venerdì, dicembre 30, 2011

Al peggio non c’è mai fine. Ma ce la faremo

È diventata un’espressione celebre piuttosto recentemente, quando la regina Elisabetta II d’Inghilterra la usò per definire un’annata particolarmente nefasta per la sua famiglia: “Annus horribilis”. Tra parentesi, si intitola così uno degli ultimi libri di Giorgio Bocca, il grande giornalista recentemente scomparso. Ma non userò questa espressione, no. Per un motivo puramente scaramantico: c’è un proverbio che recita “al peggio non c’è mai fine”. Certo che, forse non orribile, ma duro e drammatico lo è stato certamente, questo 2011 che domani ci lascia. La crisi mondiale ha martellato la nostra economia, le nostre produzioni, i nostri servizi, la nostra finanza pubblica, le nostre finanze private. Abbiamo subito manovre su manovre, ci siamo chiesti perché dovevano pagare i costi della crisi solo i soliti noti, perché non si cercasse di stanare, con serietà e rigore, chi non ha mai pagato? Domande – per ora – senza risposta. Abbiamo assistito alla messa in questione di realtà che sembravano rocce intoccabili: l’Europa, l’euro. Per quanto riguarda la scena istituzionale, le Province. Silvio Berlusconi, travolto da una crisi rispetto alla quale dava segnali di impotenza, ha perso la premiership. Le liti tra le forze politiche di maggioranza erano ormai all’ordine del giorno, c’era una frattura insanabile tra il capo del governo ed il ministro dell’economia – con tanto di minacce incrociate, neppure tanto velate. Abbiamo osservato le prime mosse del governo Monti, un governo “tecnico”, appeso ad alchimie parlamentari e sostenuto più dalla paura che dalla convinzione. La Lega si è sfilata e grida, come se avesse passato tutti questi anni all’opposizione. E cosa ha fatto, il governo “tecnico”? Interventi su tassazione, pensioni, eccetera. Ancora non sappiamo niente di preciso sulle – annunciate – misure per la crescita. Ci speriamo davvero. È stato l’anno dello strapotere delle agenzie di rating, dello spread, degli speculatori, e anche del picco della disoccupazione giovanile. È quasi imbarazzante, dire ai propri figli: studia, impegnati, lavora. Pare che lo strapotere dei furbi non abbia limiti, e a chi furbo non è, per convinzione etica o per caso, restano paure e incertezze. I giovani rimangono la speranza per la rinascita di questo paese, ora ancor di più dal momento che rifiutano l’informazione delle Tv e si sono impadroniti della rete. Come nel voto primaverile ai referendum e alle amministrative, eventi che hanno rilanciato la voglia di partecipazione, di far sentire la propria voce; hanno alimentato la speranza di cambiamento. Non solo la speranza: ma la precisa cognizione che, quando c’è da decidere consapevolmente del proprio futuro, la partecipazione politica non è morta, anzi. Forse lo è nelle varie buvette, transatlantici, corridoi dei passi perduti, anticamere dei ministeri, delle istituzioni ad ogni livello: non quando c’è da decidere della nostra Terra, della nostra acqua. E qui giungono altre dolenti note. Anche qui a Cremona, liti nella maggioranza di governo della città. Anche qui, una rottura ormai pare consumata tra Pdl e la Lega cremasca in Provincia. L’occasione, proprio l’acqua. Il Sindaco ed il Presidente della Provincia hanno perso il loro smalto iniziale e ormai, danno l’impressione di navigare a vista. Io, che vengo da una città di mare, faccio loro tanti auguri: non è facile navigare così. L’opposizione, in questo quadro, ha vita più facile. Certo, se non riproduce le mosse “romane” e dei dintorni: qualcuno ha ancora in mano la conta delle varie posizioni, o anime, o correnti che dir si voglia, del Pd? Io ho un po’ perso il filo. Punto. Accapo.
Chiudo con le parole del presidente Napolitano: “Quel che preoccupa è il seminare motivi di sterile conflittualità e di complessivo disorientamento in un Paese che ha invece bisogno di confermare e rafforzare la fiducia in se stesso”.
Auguri di un sereno 2012. Ce la faremo, a dispetto dell’anno bisesto, dei Maya, dello spread e de li mortacci loro.

