di Daniele Tamburini
Quando ero ragazzino, trasgredire era, oltre che disubbidire alla mamma, riuscire a comprare in un bar un “boero”: il cioccolatino con dentro la ciliegia e ripieno di liquore. Lo si prelevava dall’espositore posto sul bancone del bar. Ricordo che furtivamente scartavo quella carta rossa e, finalmente, potevo gustare quel liquore, altrimenti severamente proibito per un ragazzino di dieci anni. Le prime volte soffrivo di quel piccolo senso di colpa che risiedeva non tanto nel gesto in sé, ma nella volontà di volerlo compiere. Poi, preso atto che non c’erano conseguenze, il senso di colpa svaniva. Se poi trovavo nella confezione la scritta: “hai vinto un boero”, altro che senso di colpa! ero pieno di soddisfazione. Per me, sospeso tra l’esser bambino e adolescente, l'atto ribelle e trasgressivo era forse il primo passo verso la conquista di una personalità propria, della capacità di discernere tra bene e male. Divieto e trasgressione, infatti, fanno parte da sempre di complessi apparati filosofici e morali, per non parlare dei sistemi di fede. La trasgressione, diceva il filosofo Bataille, “sospende il divieto senza eliminarlo. Qui si cela la molla dell’erotismo, e qui ugualmente si cela la molla di ogni religione”. Il divieto permane: alcuni tabù sono costitutivi della civiltà per come la conosciamo; l’apparato della legge mosaica, che il cristianesimo ha sussunto e sviluppato, consta di molti divieti, ripetuti ossessivamente (non uccidere, non desiderare la roba d’altri, non rubare …). Il divieto a comportarsi male deriva, anche se non si è religiosi, dalla propria legge morale, dall’osservanza delle leggi, dal senso civico. Il divieto comporta, se lo si trasgredisce, una sanzione, un’ammenda, una punizione: è così. Quando però vengono a mancare legge morale e senso civico, e si è convinti dell’impunità, ecco che dalla trasgressione si giunge al comportamento truffaldino. E il senso di impunità deve essere tale, che non ci si cura neppure del fatto che la magistratura e le forze dell'ordine colpiscano duro, con tutti i limiti, temporali e in termini di efficienza, del “sistema giustizia”. Non è mia intenzione condannare nessuno: ognuno se la veda con la propria coscienza. Ma, a questo proposito, poiché il senso civico, nella nostra repubblica, ha come fari la Costituzione ed il sistema democratico, io vi dico che, domenica, andrò a votare al referendum. E invito anche i miei lettori a farlo. Andate, esercitate il diritto di voto: che votiate “sì” o “no” non importa, ma siate cittadini consapevoli.
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