Sappiamo bene quanto sia importante il ruolo dell’informazione. Stavo per dire: “nella società attuale”, ma, a ben vedere, tale ruolo ha sempre goduto di grande risalto, e il potere, qualsiasi potere, ha cercato sempre di gestirlo e di indirizzarlo. Dagli araldi che giravano città e campagne nel Medioevo per rendere note le decisioni del signore, ai fogli o proclami che, dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, venivano affissi e recavano le volontà di sovrani, governanti e reggitori. Non solo uno strumento in mano al potere, però: anzi. Basti citare il grandissimo ruolo che ebbe, nella preparazione e nello svolgimento della Rivoluzione francese, la messe di giornali, bollettini, fogli di informazione, riviste. E non è un caso che i totalitarismi e le dittature del Novecento abbiano investito molto nella costruzione di apparati di informazione pubblica persuasivi e pervasivi. Quando arrivò la tv, lo sappiamo, fu una rivoluzione: si narra di molti politici assai sconcertati, quando non terrorizzati, dal dover entrare con la propria immagine, oltre che con le parole, nelle case degli italiani. Man mano, ci si rese conto di quanto lo strumento fosse divenuto potente, e ci si pose il problema di una regolamentazione: tot minuti a te, tot a me, tot a lui. Una sorta di manuale Cencelli (Era quello inventatodal democristianissimo Cencelli per distribuire ruoli politici e governativi ad esponenti di vari
partiti politici o correnti, in maniera proporzionale). Ma il meccanismo, di dubbio funzionamento fin da subito, dal punto di vista dell’equità, è saltato con l’avvento dell’informazione radio tv privata. Ponete il caso (il caso, eh!) che ci sia un imprenditore padrone di tv che si metta in politica: pensate che si sentirà in obbligo di assicurare il giusto spazio per tutti? O non gli verrà la tentazione di una presenza costante, ficcante, luccicante? Ponete poi il caso che non ci sia direttamente al governo uno che possieda le tv ma che abbia in mente di costruire un partito (forse chiamato “della nazione?”) in cui, per il bene del Paese, non ci sia tanto posto per critiche e dissensi, che, oltre un certo limite, disturbano e fanno perdere tempo a chi deve lavorare: lo spazio per l’informazione lascerà margini sempre più esigui per le opposizioni. Ma è per il bene del Paese, senz’altro. Chissà: rimpiangeremo anche Massimiliano Cencelli?
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