Daniele Tamburini

venerdì, dicembre 23, 2011

Intervista alla sociologa Chiara Saraceno: «I servizi non sono solo una spesa, ma anche un investimento»

di Daniele Tamburini

La manovra Monti tocca in profondità la vita e le condizioni di molti, ma in particolare delle donne. Un elemento per tutti: l’allungamento dell’età pensionabile. Questo riguarda ovviamente le donne inserite nel mercato regolare del lavoro, mentre a livello generale è rilevante (e lo è soprattutto nel Mezzogiorno) la mancanza di domanda stessa di lavoro, unita alla scarsità dei servizi di cura. E, sempre nel Mezzogiorno, sono concentrate le cosiddette “inattive”, ovvero coloro che non si presentano neppure nel mercato del lavoro. La situazione è molto pesante: ci sarebbe necessità di misure di sostegno, di servizi, di percorsi formativi importanti. Soprattutto, ha scritto Chiara Saraceno, ricadono sulle famiglie italiane tutti i problemi di cui, nella maggior parte dei paesi, si fa carico lo stato sociale: dalla povertà alla dipendenza in età anziana, dalla disoccupazione giovanile alla cura dei bambini piccoli quando la madre lavora. “Il ruolo della solidarietà famigliare, sempre importantissimo nel nostro welfare debole e squilibrato, è uscito indubbiamente rafforzato dalla riduzione dei trasferimenti agli enti locali, quindi delle risorse per i servizi alla persona, così come dalla riduzione dell’offerta educativa della scuola pubblica in termini di contenuti e di tempo. È stato rafforzato anche dal mancato adeguamento del sistema di protezione sociale a un mercato del lavoro flessibile, dove la precarietà e la disoccupazione colpiscono soprattutto i giovani”. Su questi temi, abbiamo rivolto alcune domande alla professoressa Chiara Saraceno. Già docente ordinario di sociologia della famiglia presso la facoltà di scienze politiche di Torino, attualmente è professore di ricerca al Wissenschaftszentrum für Sozialforschung di Berlino. E' stata presidente della Commissione di indagine sull'esclusione sociale dal 1999 al 2001. Dal 2000 al 2001 ha rappresentato l'Italia nel Social Protection Committee della UE. Collaboratrice di “la voce.info”, si occupa di temi che riguardano la famiglia, i rapporti tra le generazioni, i rapporti e le disuguaglianze di genere, la povertà e sistemi di welfare. 
Professoressa Saraceno, tra le conseguenze della crisi e delle risposte predisposte dal Governo, e dai precedenti Governi, ha indubbiamente un peso particolare la situazione delle donne. A loro, infatti, si demanda la cura del cosiddetto welfare familiare, ma precarietà lavorativa, da un lato, e lo spostamento dell'età pensionabile, dall'altro, paiono stringere in maniera sempre più pressante i tempi di vita delle donne. Qual è il suo parere? 
L' innalzamento dell'età pensionistica per le donne, come per gli uomini, dovrebbe essere accompagnata da una riforma degli ammortizzatori sociali che garantisca il reddito a lavoratori anziani che perdono il lavoro e non ne trovano facilmente un altro, specie nella congiuntura attuale. Per quanto riguarda specificamente le donne, dovrebbe essere accompagnata da un rafforzamento dei servizi alla persona. Invece tali servizi, già insufficienti, rischiano di essere ulteriormente ridotti a causa dei tagli dei trasferimenti agli enti locali. Occorrerebbe pensare che i servizi non sono solo una spesa, ma anche un investimento: creano domanda di lavoro, consentono alle donne di stare nel mercato del lavoro e sono un fattore di equalizzazione delle opportunità per i bambini e le persone non autosufficienti».
Si fa spesso riferimento all'Europa, per dire che era necessario riallineare, per esempio, i tempi delle pensioni. Ma qual è, in realtà, il quadro dei servizi europei per le donne e per le famiglie?
«Il quadro europeo è molto differenziato. Ma possiamo osservare che l'Italia ha uno dei congedi genitoriali meno generosi, specie dal punto di vista della remunerazione, e un tasso di copertura offerto dai servizi per la
prima infanzia tra i più bassi in Europa, anche se con forti differenze territoriali. In ogni caso l'Europa, con l'agenda sociale per il 2020 e anche con la famosa lettera di quest'estate, ci chiede di sostenere l'occupazione femminile anche con misure di conciliazione».
Le donne, comunque, sanno esprimere una grande forza, anche e soprattutto in tempo di crisi. Ma a questa forza va dato spazio e voce. Possiamo pensare, non diremmo in termini ottimistici, ma comunque che la forza delle donne e la loro capacità di creare legami e relazioni possa essere una strada per uscire dal tunnel?
«Non condivido una visione salvifica delle donne. Penso che avere molte più donne nei posti dove si decide arricchisca i punti di vista, le prospettive, gli interessi di cui tenere conto, modificando posizioni cristallizzate e unilaterali. Ma anche tra le donne ci sono posizioni e punti di vista

Il potere politico è arrogante quando vuol convincere che l’interesse di pochi corrisponda all’interesse di tutti

