General Contractor ed Edilstella: le due “società-fortino” da cui si controllava il territorio cremonese
Nelle carte dell’indagine “Aemilia”, Cremona risulta «un punto di riferimento» importante dell’impero dei Grande Aracri
di Michele Scolari
Altra ‘ndrangheta». O «’ndrangheta emiliana». E’ il fantasma inseguito per
anni da magistrati e investigatori (e di cui abbiamo più volte parlato su queste
colonne negli ultimi due anni). Ora sappiamo nei dettagli cos’è. Avvisaglie non
erano mancate. Ma l’indagine Aemilia (160 arresti, di cui 117 emessi da Bologna)
è mastodontica rispetto a Grande Drago, Edilpiovra, Scacco Matto e Pandora. «Una
svolta storica senza precedenti», per dirla con le parole di Franco Roberti,
procuratore nazionale antimafia. Un terremoto che ha colpito duramente
l’epicentro settentrionale del potentato afferente al boss Nicolino Grande
Aracri, propaggine della “locale” di Cutro e infiltrato nei gangli vitali del
tessuto emiliano, cremonese, mantovano e veneto, arrivando a intrecciarsi con
profili di imprenditorialità, in particolare l’edilizia, la politica e, ancor
più pericolosamente, l’informazione. È su questa “zona grigia” che si è
concentrata e dovrà continuare a concentrarsi l’attenzione. E il terremoto
giudiziario non ha risparmiato neppure Cremona: dieci arresti, tra città e
dintorni (sei con l’accusa di associazione mafiosa, tra cui un ex funzionario
della Polstrada, ora in carcere in Venezuela). Nomi eccellenti e noti da tempo,
assieme a qualche nome nuovo. Certo, dall’omicidio “Dramore” degli anni ’90 si
sapeva di una cellula operante autonomamente nel territorio piacentino cremonese,
riferibile a Nicolino Grande Aracri, sgominata una prima volta dall’indagine
Grande Drago del 2002; nel 2012 si sapeva che «è la direttrice Reggio- Cremona
quella alla quale occorrerà stare particolarmente attenti in futuro» (aveva
avvertito il sostituto procuratore della Dna Roberto Pennisi); nel 2013 si
sapeva che il caso di usura scoperto a Cremona a maggio (quel filo affiorante
che, tirato, ha permesso di dissotterrare la spaventosa rete ‘ndranghetista
scoperta da Aemilia) appariva «connesso a fenomeni anche pregressi di usura
sistematica connessa ad ambienti della criminalità organizzata» (osservava già
allora il gip di Cremona Guido Salvini); ancora nel 2013 si sapeva del
persistere di «costanti attività delittuose legate alla criminalità organizzata
nel territorio di Cremona e Mantova» (riferiva il Rapporto della Dia milanese);
nel 2014 si sapeva dell’incidenza sul territorio di Cremona di «soggetti
ritenuti legati alla cosca Grande Aracri di Cutro» (si leggeva nel rapporto
Dna); si sapeva che, in questi anni, questi soggetti si stavano infiltrando con
modalità nuove nel tessuto economico locale, nell’edilizia e nel settore
immobiliare (rapporto Dna 2014); si sapeva che si trattava di «potentati mafiosi
crotonesi tali da far impallidire quelli reggini» (come aveva dichiarato il
procuratore Roberto Pennisi). E si sapeva, dalle parole del pentito Luigi
Bonaventura, che la ‘ndrangheta “emiliana” si era rafforzata estendendosi
progressivamente in una “Provincia” (“cupola” forte di più potentati mafiosi)
che investiva in pieno Cremona, come si vede nella cartina. Ma un ciclone delle
dimensioni di Aemilia forse pochi se l’aspettavano. IL TERZIARIO DELLA
‘NDRANGHETA – Eccola dunque, la “altra ‘ndrangheta”. Quella ‘ndrangheta che «si
rimodella in base al territorio in cui viene a trovarsi, agendo in modo
sotterraneo e subdolo». Quella ‘ndrangheta che non colonizza ma “delocalizza”:
ciò significa che il “ramo” dell’impresa “madre” (la ‘ndrina con base il
Calabria) sistemato nel nuovo territorio (ad esempio, Reggio o Cremona) è
subordinato al “centro direttivo” rimasto in Calabria, il quale crea una sua
rappresentanza nel luogo della “delocalizzazione” mettendovi a capo un
“institore” (termine del diritto commerciale), «vero alter-ego del boss con il
compito di sovrintendere a tutta l’attività criminosa svolta dall’associazione e
di acquisirne i proventi». Ma, si legge ancora nelle carte, «la dipendenza dal
capo-società non è però totalitaria ed asfissiante»: la ‘ndrina piacentina-
cremonese e quella reggiana «godono infatti di grande autonomia, nel rispetto di
regole che fanno della ‘ndrangheta un’organizzazione del tutto verticistica.
