di Daniele Tamburini
Indigna che la politica sottovaluti il malaffare": è uno dei passaggi più
decisi della prolusione tenuta, pochi giorni fa, dal cardinale Angelo Bagnasco,
presidente della CEI, nella prolusione al Consiglio Episcopale Permanente. Il
riferimento più ovvio e più vicino è lo scandalo che ha travolto la Regione
Lazio: "Dispiace molto - ha detto il cardinale – che anche dalle Regioni stia
emergendo un reticolo di corruttele e di scandali, inducendo a pensare che il
sospirato decentramento dello Stato in non pochi casi coincide con una zavorra
inaccettabile". Secondo Bagnasco, il fatto "che l’immoralità e il malaffare
siano al centro come in periferia non è una consolazione, ma un motivo di
rafforzata indignazione, che la classe politica continua a sottovalutare. Ed è
motivo di disagio e di rabbia per gli onesti ... possibile che l'arruolamento
nelle file della politica sia ormai così degradato?". Parole di grande durezza.
Le commentiamo con don Vicenzo Rini, direttore de La Vita Cattolica e presidente
Sir - Agenzia di informazione della Conferenza Episcopale Italiana".
Don
Rini , cosa pensa delle parole del cardinale Bagnasco? Occorrerebbero, ha detto
il cardinale, "competenza e autorevolezza riconosciuti". Qual è, secondo lei, la
strada per una "buona" politica, per una corretta amministrazione?
Condivido in pieno quanto affermato dal presidente della Conferenza
Episcopale Italiana, come appare anche dall'editoriale di”Vita Cattolica” di
questa settimana. La politica buona ha bisogno di persone, non di "magatelli" o
di truffaldini, come oggi vediamo emergere sempre più nelle varie istituzioni
giorno dopo giorno. Credo che la politica non buona nasca anzitutto da un humus
culturale nel quale l'individualismo ha seppellito l'etica. Ognuno è legge a se
stesso. Tutto ciò che interessa a me o mi è utile, mi è anche lecito. In questo
fango culturale diffuso, è chiaro che anche chi giunge nelle istituzioni, se non
si è formato a una visione etica sana, sarà tentato di approfittarne per fare
soldi, visto che nella concezione corrente i soldi danno la felicità. Quindi la
prima strada per una buona politica è quella di rifondare decisamente nel Paese
un forte impegno per ritornare a un'etica della responsabilità, dell'onestà, del
servizio. Connessa con questa è l'altra strada: quella della riforma dei partiti
e del loro "personale". È ora di smetterla di candidare persone arriviste,
disponibili a tutto pur di fare carriera; come è ora di smetterla di candidare
uomini e donne che hanno come unica qualità quella di essere fedeli, se non
addirittura servi, dei capi; la candidatura non può essere concepita come premio
dato dai capi partito a chi gli ha fatto dei piaceri, o gli ha dato grandi
regali, se non peggio ancora... Di cortigiani in politica ne abbiamo troppi. I
partiti devono candidare persone che hanno dimostrato, a partire dal basso, di
cercare il bene comune senza interessi personali, persone che si sono preparate
al servizio politico studiando, servendo, pensando; insomma formandosi a un
impegno da vedere come vocazione. Non per nulla la Chiesa, a partire dal grande
papa Paolo VI, insegna che la politica è un'altissima forma di carità. Carità
verso il Paese, non carità del Paese verso se stessi. Donare e donarsi, non
prendere. Servire il Paese, non servirsene.
Non vogliamo entrare più di
tanto nella questione dei rapporti tra potere temporale e potere spirituale, ma,
secondo lei, che ruolo ha la Chiesa, oggi, nel nostro Paese, per contrastare un
certo degrado della politica e la situazione di crisi gravissima?
I
rapporti tra potere temporale e potere spirituale sono ben chiari da tempo,
definitivamente illuminati dall'insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II
(di cui quest'anno ricorre il mezzo secolo dall'inaugurazione). Il ruolo della
Chiesa oggi è duplice. Anzitutto quello della formazione delle persone a
un'etica del servire, della responsabilità personale e sociale. E su questo oggi
davvero credo che già faccia molto, anche se il suo impegno va contro corrente
per cui non sempre è compreso e apprezzato dalla cultura dominante. In secondo
luogo, il ruolo di una libertà critica verso la politica, i politici e i
governi. La Chiesa non si può e non si deve alleare con nessun partito, con
nessun politico, con nessun governo. Perché la Chiesa non è né di destra, né di
sinistra, né di centro. È invece di sopra: guarda, osserva e dice il suo parere.
Se un governo fa leggi che la Chiesa ritiene a servizio del Paese, certamente lo
loda. Ma se il giorno dopo, lo stesso governo fa leggi che la Chiesa, per i
principi non solo religiosi, ma anzitutto antropologici, ritiene negative, deve
in piena libertà dire il suo dissenso. La sua libertà critica interessa anche il
giudizio sul comportamento dei politici, che devono essere esempio per i
cittadini. Insomma, la Chiesa – e per Chiesa non intendo solo il Magistero, Papa
e vescovi, ma tutti i cristiani – deve conservare sempre la sua libertà di
giudizio e di azione: collabora volentieri con tutte le istituzioni dello Stato,
senza rinunciare mai alla sua libertà che le viene dall'essere fondata sul
Vangelo. La libertà della Chiesa non è in vendita.
Un commento su questa
frase del cardinale: "I giovani sono il nostro maggiore assillo, i giovani e il
loro magro presente"...
Commento brevissimo: ai giovani oggi chi pensa?
Conosco ragazzi anche più che trentenni che hanno studiato realizzando successi
di alto livello e che poi si ritrovano disoccupati. Conosco altri giovani che
trovano sì il lavoro, ma in condizioni che non rispettano la loro dignità, quasi
ricattati: se vuoi c'è questo, a queste condizioni, con una miseria di
stipendio: se non ti va, arrangiati. Senza dimenticare il dramma delle
assunzioni sempre temporanee, che sembrano una grazia inizialmente, ma a lungo
andare creano situazioni di grave disagio personale. Davvero magro è il presente
di molti giovani in questi anni. Oggi, pur nella difficile situazione economica
del Paese, occorre che il problema giovani sia affrontato, promuovendo leggi che
possano favorire il loro ingresso nel mondo del lavoro. Se i giovani restano
senza lavoro a lungo, rischiano di perdere speranza per il futuro, e questo
potrebbe rivelarsi un dramma.
Il presidente della CEI ha anche parlato
dello "spettro dell'astensione": è un timore fondato?
Fondatissimo:
sempre più sento persone che hanno votato in ogni occasione, magari turandosi il
naso, dichiarare che l'anno prossimo, se i partiti non cambiano rotta, non
andranno a votare. C'è una situazione di sfiducia nella politica o, magari,
perlomeno negli attuali politici e partiti, tutti giudicati negativamente. E
purtroppo, anche in questi giorni, da molte istituzioni giungono notizie
talmente scandalose da fare pensare che l'antipolitica sia costretta a crescere
di giorno in giorno. E la colpa di questo, lo sappiamo, non è della gente
comune, ma di molti politici (e partiti). Se la maggioranza degli italiani
l'anno prossimo non si recasse a votare, certo i partiti si spartirebbero
ugualmente i seggi, ma con quale rappresentatività? Davvero sarebbe la
democrazia a risentirne gravemente. Si tratterebbe di una democrazia
dimezzata.
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