Non so quanto possano giovare a Matteo Renzi gli attacchi furibondi, ormai
quotidiani, rivolti al sindacato in generale e alla Cgil in particolare. Certo,
è ormai palese che il consenso vero che egli cerca non sta in un elettorato
legato, per cultura e storia, alle ragioni del lavoro di cui la Cgil è bandiera.
Ma nel Pd il malessere cresce, e non tanto nei Civati, Mineo eccetera, quanto
nella gente che, per dirla con Lucio Dalla, lo vive ancora come un partito
ottimista e di sinistra. Renzi se la prende con lo sciopero generale del 12, ed
è comprensibile. Meno comprensibile è dire che Camusso e Salvini siano le due
facce della stessa medaglia. È vero, magari diversi iscritti Cgil votano o hanno
votato Lega, magari condividono l’obiettivo di combattere la legge Fornero, ma
questo paragone fa sicuramente torto ad entrambi e neppure rispetta le
reciproche storie. Si sa che l’aggressività viaggia spesso con una scomoda
compagna, la paura. Si sa che la situazione è da far paura: il Pil precipita e
mette a rischio pure le pensioni, su cui tanti "attivi forzatamente inattivi"
contano per campare, come diciamo anche in questo numero; la riforma del lavoro
non avrà effetti salvifici, la finanza internazionale continuerà a speculare sui
nostri malanni e via così. Temo le reazioni isteriche e non ponderate, temo gli
attacchi a testa bassa nei confronti di chi obietta e critica, temo la paura
altrui, temo, soprattutto, l’incapacità di affrontare l’emergenza senza perdere
la testa, con slogan e minacce, contrapponendo invece che cercando la
collaborazione, temo il piglio da uomo solo al comando che non può, non può
stare al timone e cazzare la velatura. Temo chi non ha l’umiltà intelligente di
trarre insegnamenti dal passato. Temo la mancanza di cultura, l’incapacità di
rifarsi a quanto la storia ci insegna. In una parola, temo l’arroganza.
Daniele Tamburini
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