ai 21mila del 2008 e la Banca d’Italia afferma che ben un 8% del reddito mensile se ne va per pagare debiti, senza tener conto della quota pagata agli usurai. L’anno 2010 è stato proclamato «Anno europeo contro la povertà» evidenziando la consapevolezza di tutti che non c’è tempo da perdere e che i botteghini del lotto non possono divenire l’unico luogo in cui trovare conforto.

Enrico Tupone
tuponee@alice.it
venerdi 20 febbraio 2009

sabato, febbraio 14, 2009

Eluana è morta. Facciamo tutti silenzio

Pietà e rispettoso silenzio...















d.t.
Venerdi 13 febbraio 2009


Dal capitalismo al protezionismo

Operai britannici contro lavoratori italiani, in Inghilterra, al grido: «Il lavoro inglese agli inglesi». Barack Obama incitagli statunitensi: «Comprate americano». Gli ha risposto, subito, da Parigi il presidente Sarkozy: «Comprate francese». Alla faccia della libera circolazione degli uomini e delle merci! La crisi globale sta scuotendo uno dei capisaldi del capitalismo: la miglior qualità al minor prezzo. A meno di nicchie ad alto valore aggiunto. Un esempio? La Ferrari. Chi la vuole non bada a spese. Dal capitalismo stiamo franando nel protezionismo. La paura di perdere il lavoro (da parte di chi ha un posto fisso o è precario) o di perdere ordini e fatturati (da parte delle imprese) sta facendo precipitare il mondo in tante autarchie. Le quali peggiorano solo la situazione. Basta riandare alla Grande crisi del 1929 negli Usa o al credo fascista dell’Italia autosufficiente dalla metà degli anni Trenta: pochi prodotti in commercio, sempre gli stessi, e costosissimi. Ma senza scomodare la Storia, veniamo ai giorni nostri. E’ bastato toccare vari privilegi, aprendo alcuni mestieri o settori alla competizione, per trovare taxisti, farmacisti e avvocati in piazza. Il risultato? Freni all’accesso alla professione; tassametri, parcelle e medicinali cari. A farne le spese è sempre il consumatore. Perché, infatti, un americano dovrebbe comprare un’auto di Detroit se quella prodotta in Giappone va meglio e costa meno? E perché un francese dovrebbe acquistare vino transalpino se quello italiano gli piace di più e viene venduto a minor prezzo? E perché un’azienda inglese dovrebbe far lavorare solo i suoi connazionali con buste paga più pesanti e minore professionalità? Capitalisti a parole, monopolisti nei fatti. E il peggio, purtroppo, deve ancora arrivare perché se le follie finanziarie stanno mettendo in ginocchio l’economia reale che, a corto di ordini, è costretta a licenziare, chi resta senza lavoro non avrà più i soldi per acquistare i beni prodotti dalle aziende le quali, a loro volta, saranno costrette a nuovi licenziamenti. E’ il gatto che si morde la coda. E’ il risultato di una finanza e di un capitalismo senza regole. Il Far west. Speriamo che duri poco.

s.c.
venerdi 6 febbraio 2009

Linate, Malpensa, Formula 1: la tensione sta crescendo

In questo momento di crisi economica, non è una notizia che fa scalpore. Più interessante sarà vedere nei prossimi giorni quanti soldi metterà sul piatto della bilancia il governo per le rottamazioni di vetture vecchie e inquinanti (un provvedimento che ci interessa più da vicino come possessori di auto). Ma è una notizia che fa riflettere e va a toccare ormai un nervo scoperto: Maurizio Flammini, campione di Formula 2, vuole organizzare una corsa di Formula 1 a Roma. Immediata è stata la reazione di alcuni leghisti: «Monza nonsi tocca. Il Gran premio d’Italia si deve correre qui. I romani facciano le gare con le bighe». Al di là del folklore, in Lombardia, colpita pure lei dalla crisi, ormai si guarda con sospetto a tutto. Anche perché sono troppi e costanti gli accadimenti che stanno aumentando la tensione. Il primo: l’hub di Alitalia sarà a Roma e non più a Malpensa. E se si pensa che il 19% delle piccole imprese manda i suoi prodotti per aereo, si capisce la perdita di tempo (e di denaro) che dovranno sopportare d’ora in poi molti imprenditori lombardi. Poi Linate: Cai, la nuova società che ha inglobato Alitalia, vuole che i voli da questo scalo interessino solo le “navette” Roma-Milano delle quali ha il monopolio. Se un imprenditore deve andare a Monaco, quindi, dovrebbe recarsi a Malpensa: anche in questo caso, altre risorse perse e tempo sprecato in più. E ancora: per l’Expo 2015, aMilano, dal governo forse non arriveranno tutti i soldi che servono, mentre si sa che quest’Esposizione mondiale potrebbe dare lavoro (e fiato) alle piccole e medie imprese lombarde. Ora il gran premio di Formula 1. Se ne riparlerà, forse, nel 2011. Sarà davvero un evento mediatico che richiamerà sponsor e quattrini. Mentre, quasi sicuramente, il Gran premio d’Italia continuerà a svolgersi sul circuito di Monza, un monumento nazionale. Ma, ormai, basta una notizia che potrebbe danneggiare chi abita nella regione fra le più virtuose d’Italia per toccare nervi da sempre scoperti. La morale? E’ sempre meglio tenere gli occhi aperti. E a pensar male, qualche volta si indovina. Diceva uno che se ne intende: il senatore Andreotti.

