«L’intransigenza tedesca è quella dell’usuraio che strozza il debitore. Alla fine perdono tutti. L’attuale sofferenza dell’economia tedesca ne è una prova»
L’Unione Europea? Non è l’Europa: è un mostro di burocrazia, un bancarottiere
seriale che ha portato fallimento ovunque abbia imposto le sue regole»
di Daniele Tamburini
Durante la manifestazione del Movimento Cinque Stelle al Circo Massimo di
Roma, nello scorso week-end, il leader del movimento, Beppe Grillo, ha
rilanciato il tema tanto discusso dell’Euro e, in particolare, l’uscita
dell’Italia dalla moneta unica. «Faremo un referendum sull’euro. Raccoglieremo
un milione di firme», ha annunciato Grillo. C’è una indubbia questione di
fattibilità di un referendum, su questa materia: la strada sembra difficilmente
percorribile, per due motivi: il primo è che non è ammissibile un referendum
popolare sui trattati internazionali, così sancisce la Costituzione Italiana; il
secondo è che, molto probabilmente, i mercati, già durante il periodo di
raccolta delle firme, metterebbero sotto pressione l'Italia. Al di la di questo,
quella di Grillo è una chiara scelta politica, che alimenta il dibattito: Euro
si, Euro no. Ne parliamo con il professor Alberto Bagnai, docente di Politica
economica all’Università “Gabriele d’Annunzio” di Pescara e collaboratore del
Centro di ricerca in economia applicata alla globalizzazione dell’Università di Rouen. Professor Bagnai, il dibattito politico si riaccende, dopo l’annuncio di
Grillo, sulla questione dell’Euro. Alcuni schieramenti politici fanno
dell’uscita dell’Italia dall’Euro la loro bandiera, facendo leva sul malcontento
creato dalla crisi economica e anche sulla distanza che separa le istituzioni
europee dai cittadini. Si è infranto il “sogno europeo”. Perché questa “Europa”
è sempre più malvista dagli italiani?
«Perché le attribuiscono, a ragione, la
causa della recessione più grave nella storia dell'Italia unita, dopo quella
causata dalla Seconda guerra mondiale. Di tutte le macroregioni dell'economia
mondiale, l'Eurozona è la sola a non aver recuperato terreno dopo la crisi
Lehman del 2008. Le ultime previsioni del Fmi prevedono che il Pil europeo
tornerà ai livelli del 2008 nel 2016. Nel frattempo quello mondiale sarà
cresciuto del 38%, sempre rispetto al 2008. È la conseguenza dell'aver adottato
un sistema di regole monetarie e fiscali troppo rigide, inadatte a cogliere le
sfide della globalizzazione».
La domanda che molti si fanno: l’Italia, ma
soprattutto gli italiani trarrebbero vantaggio dall’uscita dalla moneta unica?
«Sì. Posso anticipare che secondo le valutazioni del centro studi Asimmetrie,
che verranno esposte l'8 novembre prossimo nel quadro della conferenza "L'Italia
può farcela?", alla presenza di economisti e politici quali Bertinotti, Boldrin,
Cuperlo, Meloni, Salvini, un riallineamento del cambio dell'entità che si
ritiene plausibile per l'Italia (circa il 20% rispetto ai paesi del Nord Europa,
circa il 10% rispetto al dollaro) permetterebbe di rilanciare l'economia,
riportando la disoccupazione sotto al 7% in cinque anni. L'inflazione
arriverebbe a un massimo del 4% nel secondo anno, poi tornerebbe rapidamente
verso il 2% previsto dalle regole europee, che oggi non vengono rispettate
condannandoci alla deflazione. La maggiore crescita avrebbe un impatto positivo
sui conti pubblici, riportando il bilancio in pareggio dopo due anni e il debito
sotto al 120% del Pil in 5 anni. L'incognita qui non è economica. Anche il Fondo
Monetario Internazionale ha certificato che i paesi in regime di cambio
flessibile crescono di più e reagiscono meglio a crisi globali. Il problema è di
ordine politico: riusciranno i politici a garantire una gestione ordinata dello
smantellamento dell'Eurozona? In un secolo si son dissolte circa cento unioni
monetarie, gli aspetti tecnici sono noti, la difficoltà consiste nel regolamento
dei rapporti di debito e credito fra i paesi membri. L'intransigenza tedesca è
quella dell'usuraio che strozza il debitore. Alla fine perdono tutti. L'attuale
sofferenza dell'economia tedesca ne è una prova. Bisogna sperare che convinca il
governo tedesco a un atteggiamento cooperativo».
Quali conseguenze subirebbero
coloro che hanno contratto un mutuo, un finanziamento, che ovviamente è stato
negoziato in euro?
