venerdì, marzo 26, 2010

Chiare, fresche e dolci acque

Non sempre, ma la saggezza popolare, nutrita da secoli di esperienza e di condivisione, dice grandi verità. Come quella per cui non si apprezza mai tanto ciò che si ha, quando lo si è perduto. Quando finisce, quando non lo si ha più. E questovale per tutto: nei rapporti umani, nelle cose materiali, nei beni e nelle speranze. Prendiamo l’amore: lo si vive, lo si assapora, lo giochiamo in una partita a volte scherzosa, a volte dolorosa, ma è lì, presente, caldo, rassicurante, quasi scontato, poi un giorno finisce e ci troviamo soli e infreddoliti. Assetati: come quando manca l’acqua. Per millenni abbiamo dato per scontato che l’acqua fosse un bene inesauribile, che le chiare, fresche e dolci acque sgorgassero per l’eternità da rocce e fondali, ma ora non è più così. Una gran parte del mondo è assetata, ma – se le previsioni dicono il vero – lo saremo presto anche noi. 2020? 2050? Cambia poco. Si dice che le prossime guerre saranno per l’acqua. Einstein diceva che non sapeva con che armi si sarebbe combattuta la terza guerra mondiale, ma che conosceva le armi della quarta: arco e frecce. Volete un altro esempio? Il nostro modello di sanità. Il modello universalistico, il welfare, pur “temperato” e convenzionato con il privato. Giustamente siamo pronti a stigmatizzare la malasanità, i disservizi, gli sprechi. Ma il presidente Obama, negli Stati Uniti, ha salutato con un sorriso radioso il voto alla Camera che estende – ma ancora non a tutti i cittadini, si badi bene – la copertura sanitaria (cavilli permettendo). Una svolta epocale, ha detto. Se questo è vero per una grande democrazia come quella statunitense, a maggior ragione dovrebbe rendere orgogliosi noi, che di tale scelta siamo modello. Una volta tanto, l’America è qui da noi. Questo grazie alla grande civiltà di una riforma sanitaria approvata, alla vigilia del Natale del 1978, e condivisa praticamente da tutti i partiti dell’arco costituzionale.
Altri tempi!
P.s. La settimana scorsa sono stato in una
nota Casa di Cura cremonese per un esame
piuttosto fastidioso. Ho trovato nel personale
medico e paramedico una grande, generosa e
confortante umanità. Grazie.

Daniele Tamburini

venerdì, marzo 19, 2010

Venga a prendere un caffè da noi

Abbiamo visto tutti alla Tv gli striscioni dei manifestanti ad Atene:non pagheremo la vostra crisi. Igreci protestano contro il piano di austerità del governo, per combattere una situazione ormai giunta ai livelli di guardia, che preoccupa l’Europa. Ma anchei n Islanda la popolazione protesta contro l’idea di pagare i debiti ereditati dall’affondamento delle banche. E gli spagnoli protestano contro il prolungamento dell’età pensionabile. Il sistema bancario ha giocato sull’ingegneria finanziaria, e alla fine l’economia reale ha presentato il conto: profondo rosso. Ma cosa può fare uno Stato,per non rischiare la bancarotta? Semplice: o aumentare le entrate o limitare le spese. E’ sicuro che una corretta politica fiscale centrerebbe il primo obiettivo, magari anche con una ripartizione più equa del carico. Si dirà che non è facile, ma non lo è neppure la seconda strada. Infatti, chi paga, così? Il rigore sarà pagato dai cittadini: con meno qualità nella scuola, nella sanità, nell’ambiente, nei servizi. Il fatto è che la crisi della finanza privata si è trasformata in crisi della finanza pubblica, e che gli Stati non riescono, non possono, non sanno metterla in conto a chi l’ha provocata. Certamente, le banche non pagheranno il conto in prima battuta: il presidente Obama ha previsto una tassa speciale per le banche, ma in un periodo di dieci anni. In questa fiera dell’irresponsabilità, dell’economia cannibale, come l’ha chiamata qualcuno, cosa resta da fare?
Magari, un Coffee party: il caffè delle persone responsabili. L’idea viene dagli Usa, ed è un movimento che si batte per la partecipazione democratica e l’unità del Paese su alcuni obiettivi prioritari, per risolvere i problemi; in particolare la “cleptocrazia”del capitalismo finanziario di rapina.
E’ un’idea importabile? Il caffè italiano è senz’altro migliore di quello made in Usa… ma la classe dirigente?