s.c.
venerdi 30 gennaio 2009

venerdì, gennaio 23, 2009

Contro la crisi, Barack Obama e l'economia della speranza

Fra chi aveva lo sguardo rivolto a Washington ed alla elezione del presidente Obama netta era la maggioranza di appartenenti alla classe media, di coloro che erano stati pesantemente colpiti dalla crisi economico finanziaria degli scorsi mesi, gente che aveva visto erodere il proprio livello di vita e messe arepentaglio le proprie case, i propri posti di lavoro, le proprie pensioni ed i propri risparmi. Obama sembra volermettere fine ad una dissennata politica economica americana tesa ad alimentare un deficit pubblico impressionante, utile a sostenere la potenza militare ma non a puntellare un’economia in crisi, una politica economica in cui erano venute a mancare regole certe per lasciare spazio a speculazioni ed arricchimenti irresponsabili, alimentandonel contempo un non sostenibile indebitamento dei privati. In una economia globalizzata il comportamento degli USA ha contagiato tutti gli altri paesi. I risultati di questa politica economicasono stati dirompenti per gli appartenenti alla classe media, ma non solo negli USA: l’OCSE afferma che l'Italia è tra i paesi dove la differenza di reddito tra ricchi e poveri è più ampia, e considerando i paesi del G7, l'Italia è seconda solo agli StatiUniti. L'Ocse definiscel 'Italia come un paese in cui le differenze di reddito sono particolarmente ampie: i salari di livello basso sono estremamente ridotti mentre i ricchi hanno standard di vita più elevato rispetto a paesi, come la Germania, dove le differenze di reddito sono più limitate ed i salari minimi sono più alti. Secondo l’OCSE «l'unica via sostenibile per ridurre le disuguaglianze» è assicurarsi che le persone siano in grado di trovare e mantenere un'occupazione. Questo significa che «i paesi sviluppati devono sforzarsi molto di più per inserire i cittadini nel mercato del lavoro piuttosto che sostenerli con indennità di disoccupazione o pensioni anticipate». Dunque la strada è stata indicata: investimenti pubblici, aumento degli stipendi più bassi, sostegno all’occupazione, moratoria nei pignoramenti di case, regole chiare per i mercati e, una norma per tutti: meno avidità ed irresponsabilità.

