giovedì, dicembre 24, 2015

La vita non è guerra continua

Il Natale, per chi è credente, segna il
momento in cui Gesù Cristo, fattosi uomo,
porta la salvezza della fede al genere
umano e annuncia la buona novella.
E’ il momento in cui si celebrano la nascita
e l’amore materno; è un’occasione di
riconciliazione. La nascita del bambino viene
salutata da un gloria a Dio nell’alto dei
cieli e un augurio che ciascuna donna e ciascun
uomo, al di là della fede, può fare proprio:
“pace in terra agli uomini di buona
volontà”. Questo è il grande messaggio del
Natale. Riflettere su questo semplice, bellissimo
messaggio ci porterebbe a sentirci
“meno in guerra” con gli altri, a riscoprire i
valori fondativi della vita: l’amore, la famiglia,
il senso di comunità, il rifiuto della violenza.
La guerra e la violenza
non sono inevitabili, anche se ci
toccano ormai da vicino. E allora,
iniziamo dal non fare uso
spropositato ed eccessivo di
parole di guerra. Non sentiamoci
sempre “in trincea”, pronti ad una “battaglia”,
certi della “sconfitta” altrui e della
“vittoria” propria. La vita non è guerra continua:
l’altro – che può essere chiunque si
trovi sulla nostra strada - non va comunque
“combattuto” o “guardato con sospetto”.
Dal giorno di Natale, vicino al solstizio di
inverno, nasce una nuova luce: cerchiamo
di essere pronti a coglierla, per una volta
disarmati, accoglienti, attenti. Buon Natale
a tutte e a tutti.

sabato, dicembre 12, 2015

L’aria è sporca, non solo per lo smog

Banche inaffidabili, controlli inconcludenti. A
quanto ammonta Il fiume di denaro versato negli
anni a tutte le banche, in Italia e in Europa? A
cosa è servito e soprattutto dove è finito? Un
esempio per tutti (i dati sono del Sole 24 ore): dal 2008
al 2014, gli aiuti di Stato concessi alle banche in Europa
sono stati pari a 800 miliardi di euro spesi e 330 recuperati,
con un disavanzo pari al 4,7% del PIL complessivo.
Una follia, una vergogna. Dove sono andati? Nelle tasche
di chi sono finiti? In questa operazione, pare che le banche
italiane registrino un sostanziale pareggio tra le entrate
e le uscite di Stato: ma come la mettiamo con le
notizie di questi giorni? Chi pagherà questi conti? Qualcuno
li ha già pagati, e salati: per esempio, quel povero
signore, pensionato, che si è ucciso perché aveva visto
svanire in un sol colpo i risparmi di una vita, dopo il default
di Banca Etruria (e la Procura ha aperto un fascicolo
per “istigazione al suicidio”). Sapete, può anche capitare
che, per ottenere un fido, ti facciano
sottoscrivere l’acquisto di obbligazioni della
stessa banca, obbligazioni che, oggi, sono
diventate un investimento ad alto rischio.
Alcune persone ne sono consapevoli, ma
molti risparmiatori non vengono informati
adeguatamente, è la stessa Bce a dirlo. Quando finirà
questo andazzo, per cui paga sempre e comunque chi è
alla base della piramide? Quando potremo di nuovo fidarci
di stare in questo mondo senza temere, a ogni piè
sospinto, di essere truffati, e non dal pataccaro per strada,
ma da istituzioni che dovrebbero essere specchiate?
Quando avremo un governo che si preoccupa di come
sta la gente comune, la gente che combatte quotidianamente
con una crisi che, nonostante i proclami, continua
a colpire duro? Quando torneremo a investire su cose
vere, concrete, durevoli, e non su bolle finanziarie piene
solo di aria sporca?

sabato, dicembre 05, 2015

La fretta che l’onestade ad ogn’atto dismaga

Giusto per sorridere un po’, una volta tanto: l’avete sentita
quella della targa alle biciclette? Il fatto è che non
si tratta di una barzelletta, anche se il contenuto della
storiella è stato più volte rimaneggiato. E’ accaduto
che, nei giorni scorsi, un senatore, tal Marco Filippi, mio conterraneo,
tra l’altro abbia parlato di un emendamento alla riforma
del codice della strada, per cui si prevedevano la targa e il
bollo anche per le biciclette. Ovviamente, è scoppiato un putiferio:
l’Italia è ancora un Paese di ciclisti, che sono insorti. Non
solo, si è scatenata una ridda di battute: a quando la targa ai
tricicli, ai camion giocattolo e, perché no, ai pattini a rotelle?
Puntuale è poi giunta la smentita, almeno parziale: il senatore
ha giurato di non avere mai pensato cotanta mostruosità, ma
solo di prevedere la targa per “le biciclette e i veicoli a pedali
adibiti per il trasporto a pagamento, pubblico o privato, di persone”.
Di nuovo, rispetto al “vecchio” emendamento, c’è la
frase “a pagamento”. A parte il fatto che non mi pare che il
Belpaese pulluli di risciò a pedale, quindi non si capisce bene
l’utilità di tale previsione, la pezza che ci ha messo
il senatore è peggiore dello strappo: ha infatti
dichiarato (cito da una fonte di stampa virgolettata):
«Riconosco che l’emendamento era scritto
male. Ma sono cose che succedono, nella fretta.
Il testo me lo avevano passato i colleghi della Camera
e forse ho peccato di scarso controllo». Eccoci, siamo a
posto. E meno male che, alla Camera ed al Senato, non fanno
interventi a cuore aperto… Lo scarso controllo, da parte di chi
propone leggi e emendamenti che riguardano la comunità, a
mio parere, è colpa grave. Piuttosto, vorrei dire al senatore Filippi
ed ai suoi colleghi della Camera, del Senato, del Governo:
voi che vivete a Roma, la vedete davvero in che condizioni è?
Ci sono stato qualche tempo fa e mi sono impressionato: una
sporcizia, un degrado, una confusione mai viste. E’ iniziato il
Giubileo e offriamo la capitale d’Italia, la Città eterna in queste
condizioni. Forse che quel che serviva a mantenerla decorosamente,
“distrattamente”, è stato mangiato da qualcheduno?

sabato, novembre 28, 2015

Combattere il terrore, anche tornando alla quotidianità

La situazione in cui vive il mondo in queste settimane è
pericolosa, anche per i possibili sviluppi. Gli attentati di
Parigi, la caccia al terrorista di Bruxelles, il jet russo
abbattuto dai turchi, tutto ha contribuito a rendere le
nostre giornate ancora più incerte. Se anche papa Francesco
parla di terza guerra mondiale, non c’è da stare allegri. I fatti
accaduti che hanno coinvolto i civili sono stati terribili, proprio
perché hanno riguardato, in maniera tragica, uomini e donne
che vivevano la propria quotidianità. Ma tutto questo non è né
nuovo, né inusitato. Forse per la mancanza di senso storico che
sempre più si avverte (qualcuno parla di “un eterno presente”
in cui siamo immersi), sembra che non ci si ricordi che il terrorismo
è questo: colpire persone normali, “innocenti”, gente
qualunque in ogni dove. Nel nostro Paese, negli anni Settanta,
il terrorismo nero eversivo (coperto da apparati deviati dello
Stato) colpì una banca in cui si recavano piccoli risparmiatori e
agricoltori, una piazza, treni, stazioni ferroviarie. È la radice del
terrorismo, quella di seminare paura, di non far sentire nessuno
sicuro da nessuna parte. È ciò che il terrorismo
vuole. E se volesse, pure, ottenere un altro scopo?
Immersi nell’emergenza, viviamo la nostra
quotidianità assorbiti da queste paure, e tendiamo,
forse, a mettere sullo sfondo altre legittime
preoccupazioni. Forse che i conti pubblici si sono
magicamente sistemati? Forse che stanno riaprendo i tanti,
troppi negozi dalle saracinesche abbassate? Forse che il sistema
del credito è diventato più snello ed efficiente? Forse che
si è ricostituito il sistema produttivo del Paese? Forse che c’è
lavoro, tanto lavoro, con le dovute garanzie e giustamente retribuito?
Forse che no. Direte voi: ma che c’entra, siamo su
piani diversi. Mi sbaglierò, ma la sensazione è che questi tragici
fatti favoriscano coloro che hanno interesse a questo sviamento,
a questo ottundimento. E allora torniamo alla normalità,
dicono che anche così si combatte il terrorismo: diamo ascolto
alle richeste delle categorie economiche espresse nello speciale
economia pubblicato in questo numero.

sabato, novembre 21, 2015

Io non lo so

Lo sgomento che deriva dai fatti di Parigi, che poi hanno
coinvolto altre comunità e altri territori, certamente nasce
dalla pietà verso le persone brutalmente assassinate,
ma anche dalla paura e dal senso di impotenza:
che fare? Io non lo so! Reagire con i bombardamenti dei territori
“covo” dell’Isis? Siamo sicuri che sia una misura efficace?
Io non lo so. Oggi ci sono molti strumenti per contrastare una
guerra terrorista, per definizione sfuggente allo scontro in campo
aperto, ma nessuno, mai potrà controllare ogni persona,
ogni bar, ogni ristorante, ogni stazione, ogni stadio, a meno di
trasformare le nostre città e le nostre vite in immense prigioni,
senza contare i costi proibitivi. Quindi, che fare? Questi fatti
tragici sono sicuramente espressione di un disegno feroce e
criminale, ma affondano le radici tanto, forse troppo, nelle politiche
svolte nel passato dal Vecchio continente. Chi sbuffa ad
ascoltare queste osservazioni non capirà mai nulla di ciò che
succede, e capire - capire, non giustificare – è la prima mossa
per reagire. Mi domando, però, anche quanto incidano gli interessi
economici e politici in tutto questo. Chi
finanzia la macchina da guerra terrorista? Chi
vende loro le armi? Altro che svuotare gli arsenali
e riempire i granai, come disse il presidente
Sandro Pertini: il divario tra poveri e ricchi è forte
come non mai e gli arsenali sono pieni di armi da
vendere. Siamo sinceri: come dicevano i latini, pecunia non
olet, il denaro non ha cattivo odore e viene prima di tutto. Penso
alle politiche di intervento, alle guerre umanitarie, alle guerre
preventive, alla ricerca delle armi di distruzione di massa: che
risultati hanno portato? La guerra è spaventosa: non si dovrebbe
pronunciare la parola “guerra” a cuor leggero. Per questo
io ho paura. Ho paura dei fanatici, degli esagitati, di coloro che
sanno tutto, degli esperti di terrorismo che incontro al bar, dei
giustizieri che popolano la rete. Nel 1940, a piazza Venezia un
popolo intero euforico e invasato disse sì alla guerra, non sapendo
nemmeno il perché: i risultati furono morte, macerie,
fame e una devastazione sanguinosa.

sabato, novembre 14, 2015

Trasparenza e rispetto dei cittadini

Una cosa non può dirla il Pd: che De Luca fosse un candidato imposto, uno che il partito aveva subìto, un marziano. Insomma, non vale per De Luca ciò che è stato detto per Marino. E ora, scandali (di nuovo), intercettazioni (di nuovo), sconcerto (di nuovo). La memoria è labile dalle nostre parti, si sa: ma converrebbe appuntarsi frasi come “è lui il nostro candidato, chi lo osteggia lo fa per una battaglia interna al Pd” (indovinate chi lo ha detto...). In fin dei conti, dirà qualcuno, De Luca è stato eletto: è stato scelto rispetto al candidato del centrodestra Stefano Caldoro. Ok. In fin dei conti, aveva pure vinto le primarie. Tutto regolare, tutto consuetamente regolare. E poi, ci può sempre essere la clausola di salvaguardia della modifica della legge Severino. Meglio essere previdenti. Confesso che, ormai, non so come maneggiare parole come trasparenza, fiducia, rispetto del mandato ricevuto dai cittadini. La negazione di questi concetti è ormai davvero bipartisan. E' palese. E non posso non parlare del caso Lgh: la cessione alla azienda A2A del 51% delle azioni di Linea Group. La questione, al solito, non è nella liceità. Lo è forse nell'opportunità dell’operazione o nella efficacia della scelta? Non so, non sono in grado di valutare, non ho sufficienti elementi. Di certo, la questione sta nel modo con cui viene condotta. A mio parere, il sindaco Galimberti avrebbe dovuto far sapere, già da tempo e con trasparenza, costi e vantaggi, acquisti e perdite legate all'operazione. E’ cosa doverosa verso le opposizioni, ma soprattutto verso i cittadini. Quei cittadini che spesso votano per una speranza di cambiamento, e anche contro certe pratiche, certi modi di governare: non è bene togliere loro le residue speranze. Non è bene per chi è governato ma anche per chi governa, non va bene per la democrazia.

sabato, ottobre 17, 2015

Viva la Rai, che ci fa crescere sani...