Paolo L.

sabato, marzo 13, 2010

Dedicato a me, a te e al Paese

Sapete? Noi abitiamo la terra dove fioriscono i limoni, scriveva Goethe. E un giardino di limoni è il luogo profumato in cui due donne, che appartengono a due popoli in lotta tra loro, stipulano un’alleanza per la vita, contro la violenza: è la trama di un film. Ancora, in un giardino segreto, due bambini e un pettirosso trasformano la storia vuota e arida di una famiglia distrutta in una nuova vita, un nuovo inizio, una speranza: è un libro, degli inizi del Novecento. L’Eden era il luogo in cui Dio creò un giardino. I giardini che verranno dopo, forse, sono tutti debitori del rimpianto di quello, inarrivabile. Il giardino, per poeti e scrittori, è un luogo di pausa, di sussurri segreti, di sottrazione agli affanni della vita quotidiana, di amori appena dichiarati, di vita che scorre insieme alle stagioni. Nel giardini all’italiana, viali e aiuole ordinati geometricamente si accompagnano a grotte, nicchie, anfratti segreti. Le siepi sono sempreverdi, le acque sono incanalate e alimentano le fontane, i colori sono quelli dei fiori. Il giardino all’italiana come metafora di un Paese che vorremmo? Un Paese in cui possano stare insieme regole ed invenzione, fantasia e richiamo alla realtà. Abbiamo avuto un inverno terribile, e i giardini sono ammutoliti, seccati, gelati. Non sappiamo ancora cosa sia sopravvissuto, quali radici siano state danneggiate, quali abbiano resistito, protette dalla terra e dalla cura. Ma già, in qualche arbusto, fanno capolino i germogli. Non si espongono troppo, perché la stagione riserva ancora bufere. E in alcuni alberi sono spuntati i primi fiori. Quei colori e quei piccoli segni verdi, che spaccano i rami, ci dicono che, forse, l’inverno sta finendo.

domenica, marzo 07, 2010

La situazione è grave, ma non è seria

“Guai al mondo per gli scandali!”, sta scritto nel Vangelo. Lo scandalo è l’inciampo, il tranello, l’ostacolo forte alla fede. Potremmo allora dire che gli scandali, nella vita quotidiana, sono un ostacolo alla convivenza civile, al corretto andamento dei rapporti sociali ed economici. Un ostacolo che sembra insormontabile: si solleva un coperchio e, dal vaso di Pandora, escono centinaia di migliaia di euro andate in fumo, spese bizzarre e incomprensibili (i famosi megafoni del G8), regali per “ungere” certi meccanismi, denaro pubblico usato per portare in vacanza la segretaria, e chi più ne ha più ne metta. Ma non solo. Ritardi nelle procedure, strutture lasciate al degrado, ospedali mai funzionanti, carceri mai aperte. Il catalogo è questo: la situazione è grave ma non è seria, direbbe Flaiano. Eppure, non c’è reazione. Ci si potrebbe aspettare una sorta di “rivolta dei giusti”, al di là del colore politico; un movimento di indignazione, un’onda che si solleva per dire basta. Perché questo non accade? Non c’è una spiegazione unica. La paura, certo. Siamo tutti spaventati, dal presente e dal futuro: abbiamo timore di perdere ancora qualcosa, di peggiorare la nostra situazione, di infilarci in un tunnel senza uscita. Ma, soprattutto, si sono smarriti il senso e la forza dell’azione collettiva. Quella che ha permesso le tante conquiste civili, sociali e politiche che oggi diamo per scontate. Il senso di chi agiva insieme ad altri per migliorare le cose, per una prospettiva futura di cui, magari, sapeva che non avrebbe neppure goduto i frutti, ma lo faceva per i figli, per i compagni di lavoro, di fede politica, per il proprio Paese, per l’umanità.
Adesso, è come se ognuno stesse solo con le angosce e le incertezze che i tempi ci portano. È come se non si avvertisse più la responsabilità collettiva verso il posto in cui viviamo, verso la sua storia ed il suo futuro. L'Italia, direbbe ancora Flaiano, è un Paese dove sono accampati gli italiani.