Enrico Tupone
tuponee@alice.it

venerdì, gennaio 16, 2009

Verso una nuova cultura della mobilità urbana

Caro Direttore, lunedì, ore 11 del mattino, spostamento in macchina da Porta Venezia a Porta Milano su Via Dante, cinque semafori ed una attesa per ognuno di almeno due “verdi” prima di muoversi: per circa 900 metri, cinque minuti (10 se fatti a piedi con passo un po’ lesto). Ore 11,45, da Porta Milano, pardon San Luca, a Porta Venezia: più o meno la stessa cosa. Io, che mi do le arie di essere persona “informata”, mi sono ritrovato ad imprecare come molti cremonesi sui lavori in corso su queste due vie e sulla Ztl. Imperdonabile, visto che la Ztl nulla c’entra con quelle lentezze che dipendono solo dalla complessità dei lavori in corso per la rivoluzionaria sistemazione di Via Dante e Viale Trento e Trieste che poi sarà assistita dall’impiego di semafori “intelligenti”.
Per quanto riguarda invece la Ztl, che in verità si tratta solo del suo allargamento rispetto all’esistente, è una esigenza e non uno sfizio se vogliamo che girare per il centro storico sia un piacere e non, come oggi, un mezzo incubo, presi di mira come si è da auto e da bus. Basta guardare a come la gente, sapendo di essere difesa dal traffico, scenda volentieri in strada il sabato e la domenica pomeriggio e, d’estate, il giovedì sera. Se fosse dipeso da me, la Ztl l’avrei estesa a tutta la città della Magna Faseolus, del Grande Vascello: Via Dante, Via Ghinaglia, Via Massarotti, Via Giordano, Via Genala, Via Ghisleri. Mi chiedo spesso perché se fino adesso per la vecchia Ztl non ci sono state grandi critiche, per quella nuova assistiamo ad una levata di scudi. Forse perché la sua gestione con la cittadinanza non è priva di pecche, favorendo timori da parte dei commercianti interessati? Oppure, e mi si scusi per la perfidia, per la vigilanza per il suo rispetto che sarà messa in campo? Oggi, infatti, l’attuale Ztl è controllata per mille motivi solo virtualmente dai vigili urbani. Domani, invece, lo faranno “implacabili” telecamere che riconosceranno chi ne ha diritto e chi cercherà, per non fare qualche passo a piedi in più, di fare il furbo. La verità però, caro direttore, è che il traffico avvelenando la nostra vita quotidiana e la nostra salute. Mi chiedo se tutti sanno che le tanto citate polveri sottili (PM10) per il 49% ce le regala il traffico stradale che però è solo un valore medio e che, quindi, quello del traffico urbano non può non essere che ben più alto! Se i cremonesi sono informati che l’Ue accusa lo smog della Pianura Padana (una delle 9 o 10 “fogne” del mondo) di essere responsabile di una diminuzione della aspettativa di vita per chi ci vive di ben tre anni di vita. E, sempre a proposito di traffico urbano, poco più di un anno fa, ottobre 2007, la Commissione europea ha adottato il suo “Libro verde” dall’emblematico titolo “Verso una nuova cultura della mobilità urbana”. Insomma, dobbiamo convincerci tutti che la realtà ci impone di fare qualcosa per migliorare non tanto il nostro benessere, quanto la qualità della nostra vita quotidiana. Specie se si vive in una città. Un riconoscimento va dato a questa amministrazione di avere realizzato il trasporto gratuito sui mezzi pubblici per gli alunni di alcune scuole in Ztl, provocando però, consapevolmente o meno, la ripresa del dibattito sul vecchio dilemma sul tema “trasporto pubblico o quello privato?”. Bene lo ha compreso, e bene ha fatto a cogliere l’occasione sul suo giornale, il signor d.e., avanzando la sua proposta di estendere a tutti questo servizio. Una idea non nuova, ma non in contrasto con le vigenti disposizioni regionali, perfettamente coerente con le direttive europee in materia di rispetto ambientale, indispensabile per contribuire alla vitale battaglia per l’abbattimento dei gas serra e dell ’inquinamento dell’aria. Una scelta, che richiederebbe una attenta quantificazione dei parcheggi “a corona” (che errore quel parcheggio in Piazza Marconi!). Si dirà, e icosti, visti i tempi? Non sono inavvicinabili. Infatti, dopo qualche ragionamento e l’acquisizione di qualche dato, i costi si aggirerebbero intorno ai 700 mila euro di minori entrate. Bisognerebbe però contare in una logica “full cost” i risparmi in altre spese, come, per esempio, in quelle sanitarie. Domanda che spero retorica: i cremonesi sarebbero disponibili a pagare mediamente 10 euro l’anno a testa per godere meglio della propria bella ed antica città, passeggiando in condizioni di salubrità dell’aria migliori, seppure di poco, rispetto a quella attuale e sperando di riguadagnare la speranza di vivere un po’ di più?

Benito Fiori

venerdì, gennaio 09, 2009

Ancora Ztl. E se i bus fossero gratuiti?