La ministra Fornero ha scoperto che, in Italia, si guadagna poco. E male. Siamo, sotto questo aspetto, al 22° posto nella classifica dei 34 Paesi industrializzati. In compenso, “godiamo”, si fa per dire, di un alto prelievo fiscale e contributivo, di almeno 11 punti superiore rispetto alle medie OCSE. Non male. Ci dicono che è alto il costo del lavoro per unità di prodotto: cioè, esiste un grave deficit di produttività. Non siamo competitivi. Ed è qui che si dovrebbe, ci dicono ancora, intervenire per favorire la ripresa. Intervenire sì, ma seriamente. La parola “serietà”, però, non trova casa tanto facilmente qui da noi. Qui da noi in Italia, qui da noi a Cremona. Facciamo un esempio: è serio che si voglia proseguire imperterriti sulla strada della società mista per la gestione dell’acqua? Scusate, forse ci ripetiamo, ma non c’è stato un referendum che ha detto no, l’acqua deve essere pubblica? Non si scherza con la democrazia. Il potere politico diventa arrogante, quando non rispetta le scelte popolari; quando se ne infischia delle maggioranze, quando vuol convincere che l’interesse di pochi faccia l’interesse di tutti. Il fatto è che le persone brave nel riuscire a far credere, sono poi quelle che eleggiamo. Quelli meno bravi si riconoscono subito: basta osservarli con attenzione. Come certi sindaci che, costretti per dovere di appartenenza politica a schierarsi a favore della gestione mista, una volta intervistati, non riescono a nascondere il proprio imbarazzo. Il presidente Salini invece è molto bravo, e nell’intervista che pubblichiamo, prende spunto dal forte ridimensionamento delle Province – quasi una sparizione – previsto dalla manovra Monti, per dire: le risorse pubbliche, ormai, sono talmente scarse, che è impensabile pensare alla gestione pubblica di beni e servizi. Sono talmente scarse che – pare si possa leggere tra le righe – è inevitabile che certi enti spariscano, e venga favorito, in taluni casi, il privato. Non siamo d’accordo. Io non ho visto grandi vantaggi nella privatizzazione dei servizi pubblici. Voi? Noi tutti speriamo, invece, che la crisi e l’assenza di risorse possano risolversi per il meglio ed è per questo che tenacemente lavoriamo e ostinatamente ci impegniamo con tutte le nostre energie. Le ferite alla democrazia, quelle no, non si risolvono. E’ ora di dire basta.
Buon Natale a tutti.
Daniele Tamburini

venerdì, dicembre 16, 2011

Intervista a Maurizio Landini, segretario generale della Fiom: «Bisogna intervenire sulle ragioni che hanno determinato la crisi» «Colpiti quelli che la crisi la pagano da sempre»

