Un agosto che ha portato uno scenario economico e finanziario davvero preoccupante. Una situazione di forte crisi dei mercati e delle economie, che ha obbligato il Governo italiano a mettere mano all’ennesima manovra “lacrime e sangue”. Ma questa crisi, in che cosa si differenzia dalle precedenti? Perché provoca questi sconquassi nei mercati e negli Stati? E’ legittima la grande preoccupazione che si percepisce ovunque? Ce lo spiega Angelo Baglioni, docente in economia politica presso l'Università Cattolica di Milano, facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative. «Ci sono vari focolai di crisi da prendere in considerazione. In Europa il maggiore è quello che deriva dai debiti sovrani, a partire da quello della Grecia, che è esploso un anno e mezzo fa, seguito da Spagna, Italia, Irlanda e Portogallo. Una crisi, quella greca, che non è mai stata affrontata attuando un piano di salvataggio con respiro di lungo periodo. Si sono fatti due piani di aiuti, il cui ultimo risale a un mese fa, ma entrambi parziali e non definitivi. Dunque la crisi greca è stata gestita con incertezza. Ad essa si è poi aggiunta quella italiana».
Ci potrebbe spiegare con chiarezza quali sono le caratteristiche “particolari” della situazione italiana?
«Da un lato, una manovra economica giudicata insufficiente e che ha portato a forti contrasti all'interno della maggioranza, con forti difficoltà per il Governo nell'impostazione di una politica fiscale che porti alla diminuzione del debito. Dall'altro lato, ha inciso anche l'indebolimento del Governo stesso, troppo spesso interessato da liti e contrasti interni alla maggioranza stessa. Tutto questo ha portato al crollo del mercato, e all'attacco speculativo al debito pubblico italiano»
E questo significa…
«Che le banche e gli istituti finanziari hanno iniziato a vendere i titoli del debito italiano perché c'è stata una crisi della fiducia nel Paese e nella sua capacità di far fronte ai suoi debiti. Tutto ciò ha portato a un calo dei prezzi dei titoli sul mercato, con aumenti del tasso di rendimento di un punto e mezzo percentuale (dal 4 al 6,5%).
Al centro del dibattito, però, c’è anche la bassa crescita dell'economia...
«Questo è un'altro grande focolaio di crisi, che riguarda sia l'Europa che gli Stati Uniti. Osserviamo infatti, in questo senso, dei dati molto negativi in tutta l'area euro. Anche la Germania, che è sempre stato un paese trainante, nel secondo trimestre del 2011 ha segnato un tasso di crescita vicino allo zero. Questo ha portato ad una situazione di difficoltà nelle borse europee. Tra l'altro, l'Ocse ha fatto delle previsioni di crescita in ribasso, un po' per tutta l'Europa. La fragilità delle crescita si nota anche negli Usa, che però, pur avendo un problema di debito troppo elevato, possono ancora contare nella fiducia degli investitori nel tesoro americano. Il crollo delle borse di tutto il mondo, a cui abbiamo recentemente assistito, è legato a questa situazione. La cosa vale anche per le borse asiatiche, che dall'altro lato hanno a loro volta i propri problemi. In Cina ed India si osserva un'inflazione piuttosto alta, alla quale le banche rispondono innalzando gli interessi. In Giappone invece, come da noi, esiste un problema di debito pubblico elevato».
Si parla del rischio di una nuova recessione. E' un'ipotesi veritiera?
«Anche se basarsi solo sugli ultimi dati è rischioso, perché bisogna osservare le cose sul lungo periodo, non nascondo che questi dati preoccupano e non vanno ignorati. I dati di crescita così bassa per l'Europa e per gli Stati Uniti lanciano un campanello di allarme, e non si può escludere il rischio di una crescita negativa, o comunque molto vicina allo zero. Questo si traduce nell'impossibilità di creare nuovi posti di lavoro, il che porterebbe a nuovi problemi sociali, ma anche economici, perché si renderebbe difficile una ripresa della finanza».
Quali sono gli indicatori che devono essere monitorati?
«Il Pil prima di tutto. Accanto ad esso vi sono poi degli indicatori di fiducia dei produttori, degli indici del settore manifatturiero, la richiesta di sussidi di disoccupazione, le casse integrazioni, ecc».