Sappiamo bene quanto sia importante il ruolo dell’informazione. Stavo per dire: “nella società attuale”, ma, a ben vedere, tale ruolo ha sempre goduto di grande risalto, e il potere, qualsiasi potere, ha cercato sempre di gestirlo e di indirizzarlo. Dagli araldi che giravano città e campagne nel Medioevo per rendere note le decisioni del signore, ai fogli o proclami che, dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, venivano affissi e recavano le volontà di sovrani, governanti e reggitori. Non solo uno strumento in mano al potere, però: anzi. Basti citare il grandissimo ruolo che ebbe, nella preparazione e nello svolgimento della Rivoluzione francese, la messe di giornali, bollettini, fogli di informazione, riviste. E non è un caso che i totalitarismi e le dittature del Novecento abbiano investito molto nella costruzione di apparati di informazione pubblica persuasivi e pervasivi. Quando arrivò la tv, lo sappiamo, fu una rivoluzione: si narra di molti politici assai sconcertati, quando non terrorizzati, dal dover entrare con la propria immagine, oltre che con le parole, nelle case degli italiani. Man mano, ci si rese conto di quanto lo strumento fosse divenuto potente, e ci si pose il problema di una regolamentazione: tot minuti a te, tot a me, tot a lui. Una sorta di manuale Cencelli (Era quello inventatodal democristianissimo Cencelli per distribuire ruoli politici e governativi ad esponenti di vari
partiti politici o correnti, in maniera proporzionale). Ma il meccanismo, di dubbio funzionamento fin da subito, dal punto di vista dell’equità, è saltato con l’avvento dell’informazione radio tv privata. Ponete il caso (il caso, eh!) che ci sia un imprenditore padrone di tv che si metta in politica: pensate che si sentirà in obbligo di assicurare il giusto spazio per tutti? O non gli verrà la tentazione di una presenza costante, ficcante, luccicante? Ponete poi il caso che non ci sia direttamente al governo uno che possieda le tv ma che abbia in mente di costruire un partito (forse chiamato “della nazione?”) in cui, per il bene del Paese, non ci sia tanto posto per critiche e dissensi, che, oltre un certo limite, disturbano e fanno perdere tempo a chi deve lavorare: lo spazio per l’informazione lascerà margini sempre più esigui per le opposizioni. Ma è per il bene del Paese, senz’altro. Chissà: rimpiangeremo anche Massimiliano Cencelli?

sabato, ottobre 10, 2015

C’è più che mai bisogno di concretezza

Una certa qual melanconia autunnale si sta insinuando nelle giornate, che si accorciano, nei cieli già plumbei
quando sono coperti, anche se il sole, al momento in cui si manifesta, brucia ancora. Ma la melanconia è cosa da poeti, e anzi, la cifra di oggi, almeno così si ascolta in tante dichiarazioni, è o dovrebbe essere l’ottimismo. L’Istat ci dice che non si era mai vista tanta fiducia dall’inizio della crisi; Montezemolo plaude a Renzi, che “ha portato fiducia”. Spero che non sia come quando, a forza di dire le cose, ce ne convinciamo e, oltretutto, convinciamo. Davvero c’è stato un punto di svolta? A noi piacerebbe tanto, se così fosse. Davvero, anche se non c’è stato, la gente ci crede? Sarebbe importante anche questo, l’effetto-fiducia tira su il morale e dà nuova spinta. Non sono domande polemiche, le mie: vorrei tanto avere certezze in questa direzione. Vorrei tanto essere certo che non si tratti di fumisterie e di propaganda. Due sere fa, sono andato ad ascoltare la ministra Madia, la quale ha detto che non esiste alcun provvedimento governativo che stabilisce l’accorpamento di prefetture, questure etc… vero. Ma esiste, e si può facilmente trovare on line, uno schema di decreto del presidente della repubblica, formulato dal ministero dell’interno – dipartimento dei vigili del fuoco, che mette, nero su bianco, tra le altre cose, lo schema degli accorpamenti. Mi viene da chiedere: il governo non ne è a conoscenza? Il braccio destro non sa che cosa faccia il braccio sinistro? Mi sa che sono le solite fumisterie, dire per non dire, reggere il gioco finché il provvedimento è esecutivo, e allora, oplà, il tutto è legge. M viene da pensare che non è un caso che sempre più persone, soprattutto giovani ma non solo, scelgono e si costruiscono attività a contatto con la natura. Lì non ci sono fumisterie, lì c’è la concretezza dell’impegno quotidiano: piante, frutta, sole, aria, vento. Un po’ come i vecchi operai alzavano ed ammiravano un giunto di metallo da loro tornito, o il mio babbo rimirava soddisfatto un mobile rimesso a nuovo. Cose tangibili, concrete. A proposito, un mio amico vorrebbe trovare un terreno, in affitto, per coltivarvi piante ornamentali: possiamo dargli una mano?

venerdì, ottobre 02, 2015

Tutto come previsto

Non mi sorprendono le forti polemiche in corso rispetto all’accorpamento della Prefettura e della Questura con quelle di Mantova. E’ il risultato di un percorso di “riforma” che prima ha coinvolto le Province, poi gli enti sopra richiamati, e chissà dove si fermerà. Già in tempi non sospetti, proprio sulla questione Province abbiamo scritto: attenzione a smantellare senza prevedere qualcosa di nuovo e di strutturato; attenzione a seguire le sirene del “dagli alla cosa pubblica”, quando, poi, quelle stesse sirene si lamenteranno sicuramente di non avere più servizi adeguati, uffici disponibili, sedi pubbliche facilmente raggiungibili. E tutto si sta rivelando, ahimè, vero. Pensando a qualche anno fa, quando ero giovane e, sicuramente, meno indisponente, riflettevo che, quando sentivamo parlare di riforme, subito ci riferivamo a operazioni che ampliavano i diritti di cittadinanza e quelli sociali, che cercavano di dare risposte ai profondi mutamenti in corso nel Paese su base di equità. Adesso, sentiamo parlare di riforme e ci chiediamo: a chi tocca, ora, il colpo di mannaia? Però, una cosa mi stupisce sinceramente: la preoccupazione per gli effetti di queste “riforme” espressa da chi ha un ruolo istituzionale e politico rilevante. Ho letto: “Dobbiamo interrompere l'iter dello schema di decreto (che prevede questo accorpamento)...”. E a me lo dite? Chi le fa, le riforme? Il governo. Chi le ha votate quelle riforme? Chi le sta portando avanti se non l’attuale governo? E allora, che succede, signori miei? Prima si sostiene il predetto governo, magari senza se e senza ma, poi ci si indigna quando tagli, accorpamenti, azzeramenti picchiano duro? Se si reputa che una misura sia necessaria, e se si sostengono, legittimamente, ci mancherebbe, le ragioni di chi mette in atto quella misura, non si dovrebbe forse accettarne le conseguenze negative, anche se ci colpiscono da vicino? Insomma, ciò che è cattivo per Cremona sarebbe buono per Mantova? Mah... forse qualcosa mi sfugge (o forse no).

sabato, settembre 26, 2015

I custodi del Colosseo e l ’immagine dell ’Italia

A prescindere, avrebbe detto Totò, non intendo spezzare alcuna lancia a favore dei custodi del Colosseo: tra di loro ci sarà il buono e il cattivo, il fannullone e il bravo e capace lavoratore, come da tutte le parti. Come in banca, come nei supermercati, come ovunque. Invito però a riflettere sul can can che è stato fatto rispetto alla chiusura del sito archeologico per assemblea sindacale, qualche giorno fa, dalle 8:30 alle 11:00. Un can can talmente surreale, che un uomo come Vittorio Sgarbi, certamente non accondiscendente, ha dichiarato: ” due ore che non possono far pensare che l’Italia non funziona“, riferendosi a parole dette da molti personaggi, per cui tale chiusura era stata “un grave danno di immagine all’Italia e alle sue istituzioni”. Molte volte mi sono chiesto e vi ho chiesto se, per alcune azioni, parole, dichiarazioni svolte da chi ci governa, da “chi comanda”, prevalessero la poca esperienza, l’ignoranza, l’inettitudine, oppure la malafede. In genere, è difficile rispondere. Ma ora leggo, sempre rispetto al Colosseo e al gravissimo colpo per l’Italia determinato da un’assemblea di due ore e mezzo, prima la dichiarazione del ministro Franceschini, dopo aver gridato allo scandalo insopportabile: "Non c'è alcun reato di nessun tipo, l'assemblea era stata convocata regolarmente"; poi, quella di Francesca Barracciu, sottosegretaria ai Beni culturali, che ha definito l’assemblea sindacale “un reato”. Caspita. Qualcuno le ha fatto notare che le assemblee sindacali in orario di lavoro sono perfettamente legali, almeno per adesso. Allora lei ha dichiarato, correggendosi, di considerarla un reato in senso lato. Ora, nei miei studi di legge non ho mai incontrato un “reato in senso lato”. Ne vedo, invece, molti in senso proprio. Per esempio, il nostro patrimonio storico, artistico, architettonico che cade a pezzi (Pompei docet): cosa che viola abbastanza l'articolo 9 della nostra Costituzione italiana, "la Repubblica… tutela e valorizza il patrimonio storico e artistico della nazione”, oltre che una messe di leggi. Inoltre, Sgarbi ha anche dichiarato una cosa, questa sì davvero scandalosa: che chi lavora, deve essere pagato. I custodi del Colosseo, come molti altri, lavorano in straordinario e non vengono pagati, oppure ricevono il compenso con molto ritardo. Questo non sarà un reato, ma che lo faccia lo Stato, che dovrebbe essere l'incarnazione della legittimità e della legalità, non va bene. Alla onorevole Barracciu, infine, vorrei dire: attenzione a parlare di reato, quando si ragiona di diritti. È tipico delle dittature, onorevole. Lo sappia. A parer mio, tira una brutta aria.

sabato, settembre 19, 2015

Siamo il paese di Masaniello

Durante le ferie ho letto una biografia di Masaniello, il noto capopopolo napoletano, vissuto nel XVII secolo. Il libro era molto ricco di particolari, e delineava le caratteristiche del personaggio: fascino personale, arguzia, sfrontatezza. Nessuno lo aveva investito di un ruolo: se lo prese. Non aveva competenze amministrative né esperienze di governo: eppure, pronunciò anche sentenze giudiziarie, dileggiando i giudici. La rivolta di cui si mise a capo derivava non tanto da un sentimento patriottico, ma dalle gravi condizioni di crisi in cui versava il regno di Napoli, pagate soprattutto – al solito – dai ceti meno abbienti. Il potere gli diede alla testa nel giro di brevissimo tempo: farneticò, si denudò in pubblico. Fu ucciso dopo solo nove giorni di rivolta. Tra le sue frasi si ricorda questa: “Io vi volevo solo bene e forse sarà questa la pazzia che ho nella testa. Voi prima eravate immondizia ed adesso siete liberi. Io vi ho resi liberi!”. Masaniello è diventato il simbolo di un potere sregolato, personalistico, senza mediazioni, che si appella al popolo e che dal popolo, spesso, viene abbattuto. Dagli altari alla polvere: ci vogliono pochi mesi, o anni, ma il percorso è questo. La storia italiana è piena di Masanielli: vogliamo fare il gioco dei nomi? Mi chiedo perché il successo in politica, ormai, derivi da una dose più o meno cospicua di “masaniellite”. Ma il potere può anche non dare alla testa. Invece che inebriare, può, semplicemente, far sopravvivere. È il caso dei “politici di professione” che, iniziata la carriera giovani, hanno fatto un percorso da carica a carica, e non possono che aspirare ad altra carica. Nonostante tutta l’antipolitica che si respira, ce ne sono, ce ne sono… E’ solo così che si può vivere il potere? Invece che un’investitura a servizio della comunità, il potere può porsi solo nell’alternativa tra un egocentrismo smisurato o l’eterno “tengo famiglia”? E anche in questi ultimi giorni, gli esempi non mancano. Considerazioni sconsolate, ma c’è poco da ridere, purtroppo.