di Daniele Tamburini 
Signor Landini, una domanda sulla manovra Monti: la Cgil, ma anche le altre sigle sindacali, dicono che, ancora una volta, pagano i soliti noti. Vuol spiegarci perché ?
«La manovra decisa dal Governo di Monti colpisce i soliti noti, quelli che la crisi la pagano già da anni. Abbiamo assistito da tempo ad una redistribuzione senza precedenti della ricchezza a danno di chi lavora. Se chi lavora onestamente è povero, non arriva a fine mese, vuol dire che l’ingiustizia sociale ha raggiunto limiti intollerabili. In più c’è tutto il problema dei giovani e del lavoro precario. La manovra non affronta i problemi e i motivi che hanno determinato questa crisi, è fortemente iniqua perché fa cassa andando a colpire le pensioni, i redditi da lavoro. Inoltre ha un effetto depressivo, che non rilancia i consumi interni e, quindi, la produzione. E, intanto, la cassa integrazione aumenta, come anche il numero di aziende che chiudono. Io credo che non ci fosse bisogno di fare questo disastro. Sono totalmente contrario, perché dire che si cancellano le pensioni di anzianità e che uno dopo 41 anni di lavoro non ha diritto di andare in pensione e se ci va viene penalizzato, credo che sia un cosa che non sta in piedi.
Quali altre misure potrebbero essere adottate?
«Bisogna ricostruire una giustizia sociale che è venuta meno. Anche nell'emergenza, il Governo poteva fare altre scelte. Chi impediva di istituire una patrimoniale, di far pagare di più a chi possiede di più, di affrontare con durezza l'evasione fiscale, di ridurre gli stipendi dei parlamentari e dei manager? E’ normale varare una manovra così pesante e, contemporaneamente, dare a Guarguaglini una buona uscita di 5,5 milioni di euro? E’ il momento di far pagare chi non l’ha mai fatto. Secondo i dati ufficiali, nel nostro Paese l'evasione raggiunge i 120 miliardi di euro. La manovra del Governo è recessiva e non mette in campo azioni che siano in grado di mettere al centro l’obiettivo del lavoro, dell’occupazione e di un nuovo modello di sviluppo».
Veniamo nello specifico al suo comparto, cioè la Fiom, e la lotta, che oramai dura da tempo, contro il cosiddetto "modello Marchionne", imposto dalla Fiat. Lei dice: i diritti dei lavoratori e i diritti sindacali non sono comprimibili. Marchionne è uscito da Confindustria, ha disdettato il contratto in essere e minaccia, nei fatti, di lasciare l'Italia. Come è possibile uscire da questa impasse?
«L’estensione del modello Pomigliano a tutto il gruppo Fiat e ai suoi 86mila lavoratori rappresenta un attacco
ai diritti, alle libertà e alla democrazia perché sancisce la cancellazione del Contratto nazionale e l’esclusione della Fiom-Cgil, il sindacato maggiormente rappresentativo in Fiat e in tutto il settore manifatturiero, dal gruppo. Non è l’azienda che può scegliersi il sindacato, sono i lavoratori che si scelgono i loro rappresentanti. Il tutto avviene senza aver ricevuto alcun mandato dai lavoratori. Nessuno ha chiesto ai dipendenti dell’Iveco, della Ferrari, della Maserati se volevano uscire dal Contratto nazionale e peggiorare le
loro condizioni. Inoltre, Fim e Uilm hanno ceduto al ricatto della Fiat, accettando di ridursi a sindacati aziendali e corporativi, abdicando così alla loro storia di sindacati confederali. Pensiamo che il Governo non possa stare a guardare perché l'accordo non dice nulla degli investimenti nel più grande gruppo industriale del nostro Paese e perché mette in discussione le libertà sindacali garantite dalla Costituzione. Con questa manovra, così come sta facendo la Fiat, non si affronta il problema della crescita e degli investimenti. La Fiat sta cancellando i contratti, non fa investimenti, aumenta la cassa integrazione e chiude stabilimenti».
Come vede il futuro del nostro Paese?
«Tutti gli esperti dicono che il 2012 sarà un anno peggiore di questo. Bisogna intervenire sulle ragioni che hanno determinato la crisi, ripensare un nuovo modello di sviluppo che sia sostenibile sia sul piano sociale che ambientale. Ripensare sia le produzioni, che il prodotto. In questi anni le imprese per anni hanno usato i profitti per fare speculazioni e non investimenti. E’ necessario invertire questa tendenza puntando sullo sviluppo e sulla ricerca, anche partendo dall’Università. Inoltre, è fondamentale rimettere al centro il contratto nazionale come elemento di unità e di tutela, anche delle stesse imprese. Altro punto fondamentale è ripensare il sistema del welfare, combattendo la precarietà. Altrimenti, la competizione si giocherà sulle
condizioni di lavoro invece che sulla qualità dei prodotti».

Non chiedete a Monti una politica di sinistra.

Il governo Monti ha fatto presto, specie se si considerano i tempi della politica italiana: nonostante le proteste, le sconfessioni, i veti incrociati, la manovra è stata partorita e presto sarà presentata per il voto in Parlamento, forse con la fiducia. Nel frattempo, ne abbiamo sentite di tutti i colori. Alcune cose le capisco: per esempio, è ovvio che i sindacati condannino quella parte, che è davvero pesante, riguardante gli interventi sulle pensioni. Loro fanno il loro mestiere, che è quello di tutelare chi lavora. E anche Monti fa il suo mestiere, che è quello, in questo momento, di rimettere insieme i cocci di un’Italia messa proprio male. A questo proposito, mi viene in mente Manzoni che parlava della misera sorte di un vaso di coccio stretto tra vasi di ferro; ma se un vaso di coccio urta contro altri, fatti di altrettanto coccio, il risultato è lo stesso: va in frantumi. Fuor di metafora, se in Europa non ce n’è uno che stia davvero bene, questo però non vuol dire che mal comune faccia mezzo gaudio, anzi. E il mestiere di Monti, intanto, non era e non poteva essere quello di fare riforme epocali, ad esempio la patrimoniale. Alcuni mi dicono: ”Monti mi sta deludendo, dovrebbe essere più duro e intransigente… “Intanto, Monti risponde ad un Parlamento che è sempre quello, votato dal Paese, espressione di realtà sociali, economiche e politiche ben precise. Non chiedete a Monti di fare una manovra di “sinistra”, non è la persona giusta. Se mai i partiti di sinistra dovessero vincere le prossime elezioni, a loro dovrete chiedere. Ripeto: la maggioranza degli italiani ha votato questo parlamento, e Monti deve ovviamente tenerne conto. Ma, se il mandato popolare è sacrosanto, allora lo deve essere in tutti i campi e in tutti i pronunciamenti. Se un referendum molto partecipato si è espresso chiaramente contro la gestione privatistica dell’acqua, vorremmo dire al presidente Salini che non è molto corretto, forse, cercare di aggirare tale scelta, chiara e univoca. Si adombrano già sospetti: “A chi giova?” E dunque, a ciascuno il suo: a Monti le misure da presentare ad un Parlamento che, fino a pochissime settimane fa, sosteneva il centro destra di Silvio Berlusconi, a Salini il compito di rispettare le scelte del popolo sovrano e di 102 sindaci.

