lunedì, luglio 07, 2008

Grembiule nero e fiocco azzurro

La proposta è di questi giorni e suggerisce “l’obbligo” del grembiule nelle classi elementari. Negli anni della mia giovinezza l’uso del grembiule era una ferrea consuetudine,non un obbligo. La Ministra della Pubblica Istruzione ha accolto l’idea con favore e interesse. Non so se Mariastella Gelmini sia parente di Roberto ex direttore de La Provincia: di lui si potevano non condividere i concetti espressi nei suoi fondi, ma sapeva scrivere bene. Anche Luciano Pizzetti, allora non ancora Onorevole e d’idee avverse, apprezzava il suo stile. La Ministra intravede nel grembiule la possibilità di «…dare pari condizioni di partenza» agli studenti. Bastasse così poco…
Immediatamente si sono scatenati, divisi tra pro e contro, professori, psicologi, pedagoghi, intellettuali, specialisti in grembiulogia e soprattutto coloro che non hanno grossi e gravosi impegni quotidiani. Sembrano più numerosi i pro: «Il grembiule cancella la competizione sugli abiti firmati, restituisce libertà di movimento, infonde senso d’appartenenza, ma soprattutto niente ombelichi al vento».
Dico:con tutti i problemi e le difficoltà che dobbiamo affrontare oggi, non c’è altro su cui applicarsi?
I ricordi si ravvivano e mi vedo timido e sradicato nel mio lustro grembiule nero con un immenso fiocco azzurro. L’inizio della scuola, elementare Pietro Thouar, educatore e letterato considerato il miglior scrittore per l’infanzia con Collodi e De Amicis: sempre il primo di Ottobre, San Remigio. Le madri accompagnano i bimbi, tutti vestiti di nero e infiocchettati, grida, urla, sgambetti, spinte, pacche sulle spalle e tante ginocchia sbucciate… il ciacerare delle mamme che si ritrovano o si evitano.
Anche se eravamo vestiti tutti uguali, non so perché ma i bambini benestanti e i bambini poveri si distinguevano, sempre e comunque. Il mio grembiulino nero e il fiocco azzurro erano maternamente puliti e in ordine, perché la gente non avesse nulla da dire, ma si vedeva che la stoffa non era granché. Niente classe mista, tutti maschi. La mia prima cartella era rossa, forse riciclata, con dentro un sussidiario e due quaderni, uno a righe e uno a quadretti, copertina nera lucida con bordo rosso. Era, invece, di cuoio marrone in prima media mentre in terza niente più cartella, un elastico con fibbia teneva insieme libri e quaderni. Al Liceo una tracolla verde militare con la simbologia del momento Peace and Love, Stop the War eccetera. Esplode il ’68, arrivano gli anni della contestazione, ci sentivamo diversi, volevamo essere diversi, anticonformisti...
Ricordo mio nonno: «Diversi? Pensa te, ho combattuto perché potessimo essere tutti uguali.»

Daniele Tamburini

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