Giulio Branciforte

Gli avrei affidato il mio portafoglio

Si presenta proprio bene: serio, concreto. Maglioncino da lavoro, aria decisa e pratica. Avrebbe detto mio nonno: affiderei anche il portafoglio a Guido Bertolaso. Un uomo che si è sempre proclamato al servizio dello Stato e non dei governi. Percarità, nel nostro ordinamento ognuno è presunto innocente fino a che non sia dimostrata la sua colpevolezza, ma intanto, qualcosa
Bertolaso ha ammesso. Ha detto: “Forse qualcosa mi è sfuggito e mi sono fidato troppo". Beh, ma questa non è una risposta. O meglio, non è una giustificazione. Avere una responsabilità
pubblica può portare a errori, anche commessi in buona fede, ma, senza che per questo si invochi la gogna, chi ammette che gli è sfuggito qualcosa e che si è fidato troppo, dovrebbe trarne le dovute conseguenze. Specie se quello che è sfuggito ha a che fare con appalti per milioni di euro. Specie se ci si è fidati di personaggi che si dicono al telefono cose da far drizzare i capelli.Ciò che si fa con i soldi pubblici richiede una grande responsabilità: che non è di destra o di sinistra. Si chiama coscienza civile, spirito di servizio, onestà. Bertolaso ha detto che il suo potere consiste nello stare tra la gente che soffre, nel fango e tra la neve. Ci si chiede se condividano questo pensiero anche il presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e gli imprenditori indagati, mentre parlavano al telefono di mobili, cellulari, soggiorniin hotel, ristrutturazioni di immobiliprivati e altri benefit. E di donne che, ormai,vengono usate come bustarelle. E chissà cosane pensano quegli imprenditori che ridevanopoche ore dopo il terremoto dell'Aquila, pregustando la montagna di affari.Adesso il Governo ha rinunciato a trasformare la Protezione Civile in S.p.A. Scelta saggia:saranno vie lente e farraginose, ma è bene checontinui il controllo pubblico dei soldi pubblici;ossia i nostri.
Giulio Branciforte

Sempre più isola e sempre meno felice

Tutte le strade portano a Roma, ma non passano più da Cremona. E’ ufficiale: Trenitalia ha soppresso il collegamento veloce tra la nostra città e la Capitale. Lor signori non sentono ragioni. Se vogliamo andare a Roma, in un tempo ragionevole, dobbiamo raggiungere Bologna e prendere l’alta velocità. Come? Con l’autobus! E poco importano la Fiera internazionale, la liuteria, l’agroalimentare... Cremona è sempre più isolata, anche in prospettiva Expo 2015. Già anni fa Trenitalia aveva tentato la stessa operazione, trovando però la resistenza di un fronte politico, economico e istituzionale compatto e determinato che era riuscito a impedire la soppressione. Questa volta, invece, la società che gestisce il servizio ferroviario ha vinto. Ha raggiunto il proprio obiettivo. Complici la rassegnazione e l’impotenza dei nostri?
O piuttosto una mancata capacità di reazione? Così è sembrato.Sono pochi i cremonesi che mediamenteutilizzano il Pendolino, quindi la tratta è antieconomica. E’ con queste parole che Trenitalia si giustifica. Pochi biglietti niente servizio. Quando ero ragazzo, capitava di sentir gridare, dalla carovana che faceva propaganda al circo appena giunto in città: “Venite numerosi, più gente entra più animali si vedono”. Se questa è la logica, non vale però per i malcapitati pendolari che quotidianamente si recano a Milano. Le carrozze sono sempre affollate ma il servizio rimane osceno per puntualità, conforto e pulizia. C’è qualcosa che non torna. Sembra chiaro l’intento di privilegiare l’alta velocità a discapito degli altri collegamenti, con buona pace di che ne subisce il disagio. C’è qualcosa che non va … in questo cielo.

a.b.