Daniele Tamburini

venerdì, dicembre 09, 2011

La manovra in pillole… anzi, in supposte

“Gli italiani capiranno”. Certo che capiscono, presidente Monti. Capiscono, e pagano: qualcuno di più, qualcuno di meno, mentre, ancora in troppi, non pagano affatto. Gli italiani capiscono da tanto tempo. Intanto, lo spread rimane altalenante. Ha detto ancora Monti: “I mercati sono delle bestie feroci utili, ma sbilanciate... Dobbiamo domare i mercati, non demonizzarli”. Ci chiediamo, a questo punto, se in prima linea come domatore debba starci, tanto per fare un esempio, chi ha lavorato una vita e magari percepisce oggi 1.400 euro di pensione, e vede bloccato il meccanismo di rivalutazione. Davvero uno spettacolo plastico: da una parte i mercati mondiali della globalizzazione, dall’altra, il piccolo pensionato da 1.400 euro il mese, con cui, spesso, aiuta figli e nipoti. Magari anziano e un po’ malandato. Non è male. Intanto, la manovra ha risuscitato l’unità sindacale: sono annunciate ore e giornate di scioperi unitari. È ovvio: comunque la si pensi, la stretta sulle pensioni comporta sacrifici durissimi. Ci sono uomini e donne che, da un giorno all’altro, si trovano a dover andare in pensione ben cinque anni dopo quanto avevano previsto. Non è poco. Lo dico io che, da questa manovra forse, ne avrò un piccolo vantaggio venendo meno quella che era definita “la finestra”. Si sa, soprattutto per le donne è dura: siamo in Italia, sappiamo bene come vanno le cose, sono le donne a sostenere il peso maggiore di figli, anziani, lavoro domestico eccetera. Sarà durissima. Certo, Monti non ha una maggioranza parlamentare sua, e Berlusconi è sempre lì, con tutti i suoi pesanti veti, soprattutto sulla patrimoniale: ma le spese per i caccia F35 e lo scandalo delle frequenze digitali TV, che valgono 16 miliardi, ma che vengono in pratica regalate, su questo forse, si può provare ad agire magari dicendo a chi protesta: “Abbiamo già dato, hai già avuto”. Invece, torniamo all’immagine iniziale: pensionato vs mercati. E l’elusione? E la corruzione? A proposito di corruzione: brutta storia quella della discarica di Cappella Cantone; attendiamo che la giustizia faccia il proprio corso… fino in fondo. Tornando alla manovra certo, come scrive il professor Manasse, non potevamo pretendere che, in diciotto giorni, Monti facesse ciò che i governanti, Berlusconi in testa, non hanno fatto in diciassette anni. Il giudizio finale sulla manovra? Dipenderà dai risultati. Intanto, per la supposta, conviene stare molli.

daniele.tamburini@fastpiu.it

«La patrimoniale? Ora è tardi» Pietro Modiano, presidente di Nomisma: «Sarebbe stata efficace se adottata in maniera preventiva»

