sabato, novembre 01, 2014

Non siamo in uno stadio

L'azione di governo, da quello locale a quello nazionale, non è un campionato di calcio, nel quale la parola d’ordine è: primum vincere. Anche perché chi vince lo scudetto gode di grande prestigio e i giocatori ne ricevono indubbi vantaggi (ingaggi migliori etc..), ma i tifosi, quando è tutto finito e lo scudetto è sulle maglie, stanno pari pari come il giorno precedente. L’azione di governo, invece, dovrebbe produrre cambiamenti reali, migliorare le cose, indurre a speranza: o no? Dispiace dire sempre le stesse cose, ma, in Italia, le fabbriche che ancora esistono stanno chiudendo o sono in procinto di farlo (ahi, il nostro vanto, il manifatturiero!), i negozi arrancano e chiudono anch’essi, le strutture di accoglienza turistica pure, non c’è un ragazzo o una ragazza, tra quelli che conosco, che dica seriamente: questo è il mio Paese, qui voglio restare. Anzi, se ci fosse, anche tra chi ci legge, ce lo dica, ce lo scriva, che ne avremo tanto bisogno. A poco servono gli slogan e le battute di spirito, le slides, gli effetti speciali e gli annunci. Non abbiamo bisogno solo di un partito che governi, comunque sia, ma di qualcuno che spieghi con certezza gli obiettivi che quel governo intende perseguire. Non ci interessano gli attacchi verso “il resto del mondo”, dal sindacato agli intellettuali gufi e rosiconi ai nonni attaccati ai loro privilegi (la pensione, spesso minima?) a chi ha il posto fisso e lo vorrebbe mantenere. Non ci interessa questo, non siamo sugli spalti di uno stadio. Vedo gente sempre più disperata in giro. Non starò a parlare, anche se ne avrei voglia, delle manganellate sulla testa a chi va in piazza a difendere il proprio lavoro. Non faccio un discorso novecentesco, ma un ragionamento molto terra terra: senza lavoro non si guadagna, senza denaro non si compra, non si consuma, l'economia non riparte, domanda e offerta si avvitano verso il basso. Non è difficile da capire. Questo non è calcio, non è poker. Qui, a suon di mazzate, rischiamo di restare a terra. E non importa se lo restiamo in una piazza o davanti alla ex stazione Leopolda.
Daniele Tamburini

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