Difatti, i responsabili delle cellule emiliane possono gestire i loro affari
autodeterminandosi, decidendo cioè i traffici illeciti da attuare, avendo cura
solo di riconoscere una percentuale sui profitti illeciti a favore». È questa
“terziarizzazione” dell’organizzazione, che la rende simile ad una società di
servizi (come l’ha definita perfettamente il giornalista Giovanni Tizian), la
novità. È la nuova dimensione economica e finanziaria della ‘ndrangheta, ora non
più relegata a qualche indagine locale. Non è più soltanto una metamorfosi
estetica (dalla coppola alla cravatta) ma professionale: non più attività
“vetero-criminali” (sequestri, grandi partite di droga, prostituzione) ma frodi
fiscali, fatture false, marketing, investimenti e prestiti (ad usura). E questo
in tempi di crisi, in cui i cordoni delle banche sono sempre più stretti e
l’imprenditoria ha un disperato bisogno di credito. Ed ecco spiegato anche il
perché di quella strana «quiete», di quella «stasi» (si fa per dire) di cui
Pennisi aveva parlato relativamente alla zona di Reggio, Cremona e Piacenza
negli anni successivi alle sentenze del processo Grande Drago, pronunciate nel
2008 dal Tribunale di Piacenza. La situazione tra Emilia e Cremona «si muoveva
poco – con le parole del pentito Bonaventura -. Sembrava che si muovesse poco…
non c’è più la caciara che… come c’era prima… perché adesso… si sono creati
degli investimenti veramente importanti in quell’area, per questo magari sembra
che ci sia un po’ di silenzio no? Ehhh… (…) silenzio che non si spara». CREMONA:
UN «PUNTO DI RIFERIMENTO » – Per quanto riguarda il filone di Cremona, dalle
carte dell’inchiesta, emerge come anche dopo il 2008 (l’anno delle sentenze
dell’operazione Grande Drago) la nostra città avesse continuato ad essere sede
di una delle due ‘ndrine, indicate dal pentito Angelo Salvatore Cortese come
«quelle vere e proprie… le operative»: una attiva «a Reggio Emilia, con
competenza allargata alle province di Modena, Parma, fino a Bologna»; l’altra
attiva tra Piacenza e Cremona, «con a capo Francesco Lamanna». «Le due ‘ndrine
distaccate, sebbene fortemente interconnesse tra loro, sono tuttavia riferibili
a due famiglie diverse, benché saldamente alleate: mentre quella di Reggio
Emilia è congiuntamente gestita dai Nicoscia e dai Grande Aracri, quella
insistente tra Piacenza e Cremona è ad esclusivo appannaggio del Grande Aracri,
pur rimanendo “a disposizione del clan”». In questo quadro, Cremona risulta un
vero e proprio punto di riferimento: «Le persone di giù sanno che a Cremona c’è
Franco Lamanna – spiegava Cortese agli investigatori – se c’ho bisogno di
qualcosa, un appoggio di qualsiasi cosa, io vado da Franco Lamanna, perché “mi
serve una macchina rubata, vedi che dobbiamo fare una rapina, dobbiamo… ci serve
per fare un traffico di droga” cioè è un punto di riferimento che c’è, e si
stacca, lo puoi fare dove vuoi». LE DUE SOCIETA’-FORTINO DI CREMONA – Le carte
dell’indagine parlano di due società consortili con sede legale a Cremona e
operative a Castelvetro (Pc): la General Contractor Group e la Edilstella Srl.