di Daniele Tamburini
Metter i conti in ordine: è una priorità. Ma, soprattutto, è fondamentale far ripartire la crescita, del prodotto e della produttività. La manovra del governo Monti va in questa direzione? Le “lacrime e sangue” che contiene, saranno efficaci? Lo abbiamo chiesto all’economista Pietro Modiano.
Modiano ha ricoperto incarichi di vertice in istituti e fondazioni bancarie e, dallo scorso anno, è presidente di “Nomisma”, società di studi economici che ha sede a Bologna, fondata nel 1981 da Nerio Nesi e Francesco Bignardi, allora presidente e direttore generale di BNL, i quali affidarono a Romano Prodi il compito di organizzarne scientificamente il lavoro di ricerca. Nel corso degli anni, “Nomisma” si è affermata come un’esperienza di punta nel campo della ricerca economica e sociale, capace di una visione interdisciplinare che contempli in modo ampio e organico la complessità delle questioni economiche del nostro tempo. Un vero “think tank”, fucina di professionalità e talenti di eccellenza. Pietro Modiano ha lanciato pubblicamente, mesi fa, con molta determinazione, l’idea di una imposta sui grandi patrimoni: una soluzione strutturale, che andrebbe a toccare la parte più abbiente della società, con un impatto recessivo molto modesto ma capace di dare una forte spinta positiva al rapporto debito-Pil. Ma la patrimoniale, anche nell’emergenza, non è entrata nell’agenda del Governo. Su questo, e su altri temi all’ordine del giorno, abbiamo rivolto alcune domande al dottor Modiano:
Vorrei partire da un elemento presente nel nome della società che presiede, evidenziato sulla pagina web: “Nomisma” – scrivete – è parola che, nel greco antico, indica il valore reale delle cose. Qual è il valore reale delle cose, oggi, nel nostro Paese? Fuor di metafora, quali sono gli elementi ancora sani, robusti, concreti, a cui appellarci per far fronte alla crisi?
«Una su tutte, la manifattura italiana, a differenza di quanto comunemente si pensi. Essa negli ultimi dieci anni ha retto molto bene la concorrenza, se non della Cina sicuramente di tutti i concorrenti europei più diretti, mantenendo su un buon livello la propria quota di mercato rispetto agli altri paesi: basti pensare che siamo secondi solo alla Germania, che aveva imposto una manifattura di grande successo. Ha retto bene alla trasformazione dei modelli di competitività, e continua a dimostrare una grande vitalità. Un settore, dunque, che per noi rappresenta un punto di forza significativo, che si trasforma continuamente nello sviluppo della qualità.»
Il governo Monti è una innegabile rottura con il passato recente. Dopo settimane di incertezze e forti tensioni, ora viene proposta una manovra sulla quale la discussione è accesa, ma che pare incontrare apprezzamento in Europa, nelle Borse e sui mercati. Le critiche, soprattutto dalle parti sociali, si concentrano sulla scarsa equità della manovra stessa, che tocca pesantemente, tra le altre cose, le pensioni, quindi il sistema del welfare. Lei cosa ne pensa?
«Premettiamo una cosa: stiamo parlando di una manovra che pesa per meno di due punti sul Pil. Certo, è notevole, ma ne abbiamo viste di peggio, anche recentemente. Il problema di questa manovra è, appunto, che va ad aggiungersi alle altre due ancora più restrittive, che si sono susseguite quest’anno. L’equità è un concetto fondamentale: una manovra per quanto restrittiva non deve essere troppo pesante, e i sacrifici devono essere distribuiti in modo equo, e questo aspetto mi sembra rispettato, in particolar modo per quanto riguarda la tassa sui capitali che hanno usufruito dello scudo fiscale, da un lato, e la rinuncia all’aumento dell’addizionale Irpef, dall’altra. Scelte che dimostrano che non si può penalizzare solo chi paga le tasse. Naturalmente, è ovvio che per recuperare 21 miliardi aggiuntivi la manovra deve colpire un po’ tutta la società. Nel complesso, sono convinto che questa squadra di governo sia attenta e tempestiva, e abbia i numeri per lavorare bene.»
Veniamo al tema dell’imposta patrimoniale, che lei ha lanciato. Come mai, pur in presenza di molte voci a favore, lo stesso Monti non ha voluto o potuto inserire una patrimoniale come quella da lei delineata? Parafrasando il titolo di un film, chi ha paura della patrimoniale?
«In realtà le voci a favore sono state poche, molte più quelle contrarie. Sulla base di motivazioni anche serie, devo dire, come ad esempio il fatto che una patrimoniale una tantum avrebbe potuto creare un effetto recessivo. A questo proposito avevamo provveduto a conteggiare i possibili effetti, e la recessione sui consumi sarebbe comunque stata limitata. Capisco comunque la prudenza di chi governa. Ricordiamo anche che una misura simile sarebbe stata tanto più efficace quanto preventiva. Infatti ne avevo parlato a luglio, quando lo spread era a 200 punti: in quella situazione sì che sarebbe stata una misura efficace, per togliere benzina dalla speculazione e permettere di fare le riforme con un po’ di tranquillità. Fatto invece nel fuoco della speculazione, un provvedimento del genere sarebbe stato più rischioso che efficace, tanto più che il problema da un livello puramente italiano si è nel frattempo spostato su un piano europeo. Aggiungo infine che un’imposta patrimoniale fortemente progressiva richiederebbe una disponibilità di dati non facile da costruire».
Lei ha recentemente dichiarato che il Paese ha bisogno di luoghi in cui le competenze si uniscano, si aprano alle novità e che ciò si traduca in azioni per le imprese, per le comunità locali e per la politica nazionale. Le misure previste dalla manovra vanno in questa direzione?
«In realtà questo non sarebbe compito della politica, ma delle classi dirigenti, che dovrebbero prendersi questa responsabilità. In questi anni ci sono mancati i luoghi di decisioni asettici e non partigiani sul futuro del Paese. Questo ha contribuito a creare leggende metropolitane come il fatto che la manifattura italiana fosse destinata a scomparire. O l’assenza di previsioni di lungo periodo sulla finanza pubblica. Temi su cui la mancanza di una riflessione scientifica e condivisa ha creato solo problemi. La speranza, ora, è che sia finita quest’epoca di contrapposizione frontale, che non serve a niente. Ora quello che occorre al Paese sono reazioni condivise. Un passaggio che l’Italia ancora non ha fatto, e fatica a portare avanti, come invece è accaduto in molti altri paesi che, usciti da un periodo traumatico, hanno saputo creare una politica condivisa. L’Italia è ancora sprovvista di istituzioni gerarchiche e grandi poli in cui la società civile possa riconoscersi».
I talenti compressi e ignorati dei giovani sono uno dei problemi più gravi del nostro Paese. Che ne pensa?
«La situazione è grave. Il rischio è che almeno un paio di generazioni potrebbero non avere voce in capitolo sul futuro del Paese. L’allungamento dell’età pensionabile, del resto, non favorisce certo l’ingresso delle giovani generazioni nel mondo del lavoro. Anche la graduale scomparsa delle grandi imprese pubbliche e private riduce le possibilità di un giovane di fare carriera, in quanto nelle aziende piccole la carriera è qualcosa di molto ridotto».
Vi sono soluzioni a questa situazione?
«Purtroppo è una malattia complessa, e come sempre in questi casi non vi sono ricette semplici. Servirebbe una classe dirigente più aperta ai giovani, e un paese che ricominci a crescere, creando istituzioni riconosciute a livello internazionale. Bisogna motivare queste generazioni a restare nel nostro Paese. La frammentazione di tutto in piccole cose, come accade in Italia, è nemica della meritocrazia e riduce la capacità di ripresa sociale e il dinamismo».
Dottor Modiano, le faccio la stessa difficile domanda che ho rivolto a tutti gli intervistati: il nostro Paese ce la farà?
«Il Paese ce la sta già facendo. Siamo usciti ancora una volta da una situazione che sembrava senza sbocchi, e abbiamo trovato la strada della coesione nazionale e della consapevolezza complessiva. Naturalmente siamo solo all’inizio, ma ora un po’ di ottimismo mi sento di esprimerlo, cosa che invece qualche mese fa avrei detto impossibile. Il passo successivo sarà tradurre questa coesione nazionale in energia per lo sviluppo collettivo. E non sarà facile».

