sabato, aprile 23, 2016

La rassegnazione

Ha ragione Federico Centenari, quando mi dice: “Sai, quando vado in centro osservo sempre le persone che incontro. Lo faccio da anni, guardo le loro facce, osservo i commercianti davanti ai negozi, la gente che percorre le vie. Mi fermo a parlare e raccolgo le loro lamentele. Sui loro volti non leggo tristezza né tanto meno rabbia, vedo piuttosto smarrimento, o, per meglio dire vedo la rassegnazione”. Giacomo Leopardi equiparava la rassegnazione ad una immobilità non ragionata. E ancora: “Dall’abito della rassegnazione sempre nasce noncuranza, negligenza, indolenza, inattività, quasi immobilità”. Che parole profetiche, verrebbe da dire. Marcel Proust scriveva che la rassegnazione, modalità dell'abitudine, permette a certe forze di accrescersi indefinitamente. Forse è proprio così. Una di queste forze, di cui parla Proust, una forza che cresce indefinitamente è a mio parere il risentimento. Sempre più spesso si assiste ad un senso di animosità verso gli altri, anzi, verso il mondo in generale. Pessimi sentimenti covano sotto la cenere.
sentimenti molto negativi. Anche Cremona ne soffre, pur essendo una città prevalentemente addormentata, sicuramente rassegnata, spesso genuflessa. Molti si lamentano, da sempre. E è da sempre che ascolto la solita litania: basta con certe dinamiche, non se ne può più di certi equilibri che imprigionano la città e che la rendono impermeabile, basta con le oligarchie, con le trame raccontate dai soliti registi… dobbiamo fare, dobbiamo dire. “Mo dimo, mo famo”, direbbero a Roma. E ancora, in molti vorrebbero cambiare le cose, salvo poi realizzare che questo costa fatica, esposizione in prima persona, rottura di antiche e consolidate dinamiche di convenienza oltre che di convivenza sociale. E, siccome la rassegnazione sta al coraggio come il ferro sta all'acciaio, quasi sempre, tutto finisce li. Anzi, finisce nella solita esortazione: “Intanto vai avanti tu... che a me vien da ridere”.

sabato, aprile 16, 2016

La trasgressione

di Daniele Tamburini
Quando ero ragazzino, trasgredire era, oltre che disubbidire alla mamma, riuscire a comprare in un bar un “boero”: il cioccolatino con dentro la ciliegia e ripieno di liquore. Lo si prelevava dall’espositore posto sul bancone del bar. Ricordo che furtivamente scartavo quella carta rossa e, finalmente, potevo gustare quel liquore, altrimenti severamente proibito per un ragazzino di dieci anni. Le prime volte soffrivo di quel piccolo senso di colpa che risiedeva non tanto nel gesto in sé, ma nella volontà di volerlo compiere. Poi, preso atto che non c’erano conseguenze, il senso di colpa svaniva. Se poi trovavo nella confezione la scritta: “hai vinto un boero”, altro che senso di colpa! ero pieno di soddisfazione. Per me, sospeso tra l’esser bambino e adolescente, l'atto ribelle e trasgressivo era forse il primo passo verso la conquista di una personalità propria, della capacità di discernere tra bene e male. Divieto e trasgressione, infatti, fanno parte da sempre di complessi apparati filosofici e morali, per non parlare dei sistemi di fede. La trasgressione, diceva il filosofo Bataille, “sospende il divieto senza eliminarlo. Qui si cela la molla dell’erotismo, e qui ugualmente si cela la molla di ogni religione”. Il divieto permane: alcuni tabù sono costitutivi della civiltà per come la conosciamo; l’apparato della legge mosaica, che il cristianesimo ha sussunto e sviluppato, consta di molti divieti, ripetuti ossessivamente (non uccidere, non desiderare la roba d’altri, non rubare …). Il divieto a comportarsi male deriva, anche se non si è religiosi, dalla propria legge morale, dall’osservanza delle leggi, dal senso civico. Il divieto comporta, se lo si trasgredisce, una sanzione, un’ammenda, una punizione: è così. Quando però vengono a mancare legge morale e senso civico, e si è convinti dell’impunità, ecco che dalla trasgressione si giunge al comportamento truffaldino. E il senso di impunità deve essere tale, che non ci si cura neppure del fatto che la magistratura e le forze dell'ordine colpiscano duro, con tutti i limiti, temporali e in termini di efficienza, del “sistema giustizia”. Non è mia intenzione condannare nessuno: ognuno se la veda con la propria coscienza. Ma, a questo proposito, poiché il senso civico, nella nostra repubblica, ha come fari la Costituzione ed il sistema democratico, io vi dico che, domenica, andrò a votare al referendum. E invito anche i miei lettori a farlo. Andate, esercitate il diritto di voto: che votiate “sì” o “no” non importa, ma siate cittadini consapevoli.

sabato, aprile 02, 2016

Sempre più in basso

di Daniele Tamburini
La famiglia, si sa, è importante. Lo è in particolare nel nostro Paese. Sappiamo bene che persino l’ossatura del nostro sistema produttivo si è basata e forse si basa ancora sul modello familiare o familistico che dir si voglia. È la forza del Paese: lo hanno ripetuto per anni autorevoli studi e importanti commentatori. E’ diventato quasi uno stile, quando non uno stigma. Abbiamo anche capito che questa dimensione, radicata e forte, portava con sé lati negativi: una certa provincializzazione, una certa riluttanza ad affrontare le sfide dell’innovazione e della globalizzazione. Fin qui, ci muoviamo su un terreno quantomeno molto dignitoso. Poi, però, si è rischiato e si rischia di scadere nel vieto modello “tengo famiglia”: un ombrello riparatore sotto il quale si celano e si giustificano mezzucci, manfrine, varie mani del gioco delle tre carte. Sinceramente, ancora mi mancava “tengo un fidanzato”. Un fidanzato ancora non è proprio famiglia, o forse sì, nell’epoca della “famiglia liquida”, ma che c’entra, meglio premunirsi per un futuro roseo. E, se si è nel posto giusto, invece che aderire ad una assicurazione sulla vita o accendere un mutuo o pensare alla divisione dei beni, cosa prevedere meglio di un piccolo, piccolissimo emendamento ad una legge – che poi, dire “ad una legge” è anche riduttivo: si trattava della legge cosiddetta “SbloccaItalia”, che il governo varò con grande fanfara – e oplà, il fidanzato è a posto. Quel che fa più male, oltre al solito rammarico per un’immagine dell’Italia cialtrona, corrotta, venduta, è che la ministra in questione venisse da Confindustria: da quell’organizzazione, cioè, che molto e seriamente si è battuta e si batte per tutelare gli imprenditori in difficoltà per via dei taglieggiamenti e dei ricatti subiti da parte della criminalità organizzata. Allora, che significa questo? E’ davvero il potere che corrode? È l'aria del Palazzo che è mefitica? Adesso le opposizioni chiederanno le dimissioni del governo. Saranno respinte. Io penso che, più di un nuovo governo servirebbe una grande riforma morale, e pure servirebbe che i cittadini potessero scegliere liberamente i parlamentari e non delegare la scelta ad un leader di partito. Servirebbe pretendere onestà nelle istituzioni. Perché a volte la colpa è di chi applaude, non di chi recita. Oggi in tanti continuano ad applaudire, facendo finta di non vedere, magari perché “tengono famiglia”. Non so voi, ma io sono stanco, sono stufo, sono fortemente deluso. Francamente non ho più voglia.