Da queste postazioni, secondo gli inquirenti, Francesco L. avrebbe controllato
il territorio. In queste società «avevano a vario titolo il controllo o
possedevano quote di partecipazione determinanti (direttamente o per interposta
persona)» R.V. (ritenuto figura centrale nella gestione), Francesco L. (di
Cremona) ed altri tre soggetti: M.C. (di Castelvetro, ex sovrintendente della
Polstrada, accusato tra l’altro di essersi introdotto «abusivamente nel sistema
informatico denominato Sistema di Indagine, in dotazione alle forze di polizia,
sistema protetto da misure di sicurezza, con abuso dei poteri e violazione dei
doveri inerenti la sua funzione di ufficiale di p.g. e con violazione delle
direttive concernenti l’accesso allo Sdi da parte di appartenenti alle forze
dell’ordine»), V.M., (cutrese di Castelverde, che «deteneva armi da fuoco a
disposizione dell’associazione »), e i fratelli P.V. e R.V. (cutresi di
Castelvetro), accusati, assieme ad assieme a F.L. (anch’egli cutrese di
Castelvetro) di tentata estorsione ai danni di un imprenditore del paese
(«avvalendosi della condizione di intimidazione derivante dalla loro
appartenenza alla ‘ndrangheta ed in particolare all’articolazione
‘ndranghetistica emiliana, avente epicentro nella provincia di Reggio Emilia»);
a questi si aggiungono S.M., cutrese residente a Corte de’ Frati, ritenuto
«costantemente a disposizione di Lamanna Francesco» di cui sarebbe «autista e
factotum» e «punto di riferimento degli altri sodali di Castelvetro Piacentino»,
nonché «in possesso di armi da fuoco»; G.M., cutrese residente a Sesto ed Uniti,
«in possesso di armi da fuoco»; S.C., di Bagnara, accusato di avere
«illegalmente detenuto e portato una pistola a tamburo e relativo
munizionamento»; e P.V., di Castelvetro. Eccetto gli ultimi tre, per gli altri
l’accusa è di associazione a delinquere di stampo mafioso. I primi sei, «nella
piena consapevolezza della provenienza di parte del denaro affidato a R.V.
dall’associazione mafiosa dei Grande Aracri di Cutro, lo investivano
nell’attività di fatturazione per operazioni inesistenti oggetto sostanzialmente
dominante dell’attività del gruppo di società sopra indicate». La Edilstella
«funge da trait d’union con numerose altre società riferibili a soggetti
originari di Cutro e risulta essere stata utilizzata come copertura per compiere
attività illecite quali il riciclaggio di denaro proveniente da usura o altri
reati attraverso false fatturazioni su lavori inesistenti». Dal canto suo, la
General Contractor, secondo le accuse, sarebbe anche servita a coprire, tramite
l’emissione di false fatture, una tentata azione estorsiva da parte di F.L. e
P.V. ai danni di un imprenditore di Castelvetro. E il metodo utilizzato per il
riciclaggio ricostruito dagli inquirenti risulta indubbiamente ingegnoso: «Il
denaro contante, dopo essere stato consegnato ad una società – sulla carta –
appaltante, che non ha alcun legame con l’organizzazione calabrese, viene quindi
trasmesso mediante bonifico al Consorzio “Edil Stella” che a sua volta, lo gira
a società correlabili al sodalizio in qualità di operatori in subappalto nei
lavori fittizi o direttamente al finanziatore del denaro contante. Tutte queste
movimentazioni vengono quindi rese lecite mediante una serie di false
fatturazioni nel campo edile». Insomma, la quantità di denaro per i necessari
investimenti del clan, che prima veniva creata attraverso le metodologie
“militari” delle attività “vetero-criminali”, anche a Cremona avveniva ormai con
i nuovi illeciti para-legali. Ed ora, come ha ricordato il procuratore capo di
Bologna, Roberto Alfonso, quella «mafia imprenditrice » inseguita per anni come
un fantasma «l’abbiamo scoperta e perseguita proprio in casa nostra».
L’ombra di cutro su rifiuti, night club e immobiliare
A Cremona permangono situazioni non chiare in cui spuntano ancora nomi di cutresi già coinvolti nella Grande Drago
Dalla discarica di Cignone ai possibili intrecci tra ‘ndrangheta e camorra nel settore a luci rosse
Il salto di qualità della ‘ndrangheta “terziarizzata” compiuto dalla rete dei
vassalli emiliani del presunto boss Nicolino Grande Aracri lo abbiamo visto
nella prima parte dell’inchiesta. La data d’inizio la conosciamo: il 1982,
quando il boss cutrese Totò Dragone arrivò in terra emiliana (il suo posto
l’avrebbe poi preso l’attuale presunto boss, Nicolino Grande Aracri, estesosi
poi nel cremonese e nel mantovano). Ma si può dire che i 160 arresti di
“Aemilia” segnino la data di scadenza? Le mafie sono come monete false: prima o
poi saltano sempre fuori. E, oltre alla dimensione da holding finanziaria,
l’altra novità preoccupante è l’occupazione non più “militare” del territorio,
ma «dei cittadini e delle loro menti» (come ha sottolineato il sostituto
procuratore antimafia Roberto Pennisi nella conferenza stampa del 28 gennaio).