sabato, dicembre 03, 2011

LA CRISI COME POSSIBILE VOLANO DI CAMBIAMENTO? Intervista a David Benassi, docente di sociologia dell’Università Bicocca

di Daniele Tamburini
C'è crisi e crisi. Ci sono le cosiddette crisi di crescita, quelle che fanno da possibile volano ad una ristrutturazione, ad una revisione, ad un nuovo percorso. D’altronde, il senso originario di “crisi” lo si riscontra proprio nelle azioni del giudicare, del discernere, del valutare e, quindi, del separare. In una crisi è importante separare il grano dal loglio, cogliere ciò che è essenziale e ciò che è superfluo, datato, quando non dannoso. Ma la crisi può innestare, viceversa, un meccanismo depressivo, di blocco e desolazione. È a questo che dobbiamo reagire, cogliendone le potenzialità positive. Ma in quale modo? Lo abbiamo chiesto a David Benassi, docente presso la facoltà di sociologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Professor Benassi, la crisi ha aperto scenari per alcuni versi inediti. Mesi fa non era raro ascoltare interventi che sostenevano una tesi: non tutto il male viene per nuocere, la crisi impone di ripensare i rapporti di produzione, le relazioni sociali, le abitudini familiari, rinunciando a sprechi e fasti, tornando alla sobrietà ed alla misura. Secondo lei, c’è del vero? E ci sono segni dell’inversione di tendenza?
In effetti in passato alcuni grandi mutamenti sono stati favoriti, se non causati, da momenti di profonda crisi:
in un certo senso è come se nelle fasi di crisi venisse "sterilizzato" il potere dei gruppi sociali interessati al mantenimento dello status quo. La costruzione del welfare state britannico dopo la seconda guerra mondiale fu ispirato dal famoso rapporto Beveridge, a sua volta chiara espressione del clima sociale creato dalla partecipazione della popolazione inglese alla seconda guerra mondiale. Per venire all'Italia, la riforma della sanità nel 1978 o le straordinarie manovre di risanamento fiscale dei primi anni '90 furono possibili grazie a situazioni di grave crisi sociale economica. La crisi attuale potrà essere un momento di rinnovamento della società italiana nel momento in cui verranno eliminate le numerose iniquità e asimmetrie sociali diffuse a tutti i livelli. In particolare, molti gruppi sociali godono di rendite di posizione ereditate decenni or sono che non hanno più alcuna ragion d'essere, e che anzi soffocano le capacità di rinnovamento sociale, economico e culturale. Eliminare queste rendite di posizione è il primo e più importante passo che è necessario fare, e
che la crisi in effetti può favorire. 
Altro tema da ripensare: il ruolo delle istituzioni e dei partiti. Partiamo dalle prime sembrano messe sotto scacco, in tutta Europa e non solo, dai movimenti dei mercati, del capitale finanziario, dalle agenzie di rating, che dettano l’agenda ai Governi..
Sicuramente la sovranità nazionale come era intesa nel '900 è sotto pressione da parte di spinte sovranazionali molto forti: lo stesso tentativo di costruire un'entità politica europea alla quale io singoli Stati hanno delegato alcune delle proprie prerogative può essere visto come un tentativo di costruire un soggetto politico più forte per resistere a queste pressioni. Anche in questo caso, personalmente non penso che sia necessariamente negativo: si indebolisce la capacità delle strutture statali di controllare i propri cittadini, i quali possono aprirsi a influenze politiche e culturali più ampie. E' però anche vero che l'"anarchia" del sistema, cioè la difficoltà a regolare alcuni processi globali, tende a crescere, con possibili rischi di degenerazione di fenomeni destabilizzanti. Il contagio del collasso finanziario da un paese all'altro, in assenza di istituzioni sovranazionali sufficientemente forti in grado di intervenire, è un esempio evidente di questi rischi.
Invece, cosa sono i partiti, oggi?  Una cosa pare emergere: i partiti non sembrano più in grado di esprimere, o di mediare, ciò che si muove a livello profondo nella società. Non a caso, gli “indignados” cercano altri veicoli di espressione. Lei cosa ne pensa?
Il partito è una forma di organizzazione e rappresentanza degli interessi che ha svolto una funzione determinante, in Italia come negli altri paesi democratici, fondamentale soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Mi sembra altrettanto chiaro che è oggi del tutto inadeguato ad aggregare una domanda di rappresentanza sempre più frammentata e mutevole. Almeno nella loro forma classica, credo non abbiano un grande futuro. Vedo però anche il rischio della deriva demagogica di movimenti puramente di protesta, che non hanno quindi una capacità di elaborazione di una proposta politica profonda e operativa. Non sono molto ottimista sulla capacità delle strutture democratiche di rinnovarsi profondamente, ma mi auguro che in qualche modo ci si riesca.
Le rivolgo una domanda difficile: ne usciremo?
Ne usciremo sicuramente, ciò che è importante è vedere come ne usciremo. Il rischio è quello di un declino più o meno lento (che per altro a mio parere è iniziato da tempo) che metta ai margini del mondo dinamico e ricco. Spero che si riesca a innescare un rinnovamento che apra spazi di azione a favore delle generazioni più giovani. Mi sembra infatti evidente che le spinte al rinnovamento possano arrivare solo da coloro che non hanno interesse al mantenimento dello status quo. I giovani fino ad oggi hanno sopportato tutti i costi di questa situazione, non c’è che da augurarsi che riescano ad occupare posizioni chiave nella politica, nell’economia e nella società in generale. Solo così, a mio parere, sarà possibile immaginare un’Italia nuovamente in crescita.