venerdì, agosto 28, 2015

Un penoso mantra che si ripete da vent’anni

Le ferie sono finite, la vacatio è terminata, si riparte. Per ricominciare, sarebbe utile, forse indispensabile, qualcosa di nuovo: un progetto nuovo, nuove idee, nuove proposte. Ma già, non dobbiamo essere disfattisti, come si diceva una volta: qualcosa c’è, che diamine! “Aboliremo l’Imu e abbasseremo le tasse”. Perbacco. Chi ci avrebbe mai pensato? E, poiché le primogeniture sono cose serie, a questo annuncio del governo si è scatenata la rivendicazione: “Era un’idea di Berlusconi!” (vero, tra l’altro); “Non ci sono le risorse!” (come se Berlusconi le avesse avute ... Ricordiamo, vero, la finanza creativa?). Eccoci qua. E guai a chi, come alcuni di noi fanno, vada a consultare, ogni tanto, giornali e siti di un recente passato. Per dire: i discorsi del 2008 sono uguali ai discorsi del 2015, pur con scenari diversi in modo radicale. Allora, gli economisti più avvertiti sapevano bene che stava per scatenarsi una crisi davvero epocale, e i politici, che cosa tuonavano? “Ci vuole rigore!”; "Basta con gli sprechi!"; "Abbassiamo le tasse!"; "Rendiamo più efficiente la Pubblica Amministrazione.!", e via così. Andate a vedere, se cercate conferme. Alcuni anni dopo, con un mondo di cose avvenute, con la finanza internazionale scossa ciclicamente da processi esplosivi (l’ultimo, quello cinese), con la crisi tutt’altro che risolta, con il fenomeno delle migrazioni in corso, che nessun muro, nessun respingimento potrà mai fermare, si sfogliano i giornali e si legge: “Rilancio dell’economia: aboliremo l’Imu e abbasseremo le tasse, l’economia ripartirà, diventeremo tutti più ricchi”. Assistiamo ad un mantra ridicolo, penoso e stucchevole che si ripete, oramai, da circa vent’anni, senza produrre miglioramento alcuno, salvo mantenere i privilegi per i soliti noti che confidano, tranquillamente, sulla nostra scarsa memoria. Andate a leggere le dichiarazioni e i proclami dell’ex rottamatore, prima che diventasse premier... poi ne riparliamo.

sabato, agosto 01, 2015

Mai arrendersi

Avete presente cosa fa Facebook, da un po’ di tempo? Sceglie un giorno, credo a caso (o, come si dice, “random”) e ripubblica quel che era stato inserito l’anno prima. Un modo simpatico di rivivere eventi, magari passati un po’ di mente. E allora, visto che questo è l’ultimo numero prima delle vacanze estive, ho provato a fare il gestore Facebook di me stesso, andando a leggere cosa avevo scritto non solo lo scorso anno, ma anche quelli precedenti. Era il 2012, governo Monti, ve lo ricordate? E io scrivevo: rivalutiamo il vero significato delle vacanze, poiché dovremmo “cogliere le opportunità, magari poche, che il tempo della crisi offre. Le vacanze devono essere un momento in cui si stacca la spina, in cui si prova a leggere quel libro che ci aveva incuriosito, in cui si può tentare di non tenere sotto controllo il cammino dello spread”. Già, era l’epoca dell’incubo spread… Ora non se ne parla più, e temo che pochi abbiano capito come abbia fatto, un mostro così vorace, a rintanarsi e diventare – sembrerebbe – inoffensivo. Ma andiamo avanti. L’anno successivo scrivevo: “La calura è forte, anche gli oggetti sembra che grondino sudore, Molti non potranno andare in vacanza. Molti temono che cosa avverrà a settembre. Forse ci sono spiragli di ripresa, dicono”. Come leggiamo in questo numero, le persone stanno industriandosi per fare le ferie in modo nuovo, low cost, e, forse, non è una cosa del tutto negativa. Per il resto…vorrei tanto credere negli spiragli di ripresa. Ma andiamo al 2014: citavo un recente studio del Centro Studi di Confindustria, che parlava di partenza ritardata e lenta, di investimenti penalizzati da incertezza e redditività ai minimi, delle banche, che “hanno stretto fortemente le condizioni per la concessione di prestiti a scadenza ravvicinata”. È cambiato qualcosa? C’è un clima nuovo? O forse, ci sono meno rabbia, meno preoccupazione, ma più rassegnazione? A tutto ci si abitua: anche alla crisi? Importante è reagire, sempre, di fronte alla difficoltà, cercando soluzioni e provando a fare qualcosa di diverso. Mai arrendersi. Buone vacanze.  

sabato, luglio 25, 2015

De Re Publica

Non dirò dove, non dirò di quale sindaco si tratti, ma ha avuto risonanza nazionale un episodio. Un (semplice) cittadino chiede al (primo) cittadino: perché non annaffiate i giardini? E il (primo) cittadino: perché non li annaffia lei. Una “bella” risposta: c'è di cui riflettere. Un tentativo di convolgere i cittadini per il rispetto e la salvaguardia del bene pubblico? Una partecipazione attiva della popolazione all'interesse comune? Oppure una dichiarazione di impotenza dell'ente pubblico? Allora, irresistibilmente, ho pensato all'inceneritore di Cremona. Direte voi: ma è matto? Il caldo gli ha dato alla testa? No. Seguite il mio ragionamento. Quel primo cittadino ha, semplicemente e tragicamente, secondo me, abdicato (forse in modo inconsapevole) al suo dovere. C'è una precisa responsabilità politica e amministrativa, che non si può esercitare solo quando le cose vanno a gonfie vele: per cui, ad esempio, se in campagna elettorale si promette che, tanto per dire, si dismetterà l'inceneritore a Cremona, l'inceneritore va dismesso. Se poi ci si avveda (e dico se) che quella promessa forse era un po' avventata, e che chiuderlo significhere un grosso sacrificio per le casse della comunità, che cosa resta da fare? Una prima domanda, intanto,è: quanto vale la salute dei cittadini? Seconda domanda: se la salute in giuoco è dei cittadini, perchè non far decidere a loro? E qui faccio mia la proposta di Danilo Toninelli, deputato del Movimento Cinque Stelle, il quale invita il Sindaco a indire un referendum popolare consultivo sulla questione inceneritore. Facciamo decidere alla gente. Tornare, ogni tanto, a quelle pratiche, oramai desuete, di vera democrazia a me non dispiace. A voi?  

sabato, luglio 18, 2015

Non siamo capaci di ribellarci

Mi pare che fosse il professor Vittorino Andreoli a definire l’Italia un Paese malato. Pieno di masochisti ed esibizionisti allo stesso tempo, quindi incapace di mettere in moto le proprie forze migliori, stretto nella forbice tra autodenigrazione e bullismo parolaio; di individualisti costantemente recitanti, sostanzialmente incapaci di fare squadra, buoni solo a mettere in scena il proprio – io – tronfio. Ovviamente, come tutte le generalizzazioni questo giudizio era ingeneroso nei confronti di chi è serio, lavora sodo e non vive la vita come un perenne teatrino. Però, c’è del vero. A partire da un dato: mi pare che sia impossibile, ormai, una situazione in cui la lotta politica si sviluppi in maniera bellicosa, dura, serrata, ma non criminale. La parola è forte? Se credete di sì, pensate al “metodo Boffo”. Se si fa una ricerca sul web, apparirà questa definizione: “campagna di stampa basata su bugie allo scopo di screditare qualcuno”. Dino Boffo, allora direttore di “Avvenire”, periodico molto duro nei confronti dello stile di vita di Berlusconi, fu oggetto, da parte de “Il Giornale”, di accuse infamanti. Si sa che la calunnia, quando pure sia comprovata tale, lascia comunque una sporca, anche se inconsistente, ombra di dubbio. Accuse del genere, pur se comprovatamente false, ti rovinano la vita. È quanto sta avvenendo a Rosario Crocetta, presidente della Regione Sicilia. Il settimanale “l’Espresso” esce con questa notizia: in una intercettazione, il medico personale di Crocetta avrebbe detto all’uomo politico: “La Borsellino va fatta fuori come il padre”, e il presidente non avrebbe reagito. Crocetta nega disperatamente di aver mai ascoltato quelle parole e si autosospende. Nel giro di poche ore, la magistratura interviene e dice: non c’è traccia, agli atti, di alcuna intercettazione in cui si dicano quelle cose. E allora? Una congiura politica? Una resa dei conti? Una guerra per bande dentro il Pd? Sto, semplicemente, riportando tutte le ipotesi che vengono fatte. Una cosa è certa: in Italia ci sono tante persone oneste e perbene, ma c’è anche un gran verminaio. Aveva ragione Andreoli: questo è un Paese malato. Malato grave. Ma ancora più grave è il fatto che non siamo capaci di ribellarci, quasi che la nostra psiche fosse programmata ad accettare tutto, intenti solo a salvaguardare quel piccolo orticello che, se pur precario, temiamo di perdere. 

sabato, luglio 11, 2015

... Come il due di coppe quando briscola è bastoni

Qualcuno si ricorda di Sigonella? Un aereo atterrato con a bordo alcuni rappresentanti dell’Olp e i dirottatori della “Achille Lauro”, gli americani che, armi in pugno, ne pretendevano la consegna, l’Italia, presidente del consiglio Bettino Craxi, che a sua volta metteva sotto assedio i militari americani, sulla base delle leggi riguardanti le competenze territoriali e un semplice principio: non potete fare i gradassi a casa nostra. E non vuol essere, il mio, un peana a Craxi, inventore e autore di molti dei meccanismi perversi che hanno reso il nostro Paese quel che è. Però è indubbio che l’Italia ha avuto, per molti anni, un forte ruolo internazionale, di cui oggi non è rimasta traccia. Vogliamo parlare di Andreotti? Per decenni, quantomeno nello scacchiere mediterraneo, non si è mossa foglia che il divo Giulio non conoscesse e a cui non consentisse. Un patrimonio disperso, quello della grande scuola diplomatica italiana? Una perdita di incisività, di credibilità? Pare proprio di sì. Renzi ha piazzato Federica Mogherini, con grande fanfara, come Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ma poi? Nella crisi greca abbiamo avuto un ruolo simile a quello del Botswana e dell’Ecuador. Ma loro non c’entrano, direte. Appunto. Renzi diventò presidente del consiglio con grandi proclami sulla necessità di correggere l’austerità della troika. Come è noto, non ha avuto un grande ascolto. I media mainstreaming danno risalto a quando lui si reca alle riunioni europee, ma non hanno niente da narrare, oltre che il viaggio. Però è stato bravo a fare battute anche su Tsipras: “non faccia il furbo”. Da un capo di governo ad un altro capo di governo (eletto): roba da allibire. Ma è cominciata con Berlusconi: le corna, l’abbronzatura di mister Obama, la caciara al cospetto di Elisabetta II, la Merkel, come dire con una perifrasi, non meritevole di attenzione sessuale, e via così, tra nani e ballerine. Le parentesi Monti e Letta,senz’altro credibili, da questo punto di vista, sono state troppo brevi (per fortuna). Certo, conta anche il potere reale di un Paese, la sua solidità politica, la sua capacità economica e la sua coesione sociale. Ma la serietà è fondamentale. E noi assistiamo sconsolati a rapporti binari, Merkel-Hollande, Obama- Merkel, come prima Merkel-Sarkosy, e l’unico italiano che sembra ascoltato è un banchiere, Mario Draghi. Meditiamo. 

sabato, luglio 04, 2015

Se la Grecia viene abbandonata a se stessa

Sarò molto debitore, in queste righe, di un bellissimo articolo scritto pochi giorni fa da Massimo Cacciari. Devo dire, intanto, che non sopporto i giuochi linguistici sciocchi, i calembour come il termine “Grexit”: signori, siamo seri, mi viene da dire.  E mi interessa, certo, essendo cittadino europeo, ciò che accadrebbe all’Europa nel caso in cui la Grecia venisse abbandonata a se stessa, fuori dalla UE e dall’area euro; ma mi interessa, ora e principalmente, cosa accadrebbe ALLA GRECIA. Al di là di una valutazione puramente umana, debitrice di quel senso di umanità che il nostro beneamato Occidente ha costruito nel corso di millenni di storia e che ora naufraga in continuazione nelle profondità del mare Mediterraneo, sulle frontiere spagnole, sugli scogli di Ventimiglia, che cosa è la Grecia, per noi europei? Moltissimo. Riassumo cosa scrive Cacciari, nell’articolo che ho citato: per la cultura europea, la memoria della nostra comune nascita in Grecia è tutta attiva e immaginativa: non si dà formazione, non può essere pensata una costruzione-e una educazione della persona umana nella integrità e nella complessità delle sue dimensioni senza questa “figliolanza”. La Grecia fuori dall’Europa sarebbe una ferita immedicabile.  Si può dire che queste siano romanticherie? Non è così. Scrive ancora Cacciari: “L’Europa può ora pensare di dimenticare la Grecia, perché rinuncia a svolgere una grande politica, la quale può fondarsi soltanto sulla coscienza di costituire un’unità di distinti, aventi comune provenienza e comune destino. Se questa coscienza vi fosse stata, avremmo avuto una politica mediterranea, piani strategici di sostegno economico per i Paesi dell’altra sponda, un ruolo attivo in tutte le crisi mediorientali”. E, per favore, non diciamo cose come “hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità”: ma chi lo ha fatto? I potentati politici ed economici. Non certo la gente comune, che viene bastonata, come dappertutto. Il debito greco è certamente insostenibile: ma, se l’Europa vorrà continuare ad essere degna del suo nome, dovrà aiutare la Grecia a venirne  fuori, non a gettarla in una tomba. Sarebbe la tomba di tutti noi. Anche della ricca Germania. Forza Grecia.

