A volte, conservo delle pagine di quotidiani con articoli che mi hanno
colpito e che mi riprometto di rileggere con calma. Spesso, ovviamente, non ci
riesco e le pagine si accumulano, finché non decido di fare spazio. Ma, mentre i
titoli passano sotto gli occhi, capita di avere (amare) sorprese. Era l’aprile
2010 e un grande quotidiano nazionale riportava la notizia di un convegno di
grandi economisti, organizzato da Gorge Soros, dedicato ad un confronto sul
“dopocrisi”. Perché l’amarezza? Primo: nel 2010 si parlava di “dopo crisi”,
orizzonte di cui, oggi, nessuno si sente più di parlare, se non in termini
probabilistici e, al massimo, speranzosi. E poi, leggiamo queste parole: Gli
invitati concordano che i paradigmi economici dominanti negli ultimi decenni,
improntati alla ritirata dello Stato regolatore perché il mercato garantisce una
sua razionalità ed efficienza superiori, «devono cambiare». I venticinque di
Bedford affermano che la disciplina economica nelle università «è stata
manipolata dal mercato» e «si è distaccata dal pianeta Terra, quindi non
riflette più il mondo reale». Bene, sono pienamente d’accordo! E però dove
siamo, quattro anni e passa dopo, almeno qui da noi? Il capitalismo finanziario
detta ancora legge: il suo continua ad essere un vero e proprio strapotere. Le
banche continuano a rappresentare il fulcro di quell’emergenza-credito che
contribuisce a strozzare ogni possibilità di ripresa. Altri Paesi (la Spagna, la
stessa Grecia!) iniziano a ripartire: e noi? Cito alcuni titoli di un rapporto
del Centro Studi di Confindustria dello scorso giugno: “La partenza ritardata e
lenta. Investimenti penalizzati da incertezza e redditività ai minimi; le banche
hanno stretto fortemente le condizioni per la concessione di prestiti a scadenza
ravvicinata... Questo anello mancante nella catena di normale trasmissione dei
meccanismi del riavvio della produzione (che parte dal ritorno della fiducia e
dal miglioramento delle aspettative) fornisce una convincente spiegazione del
ritardo con cui la ripartenza dell’economia italiana sta avvenendo. E continuerà
a essere un ostacolo …”. Faccio una domanda al governo: non sarebbe meglio
lavorare su questi ambiti, piuttosto che incaponirsi nella riforma del Senato?
Buone vacanze.
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