venerdì, novembre 28, 2008

L’abitudine e l’assuefazione

E' vero, ci si abitua a tutto o quasi. L’abitudine ha in sè un enorme potere, la storia ci insegna che non c’è niente cui l’uomo non finisca per abituarsi, fino a considerare inevitabili e ineluttabili le più aberranti crudeltà e ingiustizie. Oggi siamo arrivati alla totale assuefazione, come animali onnivori fagocitiamo e digeriamo tutto e di tutto. Anche questa grave crisi economica e finanziaria rischia di diventare quasi normalità. Per assuefazione alle vacuità niente fa più veramente notizia. Accettiamo, senza meravigliarci più di tanto, lo stesso esperto che dopo averci detto, poche settimane fa, che il prezzo del petrolio sarebbe salito fino a 200 dollari al barile spingendoci verso una profonda crisi energetica mondiale, ci dica oggi che sono del tutto normali i 50 dollari al barile e che non siamo più dipendenti dall’oro nero; ovviamente tutto da lui già previsto. Assuefazione anche verso questo nostro quotidiano teatrino della politica, un teatrino televisivo dove attori da avanspettacolo recitano da politici, insultando continuamente, spesso senza ritegno e senza dignità, affermando oggi con convinzione una cosa salvo domani smentire con sdegno. Difficile, almeno per me, trovare dignità in un Daniele Capezzone faccia da bravo ragazzo, da bamboccione, segretario del Partito Radicale fino a pochi mesi fa: abortista, antiproibizionista, anticlericale, a favore della liberalizzazione delle droghe leggere e per le coppie di fatto, che aveva definito Berlusconi un matto. Oggi è portavoce di Forza Italia avendo intravisto nel Popolo delle Libertà “una grande opportunità”. Per lui certamente. Che dire del signor Riccardo Villari, eletto per scherzo alla presidenza della Commissione di Vigilanza Rai. Nonostante avesse giurato e spergiurato che avrebbe rassegnato le dimissioni di fronte ad un candidato condiviso, Sergio Zavoli, una volta sedutosi sulla sedia presidenziale, non ha inteso più lasciarla, quasi avesse il sedere impiastricciato di un mix di coccoina, vinavil, attack e bostik. E invece dovremmo ritrovare la forza di indignarci. Forse soltanto ritrovando le passioni politiche di una volta, con o senza ideologia non importa, e la capacità di riconoscere le persone perbene (non è poi così difficile, la coerenza spesso è un buon indizio) potremmo scuotere l’arroganza di certi politici. Mio nonno mi diceva: “A volte facciamo come le pecore, ci accodiamo per istinto”. Non rassegniamoci.

a.b.
venerdi 28 novembre 2008

lunedì, novembre 17, 2008

Windows, nozze d’argento

Venticinque anni fa nasceva il sistema operativo per computer Windows. Era l’undici novembre del 1983 quando il giovane Bill Gates annunciava, non senza compiacimento e con un atteggiamento che a molti sembrò fin troppo spavaldo, la nascita di una nuova interfaccia grafica per PC: Windows 1.0. “Questo nuovo sistema operativo, fornito di un’interfaccia grafica nuova e unica, diventerà il sistema operativo del 90% dei personal computer” dichiarò Bill in quell’occasione. A molti sembrò una “spacconata”. Oggi la quota di mercato detenuta da Windows è esattamente quella ed è leader assoluto e indiscusso nel settore. Chi non conosce Windows? Nelle case, negli uffici, in ogni angolo della Terra, dove c’è un PC, che sia usato per diletto o per professione, c’è anche Windows con le sue “finestre”. Dopo un quarto di secolo non solo è il sistema di gran lunga più utilizzato, ma non se ne intravede la fine e forte è l’aspettativa per l’imminente uscita del nuovo Windows 7. La prima versione di Microsoft Windows non disponeva di un gran numero di funzionalità e a dire il vero non ebbe nemmeno un grande successo. Era un’estensione del mitico MS-DOS, il primo S.O. di grande diffusione che determinò lo sviluppo e l’espansione vertiginosa dei personal computers. Con grande acume e intuito i fondatori della Microsoft offrivano, allora, il DOS a un prezzo molto contenuto rispetto alla concorrenza e soprattutto, volutamente e astutamente, permisero che il programma potesse essere copiato e istallato senza problemi o limitazioni, consentendo così una facile e velocissima propagazione, a discapito degli altri sistemi difficilmente clonabili. Anni fa un amico di origine iraniana, che adesso lavora per un’importante azienda milanese, mi passava, sui quasi leggendari floppy disk, gli aggiornamenti del DOS che erano ovviamente e inevitabilmente taroccati. Oggi laMicrosoft Corporation fondata nel 1975 è una delle più importanti aziende produttrici di software del mondo con un capitale di oltre 270 miliardi di dollari. Bill Gates, fondatore con Paul Allen, è uno degli uomini più ricchi del pianeta. Quattro mesi fa Gates ha lasciato la presidenza della società dichiarando di volersi dedicare alla filantropia, invocando una nuova era all’insegna di quello che lui chiama: “Il capitalismo creativo”, un sistema in cui i progressi tecnologici compiuti dalle aziende contribuiscono allo sviluppo delle aree più povere del mondo indipendentemente dalla possibilità di profitto. Questo il commento alle sue parole di alcuni industriali perplessi: “E’ andato, l’è sciupà”.