sabato, giugno 20, 2015

Storia, la mia, di un esame di maturità

Il mondo ribolliva, in quell’estate del 1974: per il clima politico e sociale. Erano gli anni ‘70, anni di contestazione

Forza ragazzi, il futuro vi attende, abbiamo tanto, ma proprio tanto, bisogno di persone preparate
di Daniele Tamburini

L'esame di maturità non si dimentica, è un ricordo indelebile: penso che sia così per tutti. Non ero preoccupato, ero abbastanza tranquillo, ma la notte prima non ho chiuso occhio. Una notte insonne trascorsa ad ascoltare musica, la musica che mi piaceva: Emerson, Lake and Palmer, King Crimson, Gentle Giant. Avvenne molti anni, anzi, molti decenni fa: era il 1974. E’ vero, erano gli anni '70, anni di contestazione, “no alla scuola dei padroni”, si cantava nei cortei. Ma io ero sempre stato un po’ solitario, un po’ secchione, e alla scuola ci tenevo, eccome, anche perché in famiglia, pur composta da gente semplice e illetterata, lo studio era considerato essenziale, direi sacrosanto. Insomma, a quell’esame ci tenevo, e molto. Una maturità scientifica, all’epoca, era importante: ci si sentiva persone preparate, in grado di affrontare quell’Università che doveva essere un percorso obbligato. Come cantavano i Nomadi, effettivamente, la nostra era una generazione preparata. Il mondo, intorno a me, ribolliva, in quell’estate del 1974: per il clima politico e sociale, e per il gran caldo. La crisi petrolifera e l'austerità avevano tolto alla gente alcune solide certezze; inoltre, c'erano state, terribili, le stragi: Piazza della Loggia, poi l'Italicus; si parlava di preparativi di golpe, di caserme in stato di allerta. Il ministro di allora, Tanassi, non smentì, e alimentò la tensione. Pochi mesi prima si era svolto il referendum sul divorzio: la prima volta in cui parte dell'elettorato democristiano non seguì il partito, una debacle per Amintore Fanfani. Bollivo anch’io, perché, proprio come in una famosa canzone di Antonello Venditti, mi piaceva una moretta che filava tutti, meno che me. Alternavo lo studio a qualche riunione al collettivo studentesco (che comunque frequentavo) e alle partite di calcetto, che servivano moltissimo, anche per sfogare la tensione. Inoltre, la moretta veniva a vederci, insieme alle sue amiche … Nella città toscana in cui crescevo, quell'estate faceva tanto caldo: la maturità iniziava più tardi di quanto accada oggi. Ricordo che finii a luglio inoltrato: un dramma. Per fortuna, qualche anno prima, nel 1969, un benemerito ministro (benemerito anche per altri motivi), e cioè Fiorentino Sullo, aveva riformato l’esame, portandolo a due prove scritte e a due materie per il colloquio (di cui una a scelta del candidato), con una commissione esterna, ma con un componente interno. Intorno, ho già detto, il mondo ribolliva e stava cambiando in profondità, e noi volevamo esserci; io, nonostante tutto, volevo esserci. I modelli culturali tradizionali subivano una trasformazione radicale. Il boom degli anni Sessanta e le condizioni economiche della classe lavoratrice, migliorate dopo le lotte sindacali, avevano provocato un incremento dei consumi. Gli studenti protestavano contro un sistema scolastico e universitario fermo e chiuso, gli operai volevano più potere nelle fabbriche, le donne non accettavano più il potere patriarcale. Per parafrasare Mao Ze Dong, una grande confusione sotto il cielo. Ma era eccellente la situazione? A me sembrava di sì: e r a v a m o f i d u c i o s i nell’avvenire e pieni di speranza, anche se avremmo voluto cambiare tutto. Delle prove da me sostenute ricordo tutto. Furono italiano e matematica per lo scritto, e portai filosofia e fisica all’orale. In matematica presi un voto esaltante: nove e mezzo con elogio da parte del professore, un tipo molto elegante, con la barba curatissima. In filosofia non andò bene: avevo portato un percorso che, partendo da Leopardi, portava a Schopenhauer e approdava ai pre-marxisti. Il professore si incavolò: “Basta con questi pre-marxisti, mi parli di Kant”. Kant si faceva in quarta, e poi non mi piaceva: un disastro. E dire che la mia professoressa mi aveva messo in guardia. Per fortuna, nelle altre materie ero al massimo dei voti. Nei giorni precedenti a quello dell’orale, mi azzardai ad andare ad ascoltare alcuni amici che erano, nel frattempo, esaminati. L’avessi mai fatto … I docenti mi sembrarono orchi, che avrebbero potuto mangiare in un boccone la nostra, pur robusta, prof di lettere (un must!) che era la componente interna. Circolavano svariate leggende metropolitane: a un candidato avevano lanciato il foglio protocollo con il tema svolto, un altro era uscito piangendo, e via così. Ma una cosa la voglio raccontare: accadde che a qualcuno fosse chiesta l’altezza precisa del poeta Giacomo Leopardi. La cosa riempì d’orrore chi “portava” italiano come prova orale: hai visto mai che avessero potuto chiedere la circonferenza del giro vita di Carducci o il numero di scarpa di Guido Gozzano? Io gongolavo, forte delle mie scelte, ma poi mi venne un dubbio atroce: e se mi avessero chiesto l’altezza di Friedrich Hegel? Naturalmente, era tutta una burletta, ma che uscì, seppur con tono dubitativo, anche sul quotidiano locale. Della maturità di oggi so poco. Mia figlia è tranquilla e questo mi fa piacere. I temi scelti quest’anno mi sono sembrati di buon livello: su ognuno, a mio parere, ci sarebbe stato da scrivere molto. “Ma non sono argomenti trattati nei programmi”, ho sentito dire. Beh, questa mi pare una triste condizione di resa della scuola, che avrebbe bisogno di meno chiacchiere sulla managerialità etc., e più consistenza e capacità di insegnamento in senso verticale. Cosa voglio dire? In maniera completamente, visceralmente contraria a quanto ha sostenuto Alessandro Baricco, credo che la scuola debba essere capace di insegnare che la cultura non è un surfing su una superficie scintillante, ma è capacità di muoversi in verticale, nelle profondità del pensiero e nelle altezze dell’arte, della speculazione matematica, della poesia, della musica, in un movimento incessante e altamente formativo. In questo modo, io credo, si insegna a diventare davvero colti, ad affrontare, cioè, la vita in grado di conquistare la capacità di valutazione perspicua, di critica costruttiva, e di farsi una cultura propria, anche se “non è nel programma”. Ma questo movimento del pensiero e dello spirito non potrebbe certo essere valutato con i test Invalsi. Ditemi voi, chi ha interesse a governare su un popolo colto? Comunque, ad ognuno il suo tempo: io me lo sono goduto e non ho rimpianti. Forza ragazzi, il futuro (forse un futuro meno spensierato) vi attende. Abbiamo tanto, ma proprio tanto, bisogno di persone preparate.

sabato, giugno 13, 2015

Non ci affosserà la crisi, ma questo sentore

La stanno definendo “mafia senza lupara”: è quella che ha spadroneggiato a Roma (e fosse solo Roma, e fosse che si può esser certi di usare il verbo al passato). A dire la verità, non avrei voluto affrontare l’argomento, perché, e lo dico con una parola, mi vergogno. Mi vergogno, come cittadino di questo Paese, a leggere le intercettazioni, con le volgarità e l’assoluta mancanza di scrupoli dimostrata dai vari protagonisti. Mi vergogno per le parole usate: mucche da mungere, mammelle da tirare… a questo, sono ridotte le istituzioni? E si sa, qualcuno vuole ancora minimizzare: ma è proprio su questa pratica, sul “che vuoi che sia”, sul “lo fanno tutti”, sul “meglio non andare a fondo”, che si basano tutte le mafie, con lupara e senza. Hanno fatto bene gli esponenti di governo che hanno detto parole molto dure sull’accaduto, compreso Renzi. Ma io vorrei chiedere loro, che siano Renzi o Alfano eccetera: non vi fate delle domande? Va bene dire che sbatterete fuori i corrotti. Ma non vi chiedete perché questo accada e da così tanti anni, perché, quali ne sono i motivi, dove si annida il capo della serpe. Come è possibile? Perché? come facciamo a tornare indietro? Come è possibile che, nello stesso Paese, ci siano gli Odevaine, i Carminati, i Buzzi e compagnia cantante, e poi, magari, un poveraccio viene tartassato da Equitalia perché ha commesso un errore. Ma dove stanno la giustizia, l’onestà, la verità? Cosa raccontiamo ai nostri figli? Ho la netta sensazione che non sarà la crisi ad affossarci, ma questo sentore nauseabondo di lercio che si leva da troppe parti, che ammorba le istituzioni e la società civile. Ecco, non vorrei usare toni da predicatore, ma perdinci, svegliamoci, facciamoci sentire, diamoci una mossa. (PS: sapete cosa c’è scritto nell’art. 54, comma 2 della nostra Costituzione? “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Era un altro mondo).

sabato, maggio 30, 2015

Coraggio, che il meglio è passato

Siamo agli ultimi fuochi (si fa per dire…) della campagna elettorale per il rinnovo di consigli e presidenti in 7 regioni e di consigli e sindaci in 1.089 comuni. Un test importante, sul quale le varie forze politiche contano per capire come procederà il futuro governativo e istituzionale del Paese: e lo sa molto bene Matteo Renzi, che si è dato un gran daffare per sostenere il suo partito, quel Pd di cui è anche (non dimentichiamolo) segretario. Bravo, lui, che riesce a tenere separati i cappelli di capo del governo e segretario di partito… ammesso che lo faccia davvero. Renzi non pare arcisicuro di un grande successo, e si è lanciato in spericolati pronostici di stampo vagamente calcistico (“dovesse finire 4 a 3…”) o tennistico (“conto nel 6 a 1”…). Mah, ormai dovremmo esserci abituati, al presidente tifoso, al presidente vicino al popolo, al presidente che si fa le selfie con gli operai… deja vu, ma chissà che non paghi ancora. Una cosa è certa: la partita o il set, come la si voglia definire, appassiona senz’altro il personale politico e d’altronde è il loro mestiere, e pazienza se, per qualcuno, si prefigura eventualmente l’eleggibilità, ma poi l’obbligo di dimissioni (roba da matti, vicenda pazzesca, quella del piddino De Luca, che neppure nei peggiori incubi istituzionali avrebbe potuto prevedersi). Il fatto è che si teme un enorme astensionismo. Ma voi, ne sentite parlare, al bar, al mercato, per strada, delle elezioni regionali? Va bene, in Lombardia non si vota, ma mi dicono che sia così dappertutto. E se ciò si dimostrasse vero, andremo avanti così, senza colpo ferire, assistendo allo sgretolamento delle basi partecipative della nostra Repubblica? Intanto, ho letto nuovi dati: l'Italia è l'ultimo tra i 34 Paesi Oese per occupazione giovanile (oltre il 40%). I “Neet”, i giovani né (lavoro)-né (studio) sono arrivati al 26,09%, e non si sono ridotti neanche con la recente riforma del lavoro. L'abbandono scolastico si unisce alla mancanza delle competenze giuste. È vero, si vota per le regionali e comunali, non per le politiche, ma anche Regioni e Comuni potrebbero fare cose molto serie per provare ad intervenire su questi dati: quelli che si eleggeranno e quelli che abbiamo già eletto. Forza, altrimenti la “generazione perduta” di mariomontiana memoria rischierà di essere declinata al plurale. E però l'Istat ci annuncia, dati alla mano, la fine della recessione. Speriamo che sia vero. Intanto, coraggio, che il meglio è passato.

sabato, maggio 23, 2015

Almeno avessimo imparato qualcosa...

