Sta aumentando l’allarme per lo stato delle Università: molti corsi sono a rischio, altri subiscono forti ritardi, ovunque crescono le preoccupazioni, di rettori, docenti, ricercatori e studenti, rispetto ad una realtà che dovrebbe costituire un ganglio fondamentale per le prospettive di sviluppo del Paese. Gli errori compiuti nei confronti dell’Università sono di lunga data e, quindi, difficilmente ascrivibili ad uno schieramento politico, piuttosto che ad un altro. Sta di fatto che la palestra in cui dovrebbero maturare le eccellenze del Paese cade a pezzi, e l’intervento di un buon carpentiere sembra assai lontano. C’è, a mio parere, una sostanziale incapacità del sistema Italia di includere e far “fruttare”, fin dal momento della semina e della germinazione, le forze migliori che abbiamo. E le migliori “teste” continuano a fuggire. Anche questo governo ha fallito, e anche questo governo, ancor più dei precedenti, non ritiene che aiutare la “ricerca” possa essere un investimento per il futuro. Un paese che non investe nell’istruzione, nella ricerca e sui giovani è un paese dal futuro incerto. Già oggi la società nel suo complesso è caratterizzata da un grande sentimento di incertezza, e l’incertezza provoca paura. C’è chi si arrocca, e chi preme per conquistare la fortezza. Riprendono piede rivolte di popolo a cui non eravamo più abituati: ne sono un esempio la Francia, la Germania, ma avvengono anche qui da noi, in Campania per la discarica e in Sardegna, con la protesta dei pastori. Non è un buon segnale. Sarebbe meglio ascoltare la gente e trovare soluzioni - non solo per affrontare l’emergenza, ma dare una prospettiva al futuro - piuttosto che trattare quei problemi come se fossero solo di ordine pubblico. Chi scende in piazza per protestare non lo fa per divertimento.
Daniele Tamburini
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