Prima la lunga estate calda dei mercati finanziari e l'imposizione, di fatto, al nostro Paese di una manovra "lacrime e sangue"; poi le incertezze sulle misure da prendere, una situazione politica ingarbugliata, l'impazzare della speculazione, i crolli ripetuti delle Borse, in Usa e in Europa, la situazione greca e il rischio di default, fino al declassamento del debito italiano operato da Standard & Poor’s, una delle agenzie di rating più influenti. Abbiamo chiesto al professor Alessandro Volpi, docente di storia contemporanea e geografia politica ed economica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Pisa, di farci un quadro della situazione.
Come mai oggi, quando si parla di economia, c’è questa estrema attenzione allo stato dei mercati e delle borse? sta solamente qui la ricchezza dei Paesi?
«E' chiaro che negli ultimi anni abbiamo assistito a una profonda trasformazione dell'economia mondiale, con una crescita notevole della dimensione finanziaria. Tanto che oggi il rapporto tra il valore del Pil e quello dei mercati finanziari è di dieci volte più alto di prima, a livello nominale. E' quindi incrementata la capacità di condizionamento del mercati finanziari, e insieme ad essa anche le tendenze speculative. Allo stesso modo, l'influenza dei mercati finanziari si avverte sull'andamento dei prezzi di mercato, cosicché il valore speculativo diventa superiore al valore reale del titolo. In sostanza accade che sempre più spesso si scommette sul rialzo dei titoli, e questo fa crescere anche i prezzi del bene in oggetto, anche se non vi è cambiamento nella domanda e nell'offerta. E' quello che, ad esempio, è accaduto per il petrolio. Così la differenza tra prezzo reale e finanziario è enorme, e il primo diventa sempre più condizionato dal secondo».
Quali sono le principali radici della crisi che qualcuno sta definendo “la peggiore degli ultimi cento anni”?
«La crisi nasce nel 2007 negli Usa, all'interno del mercato dei mutui. Una grande massa di soggetti si è indebitata, puntando sul fatto che il denaro costava poco. Il debito è però diventato talmente elevato che ha portato al fallimento del mercato immobiliare. Dopodiché si è generata una colossale distruzione di valore che poi ha contagiato le banche, le imprese e infine i debiti sovrani degli Stati, intervenuti nei salvataggi. Il mercato americano infatti, a salvaguardia del debito,ha immesso moltissimi titoli sul mercato. Essi sono diventati però una concorrenza pesante per quei paesi che già ricorrevano al mercato per finanziare il proprio debito. Così è accaduto per l'Italia, che già utilizzava il sistema di immettere titoli sul mercato per pagare il debito pubblico».
Qual è la situazione dell'Italia?
«Il nostro Paese si trova a pagare interessi altissimi a causa della presenza di molti altri paesi sul mercato. Questo porta a un indebitamento sempre maggiore, e a una crescita esponenziale degli interessi. Ora è intervenuta la Bce, ad acquistare una parte del debito italiano, in modo da far abbassare gli interessi, che sono ora intorno al 5,5%;. Si tratta comunque di valori molto alti, che quindi ci espongono a grandi rischi».
Si parla molto di "rischio default": ci vuole spiegare il significato di questo termine?
«In una situazione come la nostra significherebbe l'impossibilità di pagare il proprio debito o una parte di esso. Ogni anno l'Italia deve vendere 250 milioni di titoli di debito, ma se non riuscisse a venderli tutti il rischio è che non riesca a restituire per intero quelli in scadenza. I paesi che fanno i default rischiano quindi di bloccare la restituzione del debito, totalmente o anche parzialmente. Ciò ha ricadute pesanti su tutta l'economia del Paese, in quanto vengono penalizzate banche, risparmiatori, ecc. E se le banche sono danneggiate potrebbero congelare i depositi dei risparmiatori, per non perdere liquidità».