Il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, è ottimista: i segnali di ripresa sono sempre più evidenti, il peggio della crisi è dietro le spalle. Ci sarà ancora da lavorare molto, ma la strada è quella giusta. E’ un segnale che giunge anche dal mondo imprenditoriale: il clima, insomma, è cambiato. Giorni fa pensavo a come verrà narrata, tra cinquanta - sessanta anni, questa storia. Si parlerà, mi auguro, della forza d’animo di chi ha resistito, ha reagito, e spero che quelle generazioni future lo facciano dal punto di vista di chi ne è venuto fuori; ma spero che si parli anche del resto. Di chi non ce l’ha fatta e non ce la fa, per esempio. Di chi, in un mondo di sommersi e salvati, direbbe Primo Levi, è rimasto sommerso. L’Ocse ci dice che, in Italia, l’1% dei più facoltosi detiene il 15% della ricchezza nazionale e il 40% della fascia più bassa si spartisce il 5%. Vorrei sperare che dalla crisi non si esca con una situazione in cui chi era già ricco lo sarà di più, chi stava discretamente sarà irrimediabilmente impoverito e chi era vicino ad annegare ne resterà, appunto, sommerso. Non sarebbe un modo lungimirante di uscirne. Vorrei sperare che la crisi - e anch’io ne voglio parlare come se fosse dietro le spalle - ci abbia insegnato che, dagli altari alla polvere, il passo è breve; che la rincorsa dissennata allo spreco e allo sfruttamento portano in un precipizio. Spero che il mondo, allora, abbia imparato a fronteggiare le grandi crisi internazionali e che le minacce di distruzione delle migliori forme di civiltà umana siano state debellate. E poi, mi domando: la politica avrà imparato qualcosa? Avrà capito che il bene comune è più importante del primato nel cortile di casa? Avrà capito che occorrono, anche e soprattutto in politica, tenacia, umiltà, capacità di ascolto, onestà? Come dite, ne dubitate? Anch’io.

domenica, maggio 10, 2015

Imbonitori e sarti

Tutto secondo copione. La legge elettorale, che non è una barzelletta, ma che stabilisce il modo con cui i cittadini possono eleggere i loro rappresentanti, dando corpo, così, ad uno dei diritti democratici fondamentali (anche se sempre meno cittadini se ne avvalgono…), insomma l’Italicum, adesso, appunto,è legge. E' stato approvato in via definitiva dalla Camera con la procedura del voto di fiducia. Ora, io non voterei neppure un capocondominio con il voto di fiducia. Il governo pone la questione di fiducia su una legge, in quanto la qualifica come un atto fondamentale della propria azione politica e fa dipendere dalla sua approvazione la propria permanenza in carica. Sapete quante sono le fiducie fatte votare dal governo Renzi? Arrivano, se si escludono le ratifiche di trattati internazionali, al 70%. E come funziona la “fiducia”? Basta chiacchiere, basta discussioni, dice il governo, qui si deve lavorare, qui si produce, e allora, si voti la fiducia, altrimenti cade il governo stesso. Come principio e come metodo, non c’è male. Non credo che venga utilizzato neppure nelle famiglie più all’antica: ve li figurate, voi, un padre o una madre che battono il pugno sul tavolo e dicono: “ora basta!”, e i figli tacciono ed obbediscono, tremebondi? In Parlamento succede di continuo. E quando sarà effettiva la riforma del Senato, i pugni da battere saranno ancora meno, con meno fatica. Io non capisco come facciano così tanti parlamentari ad accettare questo stato di cose: dalla carota al bastone, dai toni di imbonitore di paese alla grinta del capo. O meglio, lo so: i capilista saranno bloccati, garantiti, quindi, vi immaginate che appetiti si scateneranno? Tutto ruota attorno alla figura del premier, al “sindaco d’Italia”, al capo del “partito della nazione”. A me fa un po’ paura. Poniamo che “venga su”, come dicevano i vecchi, un tizio con idee pericolosamente autoritarie (dice il mio lato ottimista: ma no, non sarebbe possibile, in Italia siamo vaccinati… ma ribatte il mio lato non ottimista: intanto, nelle liste delle regionali si stanno accettando elementi di ogni risma…). Un premierato forte, che rischi comporterebbe? Chi farà da arbitro, da garante, da contrappeso, visto che sparirà anche il bicameralismo? Avremo, invece che un bipartitismo imperfetto un monopartitismo perfetto, si chiede qualcuno? Questo percorso fa paura a molti, non solo a me, e non solo alle opposizioni: lo abbiamo visto. In nessuna democrazia europea la governabilità dipende dal premio di maggioranza. E poi, mi domando: strappo su strappo, dove si intende arrivare? Chi potrà essere un sarto capace di rammendare un tessuto così liso?

venerdì, maggio 01, 2015

Expo, respiro universale e miserie quotidiane

Sapete da cosa nasce l’idea dell’Esposizione universale? Tenuto conto che la prima si tenne a Londra nel 1851, vi predominava il desiderio di mostrare le capacità, l’industriosità, il genio di cui era capace l’essere umano. Un’idea quasi illuministica: l’intelletto e l’operosità possono spingere l’uomo a raggiungere traguardi impensabili; la scienza e la tecnica permettono di dominare il mondo. Non a caso, per quella di Parigi del 1889 fu costruita la Torre Eiffel, gigantesco simbolo della capacità umana di sfidare i limiti posti dalla natura. È cambiato tutto, ovviamente, e la fiducia nella scienza e nella tecnica è caduta, di fronte ai grandi disastri ambientali, al loro utilizzo per dare morte anziché vita, e, soprattutto, all’incapacità di risolvere molti grandi problemi dell’umanità. Non a caso, l’Expo di Milano è dedicata al cibo e all’alimentazione: non è un argomento alla moda, ma, nel nostro mondo, ipertecnologico da un lato (molto ridotto), e immerso, ancora in gran parte, nella miseria, la vera e propria tortura della fame viene subita ancora da moltissime persone. Ci sarà sostenibilità futura, in questa nostra Terra? Noi siamo in altre faccende affaccendati, nel nostro scorrere quotidiano, spesso difficile e faticoso: ma è bene prestare attenzione, ogni tanto, a questi grandi temi. Servirà l’Expo per questo? Forse. Certo che non hanno aiutato le accuse di malaffare intorno all'Expo, i tempi concitati di preparazione, gli svarioni, come quello delle cartine geografiche sbagliate… speriamo che vada tutto bene. Speriamo che non finisca come con Potemkin, che, per accontentare la zarina Caterina di Russia, fece costruire bellissimi scenari di cartone per nascondere la cruda realtà delle contrade che attraversava. Speriamo che il doverci misurare con i problemi mondiali di tale importantissima natura faccia un po’ alzare la testa dalle nostre beghe quotidiane: ma non credo. Continuiamo ad assistere ad una concezione proprietaria, un po’ bulgara, del potere e delle istituzioni, che si discosta da una tentazione di autoritarismo quando assume toni da infanzia offesa: “se non si fa come dico io, allora tutti a casa!”, “il pallone è mio, le regole le faccio io, altrimenti non si gioca più”. Ne troviamo le tracce a Roma, e anche a Cremona. Certo, è un meccanismo che sembra anche funzionare, almeno per ora. Voglio solo sperare che l’Expo, con il suo respiro universale, faccia alzare un po’ lo sguardo in alto, come intendeva fare la Torre Eiffel

sabato, aprile 25, 2015

L’IRRESISTIBILE FASCINO DEL POTERE

Sappiate che giovedì 30 aprile verrà eletto il nuovo consiglio direttivo del Consorzio Agrario. E allora? Direte: è cosa che riguarda gli agricoltori, certo, ma il Consorzio è anch'esso un centro di potere economico, un asse portante degli assetti del potere cittadino, al pari di Cremona Fiere, della Camera di Commercio eccetera. Come tale, influisce sulle vicende cittadine. Le votazioni preliminari per l'elezione dei delegati, svoltesi in questi giorni, hanno visto prevalere la Coldiretti con 63 delegati, contro i 58 della Libera Associazione Agricoltori. Quindi, sembrerebbe che il prossimo presidente del Consorzio possa essere un “coldiretto”… ma le certezze non sono mai tali, quando c’è di mezzo un potere importante. Le sorprese non si possono escludere: ci furono, lo ricordiamo, nelle elezioni del 2009, quando, per contrasti interni, alcuni delegati della Coldiretti, guidati dall'attuale presidente Voltini, “tradirono” il mandato, votando la lista della Libera Agricoltori che proponeva Ernesto Folli presidente. La Coldiretti, importante associazione, reclama oggi maggiore spazio e potere: è ora di cambiare, “cambiare è possibile”, dicono e fanno scrivere, avvalendosi di un momento favorevole, vista la debolezza dei vertici dell'altra ancor più importante associazione, cioè la Libera. Venti anni fa, la Libera presiedeva i più importanti gangli del potere economico: la Banca Popolare di Cremona, la Camera di Commercio, l'Ente Fiera, il Consorzio, oltre a detenere la proprietà del giornale “La Provincia”, che, per anni, ha costituito una sorta di monopolio dell'informazione. Piazza del Duomo rimane ancor oggi la rappresentazione plastica del potere: c'è quello religioso, quello amministrativo (il Comune), quello economico, con la sede della Libera, proprio sopra la Banca. Alla presenza perspicua della Libera nella mappa del potere cittadino di allora veniva attribuito quel conservatorismo della città, così definito, inteso come immobilismo e conservazione dello status quo. Questo assetto di potere, ora, si sta sgretolando: è sempre più evidente, tanto che, per conservare la presidenza di Cremona Fiere, c'è voluto l'intervento deciso e decisivo di Arvedi, che ha imposto alle categorie economiche la conferma di Piva. C’è da dire che durante la presidenza di Piva, per merito suo o del management, la Fiera ha conquistato maggiore importanza e risonanza a livello internazionale, e questo lo si deve riconoscere. Se poi questa possa essere un motivo sufficiente del perché Arvedi si sia così speso, mettendosi di traverso a molti, non è dato sapere. C'entra il possibile acquisto del giornale “La Provincia”? C'entra la compartecipazione nell'Ilva di Taranto? C'entra quant'altro? Non si sa , ma presto lo sapremo e avremo modo di tornarci. La mappa del potere cremonese, comunque, si sta riorganizzando, come in quelle partite di scacchi in cui alfieri, cavalli, re, regina, torri e... tante pedine, a grandezza naturale, si muovono su una grande scacchiera.

sabato, aprile 18, 2015

Tutto cambia perché nulla cambi

Si sente spesso dire, e io stesso l’ho detto in più occasioni: la politica ormai è un teatrino, con tanti attori che non partono da posizionamenti e scelte precise, ma che si muovono sulla base del gradimento, del consenso, dei sondaggi d’opinione. Ed è vero. Leggere le prime pagine dei giornali equivale, molto spesso, a guardare un noioso incontro di tennis (che, quando è noioso, lo è davvero!). Tant’è che anche i sommovimenti maggiori (il redde rationem nel centrodestra, l’accelerazione della Lega in senso lepeniano, gli scossoni nel Pd, che lascia per strada pezzi di partito, iscritti, deputati e anche il capogruppo Speranza), diciamocelo, interessano poco. Ma… c’è un ma: abbiamo questa sensazione di inconsistenza, perché, in realtà i giochi veri sono proprio altrove. Il potere che oggi è quello “vero”, quello legato all’economia ed alla finanza, eccome se si sta ristrutturando. E la sensazione è che a qualcuno interessi moltissimo delineare la nuova mappa nazionale di questo potere. Vi si vedono volti nuovi, ma non troppo. Rotture, ma nella continuità. Più o meno giovani boiardi che sono cresciuti, comunque, nelle antiche case del potere, di questo potere. Il potere è una categoria che, durante una stagione vicina cronologicamente, ma lontana anni luce, nei contenuti e nello stile, si diceva dovesse essere destrutturato, messo in discussione, decostruito. Questo potere è oggi un moloch apparentemente invincibile. Gestisce le nostre cose e le nostre vite. Garantisce il futuro di pochi, mentre per tutti gli altri il futuro sta nella declinazione dei verbi: “Riformerò, rottamerò, farò, cambierò...”. Forse ha ragione chi decide di scenderci a patti, perché la rivoluzione non è certo – o non lo è mai stata – dietro l’angolo. Nel nostro “piccolo” gli esempi recenti non sono mancati (leggi Ente Fiera), e nel bene o nel male il potere, quello che decide, a prescindere, passa su tutto e su tutti. Tutto cambia perché nulla cambi.