venerdi 14 novembre 2008

lunedì, novembre 10, 2008

Un mondo a colori

E' Barack Obama il 44° presidente degli Stati Uniti d’America. Dopo una lunga campagna elettorale, dura, senza esclusione di colpi, Obama ha trionfalmente vinto, per lui quasi un plebiscito. Anch’io, come tanti, ho ricevuto la sua mail, alle 6 e 53 di mercoledì mattina: “How this happened” (com’è potuto accadere) è il titolo del messaggio, che continua: “Friend… we just made history…” (abbiamo appena fatto la storia), “… Thank you, Barack”. 47 anni, una vita che è un romanzo, Obama è l’interprete perfetto del sogno americano; uomo colto, intelligente, grande oratore ha saputo risvegliare la coscienza politica degli americani. E’ stato votato dal 66% dei giovani, molti dei quali si sono avvicinati alla politica per la prima volta, affascinati da un uomo capace di infondere speranza, coraggio e voglia di cambiamento: “Yes we can”, (possiamo farcela), è stato il suo leit motiv. Nella notte di martedì scorso feste spontanee sono esplose in ogni dove d’America, decine di migliaia di persone di ogni età, razza e religione sono scese in strada per festeggiare una vittoria che è da considerarsi a mio parere epocale. La convinzione è quella di aver assistito a un momento che passerà alla storia, non solo perché forse è finita un’era, ma perché Obama è nero! Un altro muro è caduto, dopo 230 anni un afroamericano prende possesso della Casa Bianca e diventa il presidente della nazione più potente al mondo. Impensabile fino a qualche decennio fa. La grande maggioranza del popolo statunitense è tornata partecipe e ha anche scritto la parola fine alla discriminazione razziale, almeno in America. Circa dieci anni fa ero a New York, percorrevo il largo marciapiede della Broadway diretto verso Time Square. Time Square è la piazza dove i newyorkesi festeggiano il capodanno, spesso la vediamo in televisione con i palazzi ricoperti di pubblicità luminosa e le scritte scorrevoli delle quotazioni della borsa americana; nei paraggi c’è la sede del New York Times. Ricordo una fiumana di gente che mi viene incontro, il mondo intero davanti a me: ispanici, andini, scandinavi, caucasici, africani, asiatici, mediorientali, un miscuglio di razze, di colori; figure frenetiche, indaffarate, incontenibili.
Ero affascinato. Ho immaginato che, indipendentemente dal colore della pelle, ognuna di quelle persone avesse più o meno gli stessi problemi, più o meno le stesse aspirazioni, più o meno gli stessi pensieri. L’umanità: bianchi, gialli, rossi, neri, olivastri … è evidente che è così che piace a Dio.

a.b.

Venerdì 7 novembre 2008


lunedì, novembre 03, 2008

Si sta alzando una leggera brezza

Non si era mai visto prima d’ora Il mondo della scuola così unito nella protesta: studenti, insegnanti, bidelli, personale amministrativo, universitari e persino alcuni rettori aggregati e coesi nel manifestare il proprio dissenso contro il decreto del ministro Gelmini; una legge che a loro dire apporta tagli di spesa pesantissimi all’istruzione. Al dissenso si sono aggiunti i ricercatori, i precari, i genitori degli alunni delle scuole elementari, le associazioni di genitori cattolici anche loro molto preoccupati per la riduzione delle risorse destinate alle scuole paritarie. Persino Famiglia Cristiana e il quotidiano Avvenire si schierano a fianco della protesta: “Colpire la scuola e l’università significa colpire il cuore pulsante di una nazione” scrive il settimanale cattolico. Nonostante le rimostranze e le numerose richieste giunte al governo per un ripensamento, il decreto è diventato legge. Questo decisionismo risoluto, questo: “Noi tiriamo dritto”, sembra piacere alla maggioranza degli italiani, così almeno rilevano i sondaggi. Tuttavia stiamo assistendo a un fatto nuovo, a mio parere non trascurabile, forse poco prevedibile: migliaia e migliaia di ragazzi che manifestano, che chiedono di essere ascoltati e che intendono farsi sentire. Ragazzi che vogliono difendere non tanto la scuola così com’è ma l’istruzione, intesa come investimento nella formazione e quindi nel futuro loro e del Paese. Non si tratta d’imbecillotti facinorosi, fannulloni strumentalizzati, si tratta di studenti che si mobilitano senza etichette e senza partiti. Non è un movimento partiticizzato, ma un movimento politico, perché l’oggetto della protesta è il loro futuro. La mia professoressa di matematica al liceo mi diceva: “Anche il lattante quando piange, perché ha fame, fa politica”. Gli studenti hanno dalla loro la facilità e la velocità nel comunicare, sono padroni delle nuove tecnologie e della rete, hanno saputo conquistare con disinvoltura un grande spazio con creatività e senza violenza. Sono stati capaci di evitare le provocazioni che purtroppo fatalmente e in maniera ineluttabile continueranno ad arrivare se la protesta dovesse continuare. Molti immaginavano i ragazzi di oggi, appagati e compiaciuti, davanti alla playstation o sintonizzati su Amici di Maria De Filippi. Io no, almeno non tutti.

a.b.
venerdi 31 ottobre 2008