Alcuni economisti di gran fama (citiamo Loretta Napoleoni) stanno ipotizzando una fuori uscita temporanea dall’Euro, per la Grecia ma non solo. Quali scenari si aprirebbero? È una via perseguibile?
«Sono convinto che non sia la strada migliore. Anzi, sarebbe una via pesantissima, per diversi motivi: primo la difficoltà procedurale, in quanto i trattati europei non prevedono una fuoriuscita di un paese dall'Euro. In seconda istanza, se uscissimo dalla moneta unica il nostro debito resterebbe comunque conteggiato in euro, e quindi ci troveremmo con una moneta debole per pagare un debito forte. Infine si avrebbe una svalutazione della moneta, con impatto forte sulla capacità dei consumi, specialmente per chi ha redditi bassi. L'unico aspetto positivo sarebbe la possibilità di utilizzare tale svalutazione della moneta per rilanciare le esportazioni,
e movimentare un'economia stagnante. Tuttavia, a fronte di tanti aspetti negativi, non vale la pena di adottare una simile soluzione».
Eppure se ne parla anche tra la gente e in alcuni ambienti politici. Quali sarebbero le conseguenze per il nostro paese e per la nostra economia?
«Come già detto, l'Italia sarebbe piegata dall'inflazione e dal debito. In quelle condizioni nessuno farebbe più prestiti al nostro paese, perché nessuno si fiderebbe più, e dunque si perderebbe sovranità. Per le famiglie comuni la svalutazione della moneta può significare non riuscire più a fronteggiare i pagamenti di debiti, mutui e altro. Si verificherebbe dunque un incremento della povertà nelle fasce medio-basse. Soprattutto le fasce a reddito fisso subirebbero una drastica diminuzione del potere di acquisto».
Secondo lei come finirà con la Grecia? E l’Italia?
«I sacrifici richiesti ai greci per riuscire ad avere un sostegno europeo sono eccessivi, e questo li porterà all'impossibilità a crescere. Forse, dunque, in quel caso sarà necessaria qualche misura di ristrutturazione del
debito. In Italia sarà diverso. La situazione è preoccupante, nonostante il sostegno europeo, e questo porta difficoltà anche all'Europa stessa. Non immagino comunque un default per il nostro paese, ma non escludo l'ipotesi di un congelamento dei titoli di Stato, se non entreranno in campo misure convincenti, sia italiane che europee. L'Italia ha dalla sua il fatto che i titoli abbiano scadenze lunghe ma se gli interessi aumentassero di nuovo, fino a superare il 6%, le difficoltà non mancherebbero ».
Possono ancora esserci speranze di risollevare le sorti del Paese? Se sì, quali sono le azioni che si dovrebbero intraprendere?
Innanzitutto si dovrebbe agire sul versante della leva fiscale: in Italia esiste molto risparmio privato, ma anche forte indebitamento pubblico. Dunque si dovrebbe trasferire la ricchezza patrimoniale a riduzione degli stock di debito. Si potrebbe quindi ipotizzare di intervenire sul patrimonio immobiliare, che in Italia è pari a 1.500 miliardi di euro, introducendo una tassa che consentirebbe un maggior respiro nel pagamento degli interessi. Allo stesso modo si potrebbe intervenire sui capitali, che sono pari a 900 miliardi. La tassazione di uno di questi due cespiti è auspicabile al fine di un sostegno vero al Paese. Bisogna, in sostanza, prelevare ricchezze
ove esse sono concentrate. Questo servirebbe almeno a tamponare l'emergenza. Altro intervento necessario sarebbe una riforma del sistema pensionistico. In sostanza è fondamentale lavorare perché si blocchi l'emorragia di spese che da troppo tempo caratterizza l'Italia. Allo stesso modo si dovrebbero ridurre drasticamente i costi amministrativi. La manovra del governo attuale, invece, è solo di facciata, ma non è minimamente incisiva, e non permette di dare fiducia agli investitori, né solidità al Paese».
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