Daniele Tamburini

sabato, aprile 11, 2015

Il cielo è azzurro ma l’umore no

Si vorrebbe parlare della primavera che, ormai, si impone, nelle giornate più lunghe e nei cieli azzurri, ma come facciamo ad ignorare i tempi oscuri? Quando sono di umore nero non dovrei scrivere? Forse sarebbe meglio di no. Ripenso alla tragedia del tribunale di Milano, e le mie riflessioni sono molto confuse e ambivalenti. Da una parte, l’orrore di tre vittime uccise a freddo, mentre stavano svolgendo il proprio lavoro. Eravamo tristemente abituati alle stragi nelle scuole americane: il folle che entra e spara all’impazzata. Beh, ci stiamo globalizzando anche in questo, e il rischio è che chi svolge un servizio pubblico venga sempre più individuato come bersaglio “fisico” al posto di uno Stato che si percepisce sempre più lontano e ostile. Ma vorrei dire qualcos’altro: ho letto che il giudice ucciso era conosciuto per la sua inflessibilità. E questo è senz’altro un merito: una giustizia corruttibile non è giustizia, e il giudice Ciampi ha pagato con la vita la sua rettitudine. Ma non ho potuto fare a meno di riflettere sulla solita prassi italiana dell’utilizzo di due pesi e due misure. Mi riferisco alla condanna della Corte di Strasburgo per il ricorso alla tortura nei giorni del G8 del 2001: tutti abbiamo o dovremmo avere negli occhi le persone pestate, con una violenza smisurata e ingiustificata, alla Diaz e a Bolzaneto. Qualcuno parlò di macelleria messicana. E tutti sappiamo chi fosse, allora, capo della polizia: Gianni De Gennaro, ora manager della Finmeccanica. E tutti abbiamo letto le parole di Renzi: “massima fiducia in De Gennaro”, capo di quei poliziotti (pochi per fortuna) che hanno compiuto quelle violenze ora condannate come reati di tortura, al pari dell’Argentina dei generali golpisti. Qui la rottamazione non vale, riflettevo, e il peso e la misura sono altri. Brutte riflessioni, non c’è dubbio. Dov’è l’equanimità che si chiederebbe a chi regge la cosa pubblica? Dov’è la responsabilità politica, mi chiedevo? Ma di quale responsabilità politica si può parlare, quando un grande partito politico fa tesseramento offrendo uno sconto per l’acquisto del biglietto dell’Expo? A quanto il 3x2? (e spero di non avere dato un’idea…). È primavera, ma i pensieri non sono leggeri. D’altronde, riflettere e pensare sono il solo spazio di autonomia che ci resta. Almeno, così mi pare. 

Daniele Tamburini

sabato, marzo 28, 2015

Vogliamoci bene, pensiamo alla salute

L'inceneritore di Cremona chiuderà. O, almeno, così pare. Lo aveva assicurato il sindaco Galimberti, già in campagna elettorale, e lo ribadisce il segretario del Pd cremonese Matteo Piloni, in un’intervista che pubblichiamo su questo numero de “Il Piccolo”. C’è da esserne soddisfatti? Sarà la volta buona che “usciremo dal Medioevo della gestione dei rifiuti”, come, con felice espressione, ha detto il coordinatore di Sel, Gabriele Piazzoni? Noi abbiamo sempre sostenuto questa scelta, e anzi, c’è da chiedersi come mai, nelle aspre polemiche degli ultimi tempi, il tema della salute pubblica non sia emerso con sufficiente chiarezza. La salute pubblica è, o meglio dovrebbe essere, a norma di Costituzione, un bene pubblico inalienabile e non contrattabile: sia perché ciascun individuo è unico ed irripetibile ed ha il diritto alla vita ed alla salute; sia perché, in termini forse più freddi, ma veri, il costo sociale di malattie importanti, che, come è provato, possono essere provocate dall’inquinamento, è enorme. La vicenda amianto, da questo punto di vista, dovrebbe essere una lezione incancellabile. Tutto bene, quindi? Speriamo. Speriamo che non prevalgano le ragioni legate alla convenienza contingente di tenere aperto un impianto, la cui chiusura comporterebbe, secondo lo studio del Politecnico, un forte impatto economico: circa 38 milioni di euro. Speriamo che, in questo percorso, sia tutto trasparente: noi ci fidiamo delle rassicurazioni, ci mancherebbe, ma le vicende legate a telefonate concitate, a scambi di mail “riservate”, a dimissioni presentate non rassicurano poi troppo. Ci chiediamo ancora una volta: perché non esprimersi con chiarezza sempre, e non solo nei comunicati ufficiali? Perché non essere trasparenti sempre? Perché non dire: guardate, noi confermiamo la scelta, ma certamente i problemi ci sono, quindi affrontiamoli con ponderazione insieme? Perché l’arte del governare deve, troppo spesso, ridursi ad essere arte del “dico e non dico”? 
Va beh, vogliamoci bene e pensiamo alla salute.
Daniele Tamburini

sabato, marzo 21, 2015

Cesarismo de’ noantri

A me piacciono i programmi di storia, mi piace molto la storia di Roma antica. Capisco perché gli americani ci abbiano fatto così tanti film: è epica, eroica e umana al tempo stesso. Sere fa, ho visto un programma su Giulio Cesare. Ne parlano Plutarco e Svetonio, mica scherzi. Cesare a cui viene offerta la corona, e lui la rifiuta, la lancia via, ma gliela ripropongono, e ancora lui la lancia via… sembra davvero di stare in un film: intorno, i maestosi marmi di Roma. Ma i congiurati non si fidano, sanno quanto Cesare, in realtà, ami il potere, e affilano i pugnali. E ora, immaginiamo le nostre piazze, le nostre strade, i nostri Comuni: non il foro di Roma. Là Cesare, qui personaggi che sono a lui comparabili per un verso solo: la ricerca del potere. Un cesarismo de' noantri, è quello dei nostri politici (e non solo), mi veniva da dire guardando il programma. E non si smentiscono mai… pensiamo al caso Zamboni - inceneritore. Si tratta, evidentemente, di una questione molto delicata: dietro c’è tanta roba. E guardiamo l’incredibile superficialità, l’alzata di spalle con cui il Comune ha tentato di liquidare la faccenda. Meno male che si parla di trasparenza, di capacità di comunicazione istituzionale. Non sanno neppure trattare i media con equanime attenzione. Certo, è palese che l'opposizione abbia voluto convocare la commissione quel giorno lì, in maniera anche pretestuosa, per mettere in difficoltà la maggioranza, ma, appunto, l'opposizione fa l'opposizione. Zamboni dice che l’assessora lo ha pressato perché non si presentasse alla suddetta commissione. Caspita, si aspettava che lui tacesse? È davvero così ingenua? Se è arrivato a dare le dimissioni, c’è dietro qualcosa di grave, o no? Raramente un manager presenta le proprie dimissioni per una crisi mistica o per darsi all’ippica. Domanda sul caso all’assessora: e questa risponde in modo arrogante. Niente di nuovo sotto il sole, è lo spirito dei tempi, è, appunto, il cesarismo de' noantri. Un atteggiamento che a me non piace e che non dovrebbe essere proprio di una persona incaricata di pubblico ufficio, ma, ormai, le cose vanno così. In taluni casi può essere che il potere dia alla testa, ne abbiamo di esempi, hai voglia tu, e non solo nelle istituzioni. Li metti lì, sul gradino più alto, e alcuni diventano arroganti, fanno la voce grossa, si fanno tronfi; altri diventano improvvisamente onniscienti: so io cosa bisogna fare. Ma tutti sanno bene quando scodinzolare, quando invece voltarsi dall'altra parte. Alcuni, poi, si atteggiano a grandi manager, salvo combinare disastri. Però l’ingenuità no, non è scusabile, ed è anche pericolosa. È un'ingenuità che non fa i conti con la realtà, con i rapporti di forza, con come stanno le cose. L'assessora dovrebbe dare le dimissioni? Per carità, non lo farà, non lo fa nessuno (però il ministro Lupi le ha date: chapeau). Ma ci sentiamo di suggerire una cosa: signor sindaco, se dimissioni dovessero esserci, anche solo un accenno… colga l’attimo, le accolga subito.

Daniele Tamburini

sabato, marzo 14, 2015

Senza Parole...

Certo che la vicenda del finanziamento della manifestazione “Le corde dell’anima” è quanto meno singolare, se cerchiamo di vederla con occhi liberi da preconcetti. Allora: il Comune sostiene che, fin dallo scorso settembre, aveva fatto sapere a PubliA (organizzatrice della manifestazione) che non sarebbe stato in grado di assicurare, per il 2015, lo stesso contributo erogato nel 2014. Da notare che i novantamila euro dati nel 2014 erano addirittura il triplo rispetto agli anni precedenti, e questo in tempi già difficili per i bilanci dell’Amministrazione. Ma tant’è: mi pare di ricordare che, lo scorso anno, ci siano state le elezioni per la carica di sindaco e che il giornale La Provincia sostenesse apertamente la candidatura di Perri... Comunque, il sindaco Galimberti propone di svolgere una edizione ridotta, magari in collegamento all’Expo di Milano, potendo assicurare una cifra, al massimo, di trentamila euro. Dall’altra parte, giunge una risposta che, francamente, stupisce: allora non se ne fa di nulla. Ma come, non era possibile fare una manifestazione ad un costo inferiore? O magari, non era possibile prevedere alcuni spettacoli a pagamento, in modo da poter compensare il minor contributo pubblico? Forse non sarebbe stato più conveniente mettersi attorno a un tavolo e vedere che cosa era possibile fare? La concertazione non è più di questo mondo? Il confronto neppure? Allora il Comune è scevro di responsabilità, completamente trasparente? In questa vicenda, sembrerebbe proprio di sì. Ma ecco che, su un altro versante, arriva una doccia fredda. Il presidente di Aem Gestioni Federico Zamboni dà le dimissioni, denunciando «pressioni» da parte dell’Amministrazione perché non si recasse ad una audizione della Commissione vigilanza del Comune. Il fatto, se confermato, sarebbe di una gravità inusitata: roba da singolar tenzone! Invece, il Comune, serafico, risponde: «Prendiamo atto dell’annuncio di dimissioni da parte del Presidente Zamboni e lo ringraziamo per il lavoro svolto». Aplomb? Imbarazzo? Non lo so proprio. Da una parte si invoca la trasparenza, dall’altra si mette il silenziatore ad una bomba. Che succede in piazza del Comune? C’è doppiezza? Ci sono piani separati? Qualcosa si può dire e qualcosa no? Vedo in giro gente stanca, demotivata, attonita, stizzita, incazzata... Da ultimo vi racconto questa. Giunge in redazione una lettera firmata Renato Fiamma, l'assessore del Pd, quello per il quale l'ampliamento del poligono di tiro potrebbe risovere i problemi economici, occupazionali e di turismo a Cremona. Pubblichiamo fedelmente il contenuto della lettera e come conseguenza veniamo tacciati di scrivere il falso. Scopro che la lettera non solo non era stata scritta da Fiamma, ma l'occulto estensore non si era nemmeno preoccupato di avvertire l'assessore. La mozione per l'ampliamento del poligono viene presentata, lunedì scorso, in consiglio comunale e approvata a larga maggioranza, nonostante i distinguo del sindaco e i mal di pancia di buona parte del Pd, costretti a sottostare ad una specie di ricatto. Mah, che dire, non ho parole... Domani me ne vado al mare, lontano da tutto questo.

Daniele Tamburini

sabato, marzo 07, 2015

Cosa c’entra Tognazzi con il poligono di tiro?

Vi ricordate i basettoni? E il borsello? Gli abiti alla moda, di quel tempo, che oggi sembrano così ridicoli? La 600 Fiat con la quale andavamo a scoprire il mondo, e poi le danze delle donne che rivendicavano il loro ruolo e l’impeto delle manifestazioni politiche, il livello di scontro che si alzava. Avevamo tanti sogni, tante speranze, in quegli anni ’70 (allungati al finire dei ’60 ed all’inizio degli ’80): per il presente e per il futuro. E persino la Balena bianca, la Dc, dava voce ai diversi modi di vedere il mondo e le cose. Le correnti, così spesso aspramente criticate, erano anche dislocazioni di potere, ma non solo: c’erano diversificazioni reali, politiche e culturali. Si sentiva, si percepiva, che una pluralità di emozioni di voci, di aspettative, di idee percorreva il Paese. Non si sottraeva, Ugo Tognazzi, a quella temperie. Una certa malinconia, simile a certe caligini padane, e la grande capacità di interpretare umori e debolezze della società a lui contemporanea. C’erano stati il federale e i mostri, poi l’immorale e il ruolo nel “Porcile” di Pasolini, e poi il conte Mascetti e l’umanità vivisezionata de “La terrazza”, e la straordinaria “Tragedia di un uomo ridicolo”. Eppure, Tognazzi non era il classico attore “impegnato”: viveva nel suo tempo, viveva il suo tempo con occhio attento e partecipe. Si sentiva uomo del suo tempo (collaborò anche allo scherzo del “Male”: “Tognazzi capo delle Brigate rosse!”). Ecco il punto: sentirsi partecipi del proprio tempo, e non, semplicemente, oggetti passivi, che è il grande rischio di oggi. Lo vedo, ahimè, anche nei giovani. Lo vedo in chi non spera più, o non ha mai sperato, di poter avere voce in capitolo, di essere, magari un minimo, protagonista delle scelte e delle situazioni. In alto sopra di noi, la cupola mondiale delle banche e della finanza e di una politica che non ti guarda negli occhi, che non ascolta, ma che blandisce e proclama. Più vicino a noi, vediamo nei ruoli decisori persone che, magari, subordinano le proprie scelte di appartenenza al fatto di non ricevere soddisfazione alle proprie richieste. Che dire? Un tempo si decideva l’appartenenza rispetto a cosa si pensava della guerra nel Vietnam, oggi rispetto all’accoglimento o meno della proposta di ampliare un poligono di tiro. Mah, a volte mi dico, sconsolato, che forse hanno ragione ora. Adesso, che ho più passato che futuro, sia chiaro non rimpiango niente: ho vissuto il mio tempo, ne sono stato partecipe, ho fatto quello che volevo fare, quello che mi piaceva fare, con passione e caparbietà. Quella caparbietà che anche oggi mi consente di vivere questo tempo indistinto che, a dire il vero, mi piace un po' meno. 