«Nel 1992 gli Ecu erano a tutti gli effetti valuta straniera,
e quindi le rate dei mutui contratti in Ecu aumentarono del 20% in conseguenza
dello sganciamento della lira dal Sistema Monetario Europeo. Questa esperienza,
che qualcuno ricorda, non si applica al caso odierno. Oggi l'euro è valuta a
corso legale in Italia, quindi i mutui denominati in euro e disciplinati dal
diritto italiano verrebbero convertiti in nuove lire ai sensi dell'art. 1281 del
Codice Civile, quello che venne applicato quando uscimmo dalla lira. A una rata
di 500 euro corrisponderebbe una rata di 500 nuove lire, così come a uno
stipendio di 2000 euro uno di 2000 nuove lire. Il valore interno della nuova
valuta (e quindi il potere d'acquisto) non verrebbe particolarmente alterato. Il
vantaggio della ridenominazione è poter aggiustare il valore esterno della
valuta, il cambio con le valute dei partner, facendo ripartire le esportazioni e
diminuire le importazioni».
E’ possibile stimare di quanto si svaluterebbe la
nuova moneta, diciamo la “nuova Lira” tanto cara agli italiani?
«Sì. L'entità
degli squilibri accumulati lascia prevedere una svalutazione fra il 20% e il
30%. Su questo tutte le valutazioni concordano. L'impatto sui prezzi interni non
sarebbe uno a uno. Chi dice che una svalutazione del 20% farebbe rincarare la
benzina del 20% è un ciarlatano, per l'ovvio motivo che il costo del greggio
corrisponde a una parte non preponderante del prezzo alla pompa (fatto per lo
più di accise, caricate di IVA). Ad esempio, il centro studi Asimmetrie, in uno
studio pubblicato ad aprile su asimmetrie.org, ha calcolato che in caso di
svalutazione del 20% della nuova lira il prezzo della benzina aumenterebbe del
6%. Del resto, dal 6 maggio l'euro ha perso più del 9% rispetto al dollaro, e il
prezzo della benzina della benzina sta flettendo, anziché aumentare del 9%. Gli
argomenti terroristici usati dai media mostrano immediatamente la corda a
contatto coi dati. La benzina è aumentata quando Monti alzò le accise di 10
centesimi per restare nell'euro».
E il debito pubblico?
«La percentuale di
debito pubblico governata da legislazione internazionale è inferiore al 5%. Per
questa parte, il rimborso ci costerebbe il 20% in più, ma col rilancio
dell'economia è un costo che potremmo permetterci. Il problema più rilevante
potrebbe essere dato dalla dinamica dei tassi di interesse. Voglio ricordare che
nel 1992 lo sganciamento dagli accordi di cambio fu seguito da una diminuzione
dei tassi».
La Banca d’Italia tornerebbe a battere moneta?
«Certo, lo scopo è
questo, riappropriarsi di sovranità monetaria. 177 stati sovrani al mondo ne
beneficiano, esclusi i 18 sventurati dell'Eurozona, coi risultati che vediamo.
Peraltro, la possibilità di battere moneta renderebbe il governo italiano
perfettamente liquido nella propria valuta nazionale, calmierando i tassi con un
effetto analogo a quello che si verificò nel 1992».
In quanto tempo il Paese
potrebbe svincolarsi dall’Euro e cosa accadrebbe all’Unione Europea?
«Lo
sganciamento avrebbe effetti immediati nei rapporti internazionali, e in tutte
le transazioni regolate con moneta bancaria (Bancomat, bonifici, assegni). Le
moderne tecnologie di pagamento ovviamente ci facilitano il compito. C'è poi il
problema pratico dello smaltimento del vecchio circolante (che potrebbe
richiedere anche più di un semestre, ma è gestibile, dato l'ammontare
relativamente esiguo di transazioni regolate per contanti). Quanto all'Unione
Europea, essa non è l'euro, né l'Europa. L'Unione Europea è un mostro di
burocrazia, un bancarottiere seriale che ha portato fallimento ovunque abbia
imposto le sue regole (Grecia, Spagna, Portogallo), è una creatura politicamente
opaca, al cui vertice siedono persone come Katainen, premiato col posto di
Commissario agli Affari Economici dopo aver fatto perdere al suo paese, la
Finlandia, in qualità di primo ministro, sette posizioni nell'indice di sviluppo
umano della Banca Mondiale. Questo organismo necessita di una profonda riforma,
e il primo passo di questa riforma è lo smantellamento dell'euro, che sta
portando al collasso l'economia e la civiltà di quello che una volta era un faro
di cultura e progresso, l'Europa».
In conclusione…
«In conclusione, il
disfacimento dell'euro non è un evento probabile: è un evento certo. Ormai anche
economisti ultraortodossi come Zingales (che da sempre avrebbero preferito un
euro a due velocità) lo ammettono, se pure a denti stretti. Non è mai esistito
nella storia dell'umanità un sistema monetario così rigido fra paesi così
diversi, quindi il suo superamento è inevitabile. Governi responsabili
dovrebbero gestire questo processo anziché subirlo, ma per questo è
indispensabile che presso i cittadini maturi una maggiore consapevolezza. Il
sistema dell'informazione italiana finora non ha contribuito molto in questo
senso, preferendo argomenti terroristici a ragionamenti pacati. Speriamo che il
buon senso prevalga».
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