venerdì, dicembre 02, 2011

2012, avevano ragione i Maya?

L’altro giorno ho fatto mente locale: siamo quasi nel 2012. Già 15 anni fa avevo letto un libro sull’ipotetica fine del mondo legata al compimento del calendario Maya. Mi viene da sorridere. Vi ricordate? Pagine di giornale dedicate a questa annunciata Apocalisse, serie opinioni di sociologi, massmediologi, religiosi, e fantasie varie di maghi e studiosi dell’occulto. Chi avrebbe potuto pensare che saremmo arrivati non dico alla fine del mondo, ma insomma, ad una modificazione talmente profonda della realtà a noi consueta, tale da poter sembrare davvero una piccola fine del mondo? Ma davvero, citando una canzone ripresa dal Liga, è la fine del mondo per come lo conosciamo? Siamo a rischio recessione ammonisce, oggi, il neo ministro Corrado Passera. E noi cosa percepiamo, quotidianamente? Una forte contrazione dei consumi, stili di vita obbligatamente diversi, derivanti dalla notevole diminuzione di denaro in circolazione. E, a livelli più alti? La finanza, le banche, le agenzie di rating che sembrano dominare anche sull’azione stessa dei governi. Ci si pongono ormai domande sul senso stesso delle parole democrazia e rappresentatività. L’Europa che non dà una grande prova di sé, e giungono al pettine molti nodi strutturali: avere un Parlamento europeo non è sufficiente, se questo non riesce ad esprimere un vero livello di governo. Allora, che cosa ci aspetta: esplosione o implosione? Una saturazione tale di rabbia e difficoltà che porterà a piazze in rivolta, o un lento affievolirsi, un declino triste, come quello di una stella supernova che si spegne? Ben poco di stellare si vede invece, in questi giorni, nella vita politica di Cremona: anche qui, esplosione o implosione? Crisi in Comune, uscita della Lega dalla maggioranza, il gran finale col botto, cioè le elezioni anticipate, o un lento continuo affievolirsi delle funzioni di governo locale, sempre sul filo del rasoio, il trascinarsi fino alle prossime amministrative? Si sta come d’autunno, sugli alberi le foglie.