Daniele Tamburini

sabato, febbraio 21, 2015

COME SE FOSSE ANTANI...

Dice il presidente del Consiglio: “Sono gasatissimo”. E’ lì con Marchionne e si fanno pubblicità a vicenda. Marchionne deve vendere le Fiat, Renzi deve vendere se stesso: e gli riesce benissimo. Che lo ritraggano su un muletto, o mentre dà il cinque a qualcuno, o mentre sussurra all’orecchio della signora Merkel, è sempre spiazzante. E’ vero, è un ottimo giocatore, è anche un uomo senza scrupoli (“stai sereno, Enrico… stai sereno, Silvio”). Si è circondato di figure che non gli fanno affatto ombra, anzi: ministri e ministre, sembrano così quieti, così mansueti, così in linea. Se si espongono, è palese che lo fanno per permettere a Lui di correggere, bacchettare, rettificare. Da ultimo è toccato a Gentiloni. Ma intanto, il messaggio è lanciato. Ho provato a leggere alcuni blog di politici suoi seguaci: dal “twit” del capo discendono commenti e valutazioni, tutti encomiastici, tutti entusiasti. L’Ocse dice che siamo sulla strada giusta? La notizia viene fatta rimbalzare ovunque (chissà se c’è qualcuno che si chieda: e chi è, l’Ocse?). Le organizzazioni come la Caritas, viceversa, dichiarano che tanta, troppa gente è allo stremo: non se ne parla proprio. Non c’è che dire, il premier porta a casa ciò che gli interessa davvero; resta da vedere se ciò che interessa a lui (la messa in un angolo di Berlusconi, l’elezione di Mattarella, l’Italicum, le riforme costituzionali etc…) interessa alla popolazione. Forse sì, forse la gente ha bisogno di ascoltare frasi come: basta con l’industria della lagna, supereremo la Germania, vinceremo sulla globalizzazione… Come aveva bisogno di sentire anche le precedenti: meno tasse per tutti, un milione di posti di lavoro… e, andando ancora all’indietro: un pacco di pasta per tutti… Eppure, erano state tante le promesse: una su tutte, la cultura sarà valorizzata, è il petrolio italiano… ma intanto Pompei continua a sgretolarsi. E gli F35? avevano promesso di ridurne l’acquisto sensibilmente, ma dagli Usa giunge notizia che non se ne parla proprio. E magari, il governo con l’elmetto commenterebbe anche: “ma ora c’è l’Isis!”, salvo poi mettersi un berrettino di lana e rassicurare che noi, guerre non ne faremo. Mah. Mi viene in mente il nostro grande Ugo in “Amici miei” con la sua supercazzola: “Come se fosse antani….”. 

Daniele Tamburini

sabato, febbraio 14, 2015

Nel resto del mondo... è semplicemente inverno

Il concetto di fondo che abbiamo ascoltato questa settimana, da parte dell'Amministrazione comunale, così come l'ho percepito io, è quello dell'inevitabilità. Inevitabili i disagi derivanti dalla nevicata "eccezionale"; inevitabile che ci voglia tempo - tanto tempo – (troppo tempo), per portar via mezzo metro di neve; inevitabili le auto bloccate, le persone che non potevano camminare sui marciapiedi, i nonni a rischio caduta, per giorni, mentre portavano i nipoti a scuola, gli asili con gli accessi impraticabili. Inevitabile, pare, dover spalare piazza del Comune e piazza Stradivari. Certo; però, forse, le scuole avrebbero potuto avere la precedenza. L'assessora competente risponde alle critiche un po' in maniera rituale, e un po' in modo stizzito: del resto, dice: “... è stato fatto un lavoro straordinario... il piano neve ha funzionato a dovere”. Ma se molti cittadini non sono d'accordo, e si sono fatti sentire, qualche motivo ci sarà, o no? È vero, amministrare una città significa non poter accontentare tutti; di questi tempi, poi... Ma noi siamo certi che amministrare una città significhi anche andare al confronto e accettare anche critiche che si considerino ingenerose. Amministrare non è una chiamata divina, non è una missione, non è neppure una scelta obbligata: è un servizio che si sceglie volontariamente di dare. Un servizio oggi difficilissimo, specie per chi amministra i Comuni, sottoposti dal governo a tagli micidiali. Strano che gli amministratori non sottolineino di più questo aspetto. Ma forse, non è così strano. E comunque, se cinquanta centimetri di neve da noi rappresentano un evento, quasi drammatico, di difficile e complicata gestione... nel resto del mondo, è semplicemente inverno.

Daniele Tamburini

sabato, febbraio 07, 2015

COME TANTI, BRAVI, PICCOLI TAFAZZI...

Un venerdì da incubo in città e nei paesi. Ore 14.30, sono sulla via Mantova, verso Gadesco, devo andare, non posso farne a meno. È vero, è caduta moltissima neve, ma ormai da diverse ore non nevica più, eppure le strade sono un disastro. Stiamo procedendo a passo d’uomo, e quindi c’è tempo per riflettere, su tante cose. La prima è l’amara constatazione che sempre facciamo in queste circostanze: siamo andati sulla Luna quasi 50 anni fa, stiamo lavorando con 2.0 e droni, ma basta una forte nevicata e tutto va in tilt. Ci sarà una soluzione? Il fatto è che vedo pochi mezzi, pochi uomini, forse anche poco sale. E penso: sono questi, evidentemente, i primi risultati dei tagli lineari ai bilanci degli enti locali? Questo è il primo risultato dell’operazione sgangherata che è stata condotta sulle Province, per esempio? Sindaci, presidenti eccetera avranno anche amministrato male in passato, in alcuni casi; sicuramente ci saranno stati sprechi; ma, all’italiana, cosa si è pensato di fare? Di rendere ingestibile quel che era già difficile reggere; di tagliare senza pietà quei servizi che già languivano. Invece di razionalizzare, sfrondare, sistemare, si è tagliato indiscriminatamente. Invece che un ragionamento serio, una serie di tagliole. D’altronde, chi parla più del dossier Cottarelli, che aveva individuato – pare – spese da razionalizzare davvero, senza colpire i servizi al cittadino, e che è sepolto, sparito, sommerso chissà dove? Aboliamo le Province, gridavano, certi politici, con la bava alla bocca. Mi sa che, più che colpire la casta, abbiamo fatto come Tafazzi e colpito a morte i servizi. Medito ancora, mentre ancora vado a passo d’uomo. Siamo tante scatole semoventi in fila, mentre il tempo, prezioso, scorre, i droni, forse, volano, e i sacchi di sale sono desolatamente vuoti.

Daniele Tamburini

Torrazzo Srl: così la ’Ndrangheta si spartiva il nostro territorio

General Contractor ed Edilstella: le due “società-fortino” da cui si controllava il territorio cremonese


Nelle carte dell’indagine “Aemilia”, Cremona risulta «un punto di riferimento» importante dell’impero dei Grande Aracri

