venerdì, luglio 25, 2008

Mandami una cartolina

Andrea Taracchini ventitreenne di Casalmaggiore non fa a tempo a laurearsi in fisica, all’Università di Trieste, con il massimo dei voti e la lode che viene selezionato da una prestigiosa università americana. L’Università del Maryland gli offre un contratto di cinque anni per un dottorato di ricerca ed una cattedra dalla quale dovrà insegnare quello che lui sa agli studenti. Tra pochi giorni partirà per Washington verso l’oceano Atlantico e verso il suo futuro.
Può sembrare una bella storia e certamente lo è per il nostro Andrea, un po’ meno per il Paese. Ogni anno migliaia di nostri giovani talentuosi, alcuni definiti geni, in ogni caso teste fini, lasciano l’Italia alimentando quel paradosso che va sotto il nome di “fuga di cervelli”: un movimento migratorio caratteristico del nostro Belpaese. Un patrimonio di risorse e di potenzialità che trasloca, ad un costo difficilmente calcolabile, un danno per le nostre università che perdono inesorabilmente capacità di produrre innovazione e conoscenza. E’ questo il paradosso: tutti sono convinti che le economie moderne dipendano in misura sempre maggiore dai frutti della ricerca, ricerca significa, infatti, conoscenze, tecnologie, progresso e sviluppo, ma come possiamo pensare di competere economicamente quando i nostri migliori cervelli vanno a rafforzare i nostri competitors? Gli investimenti sono inferiori alla metà di quelli stanziati dagli altri Stati e di fronte a governi poco sensibili che continuano a penalizzare la ricerca facendo venire meno le risorse necessarie per mantenere elevati standard qualitativi (è notizia di questi giorni di ulteriori tagli alle università italiane) l’unica possibilità che rimane ai nostri giovani ricercatori è emigrare.
L’Italia ha da sempre regalato fulgide menti al mondo intero. I nostri premi Nobel per la ricerca Guglielmo Marconi, Enrico Fermi, Renato Dulbecco, Carlo Rubbia, Rita Levi Montalcini hanno studiato e fatto ricerca grazie a finanziamenti ottenuti fuori dall’Italia. Dovrebbe essere compito dello Stato sostenere la sperimentazione scientifica e la formazione di eccellenza, nel proprio interesse. Investire nelle università significa investire nel e per il futuro, guardare avanti, mirare lontano. Forse è proprio questo il nodo, l’empasse: una classe politica nazionale che guarda più all’oggi, alla propria sopravvivenza, che non di rado vive di sparate spesso demagogiche che servono ad ottenere un immediato consenso e godere del sondaggio del giorno dopo. Manca, a mio parere, chi intende occuparsi del futuro affrontando i problemi e le criticità con idee e progetti di lungo respiro immaginando quello che dovrebbe essere il Paese almeno da qui a trentanni. Spero di sbagliarmi.
In bocca al lupo Andrea, mandaci una cartolina da Washington (Vosintòne, al tempo di Mussolini nella battaglia all’esterofilia).


Daniele Tamburini

Venerdi 25 luglio 2008

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