Non si tratta di fare il solito discorso, un po’ trito, sulla violenza nello sport, da condannare, da reprimere, ma anche da interpretare. Lo spettacolo pauroso andato in scena lo scorso martedì allo stadio Ferraris di Genova, in occasione della partita tra Serbia e Italia, va più in là. Si può senz’altro discutere in termini sociologici e di costume il fatto che gli stadi siano diventati le nuove arene, in cui sfogare ribellioni e violenza repressa. Si può discutere anche dell’uso, assolutamente poco adatto alle circostanze, ma diffuso, di simbologie o gesti che richiamano ad appartenenze politiche; ma ciò che è successo martedì va oltre. Si va allo stadio, anzi si dovrebbe andare allo stadio per assistere alla partita, per condividere gioia e passione sportiva. Abbiamo assistito ad un’orda di figuri come quello rimasto immortalato in una foto, incappucciato, il braccio teso, maglietta con i simboli nazionalisti, che hanno sfidato, provocato, irriso, devastato, assaltato, lanciato fumogeni. Figli delle tigri di Arkan, il massacratore della guerra dei Balcani, qualcuno ha detto. Epigoni della peggior violenza che si sia scatenata in Europa nel secondo dopoguerra. Sono ultranazionalisti, hanno in mente la Grande Serbia, non vogliono l’indipendenza del Kossovo. Non voglio che il loro paese entri nella comunità europea e forse, per questo, sono stati assoldati da chi non ha convenienza che ciò accada. Ha detto Prandelli: “poteva essere una tragedia”. Erano presenti anche un migliaio di bambini delle scuole calcio: che ricordo ne avranno? Il calcio, la società, la politica non possono permettere che chi va allo stadio viva nella paura di una tragedia annunciata. A che servono tornelli, gabbie, tessera del tifoso, forze dell’ordine schierate e sempre a rischio, la massa di denaro pubblico che tutto questo ci costa, se poi, in uno stadio, un martedì sera, può accadere quel che noi, allibiti e pieni di rabbia, abbiamo visto? Se centinaia di teppisti hanno potuto portare dentro bombe carta, fumogeni, petardi, razzi, coltelli e tronchesi? Di chi la responsabilità? Non certo della polizia che si è comportata responsabilmente, evitando il peggio.
Daniele Tamburini
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