Quante volte ci siamo chiesti: se Dante fosse messo davanti allo schermo di un computer, e osservasse la scrittura che nasce attraverso gli impulsi su una tastiera, piuttosto che dal movimento articolato della mano, cosa direbbe? E se Newton conoscesse gli studi sul bosone di Higgs? E Mozart, condotto ad un concerto rock? E se Maria Curie potesse osservare gli esiti diagnostici e gli sviluppi della scoperta del radio? E Napoleone, se vedesse una guerra condotta con missili e droni? Il gioco potrebbe continuare all’infinito, in un rimando di citazioni e meraviglie ininterrotto. Allora, ci siamo detti: proviamo. Proviamo a far parlare alcuni di questi personaggi, ponendo loro domande sul nostro oggi. Una sorta di “interviste impossibili”: con quel tanto di leggero ed ironico – vogliamo sperarlo – da risultare di piacevole lettura.
di Agostino Francesco Poli
Un’invettiva contro chi lascia andare a male la storia, la cultura, l’arte dell’Italia
Verrebbe da chiamarla “Dante”, come usiamo conoscerla a scuola, come ci viene
insegnato fin dai primi anni di studio… ma temo di osare troppo.
«No, la mi chiami pure Dante… l’è un nome bello, importante. Lo sa cosa significa? ».
No, me lo dica.
«Significa colui che perdura. Che persevera. E, da quello che vedo, la mia opera perdura davvero… La mia opera: “'l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, sì che m'ha fatto per molti anni macro”. Ci ho lavorato davvero tanti anni, sa? Diciassette. Ero giunto, o almeno credevo, “nel mezzo del cammin di nostra vita”. In realtà, la malaria mi ha sopraffatto molto prima.
La vedo corrucciato. Allora, non si tratta solo di una tradizione iconografica, che la ritrae così…
«Non ho mai trovato eccessivi motivi di felicità. Secondo lei, che c’è da ridere? Mica sono un umorista: a me si confacevano la grande poesia, l’invettiva, il trasporto lirico, ma non la poesia da mammolette!
Eppure, Dante, lei ha scritto uno dei componimenti d’amore più belli di sempre, il canto di Paolo e Francesca. Per non parlare delle sue poesie, del Dolce Stil Novo.
Il Dolce Stil Novo è cosa di gioventù, quando rimavo: “Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io/fossimo presi per incantamento,/e messi in un vasel ch'ad ogni vento/per mare andasse al voler vostro e mio”. Poi, sono arrivati l’impegno politico, la partecipazione alle vicende della mia città e del mio tempo, l’Imperatore ed il Papa, i Guelfi ed i Ghibellini, gli incarichi da ambasciatore, e il duello, a distanza ma durissimo, con il papa nemico, Bonifacio VIII. Sa che sono stato cacciato da Firenze, la mia città? che ho vissuto in esilio per venti anni? «Tu proverai sì come sa di sale/lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e 'l salir per l'altrui scale».
Lei amava Firenze?
«Firenze … la amavo e la odiavo. Ho reso grande anche Farinata degli Uberti, pur se ghibellino, pur cacciandolo nell’Inferno, dove meritava di stare, perché, dopo la vittoria di Montaperti, si oppose a che Firenze, sconfitta, fosse distrutta».
E che ci dice delle cose di oggi? Questa nostra Italia, come la vede?
«Io ho creato la vostra lingua. Ho usato il cosiddetto “volgare”, gli ho dato dignità e grandezza poetica. Ho creato figure indimenticabili, come il poeta Sordello da Goito: è nel Purgatorio, ma pensa tanto alla sua patria, all’Italia, con nostalgia e dolore. Si ricorda?».
Sì.. quei versi indimenticabili, che spaventano un po’.
«Sono versi di rabbia. Molto più importante della nostalgia è la rabbia che ne sgorga, in cui si tramuta. “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, // non donna di provincie, ma bordello!».
Parrebbero adatti al nostro oggi, in un certo senso.
«Lo sono. Vivete in un Paese ancora ricco, forte, dotato di tradizione e bellezza incommensurabili. Perché non ve ne avvalete? Perché li gettate via? Lo sa cosa ho sentito dire?».
Che cosa?
«Che a Firenze, nella mia città, la più bella città del mondo, ovvia… me lo faccia dire! Insomma, a Firenze non c’è modo di conservare ammodo le pergamene su cui scrivevamo ai miei tempi! Ma le pare possibile? Pare che non ci sia denaro per evitare l’umidità e il caldo! Ma dico io, siete andati sulla Luna! E non c’è modo di conservare le pergamene che narrano la storia e la memoria di una città come Firenze! Altro che intervistarmi: dovrebbe denunciare queste cose! Tutti i giornali, visto che ce li avete a disposizione, e anche quella cosa, Internet… tutto dovreste utilizzare, per un’invettiva come quelle mie, contro chi lascia andare a male la storia, la cultura, l’arte dell’Italia! Ah, potessi tornare indietro! Io scrivevo a mano, ci pensa? Potessi usare la stampa, potessi essere nato ai tempi di Gutenberg! Potessi scrivere cose da diffondere in centinaia, migliaia di copie! Sarei diventato il maggior polemista di tutti i tempi! La prego, mi dica: che ne penserebbe di un pamphlet sulla situazione politica ed economica del vostro tempo, che terminasse con “Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate”?».