Ha scritto il giornalista Giovanni Tizian: «La sensazione è che siamo solo
all’inizio. Come fu per la Lombardia dopo la maxi operazione Crimine (300
arresti tra Calabria e Lombardia nel 2010), che diede il via a decine di
operazioni della stessa importanza. Questo perché una volta aperti, certi vasi
sono più profondi di quel che potevamo immaginare». E come dargli torto? In
Emilia e a Mantova restano numerose zone d’ombra. E lo stesso si può dire per la
provincia di Cremona, dove persistono ombre nel traffico dei rifiuti,
nell’immobiliare, nel giro dei night club che per ora sembrano essere rimaste
fuori dall’inchiesta. TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI – Un soggetto cutrese
(C.O.M.), già comparso tra quelli dell’indagine Grande Drago del 2002, è
rispuntato nell’affaire della mega discarica abusiva sequestrata dal Noe di
Brescia nel maggio del 2012 in un vecchio impianto di betonaggio a Cignone
(Corte de’ Cortesi). Nel periodo della conduzione “cutrese” del terreno,
numerose testimonianze parlano di estorsioni perpetrate in paese. E un
imprenditore edile cremonese (che ha chiesto l’anonimato) indica
l’amministratore “fantasma” della società intestata a C.O.M. in un secondo
cutrese, che sarebbe rimasto fuori dalle carte della società a “tirare le fila”
da dietro la tenda: «Questa è la parte peggiore della ’ndrangheta – commentava
l’imprenditore edile – perché non fanno neppure girare denaro, per quanto
illecito: si limitano ad un’azione di solo parassitismo, sfruttando e ripulendo
società in perdita senza costruire o produrre nulla». CONTROLLO E SVUOTAMENTO
AZIENDE IN CRISI – Curioso anche il caso di un’azienda in crisi in un paese del
territorio di Casalmaggiore, relativamente alla quale è emerso un metodo di
“svuotamento delle aziende” analogo a quello identificato da Roberto Pennisi per
la “altra ’ndrangheta” e la camorra in molte zone dell’Emilia e del territorio
Veneto. Nel 2012, l’azienda è risultata affittata ad alcuni misteriosi soggetti
“senza storia” e di origine campana, comparsi all’improvviso dal nulla;
all’inizio del 2013, lo stabile era inspiegabilmente chiuso anche ai legittimi
proprietari ed agli operai: nessuno vi accedeva più. Alcuni testimoni riferirono
di aver udito all’interno, nei mesi successivi (circa da febbraio a giugno
2013), continui rumori di macchinari smontati e materiale metallico segato,
segnalando un intenso via vai soprattutto notturno di autoarticolati che
entravano in azienda con i cassoni scoperti e vi uscivano di nuovo coperti con
teloni. Poi i soggetti sparirono assieme al nome ed alla persona giuridica della
società. NIGHT CLUB E POSSIBILI INTRECCI ‘NDRANGHETA-CAMORRA – Nella zona di
Cremona, ombre preoccupanti si allungano anche sul settore dei night club. Da
indiscrezioni circolate negli ultimi tempi (per le quali si attendono verifiche)
si parlerebbe di un’azione congiunta di soggetti cutresi già coinvolti
nell’operazione Grande Drago (uno comparso anche nel caso della discarica di
Cignone) e legati alla ‘ndrina di Grande Aracri, con altri legati ad ambienti
camorristici di Torre Annunziata (e tra questi ultimi, incuriosisce il nome di
un soggetto legato ad un partito politico di centro e più volte immortalato
assieme ad un noto parlamentare centrista). Oltretutto, alcuni dei soggetti di
parte cutrese risultano legati ad altri soggetti cutresi residenti in Emilia che
spuntano dalle carte della maxi-operazione “Venus” scattata nel 2012 a Parma
contro il racket della prostituzione. AGENZIE IMMOBILIARI SENZA SEDE E
COMPRATORI “NULLATENENTI” – Di strani movimenti si parla anche nel settore
immobiliare, dietro un’agenzia cittadina (che risulta, almeno apparentemente,
senza sede): indiscrezioni parlano di numerose ed ambigue compravendite perlopiù
di case appena costruite in lotti situati sia a Cremona che in un paese del
vicino territorio, da parte di alcuni soggetti di origine cutrese, che
risulterebbero però disoccupati e senza entrate. Anche in questo caso, alcuni
nomi risultano, curiosamente, già comparsi nell’ambito dell’operazione Grande
Drago. E in un Comune vicino a Cremona sono affiorate irregolarità nei conteggi
relativi all’edificazione di due lotti da parte di imprese edilizie riferibili a
due soggetti cutresi appena arrestati nell’operazione “Aemilia”. Questa
settimana è stata depositata dal consigliere comunale Giancarlo Schifano una
mozione sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella provincia di Cremona. Non è
la prima. E, al netto della situazione, forse non sarà neppure l’ultima.
Incontrerà stavolta il voto della maggioranza? Ci sarà per una volta la volontà
politica di guardare in faccia la realtà?
Nessun commento:
Posta un commento