Ha ragione Federico Centenari, quando mi dice: “Sai, quando vado in centro osservo sempre le persone che incontro. Lo faccio da anni, guardo le loro facce, osservo i commercianti davanti ai negozi, la gente che percorre le vie. Mi fermo a parlare e raccolgo le loro lamentele. Sui loro volti non leggo tristezza né tanto meno rabbia, vedo piuttosto smarrimento, o, per meglio dire vedo la rassegnazione”. Giacomo Leopardi equiparava la rassegnazione ad una immobilità non ragionata. E ancora: “Dall’abito della rassegnazione sempre nasce noncuranza, negligenza, indolenza, inattività, quasi immobilità”. Che parole profetiche, verrebbe da dire. Marcel Proust scriveva che la rassegnazione, modalità dell'abitudine, permette a certe forze di accrescersi indefinitamente. Forse è proprio così. Una di queste forze, di cui parla Proust, una forza che cresce indefinitamente è a mio parere il risentimento. Sempre più spesso si assiste ad un senso di animosità verso gli altri, anzi, verso il mondo in generale. Pessimi sentimenti covano sotto la cenere.
sentimenti molto negativi. Anche Cremona ne soffre, pur essendo una città prevalentemente addormentata, sicuramente rassegnata, spesso genuflessa. Molti si lamentano, da sempre. E è da sempre che ascolto la solita litania: basta con certe dinamiche, non se ne può più di certi equilibri che imprigionano la città e che la rendono impermeabile, basta con le oligarchie, con le trame raccontate dai soliti registi… dobbiamo fare, dobbiamo dire. “Mo dimo, mo famo”, direbbero a Roma. E ancora, in molti vorrebbero cambiare le cose, salvo poi realizzare che questo costa fatica, esposizione in prima persona, rottura di antiche e consolidate dinamiche di convenienza oltre che di convivenza sociale. E, siccome la rassegnazione sta al coraggio come il ferro sta all'acciaio, quasi sempre, tutto finisce li. Anzi, finisce nella solita esortazione: “Intanto vai avanti tu... che a me vien da ridere”.
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