Penso che sarebbe un enorme successo, caro Dante, padre dell’Italia verso cui proviamo un amore dolceamaro. La ringrazio.
«No, la mi chiami pure Dante… l’è un nome bello, importante. Lo sa cosa significa? ».
No, me lo dica.
«Significa colui che perdura. Che persevera. E, da quello che vedo, la mia opera perdura davvero… La mia opera: “'l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, sì che m'ha fatto per molti anni macro”. Ci ho lavorato davvero tanti anni, sa? Diciassette. Ero giunto, o almeno credevo, “nel mezzo del cammin di nostra vita”. In realtà, la malaria mi ha sopraffatto molto prima.
La vedo corrucciato. Allora, non si tratta solo di una tradizione iconografica, che la ritrae così…
«Non ho mai trovato eccessivi motivi di felicità. Secondo lei, che c’è da ridere? Mica sono un umorista: a me si confacevano la grande poesia, l’invettiva, il trasporto lirico, ma non la poesia da mammolette!
Eppure, Dante, lei ha scritto uno dei componimenti d’amore più belli di sempre, il canto di Paolo e Francesca. Per non parlare delle sue poesie, del Dolce Stil Novo.
Il Dolce Stil Novo è cosa di gioventù, quando rimavo: “Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io/fossimo presi per incantamento,/e messi in un vasel ch'ad ogni vento/per mare andasse al voler vostro e mio”. Poi, sono arrivati l’impegno politico, la partecipazione alle vicende della mia città e del mio tempo, l’Imperatore ed il Papa, i Guelfi ed i Ghibellini, gli incarichi da ambasciatore, e il duello, a distanza ma durissimo, con il papa nemico, Bonifacio VIII. Sa che sono stato cacciato da Firenze, la mia città? che ho vissuto in esilio per venti anni? «Tu proverai sì come sa di sale/lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e 'l salir per l'altrui scale».
Lei amava Firenze?
«Firenze … la amavo e la odiavo. Ho reso grande anche Farinata degli Uberti, pur se ghibellino, pur cacciandolo nell’Inferno, dove meritava di stare, perché, dopo la vittoria di Montaperti, si oppose a che Firenze, sconfitta, fosse distrutta».
E che ci dice delle cose di oggi? Questa nostra Italia, come la vede?
«Io ho creato la vostra lingua. Ho usato il cosiddetto “volgare”, gli ho dato dignità e grandezza poetica. Ho creato figure indimenticabili, come il poeta Sordello da Goito: è nel Purgatorio, ma pensa tanto alla sua patria, all’Italia, con nostalgia e dolore. Si ricorda?».
Sì.. quei versi indimenticabili, che spaventano un po’.
«Sono versi di rabbia. Molto più importante della nostalgia è la rabbia che ne sgorga, in cui si tramuta. “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, // non donna di provincie, ma bordello!».
Parrebbero adatti al nostro oggi, in un certo senso.
«Lo sono. Vivete in un Paese ancora ricco, forte, dotato di tradizione e bellezza incommensurabili. Perché non ve ne avvalete? Perché li gettate via? Lo sa cosa ho sentito dire?».
Che cosa?
«Che a Firenze, nella mia città, la più bella città del mondo, ovvia… me lo faccia dire! Insomma, a Firenze non c’è modo di conservare ammodo le pergamene su cui scrivevamo ai miei tempi! Ma le pare possibile? Pare che non ci sia denaro per evitare l’umidità e il caldo! Ma dico io, siete andati sulla Luna! E non c’è modo di conservare le pergamene che narrano la storia e la memoria di una città come Firenze! Altro che intervistarmi: dovrebbe denunciare queste cose! Tutti i giornali, visto che ce li avete a disposizione, e anche quella cosa, Internet… tutto dovreste utilizzare, per un’invettiva come quelle mie, contro chi lascia andare a male la storia, la cultura, l’arte dell’Italia! Ah, potessi tornare indietro! Io scrivevo a mano, ci pensa? Potessi usare la stampa, potessi essere nato ai tempi di Gutenberg! Potessi scrivere cose da diffondere in centinaia, migliaia di copie! Sarei diventato il maggior polemista di tutti i tempi! La prego, mi dica: che ne penserebbe di un pamphlet sulla situazione politica ed economica del vostro tempo, che terminasse con “Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate”?».
Penso che sarebbe un enorme successo, caro Dante, padre dell’Italia verso cui proviamo un amore dolceamaro. La ringrazio.
Nessun commento:
Posta un commento