Esistono analogie tra la situazione attuale e la crisi americana del '29?
«L'analogia principale è appunto la crescita bassa, che potrebbe trasformarsi, come accadde allora, in una decrescita. Per il momento non siamo a quel livello, perché allora vi fu una forte recessione e deflazione, e mi auguro che ci terremo fuori dal rischio di arrivare a una situazione simile».
Ci sono pesanti critiche nei confronti dell'operato dei governi.
«Il governo italiano ha avuto grandi carenze nella manovra di finanza pubblica recentemente approvata. Si è concentrato sull'incremento delle entrate, e soprattutto sull'aumento delle imposte. I tagli agli enti locali, infatti, si tradurranno inevitabilmente in nuove tasse sulla cittadinanza, perché è l'unico strumento che hanno per reperire nuove risorse. Dunque abbiamo una manovra fortemente sbilanciata sul lato delle entrate. Ma non è questo il modo per risolvere i problemi di finanza pubblica nel lungo periodo, in quanto è dimostrato che più un governo incassa, più spende. Si dovrebbe invece mettere sotto controllo la spesa, ma in questo senso il Governo italiano ha fatto molto poco. Ad esempio un intervento sulle pensioni di anzianità sarebbe stato auspicabile, invece è stato bloccato da una parte della stessa maggioranza. Allo stesso modo è stata piuttosto debole la decisione sul taglio delle Province: avrebbero dovuto eliminarle tutte, come si era ipotizzato all'inizio, e non solo alcune. Ma la cosa più grave è che questa manovra è decisamente negativa dal punto di vista della crescita, perché se si continua a colpire il reddito dei lavoratori e delle aziende con imposte, si ottiene un forte disincentivo a lavorare e a investire. Al contrario, la pressione fiscale andrebbe alleggerita, in modo che vi sia una maggiore disponibilità di reddito. Infine questa manovra ha parecchie lacune anche dal punto di vista dei processi di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici. Si è scaricata tale responsabilità agli enti locali, ma a livello nazionale non viene fatto nulla».
Qualcuno ha criticato anche le scelte degli Stati Uniti.
«I l Governo americano ha la colpa di aver gestito male il problema dell'aumento del tetto del debito. Come è noto, la legge americana prevede che perché il debito possa aumentare oltre un certo tetto, è necessaria un'autorizzazione del Parlamento. La situazione è però stata gestita male e in modo complesso, con una trattativa estenuante, che si è chiusa all'ultimo momento con parecchie perplessità, e ciò ha creato preoccupazione negli investitori. La critica è quindi di aver gestito la cosa in modo pasticciato, mentre si sarebbe potuto fare tutto molto più rapidamente e senza intoppi».
Cosa ci dobbiamo aspettare nel futuro?
«Difficile fare previsioni, allo stato dell'arte. Sono infatti tanti gli scenari aperti. L'unica certezza è la preoccupazione. Il rischio più estremo, quello che speriamo di non dover mai affrontare, è che si arrivi a un dissolvimento dell'area Euro, qualora gli Stati sovrani non fossero più in grado di risollevarsi. Tuttavia, per il momento, la cosa più probabile è che ancora a lungo si vada avanti come stiamo facendo ora, con i governi che trovano soluzioni in extremis per tirare avanti, senza però arrivare a soluzioni definitive. Manca una leadership forte che sappia prendere in mano la situazione ed evitare che le cose precipitino. L'Europa in questi giorni ha ipotizzato l'emissione di Eurobond e quella sarebbe una proposta interessante, perché vedrebbe sostituire parte dei titoli di debito statali con quelli europei. Essi dovrebbero essere gestiti da un'agenzia europea, che si finanzierebbe sul mercato, e a sua volta finanzierebbe gli stati membri a tassi più bassi di quelli che pagano attualmente per i propri titoli di debito. Questo consentirebbe agli Stati di ridurre il costo del debito: non sarebbe la soluzione a tutti i problemi, ma senza dubbio rappresenterebbe un grosso aiuto. Per il momento però questa resta solo un'ipotesi, vista l'opposizione della Germania, la quale teme che una manovra di questo tipo si tradurrebbe in maggiori costi per lei, cosa peraltro non vera».
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