Ci siamo. Accolti con sufficiente distacco e una buona dose di scetticismo, iniziano i Mondiali di calcio. E come accade, oramai da qualche anno, alla Nazionale, detentrice del titolo di campione del Mondo, è mancata anche la benedizione da parte delle istituzioni. I nostri ragazzi sono partiti per il Sudafrica nella totale indifferenza di Presidente del Consiglio, ministri e compagnia bella. Meglio stare defilati, in questi casi; dovesse andare male, c’è il rischio di essere additati come menagramo. A dire il vero, questa è una settimana piena di eventi di grande rilievo che riguardano la politica: si discute di manovra finanziaria, di tagli, di intercettazioni telefoniche, di giustizia, di Costituzione, di Stato e di Antistato. Cose importanti che ci riguardano direttamente. Tuttavia partono i Mondiali e anche di questo dobbiamo parlare. Sono i primi Mondiali di calcio in terra africana, un evento che non è solo a carattere sportivo, ma che coinvolge aspetti economici, sociali e di costume non indifferenti. Il presidente della Repubblica sudafricana, Jacob Zuma, ha dichiarato che un entusiasmo così grande lo si era visto soltanto nel 1990, quando Nelson Mandela venne scarcerato. “Questi Mondiali di calcio possono unire la nostra nazione”. Anche il ministro del Turismo ha parlato dei Mondiali come di uno strumento di “socializzazione e di condivisione”. Una manifestazione che dovrebbe coinvolgere ed unire. A parte il tifo. Il tifo non unisce, divide. Spesso si è tifosi non “per” qualcosa ma “contro” qualcosa. Così anche in politica: è più appagante denigrare l’avversario piuttosto che sostenere le proprie ragioni. Ma torniamo al calcio giocato. L’Italia non parte favorita. Anche quattro anni fa fu così, e anche quattro anni fa pareggiò uno a uno contro la Svizzera nell’ultima amichevole prima dei torneo. Sogno un’altra finale Italia-Francia, come nel 2006. Più che una partita sembrò un film scritto da un sadico sceneggiatore. Che goduria, quel giorno, battere i francesi con il minimo scarto e oltretutto all’ultimo rigore. Meglio, ma molto meglio, di un sonante e irrefutabile tre a zero. Adesso e non da ultimo: forza Cremo!
Daniele Tamburini
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