di Michele Scolari

Altra ‘ndrangheta». O «’ndrangheta emiliana». E’ il fantasma inseguito per anni da magistrati e investigatori (e di cui abbiamo più volte parlato su queste colonne negli ultimi due anni). Ora sappiamo nei dettagli cos’è. Avvisaglie non erano mancate. Ma l’indagine Aemilia (160 arresti, di cui 117 emessi da Bologna) è mastodontica rispetto a Grande Drago, Edilpiovra, Scacco Matto e Pandora. «Una svolta storica senza precedenti», per dirla con le parole di Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia. Un terremoto che ha colpito duramente l’epicentro settentrionale del potentato afferente al boss Nicolino Grande Aracri, propaggine della “locale” di Cutro e infiltrato nei gangli vitali del tessuto emiliano, cremonese, mantovano e veneto, arrivando a intrecciarsi con profili di imprenditorialità, in particolare l’edilizia, la politica e, ancor più pericolosamente, l’informazione. È su questa “zona grigia” che si è concentrata e dovrà continuare a concentrarsi l’attenzione. E il terremoto giudiziario non ha risparmiato neppure Cremona: dieci arresti, tra città e dintorni (sei con l’accusa di associazione mafiosa, tra cui un ex funzionario della Polstrada, ora in carcere in Venezuela). Nomi eccellenti e noti da tempo, assieme a qualche nome nuovo. Certo, dall’omicidio “Dramore” degli anni ’90 si sapeva di una cellula operante autonomamente nel territorio piacentino cremonese, riferibile a Nicolino Grande Aracri, sgominata una prima volta dall’indagine Grande Drago del 2002; nel 2012 si sapeva che «è la direttrice Reggio- Cremona quella alla quale occorrerà stare particolarmente attenti in futuro» (aveva avvertito il sostituto procuratore della Dna Roberto Pennisi); nel 2013 si sapeva che il caso di usura scoperto a Cremona a maggio (quel filo affiorante che, tirato, ha permesso di dissotterrare la spaventosa rete ‘ndranghetista scoperta da Aemilia) appariva «connesso a fenomeni anche pregressi di usura sistematica connessa ad ambienti della criminalità organizzata» (osservava già allora il gip di Cremona Guido Salvini); ancora nel 2013 si sapeva del persistere di «costanti attività delittuose legate alla criminalità organizzata nel territorio di Cremona e Mantova» (riferiva il Rapporto della Dia milanese); nel 2014 si sapeva dell’incidenza sul territorio di Cremona di «soggetti ritenuti legati alla cosca Grande Aracri di Cutro» (si leggeva nel rapporto Dna); si sapeva che, in questi anni, questi soggetti si stavano infiltrando con modalità nuove nel tessuto economico locale, nell’edilizia e nel settore immobiliare (rapporto Dna 2014); si sapeva che si trattava di «potentati mafiosi crotonesi tali da far impallidire quelli reggini» (come aveva dichiarato il procuratore Roberto Pennisi). E si sapeva, dalle parole del pentito Luigi Bonaventura, che la ‘ndrangheta “emiliana” si era rafforzata estendendosi progressivamente in una “Provincia” (“cupola” forte di più potentati mafiosi) che investiva in pieno Cremona, come si vede nella cartina. Ma un ciclone delle dimensioni di Aemilia forse pochi se l’aspettavano. IL TERZIARIO DELLA ‘NDRANGHETA – Eccola dunque, la “altra ‘ndrangheta”. Quella ‘ndrangheta che «si rimodella in base al territorio in cui viene a trovarsi, agendo in modo sotterraneo e subdolo». Quella ‘ndrangheta che non colonizza ma “delocalizza”: ciò significa che il “ramo” dell’impresa “madre” (la ‘ndrina con base il Calabria) sistemato nel nuovo territorio (ad esempio, Reggio o Cremona) è subordinato al “centro direttivo” rimasto in Calabria, il quale crea una sua rappresentanza nel luogo della “delocalizzazione” mettendovi a capo un “institore” (termine del diritto commerciale), «vero alter-ego del boss con il compito di sovrintendere a tutta l’attività criminosa svolta dall’associazione e di acquisirne i proventi». Ma, si legge ancora nelle carte, «la dipendenza dal capo-società non è però totalitaria ed asfissiante»: la ‘ndrina piacentina- cremonese e quella reggiana «godono infatti di grande autonomia, nel rispetto di regole che fanno della ‘ndrangheta un’organizzazione del tutto verticistica. Difatti, i responsabili delle cellule emiliane possono gestire i loro affari autodeterminandosi, decidendo cioè i traffici illeciti da attuare, avendo cura solo di riconoscere una percentuale sui profitti illeciti a favore». È questa “terziarizzazione” dell’organizzazione, che la rende simile ad una società di servizi (come l’ha definita perfettamente il giornalista Giovanni Tizian), la novità. È la nuova dimensione economica e finanziaria della ‘ndrangheta, ora non più relegata a qualche indagine locale. Non è più soltanto una metamorfosi estetica (dalla coppola alla cravatta) ma professionale: non più attività “vetero-criminali” (sequestri, grandi partite di droga, prostituzione) ma frodi fiscali, fatture false, marketing, investimenti e prestiti (ad usura). E questo in tempi di crisi, in cui i cordoni delle banche sono sempre più stretti e l’imprenditoria ha un disperato bisogno di credito. Ed ecco spiegato anche il perché di quella strana «quiete», di quella «stasi» (si fa per dire) di cui Pennisi aveva parlato relativamente alla zona di Reggio, Cremona e Piacenza negli anni successivi alle sentenze del processo Grande Drago, pronunciate nel 2008 dal Tribunale di Piacenza. La situazione tra Emilia e Cremona «si muoveva poco – con le parole del pentito Bonaventura -. Sembrava che si muovesse poco… non c’è più la caciara che… come c’era prima… perché adesso… si sono creati degli investimenti veramente importanti in quell’area, per questo magari sembra che ci sia un po’ di silenzio no? Ehhh… (…) silenzio che non si spara». CREMONA: UN «PUNTO DI RIFERIMENTO » – Per quanto riguarda il filone di Cremona, dalle carte dell’inchiesta, emerge come anche dopo il 2008 (l’anno delle sentenze dell’operazione Grande Drago) la nostra città avesse continuato ad essere sede di una delle due ‘ndrine, indicate dal pentito Angelo Salvatore Cortese come «quelle vere e proprie… le operative»: una attiva «a Reggio Emilia, con competenza allargata alle province di Modena, Parma, fino a Bologna»; l’altra attiva tra Piacenza e Cremona, «con a capo Francesco Lamanna». «Le due ‘ndrine distaccate, sebbene fortemente interconnesse tra loro, sono tuttavia riferibili a due famiglie diverse, benché saldamente alleate: mentre quella di Reggio Emilia è congiuntamente gestita dai Nicoscia e dai Grande Aracri, quella insistente tra Piacenza e Cremona è ad esclusivo appannaggio del Grande Aracri, pur rimanendo “a disposizione del clan”». In questo quadro, Cremona risulta un vero e proprio punto di riferimento: «Le persone di giù sanno che a Cremona c’è Franco Lamanna – spiegava Cortese agli investigatori – se c’ho bisogno di qualcosa, un appoggio di qualsiasi cosa, io vado da Franco Lamanna, perché “mi serve una macchina rubata, vedi che dobbiamo fare una rapina, dobbiamo… ci serve per fare un traffico di droga” cioè è un punto di riferimento che c’è, e si stacca, lo puoi fare dove vuoi». LE DUE SOCIETA’-FORTINO DI CREMONA – Le carte dell’indagine parlano di due società consortili con sede legale a Cremona e operative a Castelvetro (Pc): la General Contractor Group e la Edilstella Srl. Da queste postazioni, secondo gli inquirenti, Francesco L. avrebbe controllato il territorio. In queste società «avevano a vario titolo il controllo o possedevano quote di partecipazione determinanti (direttamente o per interposta persona)» R.V. (ritenuto figura centrale nella gestione), Francesco L. (di Cremona) ed altri tre soggetti: M.C. (di Castelvetro, ex sovrintendente della Polstrada, accusato tra l’altro di essersi introdotto «abusivamente nel sistema informatico denominato Sistema di Indagine, in dotazione alle forze di polizia, sistema protetto da misure di sicurezza, con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti la sua funzione di ufficiale di p.g. e con violazione delle direttive concernenti l’accesso allo Sdi da parte di appartenenti alle forze dell’ordine»), V.M., (cutrese di Castelverde, che «deteneva armi da fuoco a disposizione dell’associazione »), e i fratelli P.V. e R.V. (cutresi di Castelvetro), accusati, assieme ad assieme a F.L. (anch’egli cutrese di Castelvetro) di tentata estorsione ai danni di un imprenditore del paese («avvalendosi della condizione di intimidazione derivante dalla loro appartenenza alla ‘ndrangheta ed in particolare all’articolazione ‘ndranghetistica emiliana, avente epicentro nella provincia di Reggio Emilia»); a questi si aggiungono S.M., cutrese residente a Corte de’ Frati, ritenuto «costantemente a disposizione di Lamanna Francesco» di cui sarebbe «autista e factotum» e «punto di riferimento degli altri sodali di Castelvetro Piacentino», nonché «in possesso di armi da fuoco»; G.M., cutrese residente a Sesto ed Uniti, «in possesso di armi da fuoco»; S.C., di Bagnara, accusato di avere «illegalmente detenuto e portato una pistola a tamburo e relativo munizionamento»; e P.V., di Castelvetro. Eccetto gli ultimi tre, per gli altri l’accusa è di associazione a delinquere di stampo mafioso. I primi sei, «nella piena consapevolezza della provenienza di parte del denaro affidato a R.V. dall’associazione mafiosa dei Grande Aracri di Cutro, lo investivano nell’attività di fatturazione per operazioni inesistenti oggetto sostanzialmente dominante dell’attività del gruppo di società sopra indicate». La Edilstella «funge da trait d’union con numerose altre società riferibili a soggetti originari di Cutro e risulta essere stata utilizzata come copertura per compiere attività illecite quali il riciclaggio di denaro proveniente da usura o altri reati attraverso false fatturazioni su lavori inesistenti». Dal canto suo, la General Contractor, secondo le accuse, sarebbe anche servita a coprire, tramite l’emissione di false fatture, una tentata azione estorsiva da parte di F.L. e P.V. ai danni di un imprenditore di Castelvetro. E il metodo utilizzato per il riciclaggio ricostruito dagli inquirenti risulta indubbiamente ingegnoso: «Il denaro contante, dopo essere stato consegnato ad una società – sulla carta – appaltante, che non ha alcun legame con l’organizzazione calabrese, viene quindi trasmesso mediante bonifico al Consorzio “Edil Stella” che a sua volta, lo gira a società correlabili al sodalizio in qualità di operatori in subappalto nei lavori fittizi o direttamente al finanziatore del denaro contante. Tutte queste movimentazioni vengono quindi rese lecite mediante una serie di false fatturazioni nel campo edile». Insomma, la quantità di denaro per i necessari investimenti del clan, che prima veniva creata attraverso le metodologie “militari” delle attività “vetero-criminali”, anche a Cremona avveniva ormai con i nuovi illeciti para-legali. Ed ora, come ha ricordato il procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, quella «mafia imprenditrice » inseguita per anni come un fantasma «l’abbiamo scoperta e perseguita proprio in casa nostra».

L’ombra di cutro su rifiuti, night club e immobiliare


A Cremona permangono situazioni non chiare in cui spuntano ancora nomi di cutresi già coinvolti nella Grande Drago
Dalla discarica di Cignone ai possibili intrecci tra ‘ndrangheta e camorra nel settore a luci rosse

Il salto di qualità della ‘ndrangheta “terziarizzata” compiuto dalla rete dei vassalli emiliani del presunto boss Nicolino Grande Aracri lo abbiamo visto nella prima parte dell’inchiesta. La data d’inizio la conosciamo: il 1982, quando il boss cutrese Totò Dragone arrivò in terra emiliana (il suo posto l’avrebbe poi preso l’attuale presunto boss, Nicolino Grande Aracri, estesosi poi nel cremonese e nel mantovano). Ma si può dire che i 160 arresti di “Aemilia” segnino la data di scadenza? Le mafie sono come monete false: prima o poi saltano sempre fuori. E, oltre alla dimensione da holding finanziaria, l’altra novità preoccupante è l’occupazione non più “militare” del territorio, ma «dei cittadini e delle loro menti» (come ha sottolineato il sostituto procuratore antimafia Roberto Pennisi nella conferenza stampa del 28 gennaio). Ha scritto il giornalista Giovanni Tizian: «La sensazione è che siamo solo all’inizio. Come fu per la Lombardia dopo la maxi operazione Crimine (300 arresti tra Calabria e Lombardia nel 2010), che diede il via a decine di operazioni della stessa importanza. Questo perché una volta aperti, certi vasi sono più profondi di quel che potevamo immaginare». E come dargli torto? In Emilia e a Mantova restano numerose zone d’ombra. E lo stesso si può dire per la provincia di Cremona, dove persistono ombre nel traffico dei rifiuti, nell’immobiliare, nel giro dei night club che per ora sembrano essere rimaste fuori dall’inchiesta. TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI – Un soggetto cutrese (C.O.M.), già comparso tra quelli dell’indagine Grande Drago del 2002, è rispuntato nell’affaire della mega discarica abusiva sequestrata dal Noe di Brescia nel maggio del 2012 in un vecchio impianto di betonaggio a Cignone (Corte de’ Cortesi). Nel periodo della conduzione “cutrese” del terreno, numerose testimonianze parlano di estorsioni perpetrate in paese. E un imprenditore edile cremonese (che ha chiesto l’anonimato) indica l’amministratore “fantasma” della società intestata a C.O.M. in un secondo cutrese, che sarebbe rimasto fuori dalle carte della società a “tirare le fila” da dietro la tenda: «Questa è la parte peggiore della ’ndrangheta – commentava l’imprenditore edile – perché non fanno neppure girare denaro, per quanto illecito: si limitano ad un’azione di solo parassitismo, sfruttando e ripulendo società in perdita senza costruire o produrre nulla». CONTROLLO E SVUOTAMENTO AZIENDE IN CRISI – Curioso anche il caso di un’azienda in crisi in un paese del territorio di Casalmaggiore, relativamente alla quale è emerso un metodo di “svuotamento delle aziende” analogo a quello identificato da Roberto Pennisi per la “altra ’ndrangheta” e la camorra in molte zone dell’Emilia e del territorio Veneto. Nel 2012, l’azienda è risultata affittata ad alcuni misteriosi soggetti “senza storia” e di origine campana, comparsi all’improvviso dal nulla; all’inizio del 2013, lo stabile era inspiegabilmente chiuso anche ai legittimi proprietari ed agli operai: nessuno vi accedeva più. Alcuni testimoni riferirono di aver udito all’interno, nei mesi successivi (circa da febbraio a giugno 2013), continui rumori di macchinari smontati e materiale metallico segato, segnalando un intenso via vai soprattutto notturno di autoarticolati che entravano in azienda con i cassoni scoperti e vi uscivano di nuovo coperti con teloni. Poi i soggetti sparirono assieme al nome ed alla persona giuridica della società. NIGHT CLUB E POSSIBILI INTRECCI ‘NDRANGHETA-CAMORRA – Nella zona di Cremona, ombre preoccupanti si allungano anche sul settore dei night club. Da indiscrezioni circolate negli ultimi tempi (per le quali si attendono verifiche) si parlerebbe di un’azione congiunta di soggetti cutresi già coinvolti nell’operazione Grande Drago (uno comparso anche nel caso della discarica di Cignone) e legati alla ‘ndrina di Grande Aracri, con altri legati ad ambienti camorristici di Torre Annunziata (e tra questi ultimi, incuriosisce il nome di un soggetto legato ad un partito politico di centro e più volte immortalato assieme ad un noto parlamentare centrista). Oltretutto, alcuni dei soggetti di parte cutrese risultano legati ad altri soggetti cutresi residenti in Emilia che spuntano dalle carte della maxi-operazione “Venus” scattata nel 2012 a Parma contro il racket della prostituzione. AGENZIE IMMOBILIARI SENZA SEDE E COMPRATORI “NULLATENENTI” – Di strani movimenti si parla anche nel settore immobiliare, dietro un’agenzia cittadina (che risulta, almeno apparentemente, senza sede): indiscrezioni parlano di numerose ed ambigue compravendite perlopiù di case appena costruite in lotti situati sia a Cremona che in un paese del vicino territorio, da parte di alcuni soggetti di origine cutrese, che risulterebbero però disoccupati e senza entrate. Anche in questo caso, alcuni nomi risultano, curiosamente, già comparsi nell’ambito dell’operazione Grande Drago. E in un Comune vicino a Cremona sono affiorate irregolarità nei conteggi relativi all’edificazione di due lotti da parte di imprese edilizie riferibili a due soggetti cutresi appena arrestati nell’operazione “Aemilia”. Questa settimana è stata depositata dal consigliere comunale Giancarlo Schifano una mozione sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella provincia di Cremona. Non è la prima. E, al netto della situazione, forse non sarà neppure l’ultima. Incontrerà stavolta il voto della maggioranza? Ci sarà per una volta la volontà politica di guardare in faccia la realtà?