sabato, agosto 02, 2014

"A Cottarelli fanno fare “el bàc del pulèer”. I Cottarelli e le missioni impossibili

Con Luzzara e Cottarelli son tornati i tempi belli”. Perché la frase susciti un dolce ricordo sono necessarie almeno due condizioni: essere tifoso della Cremonese, e avere oltre sessant’anni. L’uomo del giorno nel nostro paese è Carlo Cottarelli, il commissario straordinario cui è stata affidata la Spending Review, e che ha annunciato le possibili dimissioni dall’incarico per un semplice motivo affidato a un blog: “Se si usano i risparmi sulla spesa per aumentarla, il risparmio non potrà essere utilizzato per ridurre le tasse sul lavoro”. Strana sorte quella dei Cottarelli, commissari chiamati al capezzale di organismi moribondi per fare il miracolo. A papà Celeste, per tutti “Celo”, l’impresa riuscì, fatte le debite proporzioni: l’Uessecì non è l’italia. Correva l’anno 1967, e la Cremonese toccava il punto più basso della sua storia sportiva: le difficoltà economiche avevano costretto il presidente Maffezzoni a lasciare, e la squadra era retrocessa in serie D. La società fu commissariata, e i commissari scelti furono due: Celo Cottarelli, amico di Maffezzoni, e Domenico Luzzara, entrato in società per recuperare un credito di 80 milioni di lire, per aver realizzato con la sua impresa edile l’impianto di illuminazione dello stadio Zini. La stagione 1967-68 iniziò malissimo, con la storica sconfitta nel derby con la Leoncelli, ma finì con la vittoria del campionato e il ritorno in serie C, grazie a giovani di talento come Mondonico e Cesini e capitan Tassi. Nel 1969 Cottarelli lasciò, e con la presidenza di Luzzara arrivò il momento più alto, con le 4 stagioni in serie A. La Cremo era rinata, l’impresa era compiuta. Quella che attende il figlio Carlo è proibitiva, non solo per la crisi economica che attanaglia il nostro paese, ma anche per il contesto politico in cui opera. Carlo nacque nel 1954; dopo il master alla London School of Economics, dal 1988 lavora per il Fondo Monetario Internazionale, di cui dal 2008 dirige il Dipartimento Affari Fiscali. A richiamarlo in Italia da Washington fu nell’ottobre scorso il primo ministro Letta, per affidargli la revisione della spesa pubblica, scoglio sul quale si erano arenati anche economisti del calibro di Pietro Giarda ed Enrico Bondi (scelti da Monti). “Mister Forbici”, come viene prontamente soprannominato, diventa in breve un personaggio tra i più noti della politica italiana, nonostante non sembri certo tipo da cercare i riflettori. A Cremona in dicembre per il 50° dell’API (Associazione Piccole e Medie Industrie), manifestò attaccamento alle radici, nonostante la lunga assenza, e anche fiducia nell’arduo compito, che consisteva nel reperire 32 miliardi entro il 2016. «Non avrei accettato se avessi pensato che l’impegno non fosse fattibile. Ci sono riusciti altri paesi». Già, altri paesi però. Evidentemente contagiato dal pragmatismo made in Usa, tornava in Italia con uno spirito ottimistico: «Mi preoccupa però – diceva allora – il pessimismo, spero che l’amministrazione pubblica ce la faccia. Serve un cambio di mentalità, in due sensi: fare tagli non lineari ma mirati per eliminare le aree di spreco, e utilizzare la maggior parte delle risorse trovate per ridurre la tassazione sul lavoro, bisogno fondamentale per l’economia italiana». Un’anticipazione chiara del contrasto poi emerso. Gli ultimi sviluppi infatti sono storia recente, di queste ore. La reazione degli ambienti politici non si è fatta attendere, ed era quella immaginabile: per il governo lo sfogo era diretto al Parlamento, per il Parlamento era chiaramente un invito al governo. Freddo il commento del premier Renzi: «Possiamo andare avanti anche senza di lui, la spending review non dipende dalle persone che la conducono, ma dalla volontà del governo». D’altro canto che il rapporto con Renzi non fosse lo stesso che aveva con Letta era cosa nota. Tanto che i dossier di Cottarelli sulla spesa pubblica sono rimasti sinora nei cassetti, e i due capitoli di spesa più rilevanti, sanità e pensioni, sembrano intoccabili, come dimostrano le continue deroghe alla riforma Fornero. A far traboccare il vaso è stato il ripristino della tutela per gli insegnanti di “quota 96”, emendamento approvato dal Parlamento ma non sembra proprio contro la volontà del governo. Cottarelli si prepara dunque a tornare al Fondo Monetario, negli Usa. Probabilmente accadrà in ottobre. Ha cercato di dare una mano al suo paese di origine, nessuno ha mai eccepito sulla bontà del suo lavoro e sull’indipendenza con cui l’ha condotto. Ha acceso i fari su situazioni che imbrigliano la nostra economia, ma la politica preferisce che la luce rimanga più tenue. Come se l’importanza di Cottarelli si misuri sulla sua presenza (messaggio ai mercati?) più che sulla sua opera, che la politica nostrana ritiene fastidiosa. Probabilmente anche a pelle il suo feeling con Letta, certamente più anglosassone di Renzi nell’approccio, era altra cosa rispetto a quello conl’attuale premier.Come ben dice Sergio Rizzo sul Corriere, “il prossimo taglio alla spesa pubblica frutto del lavoro di Cottarelli sarà il suo stipendio”.

Giuseppe Carletti: a Cottarelli fanno fare “el bàc del pulèer”

Celeste Celo Cottarelli, il padre di Carlo, non fu solo commissario della Cremonese. Dopo essere stato tra i protagonisti della Liberazione a Cremona, fu anche direttore amministrativo dell’Ospedale di Cremona e poi assessore comunale al Bilancio. A ricordarlo è Giuseppe Carletti, che con lui condivise sia l’esperienza politica che la passione per i colori grigiorossi. «Contribuì a far rinascere la Cremo, di cui era tifoso; conosceva il presidente Maffezzoni, anche lui un grande presidente. Dopo il ’69 non ebbe più incarichi ufficiali, ma rimase legato alla squadra. Fu segretario generale dell’Ospedale, ed ha vissuto in prima persona lo spostamento dall’ospedale vecchio al nuovo. Una delle mie prime esperienze amministrative fu proprio negli Istituti Ospedalieri». Poi vi siete incrociati a Palazzo Comunale. «Sì, l’ho avuto come consigliere di minoranza, da avversario, e poi come collega nella seconda giunta del sindaco Zaffanella: lui era assessore al Bilancio, io all’Urbanistica Attuativa e Lavori Pubblici. Era un liberale vecchio stampo, una persona correttissima. Ci siamo ritrovati in quell’esperimento che allora si chiamava liblab ». Già, liberali e laburisti alleati. Tra i liberali Cottarelli, e tra i laburisti i socialisti Zaffanella e Carletti. Celo Cottarelli morì alcuni anni fa, a seguito di una crisi improvvisa: si trovava sui gradini del Duomo, e Carletti fu tra coloro che chiamarono l’ambulanza. Un cremonese vero che salutò nel modo più cremonese che sia possibile immaginare. E di Carlo Cottarelli cosa pensa il vecchio socialista Carletti? «La politica deve tradurre le sue indicazioni in fatti concreti. E’ una persona molto valida, ma gli fanno fare “el bàc del pulèer”». Che è quel bastone su cui vanno a dormire le galline. Paragone calzante, non c’è che dire.

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