Vi ricordate i basettoni? E il borsello? Gli abiti alla moda, di quel tempo,
che oggi sembrano così ridicoli? La 600 Fiat con la quale andavamo a scoprire il
mondo, e poi le danze delle donne che rivendicavano il loro ruolo e l’impeto
delle manifestazioni politiche, il livello di scontro che si alzava. Avevamo
tanti sogni, tante speranze, in quegli anni ’70 (allungati al finire dei ’60 ed
all’inizio degli ’80): per il presente e per il futuro. E persino la Balena
bianca, la Dc, dava voce ai diversi modi di vedere il mondo e le cose. Le
correnti, così spesso aspramente criticate, erano anche dislocazioni di potere,
ma non solo: c’erano diversificazioni reali, politiche e culturali. Si sentiva,
si percepiva, che una pluralità di emozioni di voci, di aspettative, di idee
percorreva il Paese. Non si sottraeva, Ugo Tognazzi, a quella temperie. Una
certa malinconia, simile a certe caligini padane, e la grande capacità di
interpretare umori e debolezze della società a lui contemporanea. C’erano stati
il federale e i mostri, poi l’immorale e il ruolo nel “Porcile” di Pasolini, e
poi il conte Mascetti e l’umanità vivisezionata de “La terrazza”, e la
straordinaria “Tragedia di un uomo ridicolo”. Eppure, Tognazzi non era il
classico attore “impegnato”: viveva nel suo tempo, viveva il suo tempo con
occhio attento e partecipe. Si sentiva uomo del suo tempo (collaborò anche allo
scherzo del “Male”: “Tognazzi capo delle Brigate rosse!”). Ecco il punto:
sentirsi partecipi del proprio tempo, e non, semplicemente, oggetti passivi, che
è il grande rischio di oggi. Lo vedo, ahimè, anche nei giovani. Lo vedo in chi
non spera più, o non ha mai sperato, di poter avere voce in capitolo, di essere,
magari un minimo, protagonista delle scelte e delle situazioni. In alto sopra di
noi, la cupola mondiale delle banche e della finanza e di una politica che non
ti guarda negli occhi, che non ascolta, ma che blandisce e proclama. Più vicino
a noi, vediamo nei ruoli decisori persone che, magari, subordinano le proprie
scelte di appartenenza al fatto di non ricevere soddisfazione alle proprie
richieste. Che dire? Un tempo si decideva l’appartenenza rispetto a cosa si
pensava della guerra nel Vietnam, oggi rispetto all’accoglimento o meno della
proposta di ampliare un poligono di tiro. Mah, a volte mi dico, sconsolato, che
forse hanno ragione ora. Adesso, che ho più passato che futuro, sia chiaro non
rimpiango niente: ho vissuto il mio tempo, ne sono stato partecipe, ho fatto
quello che volevo fare, quello che mi piaceva fare, con passione e caparbietà.
Quella caparbietà che anche oggi mi consente di vivere questo tempo indistinto
che, a dire il vero, mi piace un po' meno.
Daniele Tamburini
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