giovedì, dicembre 30, 2010

Aruspici, oroscopi e auguri.

Finisce un anno in chiaro scuro. Per molti cittadini, più scuro che chiaro. E’ tempo di bilanci, ma soprattutto di previsioni, oltre che di buoni propositi. In questi giorni le previsioni degli esperti di economia si sprecano: la crisi è finita. No, non è finita, ma il peggio è passato. Ma no, siamo ancora in piena crisi. Allora sono andato a leggere l’oroscopo, chissà mai… D’altronde, quella della divinazione è una pratica dai nobili natali: gli aruspici etruschi godevano di un gran ruolo sociale, e quelli romani non erano da meno. Gli aruspici erano una sorta di sacerdoti indovini che, per conto del Senato romano, esaminavano le interiora degli animali, per predire il futuro. Poi, però, ci siamo affidati alla scienza, e, tutto sommato, non siamo diventati più felici … quindi, chissà. Torniamo agli oroscopi e all’influsso che le stelle eserciterebbero sul nostro destino… mah, come potranno mai influire, su di noi, dal momento che sono distanti milioni di anni luce? Posso forse accettare un ruolo della Luna, che, com’è noto, condiziona le maree, e si sa: noi siamo fatti al novanta per cento di acqua. Del resto si dice: “Quel tipo è un po’ lunatico”. Io sono del segno dei Pesci. Ho letto svariati oroscopi ( ma non diciamolo a Margherita Hack), e ne ho trovato uno che mi è piaciuto. Finisce così: “… cerca di sperimentare qualcosa di nuovo per il 2011, hai bisogno di una scossa benigna che ti spinga a passare al livello successivo”. Qualunque sia il “livello successivo”, ho pensato che fosse l’augurio migliore che avrei potuto farmi e farvi. Buon 2011 a tutti. 

Daniele Tamburini

mercoledì, dicembre 29, 2010

Buon Natale

Care lettrici e cari lettori, questa è una letterina di Natale. Rammentate quelle che scrivevamo quando eravamo piccoli? E poi, aspettavamo con trepidazione i doni sotto l’albero? Lo pensavo giusto stamani: in questi nostri incontri settimanali, è raro che parliamo di cose belle, beneauguranti, del positivo che c’è nella vita. Certo i tempi non invogliano in questa direzione, ma potremmo provarci, magari a Natale. Rammento un racconto di Pirandello che lessi a scuola: sono andato a cercarlo. E’centrato sulla ricerca di anime di buona volontà, piuttosto che di anime ingombre di desideri, “di sogni, di comodi”. Ho pensato, allora, a quante donne e quanti uomini di buona volontà agiscono in questo nostro mondo, in modo silenzioso, assicurando cura, solidarietà, civiltà. A chi passerà il Natale pensando alle mense dei bisognosi, curando gli infermi, vigilando sulla nostra sicurezza, senza clamori, lavorando come fa la gente “comune”, facendo il proprio dovere e, spesso, qualcosa di più, senza chiedere niente se non l’appagamento della propria coscienza. Ce ne sono tanti. Perché come ha detto il sindaco, con quel suo modo di esprimersi da “allenatore”, in occasione di un incontro con la stampa: “ Non solo chi arriva primo vince. Nella vita è un vincitore anche quello che si ferma ad aspettare chi è rimasto indietro”. L’augurio che vi faccio e che mi faccio è di riuscire sempre a guardare a queste anime di buona volontà. Buon Natale.

Daniele Tamburini

sabato, dicembre 18, 2010

Il bene del Paese?


Non ci riteniamo commentatori politici né ci sembra di esprimere pareri partigiani. Anzi, cerchiamo sempre di osservare con un punto di vista equilibrato le vicende politiche, anche quelle nazionali. Ma il succedersi di avvenimenti che ha avuto il suo culmine martedì 14, con la rinnovata fiducia al governo Berlusconi, pone alcuni seri elementi di riflessione. Non ci attarderemo sulla questione del posizionamento di alcuni deputati (prima no, poi ni, poi sì), perché, ahimè, di ribalte e ribaltoni, individuali e di gruppo, più o meno spontanei, è piena la nostra storia. Invece, la cosa che più ci preoccupa è l’ennesima riprova di una classe politica spaccata comunque a metà, in perenne conflitto, spesso “a prescindere”, gli uni contro gli altri armati. Solo poco più di un anno fa, per qualcuno, la crisi era una invenzione di una parte politica, oggi, purtroppo, le previsioni che sembravano più nere si stanno rivelando fondate: la crisi è lungi dall’essere risolta, e le sue conseguenze stanno picchiando duro. Invece di lavorare insieme, magari sulle grandi questioni, e insieme significa le forze politiche, economiche, sociali, si tratta da nemico l’avversario politico, con una animosità più vicina al tifo di una curva che ai luoghi istituzionalmente più rappresentativi della Repubblica. Quanto può durare questo perenne conflitto? Quanto ancora possiamo reggerlo? Siamo ancora lì, divisi tra Coppi e Bartali, antica metafora sportiva della divisione del Paese. Ci rimane una speranza, ed un augurio: che possa ripetersi quel gesto bellissimo che fu il passaggio di borraccia. Ma ne dubitiamo...


Daniele Tamburini
daniele.tamburini@fastpiu.it

sabato, dicembre 04, 2010

Prendiamoli sul serio

Il movimento di studenti universitari, ricercatori, docenti che ha percorso il Paese nei giorni scorsi e che continua a protestare, non può essere preso sottogamba. Per molti motivi. Il primo è che gli studenti universitari sono giovani uomini e giovani donne che sono cittadini attivi, godono del diritto di voto e, domani, saranno la classe dirigente del Paese (o almeno si spera). A maggior ragione, i docenti e i ricercatori sono coloro che stanno formando questi ragazzi a ricoprire quel ruolo. A questo serve, l’Università, anche se non solo a questo. Dovrebbe servire, infatti, anche a produrre innovazione, a lanciare idee nuove, a esprimere pensieri e pratiche lungimiranti e appassionanti. Spesso lo fa, ma con sempre maggiore difficoltà. Chi protesta, noi pensiamo, ha a cuore, magari sbagliando, questa dimensione dell’Università. Lo fa da ricercatore precario che sa di rimanere tale chissà ancora per quanto. Lo fa da studente, che non sa cosa, quando e dove lavorerà. Per commentare questo stato di cose non servono le facili battute stile “State a casa a studiare che è meglio”. Un refrain già sentito, spesso ad ogni moto di piazza, ma che non tiene conto della società reale. Per moltissimi, la riforma non è adeguata a rispondere alla questione Università. Una legge realmente innovativa avrebbe dovuto rompere l’attuale schema rigido, basato sul ruolo acquisito e sulla ripartizione in fasce di docenza, e che delega moltissimo a chi, precario, non può avere il senso del proprio futuro, del proprio progetto. Si doveva prevedere l’immissione in ruolo dei tanti precari che da anni lavorano: un’iniezione di forze giovani, attraverso le procedure contemplate dalla legge. Dispiace leggere le parole di chi plaude al blocco dei concorsi per via della scarsa trasparenza con cui negli anni passati si sono svolti: è una resa, nei fatti, all’impossibilità di agire con pulizia e onestà. C’era bisogno di democratizzare i processi di gestione degli atenei, di creare nuovi spazi di innovazione e modernizzazione. Quello che più preoccupa è che, probabilmente, i “cervelli” continueranno a emigrare.

Daniele Tamburini