Mi è difficile immaginare la maggioranza dei cremonesi contraria alla limitazione del traffico in centro, contraria alla ZTL e ad una sua naturale evoluzione che dovrebbe, a mio parere, portare ad aree pedonali. L’alleggerimento del traffico è semplice buonsenso, non solo a tutela del centro storico, e quindi del patrimonio architettonico, ma a vantaggio di una maggiore vivibilità per gli “utenti”. Il centro storico è l’anima della Città, la memoria collettiva. Assolve una funzione simbolica di aggregazione e d’identità alla quale si può anche non dare eccessivo valore, ma obiettivamente ha un enorme valore economico per il prestigio dei suoi edifici e la bellezza dei monumenti che esercitano una notevole attrattiva sui turisti. Inoltre il centro storico si identifica con il centro direzionale e culturale, il centro degli “affari” e di molti servizi della città. Esso è frequentato da svariate categorie di cittadini, da chi lo abita a chi lo vive. In primis gli abitanti, poi studenti, liberi professionisti, commercianti, artigiani, impiegati di uffici pubblici e privati, lavoratori in genere. Ancora clienti acquirenti che visitano i negozi anche provenendo da “fuori”; ma anche passanti e turisti che si appropriano, per poche ore, del centro semplicemente per apprezzarlo e per goderne, passeggiando o sostando per un caffè. Un centro meno congestionato è un vantaggio anche per le attività commerciali, lo sanno i commercianti e lo sa Paolo Mantovani, presidente delle Botteghe del Centro che, infatti, non si dichiara contrario alla ZTL e a un’eventuale zona pedonale, ma piuttosto lamenta l’insufficienza di parcheggi. Parcheggi che si sarebbero dovuti prevedere e realizzare. Per questo, allo stesso modo, mi riesce difficile non dare ragione a chi protesta, anche con veemenza, per l’insufficienza di soluzioni tendenti ad evitare che i miglioramenti per la vivibilità del centro si trasformino in gravi disagi per gli abitanti delle zone limitrofe all’area ZTL. Ossia, che i vantaggi dell'interdizione del centro al traffico privato vengano pagati dagli abitanti delle zone circostanti, dove si concentra maggiormente il traffico delle auto e l'inquinamento acustico e atmosferico. E’ questo il problema più difficile da affrontare e risolvere. Tutto sarebbe più semplice e di facile soluzione se utilizzassimo maggiormente i mezzi pubblici e meno le automobili. Ma così non è, non siamo stati abituati, non ci viene naturale, istintivamente saliamo in macchina e con essa ci spostiamo anche per un breve tragitto, innescando tutte quelle problematiche conseguenti che sono connesse alla mobilità, all’inquinamento, all’economia e non ultimo alla nostra integrità fisica. Occorrerebbe un cambiamento generalizzato di mentalità, supportato da efficienti alternative alla mobilità privata.
Un’idea, ovviamente tutta da verificare nella fattibilità, nel rapporto costi/benefici, nell’aspetto legislativo e quant’altro, potrebbe essere quella di rendere il servizio di trasporto pubblico urbano gratuito per tutti. Offrire il trasporto pubblico gratuitamente a tutti potrebbe favorire la propensione a una mobilità più sostenibile. Molti potrebbero trovare ”conveniente” salire sull’autobus anche solo per poche fermate e piano piano abituarsi a salire, scendere e risalire ancora. Il bus come servizio, a nostra misura, da prendere anche per uno spostamento di poche centinaia di metri, quindi comodo e di facile fruizione anche per chi giunge dai quartieri periferici lasciando a casa l’auto. A utilizzarlo con maggiore frequenza oltre gli anziani e i lavoratori, sarebbero i giovani, e questo potrebbe essere l’inizio di una buona abitudine soggettiva che potrebbe diventare “un’educazione” contagiosa. Intuibili tutti i benefici in termini di salute, conservazione del patrimonio monumentale e non solo, di manutenzione, di risparmio di denaro e di tempo, di stress, di vivibilità e di vantaggi per il commercio. Il Comune dovrebbe, certo, compensare i mancati introiti della KM, ma non penso siano cifre esorbitanti, forse più grave per le casse comunali, orfane dell’ICI, sarebbe il mancato introito delle multe. La stessa KM potrebbe impegnarsi a sostituireprogressivamente le vecchie vetture con mezzi più ecologici: alimentati a metano o altro. E’ un’idea che necessita di condivisione e di convinzione, ma perché no?
Hasselt è una città belga comparabile con Cremona, un po’ più grande ma con lo stesso numero di abitanti. Per ciò che riguarda il traffico da alcuni anni ha adottato questo sistema: là il trasporto pubblico è completamente gratuito. Al sindaco e alla giunta di Piazza del Comune verificare le possibilità, la compatibilità con la legge 422/97 e la conseguente fattibilità. Qualcuno incaricato potrebbe prendere contatto con la municipalità di Hasselt, andare a vedere come funziona e studiarne l’esempio. A mio parere può essere una scelta che guarda al futuro nell’interesse, questa volta sì, di tutti i cremonesi